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sabato 9 giugno 2012

Rivoluzione d'ISLANDA a RE-AZIONE


ISLANDA
By Deena StrykerDaily Kos
http://www.dadychery.org/2011/12/18/iceland-ongoing-revolution/



"Ci hanno detto che se abbiamo rifiutato le condizioni della comunità internazionale, si sarebbe divenuti la Cuba del Nord. Ma se avessimo accettato, ci sarebbe diventati la Haiti del Nord. "

Bandiere del Che e l'Islanda a proteste anti-austerity.

La storia di un programma radiofonico italiano, sulla rivoluzione in corso l'Islanda è un meraviglioso esempio di quanto poco i nostri media ci racconta il resto del mondo. 


Gli americani possono ricordare che all'inizio della crisi finanziaria del 2008, l'Islanda è andata letteralmente in bancarotta. I motivi sono stati citati solo di sfuggita, e da allora, questo poco conosciuto membro dell'Unione europea ricadde nel dimenticatoio. 


Da quattro anni in Islanda - quell’isola glaciale attribuita all’Europa, che riposa in mezzo all’Atlantico del Nord, con appena 300.000 abitanti - succedono cose interessanti e nuove che non appaiono sui media corporativi dell’Occidente, confermando la manipolazione inesorabile di cui l’umanità è oggetto per il controllo che, sui mezzi di stampa mondiali, esercitano la super-potenza e le oligarchie ad essa legate. 


 In Islanda non ha avuto luogo una rivoluzione sociale, ma è successo qualcosa di quasi altrettanto grave per l’alta gerarchia della finanza: una rivoluzione contro la tirannia delle banche capitaliste in un mondo globalizzato con radici che portano inesorabilmente a Wall Street. 


 Anche se, grazie alle sue centrali geotermiche, l’Islanda gode di grande indipendenza energetica, il paese dispone di scarse risorse naturali e la sua economia, dipendente per un 40% dalle esportazioni della pesca, è per questo molto vulnerabile. 


Come gli altri paesi europei, si era indebitata con la speculazione bancaria per vivere al di sopra delle sue possibilità reali nel sistema finanziario neoliberista spinto dagli Stati Uniti, ai quali ora l’economia reale sta presentando il conto 


Per far fronte agli effetti di una crisi devastatrice, quattro anni fa il suo governo nazionalizzò le principali banche del paese e, per rappresaglia, Londra congelò tutti gli attivi di 300.000 clienti britannici e 910 milioni di euro investiti nelle banche islandesi da amministrazioni locali e enti pubblici del Regno Unito. 


L’isola dovette investire 3.700 milioni di euro di denaro pubblico per rimborsare quei clienti. Con un debito bancario islandese equivalente a parecchie volte il suo PIL, la moneta perse valore, la Borsa sospese le sue attività e il paese andò in bancarotta. Proteste di massa davanti al Parlamento a Reykjavik, la capitale islandese, obbligarono nel 2009 a convocare elezioni anticipate che, a loro volta, provocarono le dimissioni del Primo Ministro conservatore e di tutto il suo governo in blocco. 


Un progetto di legge, ampiamente dibattuto in parlamento, ipotizzava di scaricare su tutti i cittadini dell’isola il rimborso alle banche britanniche e danesi del debito di 3.500 milioni di euro, che avrebbero dovuto essere pagati mensilmente per i prossimi 15 anni. La popolazione scese nelle strade chiedendo di sottoporre a referendum tale legge. 


Il Presidente non lo accettò e non la ratificò, nonostante che il progetto contasse su 44 dei 66 voti in Parlamento. Venne convocato il referendum e il NO al pagamento ottenne il 93% dei voti. 


Davanti ad una tale vittoria della rivoluziona pecifica islandese, il Fondo Monetario Internazionale congelò ogni aiuto all’Islanda finchè non si fosse risolto il problema del pagamento del debito. 


 Il governo dispose un’inchiesta per accertare le responsabilità della crisi e cominciarono gli arresti dei banchieri e degli alti dirigenti. L’Interpol emise un ordine di cattura e tutti i banchieri implicati abbandonarono il paese. 


In questo contesto viene eletta un’assemblea per redarre una nuova Costituzione, che raccolga le lezioni apprese dalla crisi e che sostituisca quella attuale. Per questo si ricorre direttamente al popolo sovrano, rappresentato da 25 cittadini senza affiliazione politica eletti tra 522 candidati proposti. 


L’assemblea costituente lavora dal febbraio 2011 ad un progetto di Charta Magna a partire dalle raccomandazioni raggiunte in varie assemblee celebrate in tutto il paese. Il progetto dovrà poi essere approvato dal Parlamento attuale e da quello che si costituirà dopo le prossime elezioni legislative. 


 La ripresa economica sperimentata dall’isola dopo essersi liberata dal carico parassitario del debito con le banche viene vista dalle cupole capitlistiche europee come un esempio pericoloso per paesi chiamati “morosi” come la Grecia e l’Irlanda. 


Soprattutto perchè i recenti successi che l’Islanda ha avuto hanno portato molti economisti a ritenere che sia stato proprio il collasso delle banche ciò che più ha favorito tali successi. Non solo perchè l’economia islandese non è crollata con la soluzione alla crisi del non pagamento del debito, ma perchè il 2011 si è chiuso con una crescita del 2,1% che diventerà dell’1,5% nel 2012, cifra che triplica quella dei paesi della zona euro. 


Gran parte di questa crescita si basa su incrementi produttivi, principalmente nel settore turistico e nell’industria della pesca. Ciò contrasta con il quadro che mostrano altre economie europee, rallentate o in declino. 


L’Islanda ha dimostrato che, con il recupero della sua sovranità, giustizia e dignità sono andate di pari passo. Politici e banchieri corrotti sono stati processati. E, quale riaffermazione della sua indipendenza, l’Islanda è diventata – lo scorso ottobre – il primo paese europeo a riconoscere la Palestina come nazione indipendente, qualcosa che nessun paese sottomesso al giogo della banca internazionale capitalista ha potuto fare.

Bustianu Cumpostu: «Non era il momento giusto»

Bepi Anziani
www.unionesarda.it


Per il leader di Sni, Bustianu Cumpostu, l'iniziativa referendaria era prematura «Non era il momento giusto» 
 Ma per Sardigna Natzione è l'ennesimo sopruso ai sardi
«L'indipendentismo sta diventando un concetto collettivo, un qualcosa di accettabile. Ora è il momento di fare un salto in avanti e farlo diventare un concetto delegabile, la vera alternativa ai partiti italiani». Bustianu Cumpostu ha appena lasciato la scuola nuorese dove insegna ed era impegnato nei primi scrutini di fine anno ma si ferma senza indugio a parlare di Sardegna, indipendentismo, zona franca e della dichiarazione di non ammissibilità della proposta di referendum della Repubblica di Malu Entu da parte dell'ufficio regionale.
«Noi non eravamo d'accordo con Doddore Meloni -dice il leader di Sardigna Natzione - non nella sostanza naturalmente ma perché non era il momento per proporre il quesito referendario. L'indipendenza è un lavoro collettivo, dove è necessario il coinvolgimento di tutto il popolo sardo. L'iniziativa di Doddore ci è sembrata pericolosa per l'indipendentismo, sbagliata nella forma e nei tempi».
Quindi alla fine è meglio che l'iniziativa non sia andata avanti...«Non dico questo. Dico solo che oggi non si poteva aspirare a raggiungere il risultato sperato che è poi quello di allargare la schiera di coloro che ci credono. Ciò non toglie che la mancata ammissibilità del referendum sia l'ennesimo sopruso dello stato italiano nei confronti del popolo sardo che non è nemmeno libero di esprimere un parere su un tema così importante».
Come è possibile oggi immaginare di conquistare per la Sardegna l'indipendenza dall'Italia?«È possibile solo attraverso quella grande invenzione che si chiama Europa. I sardi non devono trattare con l'Italia, ma porsi come interlocutori delle altre nazioni europee. Tutto ciò che un tempo era guerra oggi è politica. Tutto ciò che prima si conquistava in battaglia oggi si conquista attraverso la possibilità data al popolo di esprimersi tramite i suoi rappresentanti nelle istituzioni. La Sardegna è più Europa che non Italia. L'Italia è per noi una gabbia che ci separa dall'Europa e dal Mondo. L'indipendenza della Sardegna non arriverà da una contrattazione con l'Italia. L'Europa deve portare la questione delle nazioni senza stato sullo stesso tavolo dove si risolvono pacificamente le questioni tra stati-nazione».
«Se si vuole costruire un'Europa moderna» riprende Cumpostu, «basata sulla libera adesione e condivisione dei popoli che ne fanno parte sarà necessario riconoscere le rivendicazioni d'indipendenza delle nazioni senza stato e riconoscere loro una soggettività indipendente».
Ma se la politica non è stata capace nemmeno di mettere in piedi un modello di zona franca o di vantaggi fiscali per la Sardegna come è possibile che ora possa favorire una spinta indipendentista?«Guardi, io penso che un modello tradizionale di zona franca applicato dallo stato italiano alla Sardegna possa essere addirittura improduttivo per il nostro popolo. Noi siamo più per un sistema misto di zona franca e punti franchi attraverso il quale possano essere superate le molte disparità che esistono fra la Sardegna e l'Italia e fra le diverse zone della Sardegna. Un punto franco in una zona agricola dell'interno porterebbe una fiscalità di vantaggio enorme. Pensate se potesse produrre esclusivamente per l'industria turistica costiera. Quel poco di ricchezza che esiste nell'isola è concentrato vicino al mare. Le zone dell'interno devono quindi essere aiutate a superare questo gap con l'introduzione di uno strumento come il punto franco».
Una battaglia per la quale l'appoggio del Consiglio regionale e della Giunta sarebbe indispensabile.«Sì. Ma non ci possiamo contare troppo. Noi con la Regione abbiamo solo rapporti di carattere istituzionale. Abbiamo avuto piacere che il presidente Cappellacci abbia condiviso con noi la battaglia per il referendum sul nucleare ma per il resto non ci sentiamo coinvolti. Per noi che alla guida della Regione ci sia il centro destra o il centro sinistra è assolutamente indifferente. L'indipendentismo non può essere che laico, qualsiasi forma di indipendentismo confessionale è incompatibile con gli interessi della nazione che dell'indipendentismo vuole fare strumento di liberazione nazionale».
Di conseguenza siete anche indifferenti al dibattito di questi giorni in Consiglio regionale che vede duramente contrapposte le diverse anime del Pdl ed il Presidente Cappellacci?«È un teatrino. Tentano di far cadere la giunta Cappellacci per poter votare ancora con la legge elettorale in vigore, in modo da non perdere nessuno dei privilegi legati al vecchio schema a cominciare dalla spartizione delle poltrone».

Commenti :
ProgReS

«Allarme democratico nell'Isola»

La bocciatura del referendum di Maluentu è «negativa», e «deve suscitare un allarme democratico nei sardi». È la posizione di Progres, che pure aveva «a suo tempo espresso dubbi sull'opportunità» dell'iniziativa, ma aveva anche «preso atto con soddisfazione della riuscita della raccolta firme. Preoccupa la denegata democrazia da parte dell'Ufficio dei referendum, che ha agito in termini politici».