Tradotto da Andrea Grillo
Eric Toussaint, dottore in scienze politiche e presidente del Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo (CADTM), è membro della Commissione di Audit integrale del credito pubblico dell’Ecuador (CAIC) le cui conclusioni hanno portato alla sospensione del pagamento di una parte del debito ecuadoriano. Secondo lui, la Grecia deve sospendere il pagamento del debito e deve ribellarsi contro la Troika composta dalla Banca Centrale Europea, il FMI e la Commissione Europea, perché in caso contrario affonderebbe in una recessione permanente.
Come descriverebbe lei il momento che attraversano alcuni Paesi dell’Unione Europea come la Grecia che hanno enormi debiti pubblici?
Si può paragonare la loro situazione con quella dell’America Latina durante la seconda metà degli anni ’80.
Per quali ragioni?
L’esplosione della crisi del debito in America Latina ha avuto luogo nel 1982. La crisi bancaria privata è scoppiata negli Stati Uniti e in Europa nel 2007-2008 e si è trasformata a partire dal 2010 in una crisi del debito sovrano dovuta principalmente alla socializzazione delle perdite delle banche private e alla riduzione delle entrate fiscali provocata dalla crisi. Nel caso europeo, così come in quello latinoamericano, vari anni dopo lo scoppio della crisi, ci troviamo in una situazione in cui i creditori privati e i loro rappresentanti si riuniscono per imporre le condizioni a tutti i governi. Fanno pressioni su di loro perché attuino politiche drastiche di aggiustamento che si concretizzano in una riduzione della spesa pubblica e una riduzione del potere d’acquisto della popolazione. Ciò porta queste economie a uno stato di recessione permanente.
Però anche nei momenti peggiori l’America Latina non ha mai raggiunto il livello di debito che attualmente ha la maggioranza dei Paesi della zona euro, che supera il 100 % del PIL.
Il livello del debito europeo è impressionante. Nel caso della Grecia si tratta del 160% del PIL, e diversi paesi dell’Unione Europea hanno un debito che raggiunge o supera il 100% della loro produzione. È chiaro che ci sono delle differenze tra le due crisi, ma nella comparazione che faccio il livello di indebitamento non è un aspetto fondamentale.
Vuol dire che la sua comparazione si accentra sulle conseguenze politiche di queste due crisi?
È naturale. Quando paragono l’Europa attuale con l’America Latina della seconda metà degli anni ottanta, voglio dire che i creditori nel caso dell’Europa, ossia le banche europee e la Troika (FMI, BCE e CE) esigono dalla Grecia misure molto simili a quelle del Piano Brady, che colpì l’America Latina alla fine degli anni ’80.
Potrebbe spiegarlo più dettagliatamente?
Alla fine degli anni ’80 i creditori dell’America Latina -Banca Mondiale, FMI, Club di Parigi, il Tesoro USA e il Club di Londra per i banchieri- riuscirono ad imporre la loro agenda e le loro condizioni. I creditori privati trasferirono una parte dei loro crediti alle istituzioni multilaterali, e agli Stati tramite la titolarizzazione, cioè trasformando crediti bancari in titoli. Un’altra parte dei crediti bancari subì una riduzione e fu trasformata in nuovi titoli con un tasso d’interesse fisso. Il Piano Brady ebbe un ruolo importante sia nella difesa dei banchieri che nell’imposizione dell’austerità permanente. Il piano di salvataggio della Grecia è molto simile: si riduce lo stock dei debiti, ci sarà un interscambio di titoli con le banche europee rimpiazzandoli, come nel Piano Brady, con nuovi titoli. Le banche private riducono in questo modo i loro crediti con la Grecia (o Portogallo, Irlanda…) come lo avevano fatto con l’America Latina. Progressivamente e in modo massiccio, i creditori pubblici si predispongono ad esercitare un’enorme pressione per far sì che il rimborso dei nuovi titoli che possiedono le banche sia effettuato interamente. In questo modo la totalità dei fondi prestati alla Grecia andrà al pagamento dei debiti. Allo stesso tempo, questi creditori pubblici (la Troika) esigono un’austerità permanente in termini di spesa sociale dello Stato, di privatizzazioni massicce, di una regressione in materia di diritti economici e sociali mai vista in 65 anni (ossia, dalla fine della seconda guerra mondiale) e un abbandono sostanziale della sovranità da arte dei Paesi che hanno la disgrazia di aver bisogno di credito. In America Latina, questo periodo è stato definito «la lunga notte neoliberista».
I creditori inoltre obbligarono i Paesi dell’America Latina a ridurre i salari, le pensioni, la spesa sociale e a piegarsi religiosamente al pagamento del debito.
E questa è la ragione per cui dico che siamo nella stessa situazione. In Europa il problema non colpisce ancora tutti i Paesi, ma i più deboli come Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna, Ungheria, Romania, le repubbliche baltiche e la Bulgaria. Tuttavia in questi Paesi messi insieme vivono circa 170 milioni di persone su una popolazione totale dell’Unione Europea di circa 500 milioni. La maggior parte degli altri Paesi europei applica a un livello più basso politiche sociali estremamente conservatrici: Regno Unito (62 milioni di abitanti), Germania (82 milioni di abitanti), Belgio (10 milioni di abitanti), Francia (65 milioni di abitanti)…
La conseguenza politica della crisi del debito in America Latina fu la creazione dello Stato neoliberista. L’Europa sta andando nella stessa direzione?
Non è una novità. Le politiche neoliberiste vengono attuate in Europa già da trent’anni. È evidente che la risposta alla crisi del FMI, dei governi che rappresentano le classi dominanti, delle grandi banche e delle grandi imprese industriali consiste nell’attuazione di una terapia dello shock come quella descritta da Naomi Klein. Il suo obiettivo è quello di completare il progetto neoliberista intrapreso da Margaret Thatcher nel 1979-1980 in Gran Bretagna e che progressivamente si è esteso all’Europa durante gli anni ottanta. Per i Paesi dell’Europa centrale e dell’Est, ex membri del blocco sovietico, si tratta della seconda terapia dello shock in 25 anni.
Ma in Europa continua ad esistere lo Stato sociale.
Come ho appena detto, i governi hanno cominciato un lavoro di distruzione del Patto sociale e delle conquiste popolari del periodo 1945-1980. È ciò che ha iniziato Margaret Thatcher. Dopo la seconda guerra mondiale, per trenta-trentacinque anni, i popoli d’Europa avevano accumulato conquiste e avevano ottenuto uno Stato sociale, con un sistema di protezione sociale molto solido: contratti collettivi, diritti del lavoro, ecc. che proteggeva i lavoratori e riduceva in modo significativo il lavoro precario. La Thatcher volle distruggere tutto questo ma dopo trent’anni di politiche neoliberiste in Europa, questo lavoro non è stato portato a termine, cosicché ne rimangono ancora dei resti.
E la crisi del debito è l’opportunità di consolidare quello che aveva iniziato la Thatcher.
La crisi permette una terapia dello shock come quella realizzata dai creditori e dalle classi dominanti in America Latina negli anni ’80 e ‘90.
In Perù è stata attuata nell’agosto del 1990.
Abbiamo assistito allo sviluppo di una fase che comprende una nuova ondata di privatizzazioni delle imprese pubbliche. In Europa verranno privatizzate le imprese pubbliche che ancora rimangono.Eurozona, di Paolo Lombardi
Verrà applicata in Europa la stessa dottrina della sicurezza che fu attuata in America Latina, dove i sindacati venivano definiti terroristi?
È evidente che l’autoritarismo nel modo di esercitare il potere sta aumentando in Europa. Durante questi ultimi anni sono già entrate in vigore leggi che criminalizzano i movimenti sociali, leggi antiterrorismo. La repressione aumenta ma non assume la forma dell’eliminazione fisica degli attivisti come nei peggiori momenti in America Latina, alla fine degli anni ’70 e al principio degli anni ‘80. Ciò nonostante, la situazione europea somiglia a quella dei Paesi latinoamericani. Dopo le sanguinose dittature (Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, dagli anni ’70 all’inizio degli anni ’80) si insediarono regimi di transizione (Cile, Brasile) o democrazie che attuarono una politica neoliberista molto dura. In Europa viviamo un periodo di marginalizzazione del potere legislativo, di instaurazione di governi tecnici (come in Italia), di abbandono del dialogo sociale combinato con i tentativi di restrizione del diritto di sciopero, alla limitazione dei picchetti formati dagli scioperanti per bloccare l’entrata delle fabbriche, di repressione delle manifestazioni.
Come reagiscono i parlamenti nazionali di fronte a questo pacchetto di misure?
I parlamenti europei sono marginalizzati dato che la Troika manda il seguente avvertimento ai governi: «Se volete crediti, è necessario che mettiate in atto misure di aggiustamento e non c’è tempo per deliberazioni in parlamento». Alcuni piani si devono adottare nello spazio di pochi giorni, anche di 24 ore.
Come abbiamo visto in Grecia.
È ciò che è appena successo in Grecia. La Troika ha preteso un piano. Alla fine si è ottenuta l’approvazione da parte del parlamento greco, la notte di domenica 12 febbraio. Ma il giorno dopo il commisario europeo per gli Affari Economici ha annunciato che mancavano 325 milioni di euro di tagli supplementari e ha concesso 48 ore di tempo al governo greco. Questo dimostra che il parlamento greco non ha alcun potere decisionale e che il governo è tutelato dalla Troika.
Questo ha dato luogo a una gigantesca manifestazione.
Ma non soltanto in Grecia, ci sono grandi manifestazioni anche in Portogallo, Spagna, Francia, Italia, al momento con una minore intensità, ma che si rafforzeranno. Inoltre ci sono mobilitazioni in numerosi Paesi d’Europa, inclusa la Gran Bretagna. In Belgio, abbiamo avuto nel gennaio 2012 il primo sciopero generale in 18 anni. Lo sciopero ha paralizzato l’economia belga e i trasporti per 24 ore.
Cosa deve fare la Grecia per uscire dal problema?
La Grecia deve smetterla di sottomettersi agli ordini della Troika e sospendere unilateralmente il pagamento del suo debito per obbligare i creditori a negoziare a condizioni per loro sfavorevoli. Se la Grecia sospende il pagamento come ha fatto l’Ecuador nel novembre 2008, tutti i possessori di buoni li venderanno al 30% (o meno) del loro valore nominale. Questo metterà in difficoltà i possessori di titoli, cosa che darà più forza al governo greco [per imporre le sue condizioni], anche in una situazione così difficile.
L’Ecuador sospese il pagamento dei suoi titoli nel novembre 2008 dopo un processo di audit, ma non si trovava nella stessa situazione della Grecia. L’Argentina sospese il pagamento nel 2001 in una situazione simile a quella greca.
Il paragone è più indovinato con l’Argentina che non aveva liquidità per pagare. Sospese il pagamento e non lo riprese per tre anni (dal dicembre 2001 al marzo 2005) per quanto riguarda i mercati finanziari e finora rispetto al Club di Parigi (ossia più di 10 anni). Così facendo, l’Argentina riuscì a ricominciare la crescita economica e impose ai creditori una rinegoziazione del debito con un taglio del 60%.
Questo ebbe come conseguenza l’esclusione dell’Argentina dai mercati finanziari, che prosegue.
È vero, anche se l’Argentina pur esclusa dai mercati finanziari da 10 anni e non pagando nulla al Club di Parigi, da 10 anni ha anche una crescita annuale media dell’8%. Questo dimostra che un Paese può avere fonti alternative di finanziamento rispetto ai mercati finanziari. Neanche l’Ecuador emette nuovi titoli sui mercati ed ha avuto una crescita del 6% en 2011, mentre la Grecia ha sofferto un calo del 7% del suo prodotto interno lordo.
Ma l’Ecuador si sta endebitando con la Cina a tassi d’interesse molto alti.
È vero. È necessario trovare il modo di mantenere la sovranità rispetto a queste nuove fonti di finanziamento. È per questo che bisogna accelerare l’avvio della Banca del Sud.
Torniamo alla Grecia: gran parte degli analisti, lei compreso, sostiene che gran parte del debito greco è illegittimo.
Naturalmente.
Ma soltanto un audit può dimostrarlo.
Una parte del movimento sociale europeo ha imparato la lezione dell’esperienza latinoamericana. Abbiamo fatto la proposta di un audit dei cittadini sul debito che ha avuto un’eco enorme. Ci sono audit dei cittadini in corso o sul punto di iniziare in 7 Paesi europei (Grecia, Francia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia e Belgio) e senza l’appoggio dei governi.
Lei crede che questo sfocerà, soprattutto nel caso greco, in un audit ufficiale?
Vedremo. questo implica un cambiamento di governo, cioè ci sarebbe bisogno che il movimento sociale fosse abbastanza forte da farla finita con le soluzioni governative favorevoli ai creditori e arrivare a un governo alternativo.
Però manca molto per arrivare a cambiare l’orientamento dei governi europei, come quello della Grecia.
Effettivamente siamo in una crisi che può durare 10 o 15 anni. Siamo soltanto nella prima fase della resistenza. Sarà durissima. Con urgenza, i movimenti sociali devono riuscire ad esprimere nei fatti una solidarietà attiva con il popolo greco e creare una piattaforma comune europea di resistenza all’austerità con l’obiettivo di ottenere l’annullamento dei debiti illegittimi.Per concessione di Senza Soste
Fonte: http://www.cadtm.org/Eric-Toussaint-Union-Europea-Una