sabato 28 luglio 2012

PER UN'INDIPENDENTISMO LIBERTARIO

PER UN'INDIPENDENTISMO LIBERTARIO


feminas no tzeracas



“La libertà è la madre, non la figlia, dell’ordine.”- Proudhon -
PER UN INDIPENDENTISMO LIBERTARIO[1](orizzontalità)
PAOLA ALCIONI
POETESSA SCRITTRICE
INDIPENDENTISTA
di Paola Alcioni
  
I - PREMESSA
Mi piacerebbe sgombrare immediatamente il campo mentale dai condizionamenti della teoria centralista secondo cui non ci può essere ordine e unità politica senza autorità centrale: ci impediscono di capire e vedere ciò che già abbiamo sotto gli occhi.
Poi proporrei il risultato di una indagine: studi specifici sulle correlazioni tra potere statale e partecipazione sociale in diversi paesi, confermano che i paesi con più opprimente potere statale sono anche quelli in cui la partecipazione sociale – in termini di autonomia e autodeterminazione[2] - è debole.
E’ difficile immaginare una critica più devastante dello statalismo.

Ma io direi: difficile immaginare una stroncatura più radicale di ogni forma di centralismo o verticismo autoritario.

Allora, che dare a tutti quei giovani – e meno giovani – insoddisfatti e dissidenti, che cercano una teoria dell’organizzazione sociale alternativa a quella centralista?
Cosa proporre a coloro che cercano una soluzione organizzativa più in sintonia con l’ideale indipendentista, capace d’essere specchio della prospettiva libertaria che desiderano aprire per la loro terra?

Gustav Landauer, autore di un massiccio contributo all’analisi dello Stato e della società, scrive: “Lo Stato non è qualcosa che può essere distrutto attraverso una rivoluzione, ma è una condizione, un certo tipo di rapporto tra gli esseri umani, un tipo di comportamento; lo possiamo distruggere creando altri rapporti, comportandoci in modo diverso”.

“Esiste” scriveva Colin Ward “un ordine imposto con il terrore, un ordine indotto dalle strutture burocratiche (affiancate dal poliziotto), ed esiste un ordine che si sviluppa spontaneamente dalla nostra consapevolezza di essere animali sociali, capaci di dare forma al nostro destino. Quando latitano i primi due, il terzo, come forma di ordine infinitamente più umana e all’uomo adeguata, ha la possibilità di farsi strada. La libertà, come diceva Proudhon, è la madre, non la figlia dell’ordine.”

Accennando a questo terzo tipo di ordine, Colin Ward sta riferendosi a quello che si sviluppa in sistemi che si auto organizzano progressivamente; che hanno una struttura diversificata, in grado di affrontare situazioni complesse e imprevedibili;  che hanno una struttura mutevole, che si trasforma con il continuo ritorno di informazioni dall’ambiente; sistemi in cui l’apprendimento dei dati e la capacità decisionale sono distribuiti su tutto il sistema.

STA PARLANDO DI SISTEMI APERTI O ORIZZONTALI a struttura reticolare.

Ancora, in premessa, vorrei aggiungere questo: la brama di libertà è una potente motivazione per un mutamento politico.
Ma il problema degli oppressi (che hanno micidiali energie compresse di rabbia e di disperazione, ma sono incapaci di autodeterminazione) è che sono strumentalizzabili e manovrabili da chi fa da catalizzatore del loro disagio.
Se si liberano, dopo non sanno che fare.
Non essendo stati capaci di autodeterminazione nel loro piccolo, non sanno cosa significhi, e prima che imparino le “istruzioni per l’uso” di un paradigma - mentale prima e pratico poi - per loro sconosciuto, saranno costretti per confusione a piegarsi alla delega[3] e si ritroveranno con nuovi dirigenti che non hanno alcuna fretta di abdicare, con una rivoluzione tradita, e con un nuovo Stato, autoritario peggio del precedente.

La necessità di guadagnarsi l’autodeterminazione non è altrettanto potente come motivazione alla rivolta.
Le persone già autonome (che pensano e agiscono come individui) si difendono tenacemente ma con mezzi meno energici, per lo più con forme di resistenza passiva. E fanno le loro cose come vogliono. Cioè, nei limiti del possibile, agiscono già come se fossero libere.[4]

E’ più che mai necessario, dunque, che si attrezzino palestre di autodeterminazione laddove è possibile, per invitare la gente a un esercizio di commistione che consenta alla brama di libertà di nutrire della sua forza ignea la capacità di autodeterminazione individuale, dandole respiro di lotta di liberazione nazionale. E dove, scambievolmente, l’intelligenza dei meccanismi di autodeterminazione nutra di sè e del suo progetto lucido, l’impeto del desiderio di libertà.

E quale miglior luogo per questa palestra, se non in una organizzazione indipendentista che lotta per il diritto all’autodeterminazione di un popolo? Organizzazione che veda (e vada) oltre il paradigma strutturale verticistico, rigetti i meccanismi di delega e rappresentanza per collaudare sul campo – come paradigma organizzativo e come prassi  politica – l’orizzontalità e la de-centralizzazione?

Giochiamo con le inquadrature, dunque: lasciamo sfocare, sullo sfondo, l’immagine centralistica e autoritaria dello stato (e i suoi rapporti con la società) ed il fantasma evocato di un suo felice superamento e mettiamo a fuoco un primo piano: l’immagine di un movimento politico indipendentista (e i suoi rapporti con la militanza) che di questo superamento sia insieme la palestra e la speranza.
Questa alternanza di inquadrature, la suggerisco come chiave di lettura, per tutto il testo.
Quando si parlerà di Sistema Chiuso (SC) si alluderà a tutte le organizzazioni verticistico/autoritarie a partire dallo Stato fino all’ultimo partito o Movimento che assumano un paradigma organizzativo centralistico;
quando si parlerà di Sistema Aperto (SA) tutto ciò che si dirà varrà come detto per una nazione che si dà un’organizzazione orizzontale e libertaria, come per un Movimento di liberazione che sceglie di agire reticolarmente, in piena orizzontalità, senza leadership, in base alla semplice adesione ad uno standard.[5]

Il “salto del punto di vista” è una ginnastica salutare, che rafforza lo spirito critico.


II - SISTEMI CHIUSI a organizzazione centralizzata

Tutte le istituzioni autoritarie sono organizzate come piramidi: lo Stato, la grande impresa privata o pubblica, l’esercito, la polizia, la Chiesa, l’Università... tutte strutture piramidali con al vertice un piccolo gruppo di persone che prendono le decisioni e alla base la gran massa della gente sulla quale piovono le decisioni e le loro conseguenze.
Proprio come in una piramide, le pietre alla base sono quelle che devono sostenere il peso maggiore.

a) C’è un leader ben identificato, a capo di una gerarchia;[6]
b) c’è un luogo specifico dove si prendono le decisioni;
c) le decisioni sono prese dal leader e/o a volte discusse con una cerchia ristretta di gerarchia superiore.
A volte i meccanismi di delega e rappresentanza, targati strumentalmente con la parola magica DEMOCRAZIA, altro non sono che sistemi autoritario/coercitivi per garantire che la decisione della leadership venga applicata nonostante l’impopolarità.

Occorre riconoscere che le attuali organizzazioni politiche sono ancora fortemente connotate in maniera autoritaria e verticistica, così come gli stati-nazione.
Questi ultimi pretendono di imporre le stesse regole pensate agli albori dell’esercizio “democratico” del potere (con gli apocrifi ma scarsamente flessibili meccanismi di delega e rappresentanza di un “popolo-massa” – relitto concettuale secentesco – poco colto e portatore di elementari bisogni), ad una società oramai scolarizzata, colta, autonoma, gelosa della propria soggettività e dei propri desideri e ideali.
Lo stesso avviene, con appena qualche distinguo, all’interno delle organizzazioni politiche.[7]

Paradossalmente, sotto l’incalzare delle nuove esigenze sociali di autodeterminazione, creatività e decentralizzazione, le organizzazioni del vecchio tipo – invece di adeguarsi – rispondono con un maggiore accentramento e con una serie di meccanismi di difesa – a volte violenti – volti a mantenere e a rafforzare il proprio carattere autoritario e i privilegi delle proprie leadership.

Sul piano del rapporto Movimento/militanza il gap tra le nuove esigenze e le vecchie regole organizzative si sconta in termini di demotivazione, dando vita ad un circolo vizioso: più l’organizzazione ha bisogno di creatività diffusa per rispondere con prontezza e flessibilità ai valori emergenti dalla società, più deve disporre di militanza motivata.
Ma più si resta legati a vecchi metodi organizzativi basati sul controllo al vertice, più si provocano effetti demotivanti nella militanza, votandosi così all’insuccesso, creando barriere alla creatività proprio quando se ne ha più bisogno.

Sul piano del rapporto stato/società, lo stato-nazione, retto in base a un paradigma verticistico e autoritario che vede sempre più aumentare la distanza tra rappresentato e rappresentante, non è più delegabile a rappresentare - ma ancor meno è in grado di capire e governare - le complessità della società attuale.


III – SISTEMI APERTI reticolari decentralizzati

Kropotkin affermò che “la liberazione economica e politica dell’uomo dovrà creare nuove forme per la sua espressione vitale, invece di servirsi di quelle create dallo Stato”. E non aveva dubbi sul fatto che queste nuove forme dovessero caratterizzarsi per una più larga partecipazione popolare, un maggior decentramento e una maggiore affinità con l’autogestione.
Pensava ad una rete estesa di individui e di gruppi ciascuno dei quali prende le proprie decisioni e si rende artefice del proprio destino.
L’alternativa al sistema a piramide sta dunque in una rete di elementi connessi tra loro direttamente e orizzontalmente, invece che mediante un centro o un vertice, caratterizzata da libertà di azione, complessità, stabilità, omogeneità e flessibilità.
La rete sarebbe composta da un certo numero di gruppi di ogni tipo e dimensione: locali, regionali, nazionali; temporanei o permanenti; 

UNIFICATI DA UNO SCOPO COMUNE.
In questo tipo di sistema, è possibile che emergano situazionalmente nuclei di leadership, che poi si dissolvono: le informazioni ed il potere decisionale sono distribuiti in tutto il sistema.
*
La società nel suo complesso, nella seconda metà del secolo scorso, ha cambiato pelle. Si è rapidamente affermato un modello socio-economico del tutto nuovo e questo cambiamento – nel passaggio dal XX al XXI secolo - ha rivelato più chiaramente alcune sue caratteristiche.
Uno dei fattori di questo cambiamento è lo sviluppo, appunto, di nuovi modelli organizzativi.
Ad un attento esame, ci accorgiamo che le alternative sono già presenti negli interstizi del potere. Se dunque si vuole costituire una società libera, gli elementi necessari si trovano già tutti a portata di mano.
Esiste una vasta casistica di reti di relazioni informali, temporanee, autogestite, che di fatto rende possibile la comunità umana.
Lo schema rappresentativo dei rapporti è ribaltato rispetto a ciò che esisteva in precedenza: ora è la società a elaborare i nuovi valori emergenti e l’organizzazione (statuale, industriale, politica... etc) per essere all’altezza dei tempi, deve saper cogliere e decodificare questi valori adeguando ad essi la propria “offerta”, che diversamente sarà rifiutata dal “mercato”[8].

Siamo al centro di un’autentica rivoluzione.
L’avvento di Internet – con la sua struttura naturalmente orizzontale e l’assoluta assenza di una leadership – ha liberato la forza decentralizzatrice, mettendo in crisi gli assetti organizzativi tradizionali, modificando interi settori, incidendo nel nostro modo di relazionarci con gli altri e influenzando gli assetti politici mondiali.

Quali sono le caratteristiche di queste organizzazioni?

a) non c’è un leader precisamente identificabile. Quando emerge, ha un potere limitato (situazionale e temporaneo) e dirige con l’esempio, non avendo alcun potere coercitivo;
b) non c’è quartier generale, né luogo fisico fisso ed identificabile dove si prendono le decisioni;
c) non c’è gerarchia.

L’ASSENZA DI STRUTTURA in una organizzazione e l’assenza di leadership, un tempo considerata un punto debole, è ORA CONSIDERATA UN PUNTO DI FORZA STRAORDINARIO. Gruppi apparentemente caotici hanno attaccato e sconfitto sul mercato istituzioni consolidate.
Le regole del gioco sono cambiate, e la vittoria di questi gruppi deriva da una forza tale che:
a) più la si combatte e più si consolida;
b) più caotica appare, più resiliente (capace di superare i traumi) diventa;
c) più si cerca di controllarla, più diventa imprevedibile.

Questo è il c.d. sistema aperto: ciascuno è legittimato a prendere decisioni.
Sistema aperto non significa caos: ci sono norme e regole non imposte da qualcuno in particolare, ma negoziate tra i membri o accettate all’ingresso.
Un’organizzazione del genere può sembrare disgregata e caotica, ma in realtà si tratta di un sistema sofisticato e avanzato.
Le caratteristiche di questo tipo di organizzazione decentralizzata sono:
flessibilità
condivisione del potere
ambiguità

AMBIGUITA’: Non disturbi questo termine. L’ambiguità è una risorsa. E’ solo l’ansia classificatoria nata insieme agli stati-nazione che l’ha rivestita di connotati di pericolosità.

FLESSIBILITA’: questa caratteristica consente ai sistemi aperti di REAGIRE IN TEMPI BREVI.

Non essendoci una intelligenza centrale, essa è distribuita in tutto il sistema, così come la capacità decisionale e le informazioni.
Nei SA la comunicazione avviene direttamente  tra i membri. L’informazione dunque si trova già là dove si richiede l’azione, e non dev’essere convogliata verso una testa/vertice che deve elaborarla, mettere a punto una strategia e infine rimandarla indietro sotto forma di comando alla reazione.

CONDIVISIONE DEL POTERE: non esiste un organo centrale di comando. Il potere è distribuito tra tutti i componenti dell’organizzazione, che seguono le regole perché vogliono farlo, non perché qualcuno lo impone.
Il potere è letteralmente individualizzato (e quindi condiviso da tutti coloro che ne sono detentori) e le decisioni si prendono a tutti i livelli della struttura, da tutti e dovunque.

Nello scontro sistema chiuso, autoritario, verticistico (SC)/sistema aperto, libertario e decentralizzato (SA) (per esempio stato – contro – nazione senza stato organizzata orizzontalmente e libertariamente), il SC:

a) cerca il capo dell’avversario, per corromperlo, comprarlo o eliminarlo;
b) cerca il luogo delle decisioni per distruggerlo;
c) cerca di infiltrarsi nella gerarchia, per indirizzare le decisioni.

Ma in un SA nessun luogo è indispensabile, nessuno è insostituibile. Quando un leader situazionale viene eliminato, altri dieci lo sostituiscono. Quando un SA viene attaccato, diventa ancor più decentralizzato, si polverizza, diventa nomade e porta altrove, in mille luoghi diversi e contemporaneamente la propria capacità decisionale.
Questi sistemi, non avendo né luogo né personificazione, non sono legalmente perseguibili, né praticamente bloccabili.
Sono invisibili, sembrano non esistere, non c’è neanche l’ombra di una testa indispensabile da tagliare.

Ma allora, come funziona un SA?

I SA, o organizzazioni decentralizzate,  si reggono su principi che se funzionano in sinergia garantiscono il funzionamento del sistema:

a) C’è uno STANDARD cui aderire e, una volta scelto di aderire perché lo scopo ci interessa e quello standard ci trova d’accordo, si entra automaticamente nella leadership.
Il termine inglese standard deriva dal vocabolo francese antico estendart, avente il significato di stendardo, insegna.
Per me uno standard cui aderire è la sintesi tra l’ideale che si persegue e l’indicazione delle modalità con le quali si intende procedere
Si definisce standard un modello formalizzato di riferimento, che fornisce le NORME, le linee guida per lo svolgimento di alcune attività, o per il perseguimento di uno scopo.[9]
Il rispetto di tali linee guida pone le basi per l'adozione dello standard da parte di un numero sempre maggiore di utenti.
Le attività di analisi e definizione degli standard sono, perciò, di fondamentale importanza.

Quindi, quale è lo scopo dello standard?
Lo scopo dello standard è quello di definire il modo migliore di fare una cosa, oggi. Lo standard deve essere mobile, dinamico, in continua evoluzione. Giorno dopo giorno si migliora nelle piccole cose. Lo standard deve rispecchiare questi miglioramenti e seguirli, giorno dopo giorno.

b) I CIRCOLI. Sono i gruppi fisici o virtuali che costituiscono l’unità minima. Una volta che si entra perché si è aderito ad uno standard, si è perfettamente uguali a tutti gli altri. Non c’è anzianità o altro parametro discriminatorio che tenga.

c) IL CATALIZZATORE: è la persona che avvia il circolo e poi si mette da parte. Mette in moto l’organizzazione, poi cede il controllo i membri. E’ un generatore di idee, un riferimento spirituale o culturale. Esiste per fare un lavoro, poi fa un passo indietro. Sviluppa l’idea, la condivide con gli altri e dirige attraverso l’esempio. Quando l’idea si regge e l’orizzontalità è partita, si ritira.
Al suo posto, nel tempo, si alterneranno altri catalizzatori situazionali o tecnici, o altri riferimenti spirituali e/o culturali, che sempre dirigeranno con l’esempio, mai con la coercizione (diretta od occulta)

c) L’IDEOLOGIA o SCOPO può essere qualsiasi input forte che motiva le persone a muoversi insieme verso una meta. LO STANDARD si modella a seconda dell’ideologia che muove il SA.

Ciò che il SA propone è la frammentazione e la scissione al posto della fusione e della coagulazione. La diversità al posto dell'unità. 

Immaginate che impatto può avere in una lotta di liberazione nazionale un Sistema Aperto.
Gli apparati repressivi dello Stato non sono in grado di fronteggiare un movimento in cui nessuno riceve ordini da nessun altro ed è in grado di prendere autonomamente le proprie decisioni.
Per fronteggiare questo tipo di attività rivoluzionaria, l'apparato sarà costretto a diventare ancora più burocratizzato e centralizzato (pensate alla creazione della Gendarmeria Europea, megaoperazione di centralizzazione del potere repressivo absolutus, slegato dai parlamenti nazionali) scollandosi dal territorio e lasciando interstizi da rendere temporaneamente indipendenti.
Concretizzando così quelle pratiche di indipendentismo di cui l'indipendenza ha così tanto bisogno... 

MURALES SARDU


NOTE

[1] Il testo fa parte di un work in progress, un lavoro più articolato destinato alla pubblicazione, ma ancora lacunoso e privo di un serio apparato note. 
[2] Cioè di capacità di intraprendere un compito, decidere di farlo a modo proprio e riuscire a portarlo a termine.
[3] L’accentramento di potere nello stato moderno, militarista e industriale, non costituisce l’unica causa dell’impotenza dell’individuo e del piccolo nucleo sociale nel mondo d’oggi. Essa va sopratutto ricercata nella generale delega allo Stato. L’individuo, per omissione, per trascuratezza, per condizionamenti mentali o per mancanza di immaginazione, delega la sua personale quota di potere a qualcun altro, invece di utilizzarla in prima persona.
[4] La completa realizzazione dell’individualità potrebbe dirsi propedeutica, anzi congiunta, al più alto sviluppo dell’associazione volontaria in tutti i suoi aspetti, a tutti i livelli possibili, per ogni scopo immaginabile.
[5] Per il concetto di STANDARD si veda più avanti nel testo.
[6] La leadership è gerarchica, autoritaria, privilegiata e permanente.
[7] Teniamo mentalmente in evidenza le organizzazioni indipendentiste e poniamo un primo paletto del discorso: l’esercizio dell’autodeterminazione individuale all’interno dei Movimenti dovrebbe essere palestra e specchio dell’ideale perseguito con la lotta di liberazione nazionale: l’autodeterminazione di un popolo.
[8] E’ ovvio che questi termini virgolettati e appartenenti al lessico industriale, possono – usati per modelli organizzativi di altri ambiti -  funzionare ugualmente, anzi ci aiutano a capire meglio certi meccanismi.
[9] Nel nostro caso, lo scopo o ideale è l’indipendenza economica e politica della Sardegna. Già parlare di Indipendentismo libertario definisce una parte di STANDARD


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