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mercoledì 9 gennaio 2013

Sardinya nucleare: Quirra? Discarica abusiva


LANUSEI. Scintille di fronte al gup: studi medici per contestare le accuse
www.unionesarda.it
si.l.)

Quirra? Discarica abusiva




I difensori: «Torio pericoloso solo se iniettato»

La Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito "non ha acquisito alcun elemento" circa la presenza di tracce del metallo nelle aree dei poligoni di tiro.
La Commissione non ha elementi per mettere in dubbio quanto dichiarato dal ministero della Difesa, che sostiene di non aver mai usato, posseduto o stoccato in Italia munizionamenti all'uranio impoverito. E dunque è impossibile asserire o escludere con certezza la sussistenza di un nesso causale tra l'esposizione all'uranio impoverito e l'insorgere di patologie tumorali. Sono le conclusioni cui è giunta la Commissione del Senato e che sono state illustrate dal presidente, Giorgio Rosario Costa.


LE REAZIONI - "Dopo la terza commissione di inchiesta nessuna risposta è arrivata ai familiari degli oltre 200 morti e degli oltre 2500 militari italiani (dati assolutamente parziali) malati per possibile contaminazione da uranio impoverito". Lo afferma il legale dell'Associazione Vittime Uranio, Bruno Ciarmoli, commentando la relazione finale dell'organismo parlamentare. "I risultati finali dell'ultima commissione - continua l'avvocato - sono assolutamente deludenti, non è stata fatta nessuna chiarezza su: malformazioni alla nascita, mancata adozione di misure di protezione per il personale italiano, ragion per cui la Difesa è stata condannata più volte a risarcimenti talvolta milionari in sede civile, errori nella concessione dei benefici previsti dalla legge, che hanno portato a un vero e proprio caos".


Secondo Ciarmoli "i risultati sulle indagini nei poligoni, quello di Salto di Quirra in Sardegna su tutti, appaiono infine in contrasto con quanto sta emergendo dall'inchiesta della procura di Lanusei che ha riscontrato tracce di torio (ben più pericoloso dell'uranio) nei cadaveri di pastori ed ex militari venuti in contatto con il poligono. Insomma, non ci resta che continuare a fare affidamento alla magistratura".


Il poligono non è inquinato, è il pm che lo disegna così. Per questo sarebbe stato più opportuno un processo per discarica abusiva, non certo per disastro ambientale. E il torio? «Pericoloso solo se iniettato, non se inalato o ingerito». Con questi e altri argomenti i difensori degli indagati per i veleni di Quirra hanno contestato l'impianto accusatorio del pm Domenico Fiordalisi. Ieri di fronte al gup Nicola Clivio è stato il turno di Leonardo Filippi e Andrea Chelo, difensori di Pierluigi Cocco, medico al poligono, sotto accusa per avere, secondo il pm: “eliminato il test di piombo ematico dalle analisi dei militari e non aver prescritto loro le misure precauzionali di base”. 

LE TESI 
Filippi e Chelo hanno fatto riferimento ad una vasta letteratura medica, citando due diversi studi dell' Institute for cancer research sulla relazione di alcuni elementi chimici con incidenza delle patologie tumorali. Studi dal quale emergerebbe la non pericolosità del torio, la cui presenza sulle terre del poligono è uno dei capisaldi dell'accusa. Elementi utili a minare il reato di disastro ambientale, sul sentiero tracciato da tutti i legali dei venti indagati che uno dopo l'altro hanno disseminato di dubbi le radici dell'inchiesta. Quella sul poligono delle esplosioni, delle morti per tumore, sulle presunte responsabilità, sui silenzi Nato. Veleni venuti a galla dopo anni di segreti.


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SENZA POTERE 
In aula ha parlato anche Stefano Oliva, legale di Vincenzo Mauro, membro della commissione del Ministero della Difesa, che ha anche lui insistito sulla non configurabilità del reato di disastro ambientale prima di disegnare la posizione del suo assistito nell'ambito della commissione difesa come non in grado di influenzarne le decisioni.

ULTIMA UDIENZA 
Si tornerà in aula il prossimo 17 gennaio per la conclusione delle arringhe dei difensori. Prenderà la parola Francesco Caput, avvocato dello Stato e difensore di dieci indagati, i militari che si sono avvicendati al comando delle base. A quel punto il gup Nicola Clivio concederà due settimane per permettere agli uffici di permettere agli uffici di disporre la trascrizione dei verbali, che verranno messi a disposizione del pm. Quindi fisserà l'udienza per le eventuali repliche. 

I TEMPI 
L'intento è quello di chiudere l'udienza preliminare entro febbraio, quando si conoscerà il destino degli indagati Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois, Fulvio Francesco Ragazzon, Giuseppe Di Donato, Vittorio Sabbatini, Vincenzo Mauro, Francesco Riccobono, Giuseppe Protano, Fabio Baroni, Antonello Luigi Di Lella, Gilberto Nobile, Gabriella Fasciani, Pierluigi Cocco, Walter Mura, Walter Carta. 

.:: I poligoni di Deci ::.
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STORIA DE SARDINYA: La rivolta contro il Re in una Sardegna oppressa dalla fame


Est berus ca est passau meda tempus de s'aregodu, ma est de imporu mannu ndi chistionai et arrexonai de is patriotas de Palabanda

Sa Defenza


La rivolta contro il Re in una Sardegna oppressa dalla fame

Nel 1812 un gruppo di borghesi cagliaritani già protagonisti della “Sarda Rivoluzione” cercano di cacciare i piemontesi
di Luciano Marroculanuovasardegna
Palabanda è una valletta che si allunga sotto il fianco occidentale di Castello, laddove Stampace, prima di aprirsi verso la campagna, si attarda in un succedersi di orti e frutteti, punteggiati da capanni per attrezzi, alcuni dei quali negli ultimi tempi -siamo nel 1812- hanno l'aria di moderne case di villeggiatura. Ad arricchire lo spirito del luogo le rovine dell'Anfteatro, testimone di un'antica grandezza. Ci sono poi, in abbondanza, pozzi e cisterne ciò che consentirà più tardi la nascita proprio a Palabanda dell'Orto botanico cagliaritano.
Nonostante i suoi orti, le sue verzure e quel suo essere quasi campagna, Palabanda è parte integrante di Stampace, il quartiere che sorge ai piedi di Castello, dalla parte del bastione di Santa Croce. Da Castello, scendere a Stampace è questione di un attimo. Eppure passata la Porta Reale, che mette in comunicazione i due quartieri, si ha l'impressione di entrare in un mondo a parte. Stampace è nata nel XII secolo, al momento della prima fortificazione di Castello, raccogliendo artigiani e capimastri pisani. Poi è stato popolato da sardi. Gli stampacini del primo Ottocento, così come i loro antenati, hanno fama di spiriti liberi. Da Stampace è partito il 28 aprile 1794 lo "scommiato" dei piemontesi, la loro cacciata in altre parole.
Abbiamo capito che Palabanda è un luogo magico: non più città non ancora campagna, rovine, case di vacanza, il tutto a un tiro di schioppo dal centro di Cagliari. Viene in mente Gesù che, volendo meditare nel deserto, trova il deserto della Giudea appena fuori da Gerusalemme. Palabanda, mettiamola così, è un posto per meditare, e i "congiurati" hanno questo vizio: gli piace meditare in gruppo. Lo fanno nella casa di Salvatore Caddeddu. "All'ombra di due cipressi -scriverà più tardi il canonco Spano- seduti tutti, solevano biasimare gli atti del Governo e quindi meditavano di farlo crollare." Forse, la "congiura" è soprattutto questo, ragionare in gruppo su come far crollare il Governo.
Il capo è Salvatore Cadeddu, un avvocato sessantenne, che nella 'Sarda Rivoluzione' del 1793-96 ha avuto un ruolo di primo piano. Per capire cosa sa essere la nascente borghesia cagliaritana, di cui Cadeddu fa parte, si può partire dalla sua famiglia. Luigi e Gaetano, i figli più grandi, sono rispettivamente delegato di giustizia e avvocato: parteciperanno alla congiura. Il fratello di Salvatore Cadeddu, Giovanni, è il tesoriere dell'Università di Cagliari. Partita la repressione, sarà tra gli arrestati. Rimarrà fuori dalla congiura il terzo dei figli di Salvatore, Efisio, al quale i precedenti familiari non impediranno di diventare presidente del Tribunale di Cagliari. Ci sono poi preti e artigani. Tra questi ultimi, Raimondo Sorgia e Giovanni Putzolu. Arrestati, verranno anche loro impiccati. Il pescatore Ignazio Fanni, subirà una condanna a morte in contumacia. Il panettiere Giacomo Floris morirà in carcere.
Quella che autorità politiche e magistrati chiameranno "congiura di Palabanda" altro non è che un progetto di ripetere, a diciotto anni di distanza, lo "scommiato" dei piemontesi. Allora gli stampacini poggiarono lunghe scale sulle mura del Balice ed entrarono a Castello, arrivando sino al palazzo del viceré. Questa volta i cospiratori contano sulla complicità di chi nella notte tra il 30 e il 31 ottobre aprirà loro la porta di Sant'Agostino, che conduce a Marina, da dove poi saliranno a Castello. Tra i loro obiettivi, sembra esserci quello di arrestare Giacomo Pes di Villamarina, che si è segnalato per la burocratica ferocia con cui, prima da comandante della Piazza di Sassari poi da Generale delle Armi del Regno, ha represso ogni forma, anche puramente teorica, di opposizione. Insomma il progetto prevede un'insurrezione in piena regola, accesa da una agguerrita avanguardia.
Quali che siano le intenzioni e i piani dei congiurati, le cose vanno storte, come in un modo o nell'altro capita quasi sempre alle rivoluzioni. E' la sera del 30 di ottobre 1812 e un'ottantina di persone si ritrovano tra Marina e Stampace, nel terreno di uno dei cospiratori, Giacomo Floris. E' lui stesso a lasciare il gruppo per raggiungere i compagni che, nel frattempo, dovrebbero essersi radunati a Marina. Per strada viene fermato da un gruppo di soldati che gli chiedono cosa faccia a quell'ora per strada. Lui farfuglia qualcosa e viene lasciato andare, ma si è fatto l'idea che le autorità sanno tutto. Torna indietro e "contrordine compagni", la rivoluzione è sospesa.
La repressione impiega qualche giorno a mettersi in moto. I primi arresti sono quelli di Giovanni Putzolu, Giacomo Floris, Raimondo Sorgia, che già conosciamo. Giovanni Cadeddu, fratello del capo della rivolta, e il figlio di quest'ultimo Luigi vengono arrestati in dicembre. Quanto a Salvatore Cadeddu, tentenna ma poi decide di rifugiarsi in una sua proprietà lungo la costa sulcitana. Quando Villamarina lo scova e lo fa venire a prendere sono passati sette mesi dal fallito colpo di mano e la macchina della repressione è già in moto. E' la Reale Udienza a istruire il processo. Otto le condanne a morte, di cui tre eseguite e cinque in contumacia. Due le condanne all'ergastolo. Salvatore Cadeddu è impiccato il 2 di settembre 1813, il suo verrà bruciato e le sue ceneri verranno sparse al vento.