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venerdì 29 maggio 2009

«Soldati a difendere le centrali» Sul nucleare il premier tira dritto La prova di forza di Berlusconi: altro che dialogo con le Regioni



de Marco Murgia
altravoce.net
La infila lì, tra Noemi e l'ennesimo attacco alla magistratura e alla stampa. Come se niente fosse, anche se così non è, ecco l'annuncio: il Governo è pronto a utilizzare i soldati per presidiare i siti su cui dovranno sorgere le centrali nucleari. Silvio Berlusconi non dice dove sorgeranno, promette ovunque si trovi che non saranno costruite lì, garantisce sulla sicurezza degli impianti. Ma mostra i muscoli, con italica determinazione: «Non c'è tempo da perdere: una volta deciso, se necessario useremo ancora l'esercito», come era già successo in Campania per la gestione dell'emergenza rifiuti. Per addolcire la pillola, comunque, serve il chiarimento: «Prenderemo decisioni assennate, suffragate da organismi democratici».

Quegli organismi dovrebbero essere Regioni e Comuni di destinazione, ma sono già superati dal decreto su sviluppo ed energia approvato in Senato due settimane fa. Dove si dice che il Governo potrà localizzare i siti anche senza il consenso delle istituzioni locali: esattamente il contrario di quanto il premier e il ministro Scajola avevano detto e ribadito in Sardegna durante la campagna elettorale di febbraio. Tutto dimenticato: palazzo Chigi potrà agire d'imperio e se necessario con la forza. Sarà necessario, visti gli ultimi sondaggi secondo i quali la maggioranza degli italiani boccia la scelta di tornare all'atomo.

In un colpo solo, il Cavaliere mette le mani avanti. Assicura che «le centrali di quarta generazione che saranno costruite sono assolutamente sicure». Ma mente sapendo di mentire: non sulla sicurezza degli impianti quanto sul fatto che la quarta generazione ancora non esiste. La replica arriva dal comitato scientifico di Legambiente Italia: «Il premier dovrebbe informarsi meglio sullo sviluppo di una tecnologia che a quanto pare non conosce», dice Stefano Ciafani, «visto che omette sempre di parlare dei costi esorbitanti di costruzione e gestione insieme al problema della produzione e dello smaltimento delle scorie. Problemi irrisolti a cui Berlusconi non fa mai cenno nei suoi spot sull'atomo. La quarta generazione, poi, è in costruzione solo nel paese delle meraviglie immaginato dal presidente del Consiglio, visto che quella è una tecnologia attualmente non disponibile perché ancora nella fase della ricerca».

Non solo: Berlusconi mette avanti anche i soldati. E qui la questione è tutta politica, sfiora i confini della democrazia. Le repliche, infatti, non tardano ad arrivare. Tanto in Sardegna quanto nel resto del Paese. Non è un mistero che l'isola sia al centro dei ragionamenti dei tecnici del governo per le sue caratteristiche: rischio sismico praticamente pari allo zero, scarsa densità abitativa, acqua in abbondanza soprattutto nelle zone costiere, una amministrazione regionale che difficilmente potrebbe opporsi visto l'appoggio durante la campagna elettorale. Il Cavaliere tutto questo lo sa bene: anche se continua a promettere, l'ultima volta nell'intervista a domicilio di Videolina, che non arriveranno centrali.

A spaventare è soprattutto il metodo: «Le parole di Berlusconi sul fatto che il governo costruirà le centrali nucleari manu miliari sono gravissime e inaccettabili in uno stato democratico». È il senatore del Pd Gian Piero Scanu, capogruppo nella commissione Difesa, a ricordare che «nel corso dell'esame al Senato del disegno di legge che contiene la delega al governo per il nucleare, maggioranza ed esecutivo hanno più volte assicurato che nessuna centrale nucleare sarebbe mai stata costruita senza il consenso delle comunità locali interessate. Ora con questa dichiarazione il presidente del Consiglio afferma invece che il governo costruirà le centrali manu militari, con una coercizione di tipo fascista invece che con la costruzione del consenso e nel rispetto delle regole democratiche. Abbiamo più volte detto che il nucleare per l'Italia e' una scelta sbagliata, costosa e improduttiva, ma il fatto di imporre le centrali alle Regioni con la forza costituisce un aggravante che non accetteremo nella maniera più assoluta. Secondo indiscrezioni, tra l'altro, pare che Berlusconi abbia a cuore la Sardegna per la costruzione non di una ma di più centrali: sono questi i regali che il premier riserva a una delle regioni più belle d'Italia».

Preoccupazione anche da Mario Bruno, capogruppo del Partito democratico in Consiglio regionale: «Le decisioni di un governo democratico si sostengono con il consenso dei cittadini e con il rispetto delle Regioni e degli enti locali. Non con l'intervento dell'esercito. Le dichiarazioni odierne del presidente del Consiglio Berlusconi sul nucleare ci preoccupano non poco, nonostante le rassicurazioni verbali di qualche giorno fa sull'esclusione della Sardegna dai siti interessati alla costruzione dei nuovi reattori». C'è la notizia sui militari da schierare, ma non solo: «Ci preoccupano soprattutto in un periodo come questo, nel quale - al di là di promesse che in altre occasioni non sono state rispettate - vediamo l'Autonomia regionale sistematicamente calpestata nel silenzio di chi dovrebbe rappresentare la Regione e i suoi cittadini. Dobbiamo continuare a vigilare attentamente, perché le scelte devono ancora essere fatte: per la nostra isola il nucleare sarebbe il tramonto di qualsiasi ipotesi di sviluppo».

Non è solo questione sarda: sul nucleare «è tragica l'assoluta disattenzione verso le popolazioni locali, per il tramite del rispetto di un relazione istituzionale con le autonomie locali e le Regioni, ma questo è un tratto tipico del governo Berlusconi». Parole di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd: «Come tutto questo possa essere tollerato me lo chiedo francamente, tanto più che contemporaneamente dalla Sardegna alla Puglia e in poi, ovunque Berlusconi vada dice “qua non faremo la centrale nucleari”: è un altro dei modi con il quale caratteristicamente il presidente del Consiglio si rivolge agli italiani. Cioè pigliandoli per fessi».

Allora «il governo dica la verità su dove vuole fare le centrali nucleari, invece di annunciare che farà presidiare il territorio nazionale dalla forze armate», dice l'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema: «Questo è un modo di governare indecente sotto il profilo del rispetto delle regole democratiche e sotto il profilo dell'efficacia di governo. Si fa fatica a prendere sul serio Berlusconi». Lui invece lo fa, e tira dritto per la sua strada. Era stato Nichi Vendola a mandargli il messaggio: se vorranno costruire qui una centrale, aveva detto il governatore della Puglia subito dopo l'approvazione in Senato del decreto-delega, «dovranno mandare i soldati». Accontentato.
soldato shardana , scenderemo in difesa del nostro territorio così attrezzati contro i colonialisti italioti e berlusCANI

STRONZATE DA MINISTRO....

sabato 16 maggio 2009

SIT-IN de S.N.I. in BRUSSELLES Cara a su PARLAMENTU EUROPEU Chenabura 22 maju a sas 10





SIT-IN de S.N.I. in BRUSSELLES
Cara a su PARLAMENTU EUROPEU
Chenabura 22 maju a sas 10

Sa Sardigna est Europa, ma s’Italia la cantzellat
-Sa Sardigna est una natzione sena istadu, ca cussu italianu li negat s’indipendèntzia e non podet, comente faghet Malta (400.000 abitantes) e àteros pòpulos prus minores de su sardu (1.670.000 abitantes), elègere eurodeputados natzionales pròprios.
- Sa lege eletorale de s’istadu italianu imponet a sa Sardigna unu cullègiu eletorale europeu, Sardigna-Sitzìlia, in ue pro more de sa disparidade de populatzione benint eletos 7 sitzilianos e mancu unu sardu.
Semus seguros chi solu cun s’indipèndentzia sa Sardigna at a àere una bera rapresentàntzia in Europa, ma s’Itàlia non solu brivat a sos sardos s’indipendèntzia ma lis negat puru sa paridade de possibilidades eletivas e de fatu nche los cantzellat dae s’Europa.
Mira primària de custa manifestada est sa chirriadura de su collègiu eletorale europeu, Sardigna-Sitzìlia e nàschida de su collègiu Sardigna a sa sola.

La Sardaigne est Europe mais l'Italie l'efface
- La Sardaigne est une nation sans état, parce que l’état italien lui nie l'indépendance et elle ne peut pas élire ses eurodéputés nationaux comme par exemple Malte ( 400.000 habitants) et d’autres peuples moins nombreux de celui Sarde (1.670.000 habitants).
- La loi électorale de l’Etat italien impose à la Sardaigne un circonscription électorale européenne, celle Sardaigne-Sicile où, à cause de la disparité démographique 7 Siciliens sont élus et aucun Sarde.
Nous sommes sûrs que seulement l'indépendance donnera à la Sardaigne une vraie représentation en Europe mais l'Italie empêche aux Sardes pas seulement l'indépendance mais aussi les mêmes opportunités électives et il l’ efface, en effet, de l'Europe.
L’objectif immédiat de notre manifestation est la scission de la circonscription Sardaigne-Sicile et l'institution de la circonscription électorale Sardaigne.

Sardinia is Europe but Italy erase it
- Sardinia is a stateless nation, because the Italian state denies his independence and is not able as for example Malta (400.000 inhabitants) (and other smaller people of that Sardinian) (1.670.000 inhabitants) to elect proper European parliamentary national.
- The electoral law of (the) Italian state, imposes an European constituency to Sardinia, Sardinia-Sicily, where because of the demografic disparity 7 Sicilians and any Sardinian are elected.
We are certain that only with the independence Sardinia will not only have a true representation in Europe but Italy it prevents the Sardinians the independence but it also denies them the equal elective opportunities and it cancels them, of fact, from Europe.
Objective immediate of our demonstration is the division of the college Sardinia-Sicily and the institution of the constituency Sardinia.
Sardinien ist Europa aber Italien löscht uns aus
Sardinien ist eine Nation ohne Staat, mit einer Bevölkerung von 1.6 Millionen werden wir nicht als Staat angesehen. Der italienische Staat und ihre Regierungen, leugnen und verweigern uns Sarden unsere existents als Unabhängige Nation. In dieser Situation ist es uns Sarden und der gesamten Bevölkerung Sardiniens untersagt, eine eigene Vertretung und Präsentation im europäischen Parlament wählen zu können / zu dürfen.
Mitgliedsstaaten wie Malta mit einer Bevölkerung von 400 000 Einwohnern oder andere Nationen, kleiner noch als Sardinien haben Vertretungen hier im europäischen Parlament. Die italienische Gesetzgebung, ist so aufgebaut das die zwei Mittelmeerinseln Sizilien und Sardinien. In einen einzigen “Topf“ geworfen wurden und die Vertretung dieser Inseln ausschließlich von Sizilianische Politikern realisiert wird, da Sizilien einen 41/2 mal größeren Wahlpotenzial hat als Sardinien.
Daher hat Sardinien nur eine wirkliche und ehrliche Existentsmöglichkeit, in einer Unabhängigen Staatenkodex und fern von Italien weg.
Die italienische Regierung verweigert unsere Gleichberechtigung und Freiheit, schließt uns Sarden aus Europa aus. Das Ziel unserer Demonstration ist, die Abscheidung dieser ungerechten Zweisamkeit Sizilien – Sardinien zu löschen. Und uns Sarden einen konstitutionellen Platz in Europa zu geben.

Cerdeña es Europa pero Italia la borra
- Cerdeña es una nación sin estado, porque el estado italiano le niega la independencia y no puede, como por ejemplo Malta (400.000 habitantes) y otros pueblos más pequeños que el sardo (1.670.000 habitantes), elegir propios europarlamentarios nacionales.
- La ley electoral del estado italiano, impone a Cerdeña un distrito electoral europeo, Cerdeña-Sicilia, dónde a causa de la disparidad demográfica 7 sicilianos y ningún sardo son elegidos.
Estamos seguros que sólo con la independencia Cerdeña tendrá no sólo una verdadera representación en Europa pero Italia les impide a los sardos la independencia y también les niega las mismas oportunidades electivas y los borra, de hecho, de Europa.
Objetivo inmediato de nuestra manifestación es la separación del colegio Cerdeña-Sicilia y la institución del distrito electoral de Cerdeña.

La Sardegna è Europa ma l’Italia la cancella
Omissis …
MANCA IL TESTO IN ITALIANO PERCHE’ L’ITALIA NON ASCOLTA I SARDI

MANCAT SU TESTU IN ITALIANU CA TANTU S’ITALIA A CUSSA URIGRA NON B’INTENDET
IL MANQUE LE TEXTE EN ITALIEN PARCE QUE' L'ITALIA N'ÉCOUTE PAS LES SARDES
IT MISSES THE TEXT IN ITALIAN BECAUSE' THE ITALY DOESN'T LISTEN TO THE SARDINIANS
ES FEHLT DAS ICH TESTE IN ITALIENISCH, WEIL' DER ITALIA DIE SARDINIER NICHT HÖRT
FALTA EL TEXTO EN ITALIANO PORQUE' EL ITALIA NO ESCUCHA A LOS SARDOS

Sardigna Natzione Indipendentzia de UNIDADE INDIPENDENTISTA

venerdì 8 maggio 2009

PRESIDENTE SORU Dentro la parola ‘crisi’ vi è la decrescita felice... basta approfittarne!

Crisi d’identità, crisi economica, crisi finanziaria, … crisi di coppia, rapporti in crisi … crisi demografica, crisi creativa, crisi esistenziale. Crisi come momento di difficoltà, o presunto tale. Individuale o collettiva, fisica o emotiva; naturalmente un aspetto influenza l’altro. “Sono in crisi”: espressione comunissima che può derivare anche da piccole difficoltà della vita quotidiana. In essa c’è qualcosa che non va, che ci fa sentire a disagio: da una crisi si vuole uscire, e al più presto.

Gli universi, le società, gli individui sono complessi, e i costituenti di questa complessità non sono coordinati tra loro, cosicché c’è sempre qualche parte dell’uno o dell’altro che è in crisi: una supernova in una galassia, una rivoluzione in una società, un individuo con 40 di febbre.
Localmente considerate le crisi sono quindi situazioni transitorie, dalle quali spesso si esce, in un modo o nell’altro. Se le consideriamo invece nella totalità delle cose, sono probabilmente continue; anche se sono assenti da un luogo , stanno capitando in altri.
Oggi parlando di crisi, è quasi inevitabile un sussulto, una sensazione di angosciante unicità. Ma sfogliando un qualsiasi giornale o libro di storia, la parola ‘crisi’ la troviamo dappertutto: crisi dell’Ancien Régime, crisi della borghesia, delle ideologie, del commercio mondiale, dell’industria tessile in Brianza, del dollaro, dell’acqua …
Ma che vuol dire ‘crisi’ ?

Dal latino crisis, indica un punto di svolta, un cambiamento di rotta in un processo fino a quel punto unidirezionale. Esempio: in una crescita economica ritenuta inarrestabile, un improvviso arresto seguito da inversione. Il lettore avrà capito che l’esempio non è stato scelto a caso.

Sembrerebbe che qualcosa vada in crisi quando non è più come prima: “stavo con Gigi, ora Gigi mi ha lasciato, sono in crisi”. Implicita nel sentirsi in crisi c’è quindi una valutazione positiva dello stato precedente. Nella crisi ci siamo cascati all’improvviso -tante volte ci sono dei segnali, ma non li vogliamo proprio ascoltare. Stiamo male! Vorremmo tornare a com’era prima, o se non è proprio possibile comunque a qualcosa di meglio!

Se avviene un mutamento incontrollato il malessere è inteso come perdita di ciò a cui siamo abituati, e che vorremmo rimanesse uguale. I punti fermi stanno venendo meno, viviamo una situazione di difficoltà, non riusciamo a formulare nuove ipotesi, a riaggiornarci, e rimaniamo legati alla nostra idea che però non trova riscontro nella realtà. “Crisi” sembra legata all’incertezza: una situazione di grande difficoltà ma nel contempo a noi molto chiara, ben definita nell’analisi e nei possibili sviluppi, difficilmente la descriveremmo come crisi.

Nel caso della ‘nostra’ crisi attuale la situazione pare chiara, le voci si levano numerose: così non si può andare avanti, colpa di una finanza scellerata, del liberismo, colpa dei cinesi, delle banche… Soluzioni: ci vogliono più ammortizzatori sociali, incentivi al consumo, bisogna alzare i salari, fare più figli per rimpolpare il sistema previdenziale, creare occupazione, investire sulle infrastrutture per rilanciare il sistema-Paese. Da molte parti si levano soluzioni definitive per uscire dalla crisi. Finalmente. Funzionerà?
Bisogna dare nuova linfa al sistema così come lo conosciamo? Forse stiamo ancora pensando a Gigi!?

Anche l’Europa degli anni ‘30 del secolo scorso entrò in crisi e sappiamo come ne uscì: buttiamo due bombe e ricostruiamo. Oggi il mondo intero è in crisi, l’avvertiamo nel nostro stesso modo di pensare, nel nostro vivere quotidiano, e un’uscita analoga a quella di ieri potrebbe non essere auspicabile (ammesso che ieri lo sia stato). E’ difficile, dopo due guerre mondiali come le abbiamo sperimentate a casa nostra e osservate altrove, non essere catastrofisti. Ma la via attraverso la catastrofe non è una strada obbligata. Durante una crisi, un momento di difficoltà, possono esserci atteggiamenti differenti. Ci si omogeneizza, unendosi e coalizzandosi. Si amplifica l’egoismo e si esasperano le differenze tra le diverse parti, essa infatti può anche imbarbarire: “mi hanno privato di qualcosa, adesso che posso averla la ingurgito senza limiti, morte tua vita mia”.

C’è chi dà un’interpretazione positiva, ottimistica al concetto di crisi. Essa produrrebbe una sana sofferenza che fortifica, tempra il carattere, rafforza la determinazione sociale o individuale. In questa visione sarebbe la sofferenza di per sé a migliorare le cose. Allora viva la sofferenza?!
Per quanto ci riguarda essa può avere una componente formativa, ma non di per sé: necessita un momento di riflessione. Non vi è dubbio che una crisi metta alle strette, con le spalle contro al muro, costringendoci a rivedere alcuni punti fermi. Forse solo in queste situazioni riusciamo a mettere in discussione, riesaminare, relativizzare principi e abitudini fino a quel momento indiscutibili.

Un’evoluzione del pensiero dovrebbe svilupparsi proprio in questa direzione, per non giungere a situazioni estreme tentando di uscirne all’ultimo: un giochino piuttosto rischioso. Crisi allora come riconoscimento del continuo mutamento di tutto quanto ci sta attorno, e di noi stessi?

Il video che segue non è di ottima qualità ma è una risposta alla domanda fatta da sa defenza a Soru, e i video di Serge Latouche sono un insegnamento per tutti Noi, Soru compreso.












SA DEFENZA SOTZIALI SEMPER DE SA PARTI DE IS URTIMUS!

sabato 2 maggio 2009

Celebrazioni de "Sa Die de Sa Sardigna"

Pubricamus su discursu dae su Presidenti, Cappellacci, sa die dae sa Sardinya.
SA DEFENZA SOTZIALI
Semper dae sa parti dae is urtimus!
A foras is culunialistas dae sa Sardinya.
Sardinya et libertade!

CAGLIARI, 28 APRILE 2009 - "Con lo spirito, le convinzioni e gli intenti che penso abbiano ispirato i legislatori che proposero il 14 settembre del 1993 la legge che istituisce la festa del Popolo sardo, e non senza emozione, prendo la parola nel celebrare Sa Die de Sa Sardigna. Parlo a voi, rappresentanti eletti del Popolo sardo, nella nostra Assemblea legislativa, continuatrice della antica tradizione di autogoverno dei sardi. Contemporaneamente mi rivolgo a tutti i sardi e agli amici della Sardegna per manifestare il mio rispetto per questa Assemblea e per riconfermarne la centralità nel mio modo di concepire l'Autonomia e l'equilibrato rapporto fra potere legislativo ed esecutivo.

Tutta la nostra storia, e in particolare quella autonomistica, che si voglia far coincidere con le vicende delle assemblee dei maggiorenti nuragici piuttosto che con quelle giudicali o del Regno di Sardegna, ci mostra la lotta dei sardi per l'autogoverno attraverso strutture che rappresentino tutto il popolo contro le forze centralistiche esterne, dominatrici, negatrici dei nostri diritti all'autodecisione, che hanno cercato di depotenziare, limitare, distorcere ed anche eliminare le nostre istituzioni parlamentari.

Anche oggi, pur sconfitte, esistono tendenze tese a limitare i poteri legislativi e di controllo del nostro Consiglio regionale rispetto ad una visione centralistica dell'Esecut
ivo regionale, a detrimento delle Autonomie locali e del corpo sociale organizzato.
Noi tutti, all'inizio di questa legislatura, in un momento internazionale difficile per ognuno e più ancora per la nostra Isola, ci rendiamo conto che la crisi, oltre alle difficoltà, ci consente delle opportunità straordinarie di riforma e miglioramento delle nostre istituzioni autonomistiche centrali e periferiche.

Una di queste opportunità, oltre che essere una necessità e un obbligo, consiste nel buon governare secondo i programmi sottoscritti con gli elettori e contemporaneamente provvedere alla riforma delle Istituzioni autonomistiche, dotando la Sardegna di un Nuovo Statuto di Autonomia speciale nel rispetto dei ruoli e delle necessità dei sardi di autogoverno e federalismo in un mondo in rapidissima trasformazione.

Si tratta di applicare il principio di autodeterminazione e di autogoverno, secondo la nostra esperienza politica, le nostre tradizioni, la nostra storia ed aspirazioni, la nostra identità di popolo e nazione.
Diverse occasioni come questa che annualmente celebriamo come Festa nazionale dei sardi, costituiscono un momento solenne e collettivo di riflessione per meglio operare e disegnare il nostro futuro.


Ma Sa Die de Sa Sardigna costituisce un'occasione particolarmente importante per i contenuti dei fatti che vi vengono ricordati e che sintetizzano i principali valori e obiettivi autonomistici utili per analizzare il presente e costruire il nostro futuro e che brevemente rievocherò.
Concepita come Festa Nazionale dei sardi, essa rievoca l'insurrezione del popolo cagliaritano del 28 Aprile 1794 che espulse dall'Isola il Vicerè Balbiano, i funzionari e militari piemontesi e le loro truppe mercenarie.

La sollevazione caratterizzò il triennio rivoluzionario sardo iniziato il 21 Dicembre 1792 quando una grande flotta francese comparve davanti a Cagliari.
Il Vicerè Balbiano, intimorito dalla superiorità numerica del francesi, non dirisse la resistenza ed era disponibile alla resa.
Accadde che, dopo tanti anni di sottomissione, i sardi di ogni ceto sociale, nobili, militari, ecclesiastici o popolani, presero nelle loro mani la responsabilità della resistenz
a a un'invasione e del mantenimento della libertà.
Le milizie sarde di fanteria e cavalleria, composte da migliaia di cittadini occasionalmente armati e non da militari di professione resistettero ai francesi, contrattaccarono e li sconfissero.

La coscienza di essere stati gli unici autori della vittoria contro i francesi, fece sì che rifiorisse lo spirito d'autodeterminazione dei sardi e la loro volontà di esercitare antichi diritti d'autogoverno, negati dai piemontesi ma sempre presenti durante i secoli nelle aspirazioni popolari malgrado covassero sotto la cenere della sconfitta dei Giudici d'Arborea.

Nel clima euforico della vittoria, una delegazione di sei rappresentanti degli Stamen
ti sardi e confidando nel successo come riconoscimento del loro valore e per aver salvato la monarchia, chiese invano a Vittorio Amedeo III:
- di riunire nuovamente i Parlamenti
- di riconfermare gli antichi privilegi
- di riservare ai Sardi tutti gli impieghi civili e militari
- di creare a Torino un ministero speciale per gli affari dell’Isola.
- d'istituire a Cagliari un Consiglio di Stato.

A Torino la delegazione degli Stamenti non fu presa in nessuna considerazione e il rifiuto del sovrano provocò, il 28 Aprile 1794, un moto di ribellione a Cagliari con la conseguente cacciata dall’Isola di tutti i funzionari piemontesi, savoiardi e nizzardi.
Il governo venne assunto dai membri sardi della Reale Udienza ed inizio un ciclo di drammatici ma anche esaltanti episodi della vita politica sarda.
La repressione piemontese ben oltre l'esilio di Giommaria Angioy fu terribile e crudelissima. Un'intera generazione fu arrestata, torturata e giustiziata.

Con la "fusione perfetta" con gli stati di terraferma del 1848, si concluse la perdita delle antiche autonomie politiche ed economiche della Sardegna.
Da allora lo spirito autonomistico si è espresso con coerenza e continuità nel tempo attraverso l'opera dei suoi uomini migliori ed il protagonismo dei sardi.
Determinante dopo il dibattito autonomista ottocentesco e dei primi anni del secolo scorso nei quali si elaborò un'idea iniziale di Autonomia politica della Sardegna, è stata il contributo d'idee e la matura ric
hiesta di un'autonomia politica ed economica originato dalla esperienza della Brigata Sassari nella prima guerra mondiale e dal movimento sardista del quale il PsdAz ne è stato l'alfiere.

I padri dell'Autonomia capirono molto prima di altri che la libertà dei sardi dovesse passare attraverso l'autogoverno di nostre istituzioni legislative,.
Attraverso un Parlamento dei sardi col massimo d'Autonomia compatibile con un sistema federalista che comprendesse l'Italia, l'Europa ed il Mediterraneo.
Parole d'ordine che potevano apparire all'inizio del secolo scorso e durante il suo tragico trascorrere con guerre europee e mondiali, quali autonomia, indipendenza, federalismo, Stati uniti d'Europa, Confederazione euro mediterranea, sono oggi prossime alla loro realizzazione.
La nascita dell'Unione Europea, lo svilupparsi al suo interno di un processo fede
ralista vede la trasformazione degli Stati Nazionali in entità statali dotate di un loro federalismo interno e l'emergere della nazioni senza stato..

E' presente e attivo con un'immagine vincente il protagonismo di nazioni senza Stato come la Catalogna, l'Euskadi, la Scozia, o la Repubblica d'Irlanda alle quali i sardi, anche per le loro politiche identitarie e di fiscalità di vantaggio, guardano con attenzione nel progettare la loro evoluzione autonomistica all'interno del processo federalista italiano, ormai inarrestabile.
La condizione particolare della Sardegna, l'isola con la più grande estensione costiera e la più isolata del Mediterraneo, pone a tutti noi la questione della valorizzazione della n
ostra insularità, del compiuto riconoscimento e della sua costituzionalizzazione come fattore caratteristico della nostra Autonomia e del nostro protagonismo mediterraneo.

Già dal prossimo anno il Mediterraneo sarà trasformato in un'area di libero scambio nella quale la Sardegna dovrà trovare la sua collocazione come cerniera fra l'Europa continentale e i paesi della riva sud di questo mare.
Diviene quindi insopprimibile la necessità di un adeguamento della nostra Autonomia con la riscrittura dello Statuto speciale, riconfermando ed attualizzandone la specialità, che tenga conto di tutti questi fattori e delle sfide che la modernità pone ai sardi.

Non dobbiamo permettere all'interno della riforma federale dello Stato, che la nostra nuova Autonomia sia frutto di elaborazioni esterne e di una concessione o imposizione da parte di poteri centrali siano essi statali o comunitari.
Se il federalismo deve essere foedus, ovvero libero patto fra pari, occorre elaborare la proposta sarda, basata sulle nostra storia e sulle nostre esigenze nel solco della nostra tradizione autonomistica.

A queste sfide credo d'aver risposto con un'attenzione particolare nel mio programma che ha un valore strategico anche se orientato a risolvere nel contempo problemi urgenti e contingenti dell'oggi e del domani prossimo che interessano la vita di ogni giorno della nazione sarda, dei singoli cittadini e delle loro famiglie.

Il mio programma prevede un nuovo percorso basato su tre momenti, ordinati in senso logico e temporale, che segnino una netta discontinuità con la trascorsa esperienza di governo:
- il momento identitario
- il nuovo piano di sviluppo
- la riscrittura delle regole con la riforma dello Statuto speciale e la riorganizzazione della Regione.

Questi momenti sono stati previsti come contemporanei ma il momento identitario, come riflessione sul comune sentire del Popolo sardo e come riflessione su se stessi, costituisce la fonte dalla quale far derivare l'economico e l'istituzionale. Il tema dell'identità è vasto e complesso, ancora di più se riferito ad una comunità etnica e nazionale caratteristica come quella sarda.
Per emergere ha dovuto affrontare l'azione, perdente in definitiva, di una componente culturale presente nella nostra società, contraria all'Autonomia sino a teorizzare l'adeguamento del nostro Statuto agli Statuti ordinari e la fine della specialità.

Ha prevalso invece il "movimento dell' ''Identità" , trasversale e suscitato dalla critica all'Autonomia realizzata e che individuava nell'assenza dell'analisi identitaria e della conseguente non costituzionalizzazione di elementi quali la lingua sarda e l'eredità storica e culturale peculiare del popolo sardo, il fattore di depotenzionamento dello Statuto e il prevalere di un impianto economicista che favoriva la dipendenza ed il sottosvilupo della Sardegna.

A distanza di tanti anni e con una realtà politica ed economica a livello europeo, mediterraneo e mondiale modificata in senso globalizzante e caratterizzata dall'emergere e valorizzazione delle identità locali, questi temi sono diventati in gran parte comuni e diffusi in maniera trasversale nella società sarda.


Oggi la lingua sarda è riconosciuta e valorizzata da una legge dello Stato in applicazione della Costituzione e i sardi sono , anche se in maniera ulteriormente perfettibile, parte delle minoranze linguistiche italiane.
Il Sardo, seconda lingua della Repubblica come numero di parlanti, dopo quella italiana, assieme al Tabarchino, Gallurese, Sassarese e Catalano d'Alghero, è anche tutelata da una legge regionale, anch'essa ulteriormente migliorabile.

Questo fatto politico innovativo rispetto alla depotenziata realizzazione statutaria vigente originata dal progetto dei Padri dell'Autonomia, che comunque non prevedevano la componente identitaria, ha conseguentemente reso comune e diffusa la identificazione del Popolo sardo con la Nazione Sarda.
In questo senso abbiamo programmaticamente privilegiato i temi della lingua, cultura ed eredità culturale dei sardi come "fattori di distintività" in quanto conferiscono un'importanza decisiva alle tematiche per il radicamento del senso d'appartenenza.

Esso si sviluppa nell'obiettivo generale della tutela, valorizzazione e sviluppo, accessibilità e messa in rete del patrimonio linguistico, artistico e storico e delle attività culturali e letterarie dei sardi e base per ogni progetto di progresso economico ed istituzionale.
Di conseguenza e come asse innovativo e portante del mio progetto di governo ho chiaramente affermato con forza e convinzione che la Sardegna è una "Nazione" con proprio territorio, propria storia, identità ed aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, ed assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell'Isola dal prenuragico ad oggi.

Questa decisa e non ambigua affermazione programmatica di riferimento è stata determinante per realizzare una ampia, pluralista, nazionalitaria e vincente coalizione che ha ricevuto il consenso della maggioranza dei sardi e che ora governa la Sardegna.
Oggi festeggiamo Sa Die de Sa sardigna, la festa nazionale dei sardi, che simboleggia lo spirito d'unità del nostro popolo , il suo insopprimibile desiderio di libertà e d'autodeterminazione.
Questa festa è anche occasione per una riflessione sulla incompiuta risposta delle sue istituzioni alle richieste, alle aspirazioni, alle necessità dei sardi.

Questo giorno deve ricordarci i valori della solidarietà, del sentirsi componenti di una realtà e di un corpo sociale comune e di come su determinate questioni non bisogna dividersi per egoistiche e miopi scelte di parte.
Oggi non è solo il giorno della memoria dei nostri valori storici, politici e culturali, ma un giorno di lavoro da considerare come offerto sopratutto ai nostri giovani perché con la conoscenza storica rafforzino la loro identità di sardi e la speranza in un futuro migliore.
MY NATION BENTESOI


Oggi è un giorno di ottimismo volto al passato ma proiettato verso il futuro, composto di analisi ed elaborazioni, ma anche di festa, di gioia, d'incontro sorridente della gente nella nostra amata Sardegna.
Oggi, nel nostro Parlamento, in Sa Die de Sa Sardigna, rinnoviamo durante la nostra festa nazionale un patto con i sardi, dai contenuti trasmessici dai nostri padri e dalle nostre madri come dai loro antenati nei secoli, il cui contenuto fondamentale consiste nell'impegno a non rinunciare mai ai nostri diritti naturali, storici, culturali, economici ed istituzionali di Nazione e di lottare sempre per la nostra libertà e l'autogoverno".