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martedì 15 marzo 2011

L'atomo fuggente





Lo tsunami e le esplosioni nelle centrali hanno spaccato in due il Giappone: nel sud la vita scorre tranquilla come se nulla fosse. Nel nord i sopravvissuti hanno perso tutto e non hanno ancora ricevuto gli aiuti promessi
Pio d'Emilia
ilmanifesto.it

KESENNUMA (TOHOKU)
Peccato. Peccato davvero, perché invece della finta trasparenza, invece della voglia di distinguere il suo governo da quelli passati, noti per omertà e menzogne,il premier Naoto Kan sta perdendo una grande occasione. Invece di rassicurare, fingendo una trasparenza che non può esserci per via degli enormi interessi economici e politici della questione atomica, potrebbe approfittare di questo disastro annunciato per passare alla storia. Basta con il nucleare. Una scelta difficile, come la pena di morte, ma diventata indispensabile.
Lo chiedono in tanti, ormai, in Giappone, e non solo i vecchi rompiballe intellettuali di sinistra. Per la prima volta sabato 20 marzo, ci sarà una manifestazione nazionale, autogestita, contro il nucleare. «Facciamo di Kasumigaseki (il quartiere della «politica», ndr) la nostra piazza Tahrir», si legge sul sito che l'ha lanciata.
Per ora, purtroppo, Kan resiste, e assieme al suo fido portavoce Yukio «Dumbo» Edano insiste nel dire che tutto è a posto, che sì qualche problema, un paio di esplosioni, un po' di zozzerie radioattive in circolazione, ma poca roba.
Esplosione a Fukushima (Credit: Ansa/EPA ABC TV)

L'apparente «trasparenza» del governo divide anche gli stranieri e le loro ambasciate. Americani e italiani gettano acqua sul fuoco, francesi e tedeschi invitano invece i loro cittadini ad abbandonare i paese. Il rischio di una nuova Chernobyl c'è, eccome. Una nuvoletta che se il vento ci aiuta finisce dritta nel Pacifico. Blowin in the wind: basta soffiare nel vento e tutto passa. E se cambia rotta?
Ammesso e non concesso che il nocciolo dei reattori sia ancora integro, che la fusione non sia già avvenuta.
Ma di questo si parla a Tokyo, capitale del Giappone del sud e sempre più «città aperta», vibrante e creativo melting pot che separa i due Giapponi. Quello del sud, dove la vita scorre tranquilla come se nulla fosse, con i bambini che vanno a scuola, la gente in ufficio, treni e aerei in perfetto orario. E quello del nord, che sta collassando giorno dopo giorno. A partire dalla benzina, esaurita ovunque.

Qui a Kesennuma, nello sfigato e distrutto Giappone del Nord, ci sono altri problemi. «Le centrali? Che le riaprissero in fretta, così torna la corrente». Wakagi ha 71 anni, fa il pescatore, o meglio lo faceva, perché è difficile che un governo incapace di portargli dell'acqua e una ciotola di riso dopo tre giorni riesca a ridargli una barca. Del rischio nucleare e delle radiazioni se ne frega. Ha altro a cui pensare, e un po' di energia elettrica, che manca da tre giorni, gli farebbe comodo. Lo tsunami ha portato via tutto a Wakagi, casa, barca e famiglia. Tranne la dignità. I veri samurai, oggi, sono questi pescatori e contadini del Tohoku.

Sono tre giorni che vanno avanti da soli, senza l'ombra di un soccorso, senza lanentarsi e lagnarsi, che in giapponese suona come una parolaccia. Di notte si rannicchiano su una stuoia, il giorno lo passano a rovistare tra le macerie e a fare la fila per un po' acqua piovana. Senza sapere, perché nessuno glielo dice, che in questi giorni forse è meglio ubriacarsi di sake piuttosto che bere quell'acqua. A Kesennuma, una delle roccaforti delle musciare indigene, i pescherecci che cacciano i tonni, siamo arrivati prima noi dell'esercito giapponese. Noi all'alba, dopo un viaggio allucinante attraverso l'Appennino giapponese, loro a mezzogiorno. Noi costretti a peripli assurdi, tra deviazioni improvvise e incomprensibili blocchi stradali. Loro usando le autostrade lasciate libere per facilitare i soccorsi (ed eventuali evacuazioni).

Ma quali soccorsi? L'esercito arriva, fa un paio di giri nell'inferno di Kesennuma, quattro inchini con le autorità locali e poi via, per continuare il giro di perlustrazione. Scrivono, annotano, fotografano, fischiano. Tutti perfetti, tutti ordinati. Non un sorriso, non una parola. Sembra un'esercitazione più che un'emergenza, una operazione di soccorso. Niente tendopoli, niente ospedali da campo, niente pasti caldi, un paio di coperte. E qui non c'è la Caritas, e ai volontari (ammesso che ci siano) il governo ha detto chiaramente di starsene a casa per non intralciare i soccorsi. Ma intanto tutti si arrangiano. Tanto lo sanno come andrà a finire. I giapponesi si sa, non chiedono e tantomeno non pretendono. E qui non siamo a Kobe, teatro del grande terremoto del 1995, quando furono le cosche della Yamaguchi Gumi, la yakuza, a mobilitarsi e dare una mano. Kesennuma è nel Tohoku, il mezzogiorno del Giappone. Una regione oramai separata dal resto del paese. Aereoporti chiusi, treni fermi, strade intasate. Quei pochi che ci arrivano, tra i quali il sottoscritto, rischiano di restarci chissà fino a quando.

Persone esposte alla radiazioni in seguito all'esplosione nella centrale di Fukushima (Credit: AP/Daisuke Tomita)
Persone esposte alla radiazioni in seguito all'esplosione nella centrale di Fukushima (Credit: AP/Daisuke Tomita)

Difficile capire, anche venendo fin qui, le dimensioni di questa catastrofe, e forse il paragone è scorretto. Ma appena arrivi pensi a Hiroshima, a quelle foto dove tutto è raso al suolo tranne il famoso Palazzo delle Esposizioni. Qui è lo stesso, lo tsunami ha risparmiato solo un paio di edifici in cemento armato, oltre al municipio e una chiesa protestante, che però sono appollaiati su una collina. Il resto è stato spazzato via, strizzato e risputato fuori senza alcun ordine e ritegno. Un peschereccio è finito su un tetto, una moto è appesa a un palo del telefono, resti umani spuntano dal baule di una macchina. Di gente in giro ce n'è, chi viene a cercare, a controllare, semplicemente a guardare. Ma non senti un pianto, un grido, un lamento, una imprecazione, un insulto.


Tutti sereni, tranquilli nel loro dolore, pronti ad eseguire le istruzioni delle autorità, anche quelle senza senso, senza discutere e lamentarsi, come è stato insegnato loro sin da piccini. Quattro persone sono indaffarate ad attaccare un cartello sulla porta di un edificio distrutto. La filiale di una banca. «Causa il terremoto, siamo temporaneamente chiusi». Basta rispettare le forme, e anche la più tragica delle realtà diventa più sopportabile. Un vecchio ci guarda, ci chiede da dove veniamo. Dall'Italia. «Siete come noi, avete perso la guerra, ma vi siete rimbiccati le maniche». Lo rifarà, certo, anche ora... «Non so. Quella volta il futuro era nostro, eravamo fiduciosi. Ora non so. Mio figlio non ha più voglia di far nulla. Io nemmeno. Non so voi, ma noi giapponesi abbiamo perso l'entusiasmo». Speriamo lo ritrovino. Ne hanno proprio bisogno. Per ricostruire il paese. E bandire il nucleare.

Il mondo ripensa all’impatto del nucleare Ma Prestigiacomo dice: “L’Italia va avanti”

ilfattoquotidiano

Giappone: non solo Fukushima. Problemi anche a centrali di Miyagi e Tokai


La linea italiana sul nucleare “non cambia”. La Germania frena e congela due reattori, gli Stati Uniti anche (Obama ribadisce la necessità di servirsi anche di fonti rinnovabili), ma l’Italia va avanti. La linea è quella di costruire impianti, e così – almeno secondo i ministri Stefania Prestigiacomo e Renato Brunetta – sarà. Difficile capire dove, visto che le regioni guidate dal centrodestra hanno già risposto no, grazie. Il primo intervento è stato quello del titolare del dicastero per l’Ambiente Prestigiacomo, nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles, a margine del Consiglio dei ministri che ha affrontato anche la catastrofe avvenuta in Giappone. “Nessuna sottovalutazione”, ha aggiunto il ministro, secondo cui non va comunque creato “neppure un allarmismo rispetto a una situazione eccezionale, una calamità che è stata definita un’apocalisse in un paese ad altissimo rischio sismico”. Prestigiacomo ha quindi di nuovo criticato lo “sciacallaggio politico a fini domestici” e la “macabra speculazione” messa in atto in Italia dagli anti-nuclearisti.


Questa mattina i ministri dell’Ambiente europei si sono riuniti in Consiglio a Bruxelles. E il portavoce del ministro Prestigiacomo ha parlato di un “problema” dei danni subiti dalle centrali giapponesi: “In apertura della riunione – spiega una nota del portavoce del ministro – il Commissario Ue è intervenuto sul problema dei danni subiti da alcune centrali giapponesi in seguito al sisma e allo tsunami”.

Le dichiarazioni della Prestigiacomo sul progetto del nucleare italiano che non si ferma arrivano a poche ore dall’annuncio di un incontro del ministro con i rappresentanti delle associazioni del settore delle rinnovabili. Gli incontri sono in programma mercoledì pomeriggio: “Obiettivo degli incontri, convocati dopo la recente approvazione del decreto sulle rinnovabili da parte del Consiglio dei Ministri è ascoltare le richieste degli operatori della filiera per giungere a decisioni condivise che tutelino le aziende e i lavoratori, assicurando all’Italia un futuro da protagonista nel settore”.

Considerazione che hanno suscitato subito critiche e reazioni, ma Prestigiacomo, in serata, ha proseguito nella sua arringa a favore dell’energia nucleare.

Il rischio sismico, ha detto ancora il ministro, ”e’ uno dei parametri che viene considerato per escludere parti di territorio dove questo è particolarmente elevato” e la frequenza con la quale avvengono terremoti in Giappone “non è paragonabile alla nostra. Evitiamo quindi di fare speculazioni, usando situazioni che non hanno alcuna analogia”. Secondo Prestigiacomo i programmi europei e internazionali sull’energia “non cambieranno sulla base di quello che è avvenuto in Giappone e i paesi occidentali si sono già impegnati a raggiungere mix energetici”. Circostanza anche questa smentita da Angela Merkel e Barack Obama, per la Germania e gli Usa.

Rischi dopo l'esplosione nella centrale nucleare di Fukushima


Il ministro della Pubblica amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta, ospite a Sky Tg 24, è andato oltre, criticando – come sottolinea anche l’Ansa – le scelte di Germania e Usa, sottolineando che “c’è molta ipocrisia. Noi che non le abbiamo fatte non dovremmo neanche pensare di farle?” precisa Brunetta, che fa notare: “Se tutti dicessero ora lo stop al nucleare che fine farebbe il prezzo del petrolio?”. Il ministro sottolinea, inoltre, che l’Italia è un paese “parzialmente sismico, in alcune aree non ci sono mai stati terremoti, e questo è già presente nelle valutazioni sui siti e sulle centrali che si costruiranno”.

Ma le idee, anche all’interno della maggioranza, sono confuse. Luca Zaia ha ribadito l’altro giorno che “in Veneto non verranno mai costruiti siti nucleari, lo stesso che ripete da mesi Roberto Formigoni. Stesso discorso per quello che riguarda il Lazio, come ha spiegato ieri il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: ”Prendemmo impegno insieme alla presidente Renata Polverini, in sede di campagna elettorale, per far si che non vengano costruite centrali nucleari nel Lazio che è già autosufficiente dal punto di vista energetico”.


Il leader dell‘Udc, Pierferdinando Casini, spiega di non aver cambiato idea. “Credo chela politica stia morendo in Italia per la demagogia e perchè cavalchiamo le paure della gente. Così però non riusciamo ad essere seri. Questo terremoto – prosegue il leader Udc – è stato migliaia di volte superiore a quello dell’Aquila. In Giappone sono saltate raffinerie, impianti chimici, tubature del gas e migliaia di tonnellate di rifiuti tossici navigano per il Giappone, però noi pensiamo solo ai problemi del nucleare. Queste centrali tutto sommato producono effetti molto più limitati rispetto al resto. Niente di per sé è sicuro. Il progresso porta margini di rischio”. Ma in ambito terzo polo ci pensa Francesco Rutelli a mescolare le carte: “Anche per il nucleare in Italia si presenta un grande punto interrogativo. Sconsiglierei oggi di fare commenti come se la partita fosse chiusa – sottolinea Rutelli – Il punto, però, è che se l’Italia, paese ad alta attività sismica, decidesse di dare il via libera ad un programma nucleare dovrebbe affrontare spese molto superiori per dare garanzie sulla sicurezza degli impianti”.