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sabato 31 agosto 2013

LA SIRIA SIAMO NOI..

LA SIRIA SIAMO NOI
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Una delle maggiori obiezioni nei confronti dell'umanesimo riguarda la posizione di incolmabile vantaggio che ha la menzogna nei confronti di ogni tentativo di ristabilire la verità dei fatti. Quel dispendioso apparato di intrattenimento e pubbliche relazioni che va sotto l'etichetta di "democrazia", abitua un po' tutti alla menzogna fondamentale, cioè quella dell'esistenza di una "libertà", per quanto relativa; ed il confine tra il crederci ed il far finta di crederci, è sempre più labile di quanto ci si aspetterebbe.

Un altro dei grandi supporti della menzogna è la cattiva memoria, che consente alla menzogna stessa di ripresentarsi e perpetuarsi ad onta delle smentite. Ma anche quando una menzogna sia stata smascherata, ciò non ristabilisce la verità, poiché è possibile sterilizzare il dato acquisito con un'ulteriore rete di falsità. Lo scorso anno una delle fonti di informazione considerate più autorevoli, la britannica BBC, presentò come immagine inedita di una strage attribuita al governo siriano una vecchia foto del 2003, scattata in Iraq. 


Una volta scoperto il falso, volenterosi commentatori accorsero in soccorso della BBC, ipotizzando che questa fosse caduta in una trappola tesa dallo stesso governo siriano per screditare l'informazione che lo riguardava.

L'argomento era chiaramente autocontraddittorio, poiché un organo d'informazione dotato dei mezzi della BBC, avrebbe potuto cadere in una trappola del genere soltanto se irrimediabilmente prevenuto e privo di intenzione di verificare i fatti. In questi giorni la propaganda occidentale ritorna all'attacco accreditando la versione fornita dai sedicenti "ribelli" siriani e dall'organizzazione "Medici senza Frontiere" su un presunto attacco chimico al gas nervino compiuto dalle truppe di Assad. "Medici senza Frontiere" ammette di non poter provare scientificamente l'uso di armi chimiche, ma "lo suggerisce con forza". Un bellissimo ossimoro, roba da poeti senza frontiere. 

In un altro commento, proveniente proprio dalla "autorevole" BBC, si mettono le mani avanti rilevando la stranezza di un attacco del genere nel momento in cui Assad apre la porta agli ispettori ONU; ma poi tutti i dubbi vengono annegati sotto la presunta evidenza delle presunte prove. In effetti di evidente c'è soltanto l'ostilità dei media ed il loro zelo nel confezionare un casus belli.


Fortunatamente si può mentire solo sino ad un certo punto, dato che la verità riesce ad aprirsi un varco persino tra le righe delle dichiarazioni più mendaci, perciò le intenzioni nascoste tendono a scoprirsi. Purtroppo bisogna fare lo sforzo di cercare questi barlumi di autenticità. Il segretario di Stato USA, John Kerry, si dichiara sicuro che le armi chimiche siano state usate in Siria, e che gli ispettori ONU non potranno che accertarlo. 

Ma da dove gli deriverebbe tanta sicurezza, se lui non ci avesse niente a che fare con l'uso di quelle armi chimiche? 

Attualmente sulla questione siriana è in atto uno scontro diplomatico tra gli Stati Uniti ed una Russia che sembrerebbe proiettata verso un nuovo protagonismo; sebbene occorra ancora aspettare per essere sicuri che anche Assad non finisca nella lunga lista di quelli mollati da Putin, insieme con Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi. L'attuale fermezza russa non appare sufficiente per scoraggiare le pose aggressive dell'amministrazione statunitense, la quale però tiene a precisare che comunque non agirebbe da sola. Ancora una volta si scopre che sono gli "alleati" il perno di ogni operazione colonialistica. 


Che non si riesca mai a mentire del tutto, ce lo ha dimostrato anche il Presidente del Consiglio Enrico Letta nella sua visita della settimana scorsa ai militari italiani in Afghanistan. La sua prosa è degna di un'estesa citazione: "... noi siamo parte di un sistema in cui ognuno fa la sua parte. Nessun paese libero può sottrarsi agli impegni di stabilizzazione per la pace. Solo con la NATO, l'ONU e l'Unione Europea possiamo risolvere insieme i problemi che il terrorismo e l'assenza di pace comportano. " 


Quindi, secondo Enrico Letta, l'essere un Paese "libero" consiste nel far parte di un sistema dai cui obblighi non si scappa, e quando la NATO, l'ONU e la UE ordinano, si obbedisce e basta. Allora, chi è il Paese militarmente occupato? L'Afghanistan, o noi? Uno dei punti di forza della propaganda imperialistica consiste in una sorta di aspetto ludico, cioè nell'entrare a far parte di un'opinione pubblica "occidentale" che può giocare ad interpretare il ruolo del giudice, condannando e perseguitando il "dittatore pazzo" di turno. 


Si tratta di un gioco che coinvolge emotivamente come un videogame, ma che ti consente anche di coltivare l'illusione di un'inesistente distanza dai guai. In realtà ogni volta che un Paese viene indotto a partecipare ad una di queste aggressioni, poi l'aggressione si risolve in un maggiore controllo coloniale della potenza dominante sui suoi "alleati". 

La collaborazione militare tra i Paesi NATO diventa non solo occupazione militare di un territorio come quello italiano, ma anche crescente integrazione delle forze armate del Paese occupato con quelle dell'occupante. Non soltanto il territorio italiano non è più italiano, ma nemmeno le sue forze armate. La perdita della moneta nazionale è la diretta conseguenza della perdita delle forze armate. L'apparato tradizionale dello Stato nazionale è stato riconvertito dall'imperialismo in una macchina funzionale alla colonizzazione. 

Giocare a fare l'Occidente per un Paese come l'Italia quindi è nocivo, eccome. La coincidenza delle date può essere indicativa. Nel 2011 l'Italia partecipò all'aggressione della NATO contro un Paese amico ed economicamente complementare, la Libia, il cui leader era stato opportunamente criminalizzato da una campagna mediatica. 




A poche settimane dalla conclusione della guerra libica, anche l'Italia ne fece le spese al vertice G20 di Cannes del novembre 2011, nel quale il Buffone di Arcore, ancora nella carica di Presidente del Consiglio, acconsentì ad aprire i libri contabili dell'Italia a cicliche ispezioni del Fondo Monetario Internazionale, cioè il braccio finanziario della NATO. L'ultima ispezione del FMI si è conclusa poco più di un mese fa. La condizione coloniale dell'Italia è stata quindi esplicitamente formalizzata dall'atto di sottomissione al FMI da parte di un Presidente del Consiglio che molti commentatori si ostinano ancora a presentare come un avversario dei "poteri forti" sovranazionali.

L'imperialismo viene spesso ridotto ad una categoria astratta, come se si trattasse di una semplice gerarchia dei rapporti internazionali, senza tener conto che la gerarchizzazione comporta privilegi da una parte e servitù dall'altra; perciò la condizione di subordinazione comporta il passare per il tritacarne della colonizzazione economica e finanziaria: disoccupazione, precarizzazione, delocalizzazione, indebitamento, crescente prelievo fiscale, distruzione della previdenza, dell'istruzione e della sanità pubbliche. Si tratta di quelle che, nel gergo FMI, si chiamano "riforme strutturali". 


A fare il lavoro più sporco delle "riforme strutturali" per conto del FMI, è stato però Mario Monti, quindi il Buffone è riuscito ancora una volta a rigenerare la sua immagine "antagonistica" da povero perseguitato, giocando sulla distrazione e sulla cattiva memoria dei suoi irriducibili fans, sempre pronti a dare la colpa alle donne o ai meridionali. A proposito di bugie dalle gambe lunghe.

L'unico argomento a favore di Monti è sempre stato quello che "almeno ci ha liberato dal Buffone". Oggi scopriamo che Monti invece era lì per porre le basi del riciclaggio e della eternizzazione del Buffone, cioè del burattino del FMI. Un'eventuale aggressione diretta della NATO contro la Siria vedrebbe come scontata la partecipazione italiana, ed a sancirne il risultato sarebbe ovviamente un'ulteriore stretta coloniale a base di "riforme strutturali" di marca FMI




..Laboratorio Gallura. Noi nasciamo con l’unico intento di mettere in atto un percorso che porti all’indipendenza della Sardegna.

Po chini bolit ajnas de debata apitzus de is eletziones chi ant a benni s'annu chi 'enit nc'est meda de naj e cust'articulu de Laboratoriu Gadhura est in linea po totus nosus interessaus a sa unitat de is indipendentistas 

atra ajna sempri de Moreno cambiare-lo-statuto-per-prepararci.html poneus su link.pdf de su statudu de sa RAS

Sa Defenza

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Intervento di Moreno Contini per conto del Laboratorio Gallura alla scuola estiva dell'A.L.E.:

Saluti e ringraziamenti …


Il tema di oggi è la ragion stessa dell’esistenza di Laboratorio Gallura. 

Noi nasciamo con l’unico intento di mettere in atto un percorso che porti all’indipendenza della Sardegna. Un percorso a tappe, la prima delle quali è quella di creare un fronte identitario da contrapporre al sistema politico, culturale e burocratico italiano.

Nasciamo dall’incontro di donne e uomini che hanno nel cuore il senso Nazionale della Sardegna. I componenti di Laboratorio Gallura sono la testimonianza concreta di come diverse anime dell’universo identitario, non solo possano convivere, ma possono lavorare ad un progetto comune. 

E’ proprio questo che persone che militano nei diversi partiti e indipendentisti liberi pensatori hanno fatto, fanno e continueranno a fare: lavorare insieme!!! 
Da noi ci sono persone del PSD’Az, di Sardinia Libera, di Sardinia Natzione, di Forza Paris, di Irs, di Fiocco Verde, ma anche tanti indipendentisti liberi pensatori. 
Non solo. 
Ci seguono e collaborano con noi un gran numero di gruppi di lavoro, associazioni identitarie e singoli individui che condividono e sostengono questo progetto.

Il nostro sistema di lavoro funziona perché consideriamo il Laboratorio come una piattaforma dove tutti apportano il loro contributo di idee, progetti, iniziative, ecc. 

Tutti mettiamo del nostro in questo contenitore e poi insieme, senza pensare da chi e da dove arriva l’idea, la valutiamo e la sosteniamo con la massima condivisione e convinzione. 

Il nostro collante è l’amore per la nostra Patria. E’ questo che ci fa superare eventuali differenze ideologiche, è questo che ci fa concentrare sul percorso e sulla meta da raggiungere.


Non c’è più tempo. 


Questo fronte identitario deve nascere subito. 

Ma, come ho detto, questa è solo la prima tappa. Ci sono tutta una serie di azioni che questo fronte dovrà poi compiere una volta che si sarà consolidato. Tanto per cominciare il fronte dovrà essere inclusivo e trasversale, dovrà garantire l’identità ad ogni forza che lo compone, dovrà darsi regole di convivenza, dovrà curare in modo particolare la comunicazione, dovrà darsi delle strategie condivise e metterle in atto. 

Questo si può fare e si può fare subito, organizzandosi anche in vista della competizione elettorale del 2014.

La competizione elettorale del 2014 è l’occasione per dare il via al percorso verso l’indipendenza che per poter essere pacifico deve necessariamente passare per le Istituzioni. 

Dobbiamo conquistarle, farle nostre e utilizzarle al meglio.
Dobbiamo utilizzarle per dotarci di quegli strumenti legislativi necessari a preparare il terreno ad una indipendenza concreta, pratica, reale, non solo ideologica. 
Dobbiamo fare i conti con l’emancipazione del popolo. 
Non possiamo trascurare questo importante particolare che è determinante per il raggiungimento dell’indipendenza. 
Sappiamo bene che non può essere una classe politica a decretare l’indipendenza, ma deve essere il popolo ad acclamarla.

Il popolo è maturo? È realmente emancipato? È convinto dell’utilità dell’indipendenza?
La risposta al momento è sotto gli occhi di tutti: no!


La Sardegna ha tutto ciò che serve per essere indipendente: ha le caratteristiche geografiche, una posizione strategica al centro del mediterraneo, ha una sua lingua, una cultura specifica, una sua storia, ha le risorse naturali, ha capitale umano, ma non ha maturato ancora la consapevolezza di sé come Nazione.


Si può porre rimedio a questo?
Con forza e convinzione noi di laboratorio Gallura diciamo SI. 

Diciamo si e sappiamo anche come diffondere maggiore consapevolezza di sé tra i sardi.
Abbiamo constatato che le parole non bastano. Le persone vogliono risultati concreti da confrontare con i fallimenti del sistema tradizionale oggi in vigore.


Come possiamo mettere a confronto un sistema alternativo tutto sardo a quello italiano?
Semplice, attuandolo!


Per poterlo attuare bisogna conquistare le istituzioni. 

Per conquistare le istituzioni bisogna essere uniti, avere un programma elettorale preciso, fattibile, convincente e in linea con gli scopi del fronte identitario.
Per convincere i sardi a sostenere il fronte identitario non bisogna presentare un indipendentismo ideologico, ma un “sistema Sardegna” diverso da quello attuale, migliore, adatto alle nostre specificità. 
E dobbiamo anche spiegare come riusciremo a creare questo nuovo sistema. Ricordiamoci sempre che se per ora non tutti i sardi ambiscono all’indipendenza è pur vero che tutti vorrebbero una Sardegna che funzioni meglio. 
È su questo aspetto che il fronte identitario dovrà concentrarsi e rivolgere tutte le sue energie. Ma non puoi convincere gli altri se non sei convinto tu per primo.

E se riusciamo a convincere i sardi e conquistiamo quindi le Istituzioni, come procediamo nel percorso verso l’indipendenza?


Immaginiamo che la Sardegna sia un grande cantiere nel quale vogliamo edificare “la nostra struttura”. Cosa serve per avviare il cantiere? 


Tre cose: i materiali, la manodopera, gli strumenti di lavoro. 

Noi oggi possediamo due su tre di quanto necessario: i materiali e la manodopera. I materiali rappresentano le risorse che la nostra terra offre. 
La manodopera rappresenta il capitale umano che popola la Sardegna, cioè un milione e seicento mila sardi dove troviamo menti pensanti, donne e uomini di cultura, professionisti, imprenditori e una immensa forza lavoro.

Quello che non abbiamo sono gli “strumenti di lavoro” che rappresentano l’impianto legislativo ed istituzionale sul quale fare leva per modificare le condizioni del nostro popolo. 

Infatti, tali strumenti in realtà sono nelle mani dello Stato italiano al quale siamo subordinati.

A noi resta uno Statuto Autonomo insufficiente e mal utilizzato. 

Per dar seguito alla creazione di un “sistema Sardegna” dobbiamo modificare lo Statuto, dobbiamo plasmarlo per renderlo adatto alle nostre esigenze, per dotarci di quegli strumenti legislativi necessari a creare le condizioni ottimali nelle quali i sardi possano fare impresa, avere servizi accessibili, essere attrattivi sia per il turismo che per gli investitori, tutelare l’ambiente per conservare le caratteristiche uniche della Sardegna.

Quando tutto questo sarà fatto, e ribadisco quando e non se, il popolo avrà tutte le ragioni per fare un confronto basato su dati concreti ed oggettivi per maturare quella consapevolezza di sé che ci permetterà di avviare un percorso democratico che conduca il popolo a dichiarare L’INDIPENDENZA.


Custa est s’ora!
Grazie.


Laboratorio Gallura.