Home

venerdì 18 maggio 2012

SARDINYA: «Indipendenza, fine di un tabù»


FORUM UNIONE SARDA VIDEOLINA
«Dopo sessant'anni di inutile autonomia i sardi non hanno più paura dell'indipendenza». Lo sostiene il consigliere regionale Claudia Zuncheddu (nella foto), fondatrice del movimento Sardigna libera.




E' Claudia Zuncheddu, ex Psd'Az e Rossomori, oggi Sardigna libera, unico consigliere regionale ufficialmente indipendentista, la protagonista della settima puntata del forum organizzato dall'Unione Sarda in collaborazione con Videolina.
C'era una volta l'indipendentismo di bandiera, quasi orgoglioso della sua percentuale elettorale inchiodata sull'uno virgola qualcosa. Intransigente, idealista, forse un po' fondamentalista. «Ma oggi non è più possibile una politica di sola testimonianza», osserva Claudia Zuncheddu, che pure di suo è anche idealista e intransigente: «Ora l'indipendentismo deve incidere realmente sui destini del popolo sardo, e per farlo deve entrare nelle istituzioni».

Se c'è già, almeno in Consiglio regionale, è proprio grazie a lei: eletta tre anni fa nelle liste dei Rossomori, poi protagonista di un percorso che l'ha portata a fondare - novità freschissima - “Sardigna libera”. Movimento dichiaratamente in favore dell'indipendenza della Sardegna, come conferma la stessa Zuncheddu durante il settimo forum dell'Unione Sarda e di Videolina sulle questioni dell'identità e dell'autonomia: «La nascita di Sardigna libera non va contro nessuno e non fa concorrenza a nessuno. Semmai concorre insieme ad altri soggetti alla creazione di processi che portino il popolo sardo a rompere il dominio coloniale italiano».


«No al Galsi e alla chimica verde: sono nuove  forme di colonizzazione»
Le bonifiche dei siti industriali e militari alla base dello sviluppo






Il nemico è un tubo. Si nasconde sottoterra, corre da una parte all'altra dell'Isola, ne sventra le viscere. La impoverisce a propri fini, almeno così la pensa Claudia Zuncheddu.
Il nemico è il Galsi, il metanodotto che arriverà dall'Algeria e poi, partendo dal Sulcis, attraverserà la Sardegna fino a Olbia. Da lì si ritufferà in mare per portare il gas fino alla Toscana. E questa, per la consigliera regionale indipendentista, è una prova di quel che lei dice da mesi, facendo una durissima opposizione al progetto del gasdotto: «Lo costruiscono solo per portare il gas algerino nel nord Italia. Lo abbiamo persino scritto nella Finanziaria regionale, nel momento in cui abbiamo deciso di stanziare 150 milioni di euro per quell'opera».


Non trova giusto che la Sardegna contribuisca?«No, perché i sardi non ne ricaveranno nessuna convenienza. Sarà una grande opera inutile, a noi creerà solo danni ambientali».
Che tipo di danni?«Distruggerà il territorio, sottrarrà altri spazi all'agricoltura, travolgerà siti archeologici, sbarrerà corsi d'acqua determinando ulteriori rischi idrogeologici».
Ma finalmente non saremo più l'unica regione senza metano.«Il metano ci sarebbe servito venti o trent'anni fa, quando c'era davvero l'industria. I vertici di Sonatrach, i padroni del gas algerino, hanno ammesso che le loro riserve potrebbero esaurirsi in quindici anni. Per farlo durare di più, probabilmente, dovranno raddoppiare le tariffe».
Il problema di abbattere i costi energetici nell'Isola però c'è ancora.«Ma non può essere quella la soluzione. Tra l'altro c'è un problema ulteriore: chi pagherà i costi per creare la rete di distribuzione nell'Isola, in un territorio così vasto e poco popolato?»
Lei che risposta si è data, a questo interrogativo?«La risposta l'ho chiesta al presidente della Sfirs, quando è stato sentito in commissione in Consiglio regionale. E lui ha detto: si pagherà con la bolletta, come per l'Enel. Insomma, ancora una volta il peso ricadrà sulle famiglie sarde».
Qual è allora la vostra proposta su questi temi?«La sovranità energetica è un problema enorme per la Sardegna. Pensiamo invece a interrompere lo sfruttamento delle nostre risorse: vento e sole arricchiscono solo le multinazionali. Devono tornare nelle mani del popolo sardo. Con le nuove tecnologie e le fonti rinnovabili, il metano non ci serve più».
Quale sviluppo economico immagina per l'Isola?«Quello più armonico col nostro ambiente e le nostre vocazioni naturali. Che parta da una rinaturalizzazione dei siti industriali e militari. Il poligono di Quirra è il più vasto d'Europa, 12mila ettari. Potrebbe diventare un eccellente centro di studi naturalistici e di progetti di protezione civile per tutto il bacino mediterraneo».
Un'economia basata sulle bonifiche?«Le bonifiche sarebbero il primo passo. La nostra economia dovrà basarsi sul recupero e il rilancio delle attività tradizionali: la pastorizia, l'agricoltura. La pesca: il mare è una risorsa non sfruttata».
E l'industria?«Non sono contraria a ogni tipo di attività industriale. Ma non è più il tempo di quell'industria che ha inquinato e creato malattie, per poi scappare via lasciandoci poveri».
Potrebbe andarle a genio la cosiddetta chimica verde, allora.«Ma per carità. Di verde non ha proprio nulla. Quel progetto nasce solo perché non si vogliono fare le bonifiche a Porto Torres. Di fatto, nasconde l'importazione di rifiuti».
In che senso? Dovrebbe essere alimentata da fonti biologiche.«Già, dai cardi. In teoria. Quindi il nostro territorio diventerà una monocoltura di cardi. Ma neppure coltivandoli anche sui tetti delle nostre case avremmo la quantità sufficiente ad alimentare l'ecomostro, che di fatto è un enorme inceneritore. Vedrete che poi ci sentiremo dire che sono costretti a importare rifiuti da bruciare».
Altro problema cruciale, i trasporti. Quali soluzioni auspica?«La nostra insularità, che poteva essere una risorsa, è stata trasformata in un inferno. Con la scusa della continuità territoriale, siamo stati usati».
Da chi?«Dall'Italia, dall'Europa, dalle compagnie aeree. La Regione Sardegna dovrebbe promuovere una propria flotta aerea e navale, con partecipazione istituzionale, a capitale misto pubblico-privato».
Quindi approva la flotta sarda voluta da Cappellacci.«Quel tentativo mi convince poco perché ha concretizzato poco: vorrei conoscere i risultati veri. E poi, quando si parla della questione dei trasporti, non si guarda mai alle coste sud del Mediterraneo».
Invece, secondo lei, sarebbe conveniente guardare da quella parte?«Beh, in passato la Sardegna aveva rapporti commerciali strettissimi con il Maghreb. Nei primi del '900 si stampavano, a Cagliari, diverse testate in lingua araba».
E questo con i trasporti cosa c'entra?«I ponti commerciali sono stati tagliati proprio dall'assenza di collegamenti. Prima per andare a Tunisi da Cagliari bastavano sette ore, con un traghetto diurno. Poi è stata creata la Cagliari-Trapani-Tunisi: 22 ore. Adesso l'unico collegamento parte da Genova e passa da Palermo, con una sosta di 12 ore. In pratica, dalla Sardegna arrivi a Tunisi in tre giorni».
I mercati del Maghreb non sono ricchissimi. Davvero sarà utile puntarci?«Io vedo una Sardegna proiettata nel mondo, ma anzitutto nel Mediterraneo. La politica europea, nei confronti dei Paesi nordafricani, è ancora di stampo coloniale, poco lungimirante. Sono Paesi con mille difficoltà, ma hanno petrolio, uranio, materie prime. Il Mali, che è uno dei più poveri, ha l'oro».
Cioè lei immagina un loro sviluppo futuro, che li renderà interessanti anche come mercati?«Di sicuro la Sardegna dovrebbe iniziare a intessere nuove relazioni commerciali, che potrebbero aprire strade proficue nei prossimi decenni. Sarebbe anche un modo per creare varchi di sovranità nelle relazioni internazionali, ma senza entrare in rotta di collisione con le leggi italiane e comunitarie».
Nelle vostre idee per il futuro dell'Isola, che ruolo avrebbe la limba?«Il problema linguistico è molto complesso. La lingua ce l'hanno tagliata, ce ne hanno fatto vergognare. Praticamente è stata seppellita. Adesso siamo in una fase di dissepoltura. Il primo passo è tornare a insegnarla nelle scuole».
Nella versione della limba sarda comuna?«L'idea di una limba unica è affascinante, ma forse non ancora di immediata applicazione. Io sono comunque per la conservazione di tutte le varianti. Servirebbe una tv in limba, magari una Rai sarda».