Zona franca sarda attivata o ingannata?
Mario Carboni
Mentre la Sardegna affonda e la gente chiede la Zona franca per la Sardegna e la vorrebbe subito, sembra che si giochi con le parole invece di compiere atti concreti alimentando a volte aspettative o irrealizzabili o ottenibili con ancora altri sforzi e il superamento di difficili ostacoli politici, legislativi e pratici.
Specchio di una situazione di crisi e di confusione è l'emergere di un nuovo linguaggio, una orwelliana neolingua, con termini nuovi e parole ambigue improprie in un certo senso ingannatrici e manipolatorie, che appartengono più al campo della politica politicante come arte dell'in-possibile con la dissimulazione dei problemi e delle difficoltà proprie di una Autonomia sarda in putrefazione, piuttosto che a quelli di un corretto rapporto dialettico fra popolo e governanti.
La Zona franca sarda non esiste ancora in nessun luogo e si presume che passerà diverso tempo per vedere i sardi beneficiati da questa soluzione politico economica, cuore di un percorso ormai secolare di autogoverno e sovranità fiscale.
Risulterebbe invece, si fa credere e molti ingenui ci credono anche per la diffusione di documenti ufficiali, che da qualche giorno la Zona franca sarda sia stata attivata come se fosse un ordigno telecomandata dei talebani, l'apertura di un cancello di un giardino delle delizie, le portiere di una automobile, attivabili con un telecomando verbale e scritto, perchè inviato a tutte le massime autorità da Bruxelles a Roma.
Siamo nella società della comunicazione e forse l'attivazione della zona franca sarda riguarda più una realtà virtuale o mistico-magica nella quale la parola attivazione è un mantra che ha il potere, per il solo fatto di essere scritta o pronunciata, di materializzare dal nulla la zona franca della Sardegna per la quale lottiamo ancora invano da ben prima dell'Autonomia del 1948.
Peccato che gli unici termini utilizzabili che corrispondano a concretezza siano realizzazione ( vedi l'Art.12 dello Statuto ), istituzione ( vedi il Decreto legisl. 10 marzo 1998 n. 75 che appunto ha istituito le zone franche di Cagliari, Olbia, Porto Torres, Porto Vesme, Oristano e Arbatax ) oppure destinazione ( vedi l'art.155 del Codice doganale europeo che stabilisce che siano gli Stati a destinare, al termine di una negoziazione con chi ne usufruisce e che può solo proporre, parti del loro territorio doganale a Zona franca.
Anche stabilire è un termine utilizzabile corretamente, perché sempre secondo l'Articolo 155 del Codice doganale europeo si statuisce che siano sempre gli Stati a stabilire l'area interessata ad una Zona franca ed i loro punti di entrata ed uscita per le merci e le persone.
Indubbiamente la parola regina che ha un senso concreto, di realtà e non di sogno e neppure di demagogia populistica non è certo attivare bensì realizzare , perché appunto incarna il senso e lo spirito delle altre parole necessarie per compiere il processo che faccia toccare con mano ai sardi le franchigie e che sono istituzite e con una loro destinazione.
I sardi infatti chiedono non parole con false promesse ma che la zona franca si realizzi e prima possibile, magari subito.
Ma per rendere vera, tangibile, utilizzabile ed operativa la Zona franca sarda come è possibile oggi e non domani e dopodomani, occorre mettere in fila ancora altre parole quali delimitazionee disposizione, che sono contenute nel testo delle norme di attuazione dell'art.12 del nostro Statuto speciale.
Con queste parole si chiede, ormai invano da oltre tre lustri, alla Regione sarda e quindi alla sue consecutive Giunte regionali di delimitare territorialmente le zone franche istituite dal Governo italiano col decreto legislativo 75/98 e di determinare ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività da proporre affinché il Presidente del Consiglio dei ministri le renda operativecon separati decreti.
Sono trascorsi dal 1998 ben 15 anni ed ancora la Giunta non ha delimitato né determinato le altre disposizioni che evidentemente dovrebbero essere di natura fiscale perché le zone franche sarde siano identificabili, operative e veramente tali.
Ha invece deliberato di attivare la Zona franca, come se esistesse già e fosse una Bella addormentata nel bosco in attesa del bacio del Principe che le dia vita e azione.
Mentre invece la Zona franca non esiste purtroppo in nessun luogo della Sardegna.
Ci sono anche persone e gruppi di persone che pensano invece che non sia così e si preparano nei prossimi giorni a fare il pieno di benzina defiscalizzata nei loro Comuni solo per il fatto che i Consigli comunali abbiano votato un ordine del giorno fotocopiato e replicante nel quale anche loro hanno attivato la Zona franca magari comunale.
E guai a dire il contrario, il fatto di aver fatto una inteligente campagna di marketing politico, di pura comunicazione politica, affiggendo cartelli con scritto zona franca agli ingressi dei Comuni o in alcune pompe di benzina, ha indotto gli autori e sopratutto molti fruitori di quel messaggio beneaugurante, a credere fermamente che ciò sia realtà o realizzabile in pochi giorni o mesi.
Eppure si è deliberato una attivazione impropria, giocando ambiguamente sulle parole, come si schiaccia un interruttore di una moderna lampada di Aladino per condividere un sogno imposto da chi appunto pensa di poter superare con la forza di volontà o con assemblee o magari la forza della piazza da organizzare, la legislazione vigente ed i rapporti di subalternità fra l'Autonomia sarda attuale ed i poteri dello Stato centralista.
La Zona franca sarda, estesa a tutta la Sardegna è invece un percorso che richiede diverse tappe e in tempi diversi.
Queste tappe non sono disgiunte dal dover riappropriarsi della sovranità fiscale da inserire come pietra d'angolo del nostro Nuovo Statuto di sovranità, obiettivo che sembra posto nel dimenticatoio dell'odierno dibattito politico.
E' indispensabile realizzare la prima tappa, cioè la realizzazione di quanto disposto dal decreto 75/98 senza perdesi in fumisterie, per poi passare alla seconda che è l'estensione alla Sardegna di quella che meglio sarebbe non chiamare più, come nel secolo scorso , Zona franca sarda ma Zona Speciale sarda.
Bisognerebbe fare tesoro di altre esperienze positive europee in campo di intere isole a fiscalità ridotta per compensare le diseconomie insulari, storiche, culturali e infrastrutturali, come ad esempio quella delle Isole Canarie o della vicina Corsica che, pur in maniera differente, appunto sono zone a fiscalità ridotta e hanno per confini non muri o reticolati ma il loro mare e per entrate ed uscite i porti e gli aeroporti.
Seguendo quegli esempi, disegnando e progettando una Zona Speciale Sarda adatta alle nostre esigenze che coniughi produzioni defiscalizzate industriali, per l'energia, nei servizi avanzati, nel turismo, nell'agroindustria con aumento del PIL, occupazione con le indispensabili defiscalizzazioni per i consumi della popolazione, si può evitare la fuga in avanti parolaia di una attivazione fasulla e demagogica, che serve solo a mascherare impotenza e ritardi politici dell'intera classe politica e di movimenti demagogici e populisti e può portare in definitiva a non realizzare le zone franche oggi realizzabili per iniziare a dare lavoro e reddito alle migliaia di disoccupati e ruolo agli imprenditori sardi .