giovedì 15 agosto 2013

LE RAGIONI DELL'INDIPENDENTISMO, AJNAS PRO SA DEBATA...

AJNAS PRO SA DEBATA INTRA IS INDIPENDENTISTAS 
Sa Defenza


LE RAGIONI DELL'INDIPENDENTISMO

IL DISEGNO DI SNAZIONALIZZAZIONE DEL POPOLO SARDO 

Antonio Simon-Mossa 
emigratisardi.com

 Se un popolo non conquista la sua indipendenza politica non può essere soggetto della sua storia, ma resterà ai margini della storia di quella nazione che lo avrà vinto e dominato. 

E se un popolo dovrà risorgere dal limbo nel quale si trova dovrà avere il suo «Stato». 

 Con la conquista dell’indipendenza il popolo sardo po­trà costituire il suo Stato che avrà i poteri per promuo­vere il processo di riscatto e di evoluzione economico-­sociale oggi impossibile, in quanto soggetto ad altra potenza che non mostra alcun interesse né alcuna buona volontà per dare alla Sardegna il posto che le compete per ragioni storiche, geografiche, etniche nel consorzio dei popoli liberi. 

 Nei duecentocinquanta anni di dominio piemon­tese e italiano la volontà di trarre la Sardegna dalle sue condizioni di arretratezza e di miseria non si è mai manifestata. 

Al contrario il processo di assimilazione, di snazionalizzazione, di spersonalizzazione del popolo sar­do si é gradatamente accentuato. 

 La concessione di una autonomia formale, che in realtà non è che un debole decentramento amministrativo, ha creato nell’ultimo ventennio in Sardegna una condizione di disagio gene­rale e uno stato di confusione tale che il risultato è stato quello di una caduta economica inarrestabile, con il fe­nomeno dell’abbandono sempre crescente delle campa­gne, la diminuzione dei posti di lavoro (nonostante i notevoli insedíamentí industriali), il fenomeno di una emigrazione crescente delle giovani forze di lavoro, lo stentato e inadeguato accrescimento dei redditi (con un divario sempre più marcato in confronto con quelli delle regioni continentali), la creazione nell’isola di zone in forte espansione economica contro altre zone in via di costante degradazione e impoverimento, l’acuirsi dei conflitti sociali, il peso sempre più forte del neo-capi­talismo colonialista. 

 Una crisi questa che, soltanto a guardare le stati­stiche e i programmi del governo italiano, non potrà essere arginata, anche perché il potere del governo locale è del tutto limitato e condizionato allo strapotere dei partiti politici italiani e degli organi della burocrazia centrale, tuttora operanti con pieni poteri e nell’ambito della corruzione più disgustosa. 

 Del popolo sardo, ridotto alle condizioni di pro­vincia coloniale lontana dai centri decisionali, quasi non vi è traccia: Il disegno di snazionalizzazione del popolo sardo, traguardo dei primi oppressori piemontesi, si svolge secondo una logica assoluta, senza che il popolo sardo possa difendersi né reagire: soprattutto perché il dettato costituzionale nei riguardi dell’autonomia spe­ciale e delle caratteristiche geografiche, storiche, etniche, linguistiche, sociali del popolo sardo non è stato mai rispettato. 

 Se il popolo sardo, nell’ebbrezza della con­quistata autonomia, dopo il disastroso conflitto mon­diale, aveva creduto e sperato nella Carta Costituzionale e nello Statuto di Autonomia Speciale, si è presto di­silluso. 

 LO STATUTO SPECIALE E LA COMUNITA ETNICA SARDA 

Le condizioni di asservimento coloniale instaurate dai piemontesi agli albori del 18° Secolo si sono fatte sempre più dure. L’azione dello Stato italiano è stata quella di un sottile e ben dosato genocidio. 

 Come già durante la dittatura fascista in Sardegna l’azione disgregatrice dell’unità del popolo sardo era stata portata a limiti intollerabili (erano state proibite le manifestazioni folkloristiche e i canti popolari in lin­gua sarda), con l’avvento della Repubblica l’azione sna­zionalizzatrice ha superato questi limiti. 

 Infatti nella cornice formale di una cosiddetta «libertà di opinione e di espressione» si sono inaspriti i divieti (come quello del «bilinguismo» negli uffici pubblici e nelle scuole) e si è instaurata una persecuzione velata ma tenace con­tro qualunque manifestazione pubblica o privata che tendesse in qualche modo a rendere evidente da perso­nalità distinta del popolo sardo nei confronti di quello italiano. 

 Ma soprattutto non si è applicato Part. 6 della Costituzione nei riguardi delle minoranze linguistiche. 

Indubbiamente la lingua non è tutto, ma è uno degli elementi fondamentali che consentono il cemen­tamento e la socialità di una comunità etnica, quale quella sarda. Orbene il popolo sardo, che conta un mi­lione e mezzo di persone, parla per circa l’ottantacinque per cento la lingua sarda. 

Una lingua ben differente da quella italiana, lingua che non è riconosciuta dallo Stato italiano, ciò nonostante l’art. 6 della Costituzione, e che è proibito parlare e insegnare nelle scuole pubbliche, alla radio, nei seminari cattolici. 

 Sulla tradizione pie­montese lo Stato italiano vuole distruggere questo ele­mento di coesione e di comprensione tra i sardi. 

E come per la lingua l’azione sottile dello Stato italiano si esten­de agli antichi istituti giuridici, alle tradizioni, all’orga­nízzazione sociale. 

 I VALORI FONDAMENTALI DELL’ETNÌA 

La concessione di un’autonomia speciale per la Sardegna, consacrata dalla Carta Costituzionale, signifi­cava nella sostanza un tardivo riconoscimento da parte del rinnovato Stato italiano, della comunità etnica sarda e dei suoi diritfi a risorgere pur nell’ambito della Re­pubblica. 

 Diremmo di più: si trattava di uno «status» prefederale che, con uno statuto idoneo, avrebbe con­ sentito al popolo sardo non soltanto la conquista del­l’autogoverno, ma la possibilità di darsi una struttura giuridica, economica e sociale nuova, conseguendo rapi­damente gli obiettivi di rinascita mediante una pianifi­cazione moderna e veramente autonoma. 

 Al contrario lo statuto concesso alla Sardegna si è rivelato uno stru­menta di semplice «decentramento» amministrativo, non solo, ma tutta l’impalcatura burocratica e di potere dello Stato è stata mantenuta nell’isola, rendendo così inane lo sfarzo del parlamento e del governo regionale per un riscatto effettivo e una evoluzione positiva. 

 I valori fondamentali che giustificano la lotta per l’indipendenza sono stati compressi e combattuti dura­mente. 

Innanzi tutto, ripetiamo, l’uso e l’insegnamento della lingua nelle scuole pubbliche, la programmazione economica, la pianificazione, il controllo dei trasporti, una politica finanziaria, creditizia e fiscale, l’espansione economica, la legislazione sul lavoro, la riforma agraria, l’industrializzazione. 

 È proprio invece su i valori etnici che, opportuna­mente posti in luce, si sarebbe potuto e dovuto trovare la strada per il risorgimento del popolo sardo e per il suo adeguamento alla realtà europea. 

Invece quella ita­liana è stata una politica negativa, basata sul principia che «se non esiste un popolo non esistono problemi», tendente a emarginare sempre più la nostra isola e la nostra gente dal processo di sviluppo, a fare della Sar­degna un’area di servizio, a mantenere in eterno il re­gime coloniale. 

 VALORI ETNICI E LORO FUNZIONE POSITIVA 

Noi crediamo nei valori fondamentali dell’etnia e nella loro funzione positiva nel processo di evoluzione. 
Vi sono valori come quelli morali, religiosi e sociali, come le tradizioni e le consuetudini che non possono essere cancellati con una semplice norma legislativa. 

 Il passaggio da uno stato di arretratezza secolare, le cui cause sono complesse, non può avvenire verso condizio­ni moderne e socialmente accettabili se non rivalutando quei valori sostanziali propri della comunità, allo scopo di suscitare forze da-tempo sopite nei lembí della tradi­zione, troppo spesso considerate anacronistiche. 

 Tutto ciò costituisce un substrato culturale che è lo strumento più valido per intraprendere la lotta per il riscatto. 
Certo una nazione, come quella italiana, che ha una storia differente dalla nostra, una cultura dif­ferente, una economia e una struttura sociale diversis­sime, non può pretendere, in nome di un «nazíonalismo unitario e accentratore», di cancellare il nostro bagaglio storico e culturale per sostituirlo, con i moderni mezzi di penetrazione e colonizzazione, con quella che è un’al­tra «civiltà». 

 È questo un principio tipico di dominazione; è la sorte che i vincitori riservano ai vinti. Ma tutto ciò è ben contrario ai princìpi e ai diritti umani, a quella de­ finizione di libertà che presiede alle stesse costituzioni di stati moderni. 

E’ un principio in contrasto con la stessa Carta delle Nazioni’ Unite e con il «diritto di autodeterminazione». 

 Noi possiamo risorgere soltanto se alla nostra cul­tura, alle nostre caratteristiche etniche, alla nostra po­sizione geografica, alla nostra tradizione e - soprattutto - alla nostra ansia di rinnovamento e di reden­zione sociale, si lascia lo spazio necessario. 

Tale spazio, come abbiamo dimostrato, non può esistere sino a che la Sardegna sarà sottoposta alla dominazione coloniale. 

 Tale spazio potremo averlo soltanto can la conquista dell’indipendenza, quando saremo veramente padroni e arbitri di quei valori fondamentali che caratterizzano la nostra etnìa e che, se rivalutati in una atmosfera nuova, potranno consentire al popolo sardo quel balzo in avanti sulla strada del progresso in un consorzio di eguali. 

 LA NOSTRA LOTTA È COMUNE A QUELLA DI ALTRI PO­POLI OPPRESSI

 La nostra lotta però dovrà svolgersi nel quadro più vasto della lotta che combattono gli altri popoli oppressi per la conquista della loro libertà. 

Se dovessimo agire da soli saremmo destinati al fallimento più clamoroso. Il nostro principio, quello di una «Europa delle Etnìe», supera il vecchio concetto di una «Europa degli Stati». 

È questo l’unico modo che ci consente di superare il punto morto degli egoismi nazionalistici, nel pieno rispetto dei princìpi dei diritti umani e dell’autodetermi­nazione. 
 Il popolo sardo, come quello basco e quello breto­ne, fonda la sua sopravvivenza sulle tradizioni ancestrali, sul suo profondo spirito religioso, sulla sua lingua, su i legami tribali, sulla struttura sociale comunitaria. 

Tanti secoli di dominazione e di politica snazionalizzatrice non hanno distrutto né intaccato questa sostanziale unità. 
E facendo appello a questi valori tradizionali sarà pos­sibíle restituire ai sardi quella fiducia in sé stessi, quella coscienza comunitaria, necessarie per una lotta che ab­bia come obiettivo l’indipendenza e la redenzione sociale. 

 Saremmo ciechi se trascurassimo questa condizione essenziale per la lotta. Quei valori etnici sono serviti in passato agli irlandesi, ai maltesi, agli algerini, ai tunisini per la conquista della loro indipendenza politica ed eco­nomica. 

Quegli stessi valori consentono oggi la lotta ai bretoni, ai baschi, ai catalani, ai gallesi, agli scozzesi, ai cattolici dell’Irlanda del Nord, ai Curdi, ai Biafrani, e a tutte le comunità e minoranze che non hanno con­quistato intera la loro libertà.  

L’Italía ha dimostrato la sua incapacità e la sua impotenza nel risolvere i nostri problemi. 

Troppe volte e per troppo tempo abbiamo concesso una dilazione allo Stato italiano perché facesse ammenda dei passati errori. 
Ma 10 Stato italiano ha dimostrato e dimostra oggi di essere ferocemente colonialista e liberticida nei nostri riguardi. 

 Fare a meno dell’Italia diviene oggi per noi una necessità, in assoluto. Non vi sono altre strade da percorrere. 
Noi vogliamo conquistare l’indipendenza per inte­grarci, non per separarci, nel mondo moderno. 
E la scelta non può essere che nostra, autonoma, cosciente, decisiva. 

 Noi siamo nella stessa posizione di quei paesi del Terzo Mondo che, nelle loro articolazioni nazionali, han­no già compiuto i primi passi verso l’indipendenza. Ma noi siamo rimasti indietro. Abbiamo dato cre­dito alla Stato italiano. 

Abbiamo perso venti e più anni nutrendoci di speranze e promesse mai mantenute. 

 NON VI SONO ALTRE VIE NÉ ALTRE SPERANZE 

Non vi sono per noi altri tipi di libertà se non quella che otterremo con la conquista della piena indi­pendenza. La strada è aperta, ma è dura e cosparsa di osta­coli. Noi siamo certi che la «Questione Sarda» che si trascina senza speranza da centoventi anni, da quando cioè il Piemonte con un colpo di mano procedette all’an­nessione della nostra isola, potrà avere una soluzione soddisfacente soltanto quando avremo il nostro «Stato». E su questa strada ci incamminiamo con la certezza che i sardi acquisiranno quella coscienza che tanti secoli di dominazioni, di oppressione e di persecuzione hanno in parte sopito. E così costruiremo la nostra storia, la nostra eco­nomia, la nostra redenzione sociale: in un mondo di popoli liberi e uguali. 

San Leonardo de Siete Fuentes, 22 giugno 1969 da: http://www.emigratisardi.com/old/A-Simon-Mossa-Le-ragioni-del.html

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