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mercoledì 27 aprile 2011

Sa die de sa Sardigna, festa del Popolo sardo, 28 aprile 2011


Faghimus s’istoria: sas chimbe preguntas…

Un murales che ricorda ''Sa die de sa Sardigna''

L’incontro di Seneghe, lo scorso 25 marzo, ha compiuto il percorso storico e logico che ci ha condotto dalla ricorrenza del 150° dell’Italia a sa die de sa Sardigna. Ha avuto inizio un confronto che si è posto quale punto di partenza per una riscossa culturale e sociale, capace di elaborare strategie di mutamento. Un cambiamento che deriva da studi, da dibattiti, da una messa a fuoco dei problemi della Sardegna, per proporre indirizzi, per alimentare una partecipazione, per unire forze disperse che nella disunione non portano a progetti di crescita. C’è bisogno di promuovere una presenza combattiva e maggiormente consapevole del proprio ruolo nel contesto attuale.

La crisi sarda è innanzitutto una crisi culturale e di forza progettuale, un ritardo nel cogliere i tempi giusti per la crescita, i modi, i tempi, i luoghi più pertinenti. Senza saperi, conoscenze, progetti, il tempo ci coglie sempre impreparati: altri sono padroni del nostro tempo.
Ci siamo lasciati ragionando di Sardegna e di unità d’Italia per incamminarci verso sa die de sa Sardigna offrendo a noi stessi, e ad altri che desiderassero avviarsi con noi nel cammino, dei nuovi appuntamenti.

Non sapevamo che il Consiglio regionale non avrebbe fatto memoria di sa die, seppure il disinteresse era già chiaro nel silenzio dei programmi e nella modestissima entità delle risorse previste. Tale insensibilità ci rattrista e offende, ma non ci stupisce. Sappiamo che fa male, a chi si pone nella subalternità, proporgli la memoria del dovere e del diritto alla libertà. Ma qui siamo di fronte all’abbandono dell’unica e più importante festa del Popolo sardo!

Con le 5 domande rivolte al re nel 1793 è iniziata la fase vertenziale della Sardegna moderna e con essa la rivoluzione della nostra contemporaneità. Tante cose ci dicono però che quella fase necessita di un’evoluzione veloce. La vertenzialità da sola è al tramonto perché rimanda ogni responsabilità all’esterno di noi. Ogni giorno le strade e le piazze della Sardegna vedono un popolo che protesta, ma le risposte restano sempre lontane, non arrivano o giungono solo nella forma utile agli interessi di altri. Così rischiamo di sprecare le dure e costose battaglie della nostra gente, mentre la frustrazione per le risposte non ricevute potrebbe presto portare allo scoramento e alla definitiva rinuncia.

Il destino della Sardegna è più che mai nelle mani dei sardi. E quindi, alimentando la consapevolezza dell’urgere di scelte importanti che proseguano l’antica aspirazione alla sovranità contenuta anche nelle “cinque domande”, a noi si dà la possibilità e l’obbligo di chiederci quali siano le domande che oggi dobbiamo porre a noi stessi per trovare le giuste risposte: al livello istituzionale, sociale, economico, culturale, politico. Come nel triennio rivoluzionario (1793 – 1796), ma apprendendo le lezioni della storia. Queste possono essere le nostre cinque domande dell’oggi, 28 aprile 2011.

1). E’ del tutto evidente la debolezza istituzionale e politica delle rappresentanze della Sardegna. Le cause non sono solamente da ricondurre ai limiti dello Statuto ma anche all’incapacità di affermare i propri diritti istituzionali. Nella prospettiva immediata non si intravvede come le forze politiche sarde possano mutare questo quadro desolante: non c’è un progetto condiviso e fermo di Statuto che risponda alle esigenze dei sardi, resta ancora tutta da costruire una forza contrattuale per sostenerlo nell’ambito del Governo e del Parlamento, l’esclusione dal Parlamento europeo è già essa stessa manifestazione ed effetto di tale debolezza. I sardi hanno perduto quella primogenitura federalista che i loro migliori uomini avevano difeso lungo tutto il Novecento, dopo che le stesse proposte erano state sconfitte nell’Ottocento a seguito della ‘fusione perfetta’ e dei modi con cui si concretizzò la formazione dello Stato italiano. Questa proposta si chiama ‘federalismo’. Quello che poche e inascoltate voci richiamano negli ultimi decenni a partire dalla grande crisi della fine degli anni Settanta dello scorso secolo. Quello stesso federalismo che, riproposto oggi dalle regioni settentrionali, sembra configurarsi, invece che come una forma di condivisione della sovranità, come una forma di neocentralismo che rischia di rendere ancora più dura la dipendenza della Sardegna.

Quale la risposta a questa situazione? Dobbiamo forse prendere atto che l’impossibilità di esso a causa degli interessi settentrionali, e il sistematico boicottaggio dello Stato all’affermazione del nostro diritto alla sovranità e alla presenza in Europa, ci lasci quale unica alternativa la debacle di una nuova ‘perfetta fusione’? L’unica atto da compiere a breve non è forse quella della volontà e dell’iniziativa popolare nella forma dell’Assemblea Costituente?

2). Circa la questione sociale non mancano certamente le lotte, gli scioperi, i viaggi della protesta a Roma né le manifestazioni sindacali a Cagliari. Il fatto è che questa protesta e le risposte politiche regionali e nazionali non si misurano con obiettivi precisi di sviluppo, si vive nel contingente senza un piano preciso e dunque senza risultati, anche parziali, concreti.
Cresce nei comuni dell’interno la consapevolezza del proprio spopolamento ma tanti segnali ci manifestano i messaggi della non rassegnazione. E’ fondamentale la protesta cosciente e organizzata dei giovani come dispositivo di pressione e di orientamento politico.

Un piano B per le zone industriali deserte (Isili, Ottana tra le prime, quindi Porto Vesme e Porto Torres) e la bonifica integrale delle zone industriali, non rappresentano, oramai degli atti dovuti e delle scelte indilazionabili? Cosa ci proponiamo per il futuro dei piccoli comuni? Quale azione per verificare il significato e gli effetti dell’abnorme crescita di Cagliari e di Olbia, con la nuova spinta alla conurbazione delle coste, con lo spopolamento dei comuni dell’interno? Quale proposta per un futuro occupativo dei giovani dei paesi e delle città?

3). Le risorse locali – territoriali a vantaggio dei sardi. C’è l’urgenza di un protagonismo economico che ponga le risorse territoriali al centro della crescita: ambiente, turismo, agro-alimentazione, pastorizia, agricoltura, piccola industria, artigianato. E’ proprio il prodotto identitario che trova sbocco nel mercato mondiale.
L’eolico e il fotovoltaico sono in mano alle imprese multinazionali: alla Sardegna il degrado ambientale, i capitali a favore degli sfruttatori. Con la questione della Tirrenia permane e si aggrava la dipendenza nei trasporti.
Ma ciò che è più grave è la povertà delle risorse culturali: ultimi in Italia per livello di studio, con una grave dispersione scolastica e la crisi della scuola e dell’università.
E’ una debolezza che ci condanna sia nel campo di un moderno investimento delle risorse locali, sia per quanto riguarda gli investimenti tecnologici di imprese esterne. In questa prospettiva di crescita può darsi una risposta alla sfiducia dei giovani che non vedono orizzonti possibili e si adagiano in una condizione passiva.
Non è ormai urgente un confronto serio e propositivo che coinvolga le varie forze produttive, per dare loro uno spazio di parola e di progettualità, per formare soggettività che credono nel proprio ruolo? Non dovremmo rivalutare a fondo tutti coloro che, con il lavoro delle braccia e della mente, producono beni e ricchezza?

4). Mai come oggi nella realtà sarda è fondamentale il ruolo degli intellettuali. E’ necessaria una produzione culturale che riguardi l’economia e tutte le scienze umane e tecnologiche, riaffermando con fermezza l’importanza della lingua sarda nel processo della crescita. Una produzione culturale come produzione di senso, come informazione e formazione pubblica per una presa di coscienza. Produzione culturale come produzione materiale: scrittura, film, tv, teatro, musica, arti visive, che facciano da fermento per una presenza combattiva dell’opinione pubblica.
Oggi ogni produzione culturale è necessariamente produzione materiale e sociale, e viceversa.
Ogni prodotto materiale è un prodotto culturale: l’artigiano è un produttore di cultura materiale e simbolica. Si producono segni non oggetti, messaggi, non solo merce! Perciò la mobilitazione deve investire tutte le diverse attività produttive.
Non si impone forse un nuovo legame tra l’intellettualità delle città e quelle dei paesi, tra gli esperti dell’accademia e della scuola e le diffuse competenze, che riproponga il senso e il segno di un comune destino in questa Isola, con queste risorse umane ed economiche, con i doni della natura e quelli della nostra umanità? Non è forse giunto il tempo di fare il punto sul complessivo stato della cultura in Sardegna?


5). Noi tutti tocchiamo ogni giorno con mano i limiti della politica sarda, vediamo chiaramente che la Sardegna è abbandonata dallo Stato e mal governata. Ciò è dovuto alla modesta incidenza dei parlamentari sardi nel Governo e nel Parlamento italiano, nonché alla scarsa autorevolezza, anche personale, degli uomini politici sardi, sia nell’ambito dei diversi partiti, sia nei giuochi di potere. Per non parlare della debolezza politica della Giunta e del Consiglio regionale rispetto alle decisioni economiche e finanziarie del Governo centrale. Le responsabilità di questa situazione sono tante e vengono anche da lontano. Ma non ci interessa ora soffermarci sulle mancanze dei protagonisti della politica. Siamo pronti a riconoscere dei limiti al nostro non sufficiente operare. I discorsi che al momento ci appaiono pressanti sono i programmi e le azioni capaci di portarci al di là della presente situazione.
Potremmo porre ai Consiglieri regionali una domanda sul senso e le modalità del loro ruolo nella più importante istituzione della Sardegna. Dovremmo anche noi interrogarci se, in assenza della necessaria assunzione di impegno, non sia urgente un’azione che provenga dalla società, dalla cultura, dalle forze economiche e dagli enti locali per assumersi anche le responsabilità dolorose che una verificata insufficienza e latitanza delle rappresentanze istituzionali comporta.

Chiunque sia in grado di provare queste esigenze e di mettersi con noi in cammino sulla strada delle possibili soluzioni è un nostro compagno di viaggio. Ci incontreremo di nuovo a Seneghe, nella Casa Aragonese, sabato 21 maggio 2011, a partire dalle ore 9,30.



Sa die de sa Sardigna 2011

COMUNICATO STAMPA

Presso la Casa Aragonese del comune di Seneghe si svolgerà, sabato 21 maggio, un incontro e un dibattito sui temi più urgenti della Sardegna. Esso si pone in continuità con l’incontro del 25 marzo scorso, svolto anch’esso a Seneghe, che è stato ricco di elaborazioni storiche e di interferenze tra la ricorrenza dei 150 anni dell'unità d'Italia e le questioni poste da sa Die de sa Sardigna. E’ nata così l'esigenza di proseguire la riflessione e di orientarla verso i temi più urgenti della realtà sarda nella prospettiva di approfondire l'analisi e di rinforzare sia la speranza progettuale e sia le proposte programmatiche.
In riferimento alla festa dei Sardi del 28 aprile, si è pensato di formulare cinque domande in analogia con le cinque domande rivolte al re nel 1793 che ha iniziato, per così dire, la fase vertenziale della Sardegna moderna.
Sono cinque domande che investono l'aspetto istituzionale, sociale, economico e culturale per come le questioni si presentano nell'attuale momento storico con i propri caratteri di urgenza.
Questione istituzionale che ci interroga sull'elaborazione dello statuto sardo e sulla forza contrattuale con lo Stato.
Questione sociale che pone il dramma della disoccupazione, soprattutto giovanile, lo spopolamento dei piccoli comuni dell'interno, la drammaticità della crisi industriale.
Una domanda fondamentale riguarda il modello di sviluppo: valorizzazione delle risorse locali, calcolato investimento nell’eolico e nel solare a beneficio dei sardi, questione dei trasporti che condiziona anche lo sviluppo turistico.
Come interrogarsi sul ruolo degli intellettuali come impegno sociale e come produzione culturale che investa l'economia e l'innovazione tecnologica delle forme produttive? E quale ruolo esercitano essi nella formazione dell'opinione pubblica e nella riformulazione radicale della scuola sarda?
La domanda conclusiva ci interroga tutti gli sulla qualità della politica sarda e sulla incidenza dei politici sardi nei confronti dello Stato a difesa degli interessi della Sardegna.
Queste sono le questioni che saranno introdotte da studi specifici e arricchite da molteplici contributi e da liberi interventi.
I sottoscritti si danno appuntamento a Seneghe, presso la Casa Aragonese del Comune, sabato 21 maggio 2011, alle ore 9,30. I cittadini sono invitati a ragionare e discutere con noi, in continuità con Sa die de sa Sardigna.

Firma: Bachisio Bandinu (antropologo, giornalista), Antonio Buluggiu (insegnante), Luciano Carta (storico, dirigente scolastico), Vittoria Casu (docente universitario, già consigliere regionale), Placido Cherchi (antropologo) , Alberto Contu (storico), Gianfranco Contu (storico) , Mario Cubeddu (storico, insegnante), Salvatore Cubeddu (sociologo), Giuseppe Doneddu (storico, docente universitario), Federico Francioni (storico, insegnante), Gianni Loy (docente universitario), Piero Marcialis (attore, insegnante), Piero Marras (cantautore,già consigliere regionale), Luciano Marrocu (storico, docente universitario), Alberto Merler (sociologo, docente universitario), Nicolò Migheli (sociologo), Maria Antonietta Mongiu (archeologo, insegnante, già assessore regionale), Giorgio Murgia (già consigliere regionale), Michela Murgia (scrittrice, insegnante), Paolo Mugoni (insegnante), Maria Lucia Piga (sociologo, docente universitario), Gianfranco Pintore (giornalista, scrittore), Paolo Pillonca (giornalista, scrittore), Mario Puddu (insegnante, scrittore), Vindice Ribichesu (giornalista), Andrea Vargiu (docente universitario).