sabato 16 maggio 2015

La mammografia come screening

La mammografia come screening

Giuseppe Di Bella 
effedieffe.com



L’uso della definizione di «prevenzione» (secondaria) per mammografie e screening vari è improprio, inesatto, in quanto il vero autentico, unico significato e finalità della prevenzione consiste nell’attuare tutte quelle misure dietetiche, comportamentali e soprattutto farmacologiche che riducono il rischio di insorgenza di neoplasie. Il termine «Prevenzione» è appropriato solo in quella che viene definita prevenzione primaria, che prevede la diminuzione del rischio che un tumore insorga, si stabilizzi, si sviluppi, si diffonda.

Lo studio della prevenzione prevede un aspetto statistico, con tutti i limiti connessi, e studi, ricerche di vario ordine, di estrema delicatezza e complessità, condotti con criteri rigorosamente scientifici per individuare le cause e la catena etiopatogenetica del tumore. Il metodo statistico studia in quali popolazioni e in quali condizioni di vita, sociali, ambientali, climatiche, alimentari, ecc… il tumore presenta un significativo incremento o calo di frequenza. Simili ricerche sono numerose anche se hanno un valore più orientativo che determinante.

Il tumore della mammella si manifesta con maggiore frequenza in quelle popolazioni femminili dallo sviluppo precoce, con menarca (prima mestruazione) anticipato. Così come sono più esposte le donne che non hanno avuto figli. La prolificità è in rapporto inversamente proporzionale all’incidenza di tumori.

La procreazione è un fenomeno di una tale complessità che è difficile individuare nel suo ambito la o le cause scientifiche che inibiscono il tumore. Rimane la constatazione del dato statistico: è più disposta al tumore della mammella una donna che non ha avuto figli, di una che ha avuto una o più gravidanze. Così come sono più esposte le donne con menopausa avanzata, in tarda età. Questi dati statistici sono accettabili ma vanno approfonditi perché insufficienti a fornire deduzioni di ordine etiologico, causale, consequenziale. Cioè, prendiamo atto di un fenomeno senza poterne esattamente ed esaurientemente spiegare le cause.

Il tumore della mammella è il più frequente nella donna, con maggior incidenza nella razza bianca, fattori causali virali sono ipotizzati ma non accertati, mentre l’aumento di alcuni ormoni come gli estrogeni e la prolattina, il deficit di altri, soprattutto l’insufficienza luteale, sono ormai comunemente riconosciuti come fattori di rischio.

Altri fattori di rischio sono stati individuati nella vita sedentaria: è documentata una maggiore incidenza neoplastica nelle donne in particolare e in genere nelle persone che si muovono poco per lavoro, carattere o altre cause. Vi è pertanto anche un dato meccanico, con un incremento, secondo alcune statistiche, fino al 30% d’incidenza tumorale in queste situazioni. Il dato è convalidato da studi statistici scandinavi, dove era evidenziato un significativo calo fino al 30% di tumori nelle donne che regolarmente dedicano alcune ore la settimana ad attività in palestra.

Altre cause predisponenti accertate sono la mastopatia fibrocistica, il diabete mellito, l’ipotiroidismo, pertanto, in presenza di una familiarità di predisposizione ai tumori, di cisti al seno, o di mastopatia fibrocistica, è opportuno un dosaggio della prolattina, degli estrogeni, dei progestinici e della funzionalità tiroidea. Particolare rilevanza assume il dosaggio della prolattina, perché dosaggi superiori ai fisiologici, favoriscono indubbiamente l’insorgenza e la progressione di tumori alla mammella. La possibilità di intervenire e ridurre rapidamente l’eccesso di prolattina si può realizzare attraverso l’impiego di molecole dotate di una specifica azione inibente, come la Bromocriptina, e/o, la Cabergolina. L’uso continuativo di ormoni ovarici come gli estrogeni, frequentemente impiegati sia in funzione anticoncezionale che sostitutiva post menopausa, è una delle più frequenti cause di tumori della mammella, dell’utero e delle ovaie.

Altro fattore meccanico tutt’altro che secondario è costituito dall’uso di reggiseni, che non dovrebbero mai essere troppo stretti per non esercitare un’eccessiva compressione del seno, incarcerato da contenzioni eccessivamente compressive. È noto al riguardo il monito dell’American Physiology Association, che proprio per la coesistenza della compressione traumatica del seno e dell’elevata emissione di radiazioni ionizzanti ha individuato nelle mammografie troppo frequenti un ulteriore e non trascurabile fattore di rischio di tumore della mammella.

Sarebbe utile sull’argomento far conoscere i risultati di un documentato studio pubblicato sul Journal of Royal Society of Medicine, diffuso anche dalla la stampa britannica. Il quotidiano The Guardian in base a questo studio ha informato che le morti da tumore al seno non sono minimamente diminuite per l’estensione delle mammografie su larga scala e il loro impiego come screening, contestando e invalidando la tesi del Dipartimento della Salute su una presunta diminuzione della mortalità per cancro al seno nelle donne invitate allo screening. Lady Delyth Morgan, capo esecutivo della charity Breast Cancer, ha ammesso che «i risultati contrastanti dei vari studi, possono creare confusione nelle donne». L’unico dato certo emerso era già ovvio anche senza scomodare i luminari del Dipartimento britannico della salute: «individuando presto i tumori si hanno più probabilità di vivere più a lungo».

Il Dr Peter Gotzsche (direttore della Nordic Cochrane Collaboration di Copenhagen, sezione danese dell’iniziativa internazionale no profit nata per valutare criticamente la reale efficacia degli interventi sanitari) dopo aver analizzato per un decennio i dati dei vari screening, mette in dubbio gli effettivi benefici delle mammografie per la diagnosi precoce del cancro al seno. Ne parla ampiamente nel suo libro Mammography screening: truth, lies and controversy (Screening mammografici: verità, bugie e controversie).

«Non è vero che questi esami riducono di un terzo le morti per cancro al seno» sostiene Gotzsche sulla base degli studi passati in rassegna. «Su 2mila donne sottoposte a mammografia – scrive l’esperto – probabilmente solo una viene salvata, ma altre 10 subiscono un danno. La conseguenza è che cellule cancerose che morirebbero spontaneamente, o che non progrediranno mai in patologia conclamata, vengono asportate e in alcuni casi (6 volte su 10) la paziente perde un seno».

Senza contare che i trattamenti farmacologici o radioterapici, come la stessa chirurgia,comportano tutti anche dei «costi psicologici e fisici». Ovviamente, contro questo libro eretico si sono già rabbiosamente scatenati i promotori istituzionali della generalizzazione dello screening mammografico annuale. Gotzsche contesta nel suo libro (in cui denuncia anche «attacchi da parte delle lobby pro-screening contro di lui e altri colleghi), un’offensiva mossa da chi ha «interessi finanziari perché questi programmi continuino». Klim McPherson, professore di epidemiologia della salute alla Oxford University, fa invece notare che «le revisioni di Gotzsche sono studi di qualità altissima e non andrebbero liquidate con leggerezza».

La denuncia del Dr Gotzsche non è caduta nel vuoto. Sir Mike Richards, direttore clinico del National Cancer inglese, ha annunciato l’avvio di una nuova revisione indipendente sulla reale utilità degli screening mammografici. «per verificare che effettivamente i rischi non superino eventuali benefici».

Ha avuto una discreta diffusione e notorietà lo studio pubblicato dal Dr Mike Adams
«Le mammografie sono una bufala medica, oltre un milione di donne americane danneggiate da «trattamenti» non necessari per tumori che non hanno mai avuto (Naturalnews.com)».

La mammografia è una crudele bufala medica. Come ho descritto qui su Natural News più di una volta, lo scopo principale della mammografia non è salvare donne dal cancro, ma reclutarle come falsi positivi per «spaventarle e portarle a sottoporsi a trattamenti costosi e tossici come la chemioterapia, le radiazioni e la chirurgia» … «Il piccolo sporco segreto dell’industria del cancro è che proprio gli stessi oncologi che terrorizzano le donne con la falsa credenza di avere un cancro sono quelli che realizzano enormi profitti vendendo loro i chemioterapici. Il conflitto di interessi e l’abbandono dell’etica nell’industria del cancro lascia senza fiato».

Il Dr Adams fa riferimento alle critiche più autorevoli e documentate allo screening mammografico, quelle di H. Gilbert Welch , Professore di Medicina al Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice e autore di Overdiagnosed: Making People Sick in the Pursuit of Health.

«Il cancro al seno è probabilmente la forma di cancro che deve destare maggiore preoccupazione per una donna non fumatrice. La mammografia è uno strumento importante, non c’è alcun dubbio. Però, d’altra parte, la mammografia preventiva nel migliore dei casi è probabile che causi più problemi di quanti ne risolve».

Lo studio di Gilbert Welch ha confermato che: la maggior parte delle donne con «diagnosi» di cancro tramite mammografia non ha mai avuto il cancro. Il 93% delle «diagnosi precoci» non ha alcun beneficio per il paziente. Questa è la conclusione del suo pionieristico studio pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine.


«Abbiamo riscontrato che l’introduzione dello screening ha portato 1,5 milioni di donne alla diagnosi di cancro alla mammella in fase iniziale», scrive il co-autore dello studio Dr. Gilbert Welch, che così continua:




«Abbiamo scoperto che ci sono state solo 0,1 milioni di donne in meno con una diagnosi di cancro alla mammella in fase terminale. La discrepanza significa che c’è stata molta diagnosi inutile ed esagerata: a più di un milione di donne è stato detto di avere un cancro in fase iniziale — molte delle quali hanno subito chirurgia, chemioterapia o radiazioni per un cancro che non le avrebbe mai fatte stare male. Anche se è impossibile sapere chi siano queste donne, il danno è evidente e serio».

L’inquinamento progressivo della ricerca scientifica, della diagnostica e della terapia medica da parte dei centri di potere che gestiscono il farmaco e la più ricca delle malattie, il cancro, è stato denunciato da autorevoli personalità della ricerca medico-scientifica come il Premio Nobel Randy Sheckman e la Prof.ssa Marcia Angell per 20 anni direttrice scientifica editoriale di una delle massime testate medico-scientifiche mondiali (New England Journal) nel suo volume: The truth about Drug Companies (La verità sulle case farmaceutiche), che conferma e condivide in pieno la denuncia di Sheckman e fa riferimento ad ulteriori gravi denunce di altri autori (tra i quali Melody Petersen,), lodandone l’impegno civile e l’approfondita indagine. In base a queste autorevoli denunce la gestione globale della sanità e relativi fatturati si estende al farmaco e ai programmi, alle linee guida, ai protocolli di diagnostica e terapia.

È bene notare e sottolineare che per effettuare una mammografia vengono emesse radiazioni ionizzanti, pertanto potenzialmente cancerogene. L’uso intensivo e indiscriminato della mammografia non è controindicato solo per queste documentate e autorevoli critiche ma per il reale rischio che la mammografia, come noto, possa diagnosticare inesistenti tumori o non vedere tumori presenti, per questi non trascurabili margini di errore l’esame non è completamente affidabile. Il pericolo maggiore della mammografia è dato però dal rischio che radiazioni ionizzanti regolarmente e ripetutamente concentrate sullo stesso tessuto in aggiunta al trauma, possano col tempo indurre mutazioni tumorali di cellule sane della mammella, accelerare la proliferazione di cellule tumorali eventualmente già presenti, o peggio trasformarle in cellule tumorali staminali, di elevatissima e incontenibile aggressività.

Infatti, il potenziale rischio di induzione tumorale delle radiazioni ionizzanti di mammografie sistematicamente ripetute è un dato di fatto documentato e incontestabile. Così come anche le indicazioni e i criteri di applicazione della radioterapia classica, convenzionale, vanno attentamente rivisti in base ad alcuni dati scientifici recentemente documentati e pubblicati di cui riporto una sintesi: da Natural News, 20 Marzo 2012,

«Relativamente alle cellule staminali tumorali…Una strada è l’attivazione indotta per radiazione», spiega Frank Pajonk, Associate Professor of radiation oncology al Jonsson Center della Ucla, Università di California. Ed è sempre con questa tecnica, le radiazioni, che Pajonk ha prodotto in laboratorio cellule staminali tumorali (le più aggressive). Il lavoro di Pajonk è stato pubblicato in marzo (2012) su Stem Cells e mostra che la radioterapia usata per curare i tumori al seno (ma ovviamente anche altri tumori) «in parte può uccidere le cellule tumorali e in parte trasformare le cellule tumorali superstiti in tumorali staminali (che sono molto più resistenti ai trattamenti delle normali cellule tumorali».

I ricercatori del Jonsson Comprehensive Cancer Center Department of Oncology della UCLA hanno irradiato normali cellule tumorali non-staminali e le hanno inserite nelle cavie. Attraverso un sistema di imaging hanno potuto assistere (direttamente) alla trasformazione delle cellule normali in staminali tumorali per reazione al trattamento con le radiazioni.

Pajonk riferisce che,

«la nuova produzione di cellule così ottenuta è incredibilmente simile a cellulestaminali del tumore al seno, non irradiate. La squadra di ricercatori ha anche potuto calcolare che queste cellule tumorali staminali indotte (dalla radioterapia)hanno una capacità di produrre tumori che è di 30 volte superiore a quella delle normali cellule tumorali (del tumore al seno) non irradiate».

Conclude Natural News,


«Nuovo studio: i trattamenti radioterapici creano cellule tumorali 30 volte più potenti rispetto alle normali cellule tumorali».


Sarebbe opportuno per una diagnostica precoce dei tumori del seno — CHE OGGI, MALGRADO INTERVENTI CHIRURGICI, CHEMIO E RADIO, RAPPRESENTANO IN TUTTE LE STATISTICHE MONDIALI LA PRIMA CAUSA ASSOLUTA DI MORTE DELLA DONNE — effettuare ecografie del seno e cavi ascellari, eventualmente completate, in caso di dubbi, con risonanza magnetica, tecnica che sul seno ha recentemente raggiunto altissima affidabilità e sicura definizione (RMN con MDC - CAD Stream) oltre che con visite da un senologo, riscontri ematochimici con marcatori.

Non deve sorprendere la rabbiosa e aggressiva reazione dei politici che gestiscono le istituzioni sanitarie – all’unisono con un’informazione quasi totalmente asservita – alle documentate riserve sullo screening mammografico. Questi signori pretendono di esercitare il monopolio assoluto, dogmatico e la gestione insindacabile, autoritaria e tirannica della salute, del farmaco, della diagnostica. Si arrogano il diritto di gestire la vita della gente, la salute, che considerano ormai cosa esclusivamente loro, un territorio di loro assoluta proprietà, dai limiti invalicabili, inviolabili. È pericolosissimo superarli. Nessuno deve interferire con le loro linee guida coercitive e vincolanti, anche se nella maggioranza dei casi prive di logica, razionalità ed evidenze scientifiche ma sicuramente fonte di lauti, crescenti, inesauribili fatturati.

Stranamente, si assiste ad un sospetto appiattimento ad una perfetta sintonia tra politici, burocrati da loro eletti al vertice delle istituzioni sanitarie, l’informazione, e le multinazionali del farmaco e della diagnostica. In questi casi i centri di potere che gestiscono la salute operano una mobilitazione generale e immediata di tutta l’informazione, in rete, cartacea radiotelevisiva, che in maniera continuativa e ossessiva attacca con ogni mezzo, delegittima, diffama, demonizza il malcapitato che ha osato macchiarsi del delitto di lesa maestà, contestare i protocolli diagnostico-terapeutici di tanto eccelse autorevoli disinteressate personalità, e delle sacre e immacolate vestali della medicina.

Nel corso di decenni, questi benefattori dell’umanità, hanno silenziosamente concepito e attuato l’assoluto e capillare controllo e gestione globale del farmaco, della diagnostica e della ricerca attraverso un’informazione e istituzioni asservite, interponendosi tra medico e paziente, mortificando la dignità del medico e annullando la sua libertà di prescrivere secondo scienza e coscienza.

dottor Giuseppe Di Bella

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