“Here we are, born to be kings “Eccoci qua, nati per essere re
We’re the princes of the universe.” Siamo i signori dell’universo.”
- Freddie Mercury
Una delle società più segrete al mondo sta venendo allo scoperto,
sbattendo le palpebre alla lampeggiante e violenta luce del giorno,
come Dracula che inaspettatamente decidesse di sentirsi più al sicuro
emergendo dalla sua cripta fredda e umida al sorgere del sole.
“Sorgere del sole”, è la parola giusta. Mai le prospettive di un
unico ordine mondiale sono sembrate più rosee, o più a portata di mano.
Così, non può essere affatto una coincidenza che il Gruppo
Bilderberg, e la sua conventicola sorella, la Commissione Trilaterale,
stiano improvvisamente a crogiolarsi sulle sedie a sdraio sui prati
della rispettabilità pubblica.
È mia sincera convinzione che stiamo assistendo ad azioni di
“riscaldamento” idonee a preparare noi tutti ad un unico ordine
mondiale, nel momento in cui l’orchestrato smantellamento dell’intera
economia globale comincia a mordere e a lasciare i segni.
Subito dopo che il consorzio Bilderberg / Goldman Sachs / Unione Europea aveva promosso
colpi di Stato in Italia e in Grecia nel mese di novembre, l’agenzia Reuters diffondeva un dispaccio, (
Reuters wired a report
), in cui veniva comunicato che il gruppo Bilderberg e la Commissione
Trilaterale avevano assunto il controllo su tutta l’Europa.
L’agenzia faceva apparire i “gemelli terribili” degni di
essere applauditi per aver raccolto il calice avvelenato della grande
crisi del debito, che a quanto si dice sta erodendo l’euro.
Prima di proseguire, dobbiamo sottolineare che sul curriculum
pubblico del direttore generale della Reuters, Peter Job, costui non è
nuovo nel condividere il pane alla tavola dei dominatori dell’universo.
[Nota editoriale: in effetti, questa condivisione è così
notoria che un documento formato pdf ospitato sul sito ufficiale del
Dipartimento della Difesa rivela che esattamente a pagina 7 sotto la
voce “Regno Unito” Job si trova primo nella lista.]
Beh, si potrebbe dire, Job ha diritto di trascorrere il suo tempo libero come vuole. Vero.
Il problema è che l’indipendenza editoriale merita di divenire
oggetto di discussione e di contestazione nel momento in cui una fonte
primaria di notizie e informazioni ha giurato di mantenere il segreto
su eventi in cui è coinvolta. Non siamo in presenza di informative non
attribuibili, non ufficiali, da evitare assolutamente, anche se diffuse
da un giornalismo sinceramente onesto.
Il contenuto degli incontri del Bilderberg è riservato, sebbene
sia privo di senso per qualsiasi dei partecipanti negare che lo scopo
degli incontri annuali, per lo meno, è quello di influenzare i governi
e le autorità pubbliche di tutto il mondo ad agire in un certo modo.
Posso sembrare antiquato, ma il compito principale dei media è
quello di proteggere e nutrire la democrazia, dispiegando i fatti
davanti al popolo.
Allora, questa è la domanda grande come una casa: i media possono
essere direttamente coinvolti nella formazione della politica, quando
il loro compito nella vita è quello di riferire e commentare le cose
pubbliche?
Naturalmente, i grande baroni dei media hanno sempre tirato i fili dietro le quinte.
Randolph Hearst, Lord Beaverbrook, ed ora il clan Murdoch, hanno
sempre spietatamente manovrato le leve del potere, spesso con
conseguenze sorprendenti.
Il fatto che i giornalisti al loro servizio siano diventati
collaboratori e professionisti della menzogna (vedi il caso
dell’attuale scandalo della pirateria informatica sulle comunicazione
telefoniche da parte del gruppo Murdoch) alla fine può essere
annoverato fra le debolezze umane, ma non è proprio una cosa giusta.
La cosa diventa diversa per quei media che si aggrumano intorno al
Bilderberg, che in buona sostanza si stanno dando da fare per fornire
un’immagine più nitida e pulita ad una organizzazione che con tutta
evidenza non è proprio alla ricerca di soluzioni democratiche.
Wikipedia emette trilli da allegro carillon, che il
nuovo Duce d’Italia,
Mario Monti,
è un assiduo presenzialista del Bilderberg, presidente europeo della
Commissione Trilaterale, ed ex consigliere di Goldman Sachs.
Questi di Wikipedia si muovono con uno stile assolutamente
impassibile, suggerendo che queste credenziali, sicuramente ben
meritate, si addicono al ruolo di Monti, primo dei governanti non
eletti in Europa dal tempo dei colonnelli neofascisti greci di 35 anni
fa (tenendo conto naturalmente di Loukas Papademos, che ora è il Gauleiter della Grecia).
E però, Monti ha ministri civili, come una foglia di fico per
mascherare ciò che è nondimeno chiaramente una giunta, una volta che le
si solleva… la gonna.
Consultate Wikipedia, e scoprirete che Monti è a tutto titolo sui
libri paga del carosello delle grandi banche centrali – la Boston
Federal Reserve, la finanziaria greca “Partenone” e vicepresidente
della Banca centrale europea, dove ha ricoperto incarichi per otto anni
sotto due presidenti.
Un onesto, sincero ed instancabile lavoratore, eh?!
Andando un po’ più in profondità all’interno di un’analoga entrata
al governo, troveremo tranquillamente acquattato quel “Trilateralista”
d’annata (dal 1998) che in realtà ha provocato la crisi del
debito greco. Parliamo nientemeno che di Papademos, che stava a
servizio presso la banca centrale come capo negoziatore per fare
entrare a forza la Grecia nell’Eurozona nel 2000. Si è trattato della
leggendaria truffa Goldman Sachs / JP Morgan nel falsificare i libri
contabili, che si è riverberata poi come il cuore della crisi greca che
stiamo osservando ora.
Come i deliri di uno zio pazzo celato in soffitta, non è stato
possibile nascondere i sospetti sulle reali intenzioni del Bilderberg.
Succede invariabilmente un disdicevole putiferio quando il “giovanotto”
inizia ad urlare rabbiosamente da una finestra del piano superiore,
proprio quando si hanno ospiti in giro per un rilassante barbecue
domenicale pomeridiano.
Quindi, tutte le pomate lenitive cosparse sulle accuse di
cospirazioni hanno al contrario in buona sostanza infiammato le
congetture, soprattutto attraverso l’azione della rete Internet estesa
al mondo, insieme a quella di nuovi professionisti di un giornalismo
non impastoiato, privo di censure.
Nel corso degli anni, la risposta variava, dalle smentite di
copertura che il gruppo Bilderberg esistesse in qualche forma
organizzata, alle accuse contro quei pochi scomodi ficcanaso che
criticavano a testa alta, che venivano denunciati come fossero fenomeni
da circo patiti degli UFO, satanisti o pazzi diversamente assortiti,
che sarebbe stato il caso di rinchiuderli in un manicomio per il loro
interesse.
In un certo senso, questo era inevitabile, visto che la trama
della vicenda Bilderberg, un complotto segreto da parte di un’élite di
potere incestuosa che cospirava per conquistare il mondo, sembrava
infatti assolutamente fantastica.
L’inizio dell’afflosciarsi dell’economia mondiale nel 2008 metteva
in moto abbastanza improvvisamente una mutazione nella rappresentazione
della cricca del Bilderberg.
Per anni, un drappello ristretto di appassionati e zelanti
osservatori, i cosiddetti “Bilderwatchers”, si era reso in qualche modo
insopportabile facendosi vivo alle riunioni annuali del gruppo
Bilderberg, cercando di identificare gli arrivi illustri.
La documentazione di questi osservatori veniva trascurata, ed
anche i mezzi di informazione più importanti non davano alcun peso
all’annuale “carovana” Bilderberg, o dipingevano l’assemblea annuale
come un innocuo ricevimento all’ora del tè di statisti e leader di
imprese multinazionali, che non avevano niente di meglio da fare.
I pochi che hanno tentato di partecipare senza invito, o di
intercettare abusivamente comunicazioni su quello che avveniva, sono
stati malmenati dai vigilantes di polizia e della sicurezza, che sempre
più hanno adottato le tattiche di intimidazione e di minaccia affinate
in occasione dei vertici del G20. Accuse e querele di diversa natura
sono sempre state scartate per ordine delle superiori autorità.
Poi è arrivato il “Momento famoso” di Obama, nel giugno del 2008.
Fino a quel anno, gli organizzatori e i partecipanti al gruppo
Bilderberg potevano contare sugli schermi protettivi delle… folli
teorie cospirative.
Per alcune ore, il 6 giugno, con gli applausi della convenzione
ancora nelle orecchie, Obama segretamente si allontanava dalla campagna
elettorale per partecipare a una riunione ristretta con componenti di
rilievo del Bilderberg, a margine dell’incontro principale che si
doveva tenere più tardi, tra il 5 e l’8 giugno a Chantilly, alla
periferia di Washington.
Aveva al seguito la accigliatissima Hillary Clinton, anche lei una del Bilderberg.
Che cosa è successo dopo, è esploso su Internet, ma non sui media
di informazione; e anche tra la comunità Internet sussisteva un senso
di incredulità pieno di tensione in merito ai disegni sul dominio del
mondo, che ora stavano vorticando attorno al probabile prossimo
presidente degli Stati Uniti.
Qui siamo in presenza di un certo interessante tempismo. Curiosa
la “coincidenza” di come ai magnati del Bilderberg fosse capitato “per
caso” di incontrarsi negli Stati Uniti, e così comodamente vicino a
Washington, proprio quando la Convention democratica concludeva i suoi
lavori e sceglieva Obama – candidato preferito e a lungo prospettato
dal Bilderberg.
Una linea piuttosto stupida è emersa da un membro del Bilderberg,
che ha tentato di sdrammatizzare l’agitazione suscitata dal fatto che
Obama potesse apparire il burattino a cui è stata consegnata la lista
della spesa, per conto del gruppo Bilderberg, da far digerire al suo
governo.
Egli, invece, si è sparato da solo sui piedi ammettendo che
sarebbe stato difficile nominare una qualsiasi amministrazione degli
Stati Uniti, che non fosse brulicante di membri del Bilderberg,
e di altri personaggi appartenenti allo stesso ambiente, come il
Consiglio per le Relazioni con l’Estero e la Commissione Trilaterale.
A partire da allora, è stato sempre più difficile stendere un velo
di silenzio su Obama, il “presidente barboncino” del Bilderberg,
soprattutto perché le principali nomine nella nuova amministrazione
si rivelarono davvero Bilderberg dipendenti.
Ma c’era anche qualcosa d’altro.
Dopo Chantilly, per la Clinton sembrava che il ripieno fosse stato
confezionato alla meglio senza la sua partecipazione. Ed era successo
proprio così! Lei abbandonava la riunione segreta, tenutasi a casa di
uno dei principali membri del Bilderberg, nella consapevolezza che era
il tetro vecchio mulo Joe Biden ad essere candidato alla
vice-presidenza, e non lei stessa, come Obama aveva fatto intendere.
A lei veniva promesso come compensazione quel letto di chiodi
tormentoso chiamato Dipartimento di Stato. Bruciata da questa terribile
umiliazione impartitale dal suo stesso clan, la Clinton non ha mai più
recuperato il suo equilibrio e da allora ha dimostrato di essere
palesemente a disagio.
Come numero due sulla lista dei candidati, e successivamente come
vice-presidente in carica, i “Bilderberger” temevano che la Clinton,
una figura decisamente reticente che poteva presentare alcuni problemi
nell’assorbire documenti e informazioni, come a volte indicava un suo
latente autismo, avrebbe facilmente eclissato Obama.
In ogni caso la vicenda ha dimostrato l’influenza del Bilderberg nel dettare loro il cammino.
Nel 2009, avveniva qualcosa di strano. Il Bilderberg veniva
investito improvvisamente da nuove dinamiche. Branchi di giornalisti si
avventavano sulla società segreta come mosche su un pasticcio di carne.
I giornali cominciarono a riempire le colonne dei loro articoli con le
sparate carpite ai principi dell’universo nelle loro berline eleganti,
in arrivo all’ultimo elegantissimo hotel strettamente sorvegliato
scelto per l’annuale “consiglio della tribù”.
Crescevano le dimensioni degli articoli e si allungavano i minuti
di trasmissione. Il Bilderberg era entrato nel dominio della
popolarità, e lì vi rimaneva saldamente. La domanda è: perché?
Naturalmente, la demolizione controllata della Clinton, l’ascesa a
razzo di un candidato nero con un passato islamico che concorreva per
la Casa Bianca, inoltre completamente sconosciuto solo pochi mesi
prima, tutto ciò aveva molto a che fare con questo.
Si accendevano le discussioni. Il Bilderberg poteva fare e disfare i presidenti degli Stati Uniti.
In termini di “disfare”, un precedente prescelto dal Bilderberg,
Jimmy Carter, era stato messo da parte senza tanti complimenti, e
sostituito con Ronald Reagan, non essendo riuscito ad essere
all’altezza dopo i suoi primi quattro anni di mandato.
Margaret Thatcher era un’altra totale sconosciuta, fino a quando
lei presenziò alla riunione del Bilderberg tenutasi in Turchia nel
1975. Da allora la sua ascesa al potere fu fulminea.
Tony Blair veniva destinato senza riserve a sorridere alla fama e
alla fortuna, fino al suo ingresso a Downing Street, dopo aver
dimostrato le sue abilità forensi… con le posate e un cocktail di
gamberetti al conclave del 1993 tenutosi ad Atene.
Poi, nell’anno successivo, nel mese di maggio del 1994, il caso
voleva che il non-Bilderberg leader laburista John Smith
inaspettatamente, ma molto opportunamente, cadesse stroncato (da un
attacco di cuore), su una montagna scozzese.
Blair, un ex agitatore sinistroide anti-Unione Europea e suonatore in un gruppo rock (gli Ugly Rumours),
veniva eletto per prendere il suo posto, solo otto settimane dopo. I
media britannici debitamente trasformavano un avvocato “gauche” (gioco di parole: gauche come di sinistra, ma anche gauche come maldestro) con strani occhi sbarrati (“staring”, gioco di parole con riferimento al successivo termine “star”) in una star rock (una roccia!) politica.
Il “Momento Obama” permetteva che analisi prospettiche sul gruppo
Bilderberg filtrassero nel sistema di comunicazioni di massa. Chi erano
queste persone ricche e potenti in maniera sbalorditiva, che potevano
con uno schiocco delle dita far saltare il mondo?
Apparentemente, erano solo gentili patrizi, che sentivano il
bisogno di incontrarsi e discutere sulle gravi questioni del momento,
senza arrecare danno o con cattive intenzioni.
Questa è esattamente la linea spacciata da John Micklethwaite,
partecipante al gruppo Bilderberg e redattore capo della rivista
globalista da parrocchia, “The Economist”, in un suo rasserenante
editoriale scritto nel gennaio di quest’anno.
In un’intervista artificiosa con il rassicurante, pipa in bocca,
conte Etienne Davignon, un plutocrate belga stupendamente ricco,
padrino dell’Unione Europea e principe ereditario del Bilderberg,
appariva la storia familiare di un gruppo in cui si esprimevano le
proprie emozioni in modo aperto, in cui persone importanti del mondo
potevano parlare apertamente, “senza preoccuparsi che le loro parole
potessero risuonare nei titoli di testa dei giornali dell’indomani”.
Come quelli che appaiono sui dispacci della Reuters, per caso?
Nessun problema, come amano dire in Australia, quando si richiede anche
un servizio modesto.
Come abbiamo fatto notare in precedenza, Peter Job,
l’amministratore delegato di Reuters, è un “ospite” molto rispettato, e
lui non è affatto l’unico tra il bel mondo di scribacchini e padroni di
scribacchini.
Dopo tutto, non si tratta solo di semplice e ovvio buon senso
giustificato dalla professione di “pubbliche relazioni” che, se si
desidera controllare il messaggio, la tecnica migliore è sempre quella
di invitare il nemico a cena all’interno della propria tenda?
L’elenco dei proprietari di giornali, di capo-redattori ed
editorialisti che hanno partecipato ai vertici mondiali nel corso degli
anni comprende, oltre a quelli di “The Economist”, del “Washington
Post”, “US News and World Report”, “The Observer “(edizione sorella di
stanza a Londra di “The Guardian”) , il canadese Conrad Black magnate
della stampa (prima di ritirarsi in un…penitenziario), di “New York
Times”, “CBS”, “ABC”, “BBC”, Rupert Murdoch, “Wall Street Journal”,
“Financial Times”, “Die Zeit”, del “London Times”, “Le Figaro”, e così
in avanti.
La festa di quest’anno a St Moritz è stata caratterizzata dalla
presenza di invitati appartenenti a gruppi di media dell’Austria, Paesi
Bassi e Finlandia.
Interessante notare che “The Economist” manda spesso due
caposervizi con le funzioni di relatori, vale a dire il direttore e il
coordinatore della sezione politica del giornale.
Così scopriamo che il sistema delle corporation dell’informazione
non è altro che una vasta camera di risonanza, che riecheggia le
conclusioni e le decisioni di un comitato élitario auto-referenziale di
interessi incestuosi. Secondo la famosa frase di Marshall McLuhan, ecco
la prova evidente che “il medium è il messaggio”.
Charlie Skelton, editorialista del “Guardian” di Londra, è uno
degli scomunicati che non è degno di un invito formale. Egli è il
“teppistello”, sempre in disaccordo, confinato ai margini. È
sicuramente il tipo che non ci mette un attimo a lanciare mezzo mattone
contro la finestra del preside. Ecco un esempio.
“Sono così incredibilmente indignato di un potere che viene
piegato al volere di pochi. Ho avuto davanti agli occhi questo potere
per tre giorni, e mi viene la mosca al naso. Non mi importa se il
gruppo Bilderberg ha in programma di salvare il mondo o di ficcarlo in
un frullatore e berne il succo, non credo che la politica dovrebbe
essere condotta in questo modo.”
Buono a sapersi, se non che il Bilderberg non si interessa di
un’attività mondana e in gran parte priva di senso chiamata politica, e
non lo ha mai fatto.
Mario Monti, un grande gladiatore Bilderberg, che è ora il signore non eletto dell’ Italia, ha sempre dichiarato la sua posizione fermamente contraria alle politiche di partito.
Allo stesso modo, Charlie Skelton scansa la scomoda verità che il
gruppo del giornale che compra i suoi lavori è stato ben rappresentato
al Bilderberg, nel passato.
Inoltre, tutti sono ben informati su cosa significava Fleet Street (una
strada di Londra, sede dei maggiori quotidiani inglesi fino agli anni
’80, e l’agenzia Reuters è stata l’ultima testata del giornalismo
britannico a lasciare questa località nel 2005), e sono consapevoli
degli stretti rapporti praticamente senza interruzioni che esistono tra
il “Guardian” e i servizi segreti britannici (e che in realtà
coinvolgono altri organi vitali dei media britannici, tra cui il gruppo
di Murdoch e la BBC).
Allora, perché il nostro Charlie ha fornito una così pesante “nota
spese”, tale da indurre il lancio di oggetti contundenti al passaggio
dei Bilderbergers? È davvero molto semplice.
Il suo principale lavoro quotidiano è quello di scrivere testi
umoristici. Viaggiando da una sontuosa località ad un’altra
all’inseguimento della carovana del Bilderberg, consapevolmente o meno,
il suo ruolo è quello del buffone di corte che trasforma le cose
mortalmente serie in risate fragorose.
Tuttavia, dopo il raduno presso la deliziosa stazione balneare
catalana di Sitges nel 2009, il suo reportage includeva questa frase
più che interessante:
“Sarebbe più piacevole se l’interfaccia tra il Bilderberg e il
mondo potesse essere più morbida - se potesse mostrarsi a noi a viso
aperto, piuttosto che come la canna di una mitragliatrice.”
Per me questo racchiude l’inconfondibile sapore di un commento per
condizionare una favorevole opinione. Dico questo, perché sono sicuro
che dietro il tenore di una corrispondenza più misurata sul Bilderberg
si nasconda un enorme cambiamento di politica di marketing.
Vale a dire, abbiamo avuto a che fare con l’arroganza – perfino
con l’insolenza - di élite orgogliosamente distaccate, e diamo il
benvenuto sulla scena ai loro manager e pensatori, responsabili e
fedeli, al posto di politici purtroppo ossessionati dalle bustarelle
della corruzione.
Questo è esattamente ciò che l’elegante Mario Monti sta predicando agli Italiani in questo momento:
“Sia che lo vogliate o no un governo mondiale, noi
siamo quello, e voi dovrete sottomettervi a noi! Ma noi desideriamo il
vostro amore, anche quando noi stiamo forgiano le catene con cui
vincoleremo per sempre queste vostre vecchie ridondanti libertà.”
Splendido il Nuovo Mondo? Sì, Aldous Huxley usava quasi esattamente questi termini:
“ ‘E questo’, sentenziava il Direttore, ‘questo è il segreto della
felicità e della virtù – col preferire solo quello che si è destinati a
fare. Tutti i condizionamenti mirano a questo: rendere le persone
simili al loro destino sociale ineluttabile.’”
Il Monte (“-berg in tedesco significa “monte”) Bilderberg
estende ora la sua ombra scura sulle strutture di tutta l’Unione
Europea e di tre suoi Stati membri: Grecia, Spagna e Italia.
Questi tre paesi possono ora essere a ragione considerati colonie Bilderberg.
I “Bilderbergers” sono i controllori della Germania, Regno Unito,
Francia, Polonia, Ungheria, Danimarca, Paesi Bassi e tra gli Stati
non-membri, la Svizzera.
La “montagna” imponente ha controllato Washington per anni, in
alleanza con la Commissione Trilaterale e il Consiglio per le Relazioni
con l’Estero (per di più, bisogna ricordare un importante precursore,
l’American Enterprise Institute).
All’interno della “montagna” troviamo Wall Street, la City of
London, e la Banca Centrale Europea. Troviamo il Fondo Monetario
Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca dei regolamenti
internazionali, l’UNESCO, l’ONU e la NATO.
Tutti insieme, le loro condizioni spianano la strada alla paternità della globalizzazione totale.
L’articolo della Reuters in novembre è stato puntuale e
significativo in quanto ha rivelato il grado di conoscenza che il
sistema dei media delle corporation possiede in merito al progetto
Bilderberg, e con molta cortesia ha soprasseduto sull’intera metà del
secolo scorso.
Ma niente riesce meglio di un successo.
Turbolenta, ingovernabile, ed emozionante, l’Italia è ora sotto il controllo del reggente Bilderberg, Mario Monti.
Se vi sembra che io faccia menzione di questo signore ad ogni
respiro, io non mi scuso per nulla, in quanto vi avverto, Monti è un
modello di comportamento importante per il futuro.
Monti appare ora come un faro di calma e di serenità in mezzo alle
invariabili turbolenze del clima politico italiano. Non sembra un
presidente provvisorio. Sembra uno ben sicuro di se stesso. Ecco, un
Bilderberger dal volto umano, il tecno-dittatore promesso con le stesse
caratteristiche altrove, ad altri paesi europei.
L’audacia mozzafiato con cui i globalisti hanno rovesciato il
governo italiano legittimamente eletto, sull’onda di un allarme
completamente fasullo rispetto al debito pubblico italiano, rappresenta
la dimostrazione straordinaria del potere che attualmente hanno
accumulato.
Monti si è permesso perfino di pronunciare una frase da far rimanere a bocca aperta, che il suo era “un governo forte, senza conflitti di interesse.”
Allora, niente Bilderberg, niente Commissione Trilaterale, niente Goldman Sachs?
Forse non vi è la presenza nel consiglio dei ministri di un
direttore di una banca italiana in grande sofferenza, quotidianamente
in attesa di un salvataggio finanziario da Francoforte?
Nemmeno di un ammiraglio responsabile del ministero della difesa,
i militari responsabili delle forze armate per la prima volta dal tempo
di Mussolini?
O forse non è arrivata la conferma da parte del nuovo governo
dell’acquisto di 131 bombardieri della Lockheed Martin, i Joint Strike
Fighters (JSF), al costo di 13 miliardi di euro, quando il paese
dovrebbe essere in bancarotta?
Fino ad ora gli Italiani gradiscono quello a cui stanno
assistendo, anche se il tempo ci dirà qualcosa a questo riguardo. Per
ora, sono in uno stato di shock, per come in realtà sia stato possibile
liberarsi del principe delle furberie Silvio Berlusconi.
Come nostra guida ad un probabile futuro, può essere illuminante
tornare a qualche parola pronunciata in materia di oligarchie da
Friedrich August Hayek, economista e filosofo sociale e autore di La via alla schiavitù:
“La probabilità di trovare persone al potere come individui che
dovrebbero provare avversione per il possesso e per l’esercizio del
potere è al pari livello con la probabilità che una persona
estremamente tenera di cuore potrebbe impiegarsi come maestro
fustigatore in una piantagione di schiavi.”