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sabato 6 luglio 2013

Zona franca, il fronte si unisce, Fiscalità di vantaggio? Ecco chi pagherebbe


Fiscalità di vantaggio? Ecco chi pagherebbe
Beniamino Moro
Tra i tanti equivoci da chiarire sulla richiesta di instaurare in Sardegna una zona franca integrale, dove far coesistere un insieme di agevolazioni di natura doganale e fiscale che, come sostengono i proponenti, abbiano l'effetto di aumentare la competitività dei nostri prodotti, di rilanciare i consumi e gli investimenti e di allargare la nostra base produttiva, c'è quello di chi paga il costo della fiscalità di vantaggio.

Gli incentivi fiscali, al contrario di quelli finanziari (contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato) sono un'arma potentissima di sviluppo economico regionale usata in tutta l'Europa. Negli ultimi 25-30 anni, si è assistito a una concorrenza fiscale senza precedenti, con aliquote al ribasso nella tassazione dei profitti d'impresa derivanti da nuovi investimenti. L'Irlanda, ad esempio, con la fiscalità di vantaggio a favore delle nuove imprese che andavano a localizzarsi nel suo territorio, è passata da un Pil pro-capite che negli anni '80 viaggiava, come quello della Sardegna, tra il 70-75% della media europea a un valore che alla vigilia della crisi finanziaria è arrivato intorno al 130%. Mentre la Sardegna è rimasta al palo. È dentro questo filone di pensiero della concorrenza fiscale utilizzata per promuovere lo sviluppo economico delle Regioni in ritardo di sviluppo che il legislatore ha inserito la fiscalità di vantaggio nella legge 42/2009 sul federalismo fiscale.

Per essere applicata nelle Regioni a Statuto speciale, la legge prevede che queste debbano concordare con lo Stato delle norme di attuazione, che adeguino i loro Statuti di autonomia alle previsioni normative della stessa legge 42. Il Trentino-Alto Adige, nella legge finanziaria del 2010, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta, nel 2011, hanno concordato con lo Stato le norme di attuazione dei rispettivi Statuti, con l'inclusione al loro interno della fiscalità di vantaggio. La norma che al riguardo si ripete più o meno identica in entrambe le leggi finanziarie è che la Regione o le Province autonome, relativamente ai tributi erariali per i quali lo Stato ne preveda la possibilità, possono in ogni caso modificare aliquote e prevedere esenzioni e deduzioni, purché nei limiti delle aliquote superiori definite dalla normativa statale. Più o meno, si tratta dello stesso contenuto della recente Risoluzione della Commissione Autonomia dell'Assemblea sarda che invita la giunta a formulare al governo una proposta di legge che attribuisca alla Regione la potestà di modificare aliquote, prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni sui tributi erariali di spettanza della stessa Regione.

Peraltro, nella sostanza, lo Statuto sardo già contiene all'articolo 10 una norma che attribuisce alla Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell'Isola, la facoltà di disporre, nei limiti della propria competenza tributaria, esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese. Perciò, quando si rivendica nei confronti dello Stato l'immediata costituzione in Sardegna di una zona franca integrale, di che cosa si sta parlando in realtà? Il tavolo tecnico Stato-Regione è senz'altro la sede idonea per specificare nel dettaglio le norme di attuazione della legge 42/2009 che richiedano modifiche dello Statuto regionale, ma sul punto specifico della fiscalità di vantaggio non si scorgono potenziali conflitti con lo Stato, posto che questa misura è prevista dalla stessa legge 42 e coincide con una norma già contenuta nel nostro Statuto di autonomia. Sul fatto cioè che la Regione, nell'uso delle proprie risorse finanziarie, possa gestire a suo piacimento tutte le forme di fiscalità di vantaggio che ritiene opportune, come peraltro ha già fatto con l'Irap, non mi pare che ci siano dubbi, sempre che formalmente segua la strada corretta dell'accordo con lo Stato. Anzi, sarebbe un modo appropriato di gestire le risorse regionali, invece di sprecarle con le attuali pratiche clientelari. Ma la Regione è pronta a pagare per la fiscalità di vantaggio?


Zona franca, il fronte si unisce
Lo. Pi.
Prima lo scontro, poi la condivisione. La maggioranza ritira un ordine del giorno, le quattro mozioni vengono votate all'unanimità, e il Consiglio ritrova l'unità sulla possibilità di approvare, con procedura d'urgenza, una legge che fissi le regole per l'attuazione della Zona franca sarda. I comitati, intervenuti con le bandiere sotto i portici del Palazzo, sperano che sia la volta buona.

LE QUATTRO MOZIONI 

Le mozioni presentate da Giampaolo Diana per il Pd, da Franco Mula per i Riformatori, da Claudia Zuncheddu per Sardigna libera e da Efisio Arbau per La Base - seppur nelle diversità - impegnano il presidente della Regione a farsi garante con lo Stato per il rispetto del decreto legislativo 75 del 1998, che prevede l'attivazione di punti franchi in sei porti sardi e nelle aree industriali contigue, attraverso una deroga della presidenza del Consiglio. 

L'ASPETTO SALIENTE 

Ma l'aspetto politico saliente è che ci sono l'accordo di tutte le forze politiche a discutere con procedura d'urgenza due proposte (a firma di Gianvalerio Sanna del Pd e di Giacomo Sanna del Psd'Az) e l'impegno di esitare una legge che diventerà la proposta dell'assemblea per l'attuazione della Zona franca. Che tutti vogliano le agevolazioni fiscali è assodato. Anche se, per dirla con le parole del consigliere Pd Chicco Porcu, «non si capisce se la maggioranza persegua quella doganale fiscale o quella integrale». 

IL GOVERNATORE 

Zona franca che, per il presidente della Regione Ugo Cappellacci, si ottiene facendo leva su due strumenti normativi: l'articolo 164 del trattato europeo che parla di coesione sociale e territoriale e la legge 42 sulla riforma federale che prevede politiche fiscali di vantaggio per l'insularità. In aula ha lanciato un appello a Renato Soru: «Venga con me, a Roma e in Europa, come il centrodestra fece per la Vertenza entrate». E poi: «Sono pronto a fare un passo indietro, se il problema sono io, così come dice il segretario regionale del Pd, Silvio Lai. Costituiamo un Comitato per il bene della Sardegna». In serata il governatore dirà: «Il pronunciamento unanime è un segnale positivo. L'auspicio è che sia il punto di partenza di un'azione condivisa. Quella per la zona franca è una battaglia che non appartiene a un solo esponente politico, a una fazione piuttosto che un'altra, a un singolo territorio o a un'unica categoria». 

L'OPPOSIZIONE 

Per Giampaolo Diana, autore di una delle quattro mozioni, «nel suo intervento Cappellacci ha dimostrato di non sapere come realizzare la Zona franca. Il fatto che la maggioranza abbia ritirato un ordine del giorno a sostegno del governatore la dice lunga». Ma Pietro Pittalis, capogruppo del Pdl, replica: «L'abbiamo ritirato anche per non dare alibi al Pd e al Psd'Az». Nel merito Diana ha aggiunto: «Le forze politiche devono provare a completare un progetto che, attraverso la fiscalità di vantaggio, metta le imprese nella condizione di scaricare costi del lavoro importanti per allargare la base lavorativa». Insoddisfatta dell'intervento di Cappellacci anche Claudia Zuncheddu mentre Franco Mula ed Efisio Arbau hanno constatato «le distanze tra il Consiglio e l'esterno» e, soprattutto Mula, «il fatto che gli amministratori dei Comuni siano più avanti». 

POLEMICA 

Gianvalerio Sanna a Cappellacci ha chiesto spiegazioni sulle indiscrezioni relative «a un uso dell'autista per scopi privati e sul personale estraneo alla missione». Replica del portavoce del governatore: «Il presidente utilizza l'auto privata anche per le occasioni istituzionali e durante i suoi spostamenti viene accompagnato da due agenti di pubblica sicurezza. Inoltre la Giunta ha ridotto, dimezzandole, anche le auto lasciate in eredità dall'ex assessore Sanna ai Gabinetti della Regione». Silvio Lai, invece, attacca sulla Zona franca: «Se vuole davvero un fronte comune deve fare ben più di un passo indietro e smetterla di fare promesse inattuabili». Anche perché è «un re Mida al contrario».

REAZIONI 

In serata è intervenuta l'europarlamentare Pd Francesca Barracciu. Soddisfatta «per la decisione del Consiglio di procedere speditamente nell'esame delle proposte di legge». Quindi il leader Psd'Az Giacomo Sanna: «Ritengo che l'approvazione di un testo condiviso rappresenti una straordinaria occasione per fare chiarezza sull'istituzione del regime franco e serva a certificare l'unità del popolo sardo su una battaglia storica». Battaglia su cui interviene Felicetto Contu (Udc), che fa ammenda del passato e poi dice: «Quando una bandiera c'è, si prende». 

«F35: nessun veto, Presidente Napolitano»

SA DEFENZA E' CONTRO L'ACQUISTO DEGLI F35 ,  PERCHE' E' STRUMENTO DI MORTE, INOLTRE E' INACCETTABILE COMPRARE AGGEGGI TECNOLOGICI COSI' COSTOSI MENTRE IL POPOLO SOFFRE E GEME PER LA CRISI INVENTATA DALLE BANCHE E DALLE ELITE PRIVATE!


LA REPLICA. Il deputato del Pd risponde al Capo dello Stato sull'acquisto degli aerei
«F35: nessun veto, Presidente»
Scanu a Napolitano: il Parlamento è sovrano per legge

di Augusto Ditel
unionesarda.it
Gian Piero Scanu

Al solo sentir parlare di diktat (posti o subìti), Gian Piero Scanu s'irrigidisce. Democristiano di lungo corso, rischia di beccarsi l'orticaria, così, in assoluto. Figuriamoci se la materia del contendere - attualissima, addirittura rovente negli ultimi giorni - è una spesuccia di 20 miliardi per l'acquisto degli aerei F35. 


I toni del deputato Pd non si smorzano anche se l'accusa del (presunto) veto posto dal Parlamento nei confronti del Governo è arrivata dal Capo dello Stato. «Ma quale veto e veto - manda a dire, con veemenza, a Giorgio Napolitano, l'autore della mozione che ha deciso lo slittamento di ogni decisione sulla quantità dei cacciabombardieri da ordinare alla Lockheed -: è solo l'esercizio della propria sovranità».

Un po' di rispetto, onorevole Scanu.

«Non ho offeso nessuno. Mi sono semplicemente riferito a una legge dello Stato, la 244 del 2012, che assegna al Parlamento (articolo 4) il compito di stabilire di quanti e quali strumenti d'arma si debba dotare il Paese».

Aerei, ma non solo.

«Certo. Aerei, ma anche navi, carri armati... Siamo di fronte a una vera e propria riforma da attuare in sinergia con il Governo, al quale Camera e Senato diranno cosa deve fare, al termine di un'indagine conoscitiva coordinata dalla commissione Difesa della Camera di cui faccio parte come capogruppo del mio partito».
Che ormai è spaccato.

«Rammento che il Pd ha votato all'unanimità la mozione, e mi auguro che mantenga la sua compattezza. Certo, oggi qualcuno storce il naso solo perché è intervenuto il Presidente della Repubblica, che è pur sempre il Capo delle Forze Armate. Ma Napolitano sa bene che il Consiglio Superiore di Difesa, composto da sette ministri, non ha il potere di modificare una legge. Anch'io del resto ho detto la mia dopo la presa di posizione del Csd, in quanto errata».

Sempre i soliti: quando non c'è accordo, si rinvia.

«È un'accusa ingenerosa e capziosa, questa, figlia di un'opposizione che si muove all'insegna dello sconsiderato “tanto peggio tanto meglio”. Eppoi, contesto nel merito il fatto che si sia trattato di un rinvio. È stato un blocco. Di fatto abbiamo ordinato all'esecutivo di non procedere all'acquisizione di alcuno strumento d'armi fino a quando il Parlamento non ultimerà il suo lavoro».

Cioè quando?

«La tempistica è già ben definita. Entro dicembre si riunirà il Consiglio d'Europa (è stato già convocato) al quale spetta il compito di fissare la politica comunitaria su Sicurezza e Difesa. A gennaio 2014 avremo un'idea precisa di come sviluppare l'attività di Difesa. Insomma, bisognerà attendere l'esito della due diligence , poi arriveranno le decisioni».

Quanti F35 sono stati già acquistati?

«A saperlo... C'è chi dice tre, chi sette, chi dieci. Anche questo, come ho avuto modo di stigmatizzare in sede di dichiarazione di voto alla Camera, è un paradosso inaccettabile: non siamo in grado di conoscere il numero esatto degli aerei. Sembra incredibile, ma è proprio così».

Quanto costa un F35?

«A saperlo... Nessuno sa indicare una cifra esatta, ma c'è una spiegazione: a differenza di altri Paesi, l'Italia ha acquistato i prototipi, che notoriamente sono più costosi. Un altro erroraccio».

Quanto sarebbe la spesa totale?

«Per queste ragioni, non lo so indicare, ma comunque siamo nell'ordine di una ventina di miliardi. Del resto, stiamo impiegando un paio di mesi per evitare l'aumento di un punto dell'Iva, e non possiamo utilizzarne qualcosa di più per gli F35? Siccome le armi non sono giocattoli, prima di spendere questa montagna di soldi, bisogna pensarci non una, ma mille volte».

Meglio costruire asili.

«Un'altra sciocchezza contenuta nella mozione dell'opposizione. Chi sa di amministrazione pubblica, non dice queste castronerie. Una somma destinata a qualcosa di specifico, stabilito per legge, non può essere trasferita sic et simpliciter , con un colpo di bacchetta magica, in un altro capitolo di spesa. L'ennesimo esempio di demagogia».

Un passo indietro: la prima ipotesi era di acquistare 131 aerei.

«È corretto».

Poi, il ministro Giampaolo Di Paola scese a 90.

«Giusto. Oggi però sarebbe sbagliato anticipare qualsiasi quantità per le ragioni illustrate poco fa».

Ma questi 90 mezzi sono stati già ordinati?«Lo escludo nella maniera assoluta. Nessun ordine, nessun impegno, nessuna penale in caso di rinuncia. Chi afferma il contrario, mente sapendo di mentire».


Questo lo dice lei.«No, è nei fatti: altrimenti il ministro Di Paola non avrebbe potuto passare in una notte da 131 a 90».


Si dice che gli F35 non siano esenti da difetti, e che non generino molti posti di lavoro.

«L'indagine conoscitiva dovrà analizzare anche questi aspetti non secondari. Potrebbe accadere, ad esempio, che l'acquisto dei mezzi aerei sia più opportuno farlo rivolgendosi al Consorzio Europeo di cui l'Italia fa parte, e non agli Usa. D'altronde sarebbe auspicabile tendere al massimo dell'efficacia e a un'omogeneità dei mezzi di difesa a livello europeo. Così come dovrà essere dimostrato, e soprattutto quantificato, il ritorno in termini occupazionali dell'una e dell'altra opzione».

L'industria militare comunque è una risorsa.

«Non solo lo sottoscrivo, ma aggiungo che non va mandata a fondo. L'Italia però deve procedere con prudenza estrema, perché la materia è estremamente delicata oltreché assai costosa. La Difesa di un Paese è un valore prezioso».

L'articolo 11 della Costituzione però ci ricorda che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa...

«Già. È bene ricordarlo».