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domenica 18 agosto 2013

EGITTO: Il giorno del massacro

EGITTO: Il giorno del massacro

 GIUSEPPE ACCONCIA 
14.08.2013 
http://www.ilmanifesto.it/ 



L’esercito reprime la protesta dei Fratelli musulmani. El Baradei si dimette: «C’erano opzioni pacifiche per risolvere la crisi». Dopo le centinaia o migliaia di morti di mercoledì, anche oggi le vittime si contano a decine. Il «giorno della collera» si trasforma in un nuovo massacro. Le proteste internazionali non fermano la repressione Stato di emergenza per un mese. 

 Corpi di decine di ragazzi e uomini adulti, volti straziati di donne e giovani, il rosso vivo del loro sangue, sono le immagini della carneficina egiziana compiuta ieri. 

Persone indifese sono state attaccate alle prime luci dell’alba da poliziotti, altrettanto poveri, ma armati fino ai denti, sono state colpite dai cecchini posizionati sui tetti delle case, sono state massacrate da criminali in borghese sguinzagliati alla rinfusa. 

Il corpo dilaniato di un ragazzo viene portato verso la moschea Alaa Ina, sotto il ponte 6 Ottobre, prima dell’inizio di via Nassr a qualche centinaio di metri dal sit-in di Rabaa al Asaweya. 
All’interno i cadaveri sono decine, non ci sono mezzi per curare i feriti, il sangue scorre intenso sulle pale improvvisate dove sono sistemati alcuni corpi. Un giovane muore sotto i nostri occhi. 
Tentano ripetutamente di fargli un massaggio cardiaco, ma inizia a diventare cianotico a perdere conoscenza. 
Una donna si abbassa sul suo capo e gli parla, ma non ci sono speranze di rivederlo in vita mentre degli infermieri improvvisati gli applicano un lavaggio. Un ragazzo prende la sua gola tra le mani: è morto. 

Continuano ad arrivare uomini dai volti sfregiati, con gli occhi completamente usciti dalle orbite, un ragazzo ha l’addome tranciato, mentre due signori, stesi con lo sguardo nel vuoto, e le maglie ricoperte di sangue, hanno fori alla testa e lungo la spina dorsale. 

Parte del lunghissimo ponte di 6 Ottobre, teatro degli scontri del 26 luglio scorso, è completamente occupato da una folla in fuga dalla strage di Rabaa, mentre alcuni giovani incitano un corteo a ritornare verso l’accampamento. 

Si intravedono da lontano le colonne di fumo che si alzano dal sit-in e gruppi di ragazzi impauriti dai nuovi lanci di lacrimogeni correre a testa bassa dall’altro lato del ponte. 

Passano vetture, motociclette e camioncini pieni di feriti, un uomo è stato trapassato da parte a parte. 
La barella funebre di un giovane, il cui corpo è stato coperto all’ultimo momento da una serie di asciugamani colorate, fa il suo ingresso solenne nella moschea. 

Un nugolo di donne piange e urla per strada, degli uomini tentano di assaltare i camion della polizia per approvvigionarsi di poveri mater iali, utili alla difesa personale, una folla continua a picchiare pietre sulle sbarre di ferro del ponte. Sono decine le macchine incendiate e i copertoni andati in fumo, si diffonde un odore acre, molti spruzzano sugli occhi dell’acqua che lenisca l’effetto dei lacrimogeni. 

Tutti scappano via da Rabaa. 

Centinaia sono gli arresti, tra cui il segretario del partito Libertà e giustizia, Mohammed Beltagi, impegnato in prima linea nel difendere la legittimità elettorale dell’ex presidente. Ieri ha perso anche sua figlia Ammar nello sgombero della polizia. Altri sette leader della Fratellanza, tra cui Essam El-Erian e Safwat Higazy, finiscono in carcere. 

 Comitati popolari a sostegno della polizia sono stati creati in alcuni quartieri presi di mira dai sostenitori dei Fratelli musulmani. Intorno alla moschea Mohammed Mahmoud è una scena di guerra. 

Le inferriate dei negozi sono divelte. «Sono venuti in migliaia da ogni lato, si sono concentrati intorno alla moschea. Qui la polizia ha iniziato a lanciare cariche. Alcuni islamisti sono entrati negli uffici del quotidiano Youm el Saba», ci racconta un giovane. 

I comitati popolari fermano più volte i passanti per controlli. 
L’annuncio del coprifuoco rende necessario mettere in sicurezza il quartiere. 

Spesso criminali si infiltrano all’interno di questi gruppi spontanei della società civile. L’immensa Gamat al Duwal è attraversata in lungo e in largo da ruspe dell’esercito. «Ho visto salire gruppi di Fratelli musulmani in alcuni palazzi perché avevano paura. 

Ho trascorso con loro la notte, avevano con sé soltanto bottiglie molotov, pietre e fionde», ci spiega Khaled, fotografo di Youm El-Saba. 

Ma le violenze sono scoppiate anche fuori dal Cairo. «Ci hanno detto che i Fratelli hanno iniziato ad attaccare dovunque e hanno tentato di forzare l’ingresso della Biblioteca di Alessandria», ci spiega l’attivista Mahie Masry. Gravissimi scontri hanno avuto luogo anche a Ismailia dove sono morte oltre 15 persone negli attacchi della polizia. 



Mentre nelle violenze a Fayoum e Suez hanno perso la vita rispettivamente 17 e cinque persone: un bilancio ancora da confermare. Non solo: sono state date alle fiamme le chiese di Sohag nell’Alto Egitto e Suez. 
Era la notte tra martedì e mercoledì, quando fonti dei Fratelli musulmani parlavano di poliziotti in borghese che si avvicinavano agli accampamenti di Nahda, a Giza. 

Poco lontano erano scoppiati scontri alla metro Faysal dove ha perso la vita un islamista e altri 10 sono rimasti feriti. A quel punto sono partiti almeno otto cortei dalla moschea Salam di Medinat Nassr, Quds di Ein Shams, el Aziz Belah di Zeitun, Soheib di Sharabeya. 

Le comunicazioni che abbiamo ricevuto dalla Fratellanza sono diventate concitate, «confidiamo in dio», «impediscono alle ambulanze di raggiungere Rabaa», «donne e bambini feriti non possono uscire dal sit-in», «le forze di sicurezza hanno attaccato l’ospedale da campo e trasportano fuori i cadaveri». 

E poi le terribili notizie di Habiba, la giovane attivista del movimento che ci ha spesso accolto nelle nostre visite a Rabaa e del cameramen inglese di Skynews Michael Dean, uccisi nello sgombero forzoso. 
A questo punto le comunicazioni si interrompono, i Fratelli parlano di quasi duemila morti, mentre il ministero della Salute conta 150 caduti e oltre mille feriti. 

Il violento sgombero di Rabaa el-Adaweya ha riportato il terrore e la violenza nelle strade egiziane. Un bagno di sangue che l’esercito avrebbe dovuto fermamente evitare. 

Invece ha imposto il coprifuoco dalle 7 di sera alle 6 di mattina per almeno un mese. 
E così, assicurati dai cordoni della polizia, le centinaia di migliaia di persone che per oltre 40 giorni hanno occupato piazza Rabaa al Adaweya defluiscono lentamente. 

A sera piazza Rabaa è sotto totale controllo della polizia.



 LA SOLIDARIETA' SI E' SUBITO ATTIVATA IN BOLIVIA 

Le parole del Presidente Evo Morales mostrano il sincero dolore per i fatti accaduti dopo il golpe dei militari in Egitto

www.facebook.com/

-Il Presidente boliviano condanna il 'genocidio' in Egitto-

Il Presidente boliviano Evo Morales, ha descritto come "genocidio" la violenza in Egitto, che ha lasciato a terra centinaia di morti venerdì negli scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori del presidente deposto, Mohamad Mursi.

"Sono personalmente sorpreso, come è possibile che si possa una tale  strage, un vero massacro di uomini e donne(...) "è un genocidio e in questi giorni, non si può accettare il genocidio (...) condanniamo, respingiamo questa crudeltà e lo condanniamo a titolo definitivo", ha detto il Presidente.

"Non è possibile che in alcun paesi gli imperi  incoraggino questo tipo di genocidio", ha detto Morales, insinuando che negli Stati Uniti sono i promotori della crisi politica in Egitto.

In precedenza, il Ministero degli esteri Boliviano aveva espresso preoccupazione circa la violenza in Egitto, criticando "quei paesi che non hanno fatto altro che aggravare la crisi politica, sostenendo un governo de facto, che non hanno rispettato il voto democratico del popolo egiziano, e  hannp optato per il massacro nelle strade".

"Prima degli eventi sfortunati che sono stati sviluppati nella Repubblica araba d'Egitto, il governo boliviano e la gente, sono scesi in difesa della vita, dei diritti umani e della pace, esprimendo la loro profonda preoccupazione per l'aggravarsi della crisi in quel paese fraterno e tornare a votare al più presto per il bene l'Egitto, affinché si continui una convivenza pacifica" ha detto in un comunicato del Ministero degli esteri boliviano.

"Lo Stato plurinazionale della Bolivia rifiuta qualsiasi azione interventista (...) e pubblicamente sostiene  e intensifica tutti gli sforzi volti al ripristino della democrazia e allo stato di diritto, " secondo il comunicato pubblicato  venerdì.


La situazione peggiora sempre più in Egitto; gli scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori del deposto presidente, Mohamad Mursi,  nel giorno della "Rabbia di venerdì", ha lasciato 173 morti e 1330 feriti in tutto il paese, come  ha riportato sabato il ministero egiziano della salute.

MICHELA MURGIA VA ALLA GUERRA....


... nell'articolo , Michela Murgia parla a tutto campo, espone la sua maestria nel dare risposte chiare e consone al dibattito sulle elezioni prossime venture in Sardinya, da risposte da persona che ha le giuste competenze e conoscenze, sia sul territorio che sulla politica che ivi è svolta, ha idee chiare anche sui vari puscher italioti traditori delle istanze del popolo sardo; 

è consapevole della situazione politica dei vari movimenti indipendentisti, e sulla fatica che  hanno nel far collimare idee su un progetto comune, difficoltà spesso dettate da visioni ideologiche o economiche e sociali, diverse espressioni di eredità insite in ogni movimento, gruppo o soggettività, indipendentista sarda; 

questa differenza nei metodi e nelle idee si esprimono come un ribolloio simile ad  una pentola a pressione che sbuffa in continuazione finchè non è pronta all'eruzione, così è l'indipendentismo sardo... 

una moltitudine di soggetti ed un turbinare di idee che si incontrano e scontrano a tal punto che hanno difficoltà nell'associarsi assieme,  proprio perché spesso troppo lontani nelle loro visioni dall'altra da riflettere quasi posizioni  manichee , che dimostrano la nullità di certe affermazioni superficiali che non possono essere è l'idea che ci rappresenta , perciò  l'espressione non consona della supremazia di un unico leader di partito: quello fascista, non può assolutamente rappresentarci... 

Michela per questo, motivo suddetto, deve stare attenta all'uso delle parole poiché esse pesano come macigni, e, proprio per non inciampare sulla via di Damasco, suggeriamo di essere più flessibile,  empatica, e attenta all'uso della "spada" linguistica,  nei confronti dei fratelli indipendentisti.

Sa Defenza






Michela Murgia va alla guerra: «Pd e Pdl sono nemici dei sardi»


di GIORGIO PISANO
www.unionesarda.it/

Un merito bisogna riconoscerglielo: ha dato del vecchio bavoso a Bruno Vespa in diretta televisiva. Non bastasse, ha depenalizzato l'età anagrafica dividendo gli uomini in smaterassabili e non, indipendentemente dall'età. Si è presa, insomma, molte soddisfazioni utilizzando al meglio il suo ruolo pubblico: scrittrice di successo. Grande successo, visto che figura tra le prime dieci firme italiane. Adesso punta a diventare presidente della Regione. Quarantun anni, cabrarese, figlia di un bigliettaio dell'Arst, Michela Murgia riesce a pronunciare giudizi al vetriolo senza salire mai di tono e incorniciandoli sempre da un bellissimo sorriso. Qualche cattiveria sul suo conto circola ma ha la capacità di neutralizzarla con la forza di chi non ha scheletri da nascondere. Matricola della politica, è la novità delle elezioni regionali 2014.
L'ha capita la differenza tra sovranisti e indipendentisti?«Non ho capito cosa voglia dire sovranismo: è un oggetto politico non identificato, è la sigaretta elettronica del sardismo, un paravento di parole».
Perché l'ha fatto?«Perché appartengo ad una generazione cresciuta nel mito della sistemazione, del raggiungimento di piccoli obiettivi e quando credi d'esserti sistemato ti accorgi che in realtà non c'è nulla a posto».
Controindicazioni?«Sono abituata ad essere esposta all'esame dell'opinione pubblica. Ho messo in conto di poter risultare anche antipatica».
Che lista è la sua: destra, sinistra o cosa?«È una lista di sardi radunati intorno a un progetto: abbiamo intenzione di dare vita a cose che non ha fatto la destra e nemmeno la sinistra. Pd e Pdl sono stati avversari degli interessi dei sardi. Sul caso-Quirra hanno addirittura presentato ordini del giorno che parevano in fotocopia».
Quindi voi giocate nel ruolo di libero.«Sì, ma un libero aperto. Sono loro che hanno problemi di vincoli. Pd e Pdl hanno fatto emergere un elettorato che è stanco dei loro sistemi. Un elettorato di stanchezza e di rabbia».
I Cinque Stelle.«Di questo parlavo. L'importante è che stanchezza e rabbia diano poi vita ad un progetto concreto. Nei confronti dei 5 Stelle siamo aperti a ipotesi comuni».
Correrete da soli?«Avremo una coalizione di più liste. Le stiamo costruendo».
Nel centrosinistra gravitano già Psd'Az e Partito dei sardi.«Il Psd'Az non mi stupisce: abbiamo fatto l'abitudine al salto della quaglia dei sardisti. Tant'è che non sono del tutto sicura che resteranno nel centrosinistra. Per quanto riguarda il Partito dei sardi, resto invece interdetta: l'autodeterminazione non può passare attraverso le decisioni delle segreterie romane».
Ha scelto di candidarsi perché, qui e subito, bisogna sporcarsi le mani?«Ci si sporca di più a stare a guardare. C'è maggiore responsabilità in chi si limita a lamentarsi, a dire che fanno tutti schifo, eccetera eccetera».
Franciscu Sedda, padre fondatore di Progres, vi ha mollato.«Ha fatto altre scelte. Franciscu è un uomo che ho stimato...»
...passato prossimo.«Difatti ho detto che ho stimato. Non riesco a capire il calcolo che ci sia dietro questa scelta. Cioè non capisco perché il Partito dei sardi. Eppoi, anche la compagnia mi sembra scelta male. Paolo Maninchedda è un indeciso a tempo pieno: ieri democristiano, poi con Soru, poi sardista e ora con Sedda».
Veleni: Murgia è entrata in politica per assicurarsi un futuro che i romanzi non danno.«Se c'è qualcuno che in Sardegna ha questo dubbio, nella mia casa editrice pensano, al contrario, che io sia scema perché ho deciso di fare politica anziché sfornare un libro l'anno».
Luoghi comuni: lei crede sul serio che i sardi non siano imprenditori per colpa di un infame destino?«Credo, più semplicemente, che non siamo peggiori di altri. Basta metterci alla prova. Bisogna apparire sull'Economist per essere considerati buoni imprenditori?»
Un imprenditore sardo di qualità?«Daniela Ducato. Straordinaria: ha messo insieme 250 aziende che producono materiali particolari per l'edilizia. Ha immaginato un'economia che partisse da qui, utilizzato risorse che sempre qui erano considerate di scarto».
Arcipelago indipendentista: dodici sigle.«Considero un po' fascista questa ossessione dell'unità degli indipendentisti, del partito unico. L'autodeterminazione della Sardegna merita una molteplicità di sguardi e di approcci. Le differenze sono una ricchezza. Non capisco dunque perché agli indipendentisti si chieda fronte comune, magari come quello che a livello nazionale hanno fatto Pd e Pdl».
Veleni bis: dietro i vari movimenti indipendentisti ci sono vanità private di aspiranti leader.«Non sono d'accordo. In Progres abbiamo avuto una scissione durissima tre anni fa proprio per democratizzare il partito, per liberarci dai verticismi personali».
All'indipendenza come volete arrivare, con una delibera regionale?«L'indipendenza è un percorso lungo. Tanto per cominciare, iniziamo a porre le pietre miliari. È importante che uno di noi diventi presidente perché chi crede nell'indipendenza si muoverebbe su questa rotta anche nelle scelte quotidiane, quelle di ordinaria amministrazione».
Dev'esserci una rivoluzione culturale insomma?«Certo. All'indipendenza i sardi arriveranno quando crederanno sia il momento giusto. Nel frattempo però è giusto che assaggino un po' di libertà, quella che non gli hanno dato Pd e Pdl».
Dicono abbia già una giunta in tasca.«L'avrò a breve. A metà autunno faremo i nomi degli assessori e allora si scoprirà che non puntiamo ad un uomo solo al comando per attraversare il mar Rosso. Sarà una squadra a guidare questo cammino».
La Sardegna vive di Stato e voi volete staccarla dall'Italia.«Vive di Stato è un'espressione opinabile, mi pare che le pensioni siano pagate con i contributi versati dai lavoratori sardi. Quest'idea che la Sardegna prenda la paghetta dallo Stato è falsa: non ci vengono restituite neppure le entrate che ci spettano per Statuto. La Sardegna non è povera ma impoverita».
Il complottismo è una malattia infantile della politica sarda?«In realtà appartiene alla manìa da retroscenismo che ha solo la stampa italiana».
Invidia il dono dell'ubiquità dell'onorevole Mauro Pili?«Politicamente non ho stima di Pili. Ma se l'accusa è quella di esserci dove c'è un bisogno, avercene di Mauro Pili».
Cosa salva, cosa boccia della Sardegna d'oggi?«Possiamo riscrivere la nostra storia puntando su istruzione, agri-cultura e nuove tecnologie. Questa non è una terra dove non si può fare industria pesante: andare e tornare dalla penisola ci costa troppo. Ammiro la tenacia di tanti, detesto il senso di resa di altri».
La giunta regionale: valutazione.«Dobbiamo andarne fieri, sarà un esempio di come non si deve amministrare. È una sintesi di interessi privati all'ennesima potenza, incapacità e cedimenti a decisioni eterodirette. Burattinismo».
Opposizione?«Sarà studiata anche l'opposizione. Quando Cappellacci dice che non s'è accorto d'averla in Aula, ha ragione. Fatta esclusione di alcune voci libere, come quella di Claudia Zuncheddu, tutti allineati e coperti».
A proposito di Cappellacci: dice che la Regione ha bisogno di competenza, non di scrittori.«Mi sento più utile a fare in modo che lui, o altri come lui, non governino più la nostra terra. In questo momento è più importante occuparsi del futuro della Sardegna che scrivere l'ennesimo romanzo. C'è tanta gente che scrive, serve altro adesso».
pisano@unionesarda.it

segue dibattito:


A PROPOSITO DELL'INTERVISTA DI MICHELA MURGIA SULL'UNIONE SARDA

Anghelu Marras

Alla domanda del giornalista sulle 12 sigle dell'arcipelago indipendentista, la Murgia risponde:

"Considero un po fascista questa ossessione dell'unità degli indipendentisti, del partito unico. L'autodeterminazione della Sardegna merita una molteplicità di sguardi e di approcci. Le differenze sono una ricchezza. Non capisco perché dunque agli indipendentisti si chieda fronte comune, magari come quello che a livello nazionale hanno fatto Pd e Pdl": (Intervista a Michela Murgia, Unione Sarda, 17 Agosto 2013).

Michè, l'essere considerata una "buona penna" non ti autorizza a strafare con la tua nota padronanza del linguaggio, ne a giocare con le parole. Non siamo mica dentro un romanzo. No? Infatti, nell'intervista, finisci con l'essere ambigua e a non riesci a dire concretamente quello che probabilmente, pensi nel tuo intimo e nella tua strategia politica. Questo pensiero (aldilà e aldisopra dell' intervista) appare come "un colpo al cerchio e un colpo alla botte" verso gli indipendentisti e verso i tuoi "avversari" naturali. Da un lato verso il Pd e Pdl, che auspicano il confronto per grandi coalizioni e dall'altro verso coloro (mi annovero anch'io in questa seconda schiera) che auspica l'unità del Movimento indipendentista. INSOMMA QUANDO PARLI DI INDIPENDENTISTI NON SEI AUTORIZZATA AD ABUSARE DI UN TERMINE COSI' PESANTE COME "FASCISTA"-

Poi, "fascista" che cosa significa nel tuo immaginario e che cosa "ci azzecca" con gli indipendentisti? Intendevi dire, forse, che il processo di aggregazione dei partiti nella "riforma" del bipolarismo lo consideri un processo autoritario, anzi fascista? Cioè che gli ignobili figuri che hanno dato vita alla seconda repubblica sono dei fascisti? IN QUESTO CASO SAREI D'ACCORDO CON TE. Ma che cosa c'entrano gli indipendentisti che pure vanno strenuamente cercando una convergenza su tot punti di un programma di trasformazione delle relazioni politiche ed economiche nella e della Sardegna?

Credo che questo aspetto tu lo debba chiarire ulteriormente e pubblicamente.