Relazione al Convegno di Riscossa Italiana alla London School of Economics del 22.11.14
Prof. Antonio Maria Rinaldi
Nuvole sempre più dense si addensano sulle nostre teste. Le istituzioni europee, ma sarebbe più corretto chiamarle per quelle che sono nella realtà, cioè una oligarchia autoreferenziale non eletta dal suffragio universale e pertanto in contrasto con i più elementari principi di democrazia, stanno sempre più attivando piloti automatici al fine di puntellare l’insostenibilità dell’euro. Ciò determina sempre più l’espropriazione delle rispettive Sovranità non solo in termini di politica economica, ma anche delle stesse identità dei rispettivi Paesi. Spieghiamoci meglio.
La costruzione monetaria europea ha dimostrato, sia dal punto di vista teorico che pratico, l’impossibilità di assecondare e supportare le differenze fra le economie dei paesi membri caratterizzate da profonde asimmetrie. L’adeguamento a un modello economico, i cui dogmi sono sintetizzati nella stabilità dei prezzi, cioè nell’ossessivo contenimento dell’inflazione e nel rigore dei conti fino a pretendere il pareggio di bilancio come presupposto per la crescita, hanno fatto letteralmente sprofondare le economie continentali in una crisi economica paragonabile solo a quella del ’29. L’euro di fatto non è una moneta, come la letteratura economica insegna, ma un accordo di cambi fissi regolata da vincoli macroeconomici sanciti dai Trattati senza uno Stato sottostante che ne determini i normali e logici aggiustamenti congiunturali. In questo modo ne consegue che l’euro è l’unica moneta mondiale a la cui rigidità deve adeguarsi l’economia reale che l’adotta e non invece, come dovrebbe logicamente essere, adeguarsi lei stessa alle esigenze dell’economia reale!
Questa palese forzatura, non sostenibile nel tempo, è per l’appunto “corretta” con l’introduzione di meccanismi bio-giuridici-finanziari per tentare disperatamente il rispetto automatico delle regole e in totale sfregio al potere d’intervento dei rispettivi governi nazionali dei paesi membri che, in ogni caso, sono espressione della volontà dei propri cittadini. In quest’ottica sono stati realizzati il FESF, il MES, l’Unione Bancaria e il Fiscal Compact per “blindare”, nel vero senso della parola, il rispetto delle regole a supporto della moneta unica e pertanto la sua stessa sopravvivenza. In questo modo non si vuole dare né nessuno spazio interpretativo né la possibilità di flessibilità gli Stati e questi sono costretti, loro malgrado, a dare esecuzione alle regole previste dai vincoli europei in modo supino.
Per ottemperare invece il dettame della riduzione del debito, a Bruxelles si sta escogitando un’altra micidiale trappola alle nostre spalle. L’art.4 del Fiscal Compact, come già detto, impone la riduzione del debito secondo regole ben precise che allo stato attuale ben difficilmente possono essere rispettate dai Paesi firmatari il Trattato e la Commissione, perfettamente cosciente di tale impossibilità, sta correndo ai ripari.
La Commissione Europea ancora a guida Barroso, ha pertanto incaricato un comitato di 11 esperti (per la cronaca nessun italiano!), presieduto dall’ex governatrice della banca centrale austriaca Gertrude Trumpel-Gugerell, per individuare un meccanismo che vincoli i paesi al rispetto automatico della riduzione del debito così come previsto dal FC. Questo Comitato ha consegnato la proposta a fine marzo scorso, facendo propria quella già ideata dal German Council of Economics Expert (Consiglio dei Saggi tedesco) avanzata alla fine del 2012, che prevedeva la costituzione di un Fondo Europeo di Redenzione, ovvero l’ERF, acronimo di European Redemption Fund. Gli esperti incaricati da Bruxelles per ridurre le eccedenze dei debiti senza possibilità di moratorie discrezionali e con modalità automatiche, hanno concepito un Fondo ad hoc che vincola tutti gli Stati aderenti a conferirne le eccedenze delle porzioni di debito superiori al 60% del PIL. A sua volta il Fondo, per finanziarsi e tramutare i titoli nazionali con garanzia comune, potrà emettere sul mercato dei capitali degli eurobill, ovvero eurobond, che si avvarranno della tripla A, concessa dalle Agenzie di rating alle emissioni della UE, e pertanto godranno di tassi più bassi rispetto a quelli di molti paesi eurodotati. A questa conversione di titoli viene pretesa la garanzia dell’asservimento dei rispettivi asset patrimoniali nazionali, riserve valutarie e auree e parte del gettito fiscale (es. IVA) a titolo di collaterale. Naturalmente tale asservimento, rappresentato dalle garanzie in asset, potrà essere automaticamente liquidato dal Fondo di Redenzione ogni volta che un paese risulterà inadempiente alla riduzione programmata della quota parte di eccesso di debito. Come firmare cambiali in bianco pronte all’incasso seguendo la logica del curatore fallimentare più orientata a soddisfare i diritti del creditore che del debitore! Se un paese membro non sarà in grado di reperire le risorse necessarie ogni anno e per vent’anni, scatterà la procedura automatica. Praticamente per quel che ci riguarda i nostri gioielli di famiglia, rappresentati dalle partecipazioni in ENI, Finmeccanica, Poste, ENEL ecc., i beni immobiliari pubblici, le riserve auree e valutarie, saranno liquidate automaticamente se non provvederemo in modo autonomo a diminuire di un ventesimo l’anno l’eccedenza del surplus di debito con il pericolo che saranno letteralmente svendute pur di rispettare le assurde e anacronistiche regole.
Questo significa LA TOTALE E IRREVERSIBILE ABDICAZIONE DELLA SOVRANITA’, pretesa e richiesta sull’altare della sostenibilità di una moneta che si è rivelata essere un OGM concepita per fungere perfettamente da volano e supporto alle operazioni finanziarie e all’economia virtuale e non certo alle esigenze dell’economia reale e alle sacrosante esigenze e diritti dei cittadini! Un altro aspetto importantissimo a nostro discapito è che l’emissione di eurobond, in sostituzione dei titoli nazionali, tramuterebbe quella porzione di debito definitivamente sotto la giurisdizione estera internazionale in quanto ora, per quanto già espressa in valuta estera euro, almeno ricade ancora sotto l’applicabilità nel nostro Paese degli art.1277 e 1278 del cc. che prevedono la lex monetae, cioè la possibilità di conversione in qualsiasi momento nella valuta legale in uso. Si tratterebbe dell’abdicazione più totale di qualsiasi residuo di Sovranità e saremo depredati di tutto il nostro patrimonio pubblico a prezzi di liquidazione fallimentare. Inoltre il residuale debito rientrante nel rapporto del 60% sul PIL, che rimarrebbe nella nostra gestione, subirebbe un forte deprezzamento a causa dei tassi, perché si dovrebbe confrontare sui mercati con lo spread generato dalla presenza degli eurobond, sempre espressi in euro ma con tripla A e con garanzia di collaterale sottratta alla garanzia generale di tutto il debito emesso.
Altro pericolo incombente per la nostra economia e per la nostra qualità di vita è dietro l’angolo: mi riferisco al TTIP (Transatlantic Trade & Investment Partnership) o meglio TAFTA (Transatlantic Free Trade Agreement) cioè il Trattato fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea per poter far nascere la più grande area di libero scambio del mondo con l’abbattimento dei confini commerciali e soprattutto dei vincoli normativi fra Europa e USA. Da diversi mesi lo stanno negoziando, nella totale e massima segretezza, il Governo americano e la Commissione Europea, nonostante gli effetti potrebbero letteralmente sconvolgere il nostro modo di vivere.
Ma l’aspetto più sconcertante di questo accordo è l’adozione di Tribunali arbitrali privati per la risoluzione di controversie in caso di contenziosi per il non rispetto delle norme del Trattato TTIP a cui gli stessi Stati dovranno sottostare subordinando la propria legislazione. Pertanto se una azienda reputa di essere stata danneggiata da una decisione politica di un Governo, potrà appellarsi ad un Tribunale privato che ha la giurisdizione per poterlo fare citando in giudizio lo Stato stesso. Inoltre il Trattato prevede, in caso di risoluzione di uno o più Paesi, il vincolo di rispettarlo comunque e in ogni caso per un periodo di vent’anni, il giusto tempo per rendere irreversibile qualsiasi economia ormai assoggettata profondamente e definitivamente al nuovo sistema introdotto.
Inutile precisare che il coltello dalla parte del manico l’avrebbero sempre in ogni caso gli americani, in quanto potendo contare sul governo del tasso di cambio della loro moneta per mezzo della FED rispetto ai paesi europei che invece non hanno la stessa possibilità in quanto non previsto dal mandato della BCE, agirebbero costantemente sui mercati valutari per favorire in modo ottimale i flussi fra import ed export.
ERF & TTIP: facce di una stessa medaglia, ovvero l’atto finale per rendere irreversibili le cessioni delle Sovranità europee.
Nuvole sempre più dense si addensano sulle nostre teste. Le istituzioni europee, ma sarebbe più corretto chiamarle per quelle che sono nella realtà, cioè una oligarchia autoreferenziale non eletta dal suffragio universale e pertanto in contrasto con i più elementari principi di democrazia, stanno sempre più attivando piloti automatici al fine di puntellare l’insostenibilità dell’euro. Ciò determina sempre più l’espropriazione delle rispettive Sovranità non solo in termini di politica economica, ma anche delle stesse identità dei rispettivi Paesi. Spieghiamoci meglio.
La costruzione monetaria europea ha dimostrato, sia dal punto di vista teorico che pratico, l’impossibilità di assecondare e supportare le differenze fra le economie dei paesi membri caratterizzate da profonde asimmetrie. L’adeguamento a un modello economico, i cui dogmi sono sintetizzati nella stabilità dei prezzi, cioè nell’ossessivo contenimento dell’inflazione e nel rigore dei conti fino a pretendere il pareggio di bilancio come presupposto per la crescita, hanno fatto letteralmente sprofondare le economie continentali in una crisi economica paragonabile solo a quella del ’29. L’euro di fatto non è una moneta, come la letteratura economica insegna, ma un accordo di cambi fissi regolata da vincoli macroeconomici sanciti dai Trattati senza uno Stato sottostante che ne determini i normali e logici aggiustamenti congiunturali. In questo modo ne consegue che l’euro è l’unica moneta mondiale a la cui rigidità deve adeguarsi l’economia reale che l’adotta e non invece, come dovrebbe logicamente essere, adeguarsi lei stessa alle esigenze dell’economia reale!
Questa palese forzatura, non sostenibile nel tempo, è per l’appunto “corretta” con l’introduzione di meccanismi bio-giuridici-finanziari per tentare disperatamente il rispetto automatico delle regole e in totale sfregio al potere d’intervento dei rispettivi governi nazionali dei paesi membri che, in ogni caso, sono espressione della volontà dei propri cittadini. In quest’ottica sono stati realizzati il FESF, il MES, l’Unione Bancaria e il Fiscal Compact per “blindare”, nel vero senso della parola, il rispetto delle regole a supporto della moneta unica e pertanto la sua stessa sopravvivenza. In questo modo non si vuole dare né nessuno spazio interpretativo né la possibilità di flessibilità gli Stati e questi sono costretti, loro malgrado, a dare esecuzione alle regole previste dai vincoli europei in modo supino.
Il Trattato sulla Stabilità, conosciuto ormai comunemente come Fiscal Compact, prevede il pareggio di bilancio strutturale e la diminuzione pianificata in vent’anni dell’eccedenza del surplus del rapporto debito pubblico PIL rispetto al parametro del 60%. Pertanto, per soddisfare i fabbisogni finanziari in regime di “pareggio di bilancio” strutturale come previsto dal Fiscal Compact nell’art.3, (per strutturale s’intende tollerato allo 0,5% per chi come noi italiani è meno virtuoso, mentre per i più “bravi” all’1%), dovremo far ricorso esclusivamente a tagli della spesa pubblica e/o per mezzo della leva fiscale a carico delle famiglie e del sistema delle imprese. Agendo in questo modo questi ultimi soggetti assumono sempre più la funzione di unici “prestatori di ultima istanza”, visto che l’impianto della moneta unica non contempla una Banca Centrale che possa ottemperare a questa funzione. Ma ormai su questo fronte la misura è colma ed è utile rendere noto per l’ennesima volta che la spesa primaria italiana, cioè al netto degli interessi corrisposti sul debito, è già comunque inferiore alla spesa sostenuta dalla media dei Paesi dell’eurozona e minore a quella di paesi come la Francia, Finlandia, Austria, Belgio, Germania e Olanda (dati ufficiali AMECO) e che pertanto il futuro reperimento di fabbisogni finanziari sarà soddisfatto con sempre maggiore ricorso alla leva fiscale.
Spero che sia chiaro, dopo la visione del grafico, che i problemi italiani non risiedono nell’eccesso della spesa pubblica e chi persegue questa convinzione lo fa o per ignoranza o per distogliere l’opinione pubblica. Che ci siano sprechi in molti capitoli della spesa pubblica è fuori dubbio, ma non devono essere corretti se non con riallocazione in altrettanti capitoli di spesa sotto finanziati senza modificare i saldi finali. Lo stesso concetto espresso dalla spending review riguarda la revisione e non il taglio della spesa pubblica.
Per ottemperare invece il dettame della riduzione del debito, a Bruxelles si sta escogitando un’altra micidiale trappola alle nostre spalle. L’art.4 del Fiscal Compact, come già detto, impone la riduzione del debito secondo regole ben precise che allo stato attuale ben difficilmente possono essere rispettate dai Paesi firmatari il Trattato e la Commissione, perfettamente cosciente di tale impossibilità, sta correndo ai ripari.
Se volessimo simulare, alla data attuale, le risorse necessarie per soddisfare solamente la riduzione dell’eccedenza del debito nel solo 2015, così come previsto dal F.C. e prendendo a riferimento i dati previsionali del FMI sulla dinamica del debito e del PIL nel 2014 e 2015 nel nostro Paese, dovremmo reperire risorse aggiuntive, oltre quelli previsti, fra i 38 e i 40Mld di euro, ma a consuntivo potrebbe essere una cifra per difetto perché siamo ormai abituati all’inattendibilità cronica del FMI.
La Commissione Europea ancora a guida Barroso, ha pertanto incaricato un comitato di 11 esperti (per la cronaca nessun italiano!), presieduto dall’ex governatrice della banca centrale austriaca Gertrude Trumpel-Gugerell, per individuare un meccanismo che vincoli i paesi al rispetto automatico della riduzione del debito così come previsto dal FC. Questo Comitato ha consegnato la proposta a fine marzo scorso, facendo propria quella già ideata dal German Council of Economics Expert (Consiglio dei Saggi tedesco) avanzata alla fine del 2012, che prevedeva la costituzione di un Fondo Europeo di Redenzione, ovvero l’ERF, acronimo di European Redemption Fund. Gli esperti incaricati da Bruxelles per ridurre le eccedenze dei debiti senza possibilità di moratorie discrezionali e con modalità automatiche, hanno concepito un Fondo ad hoc che vincola tutti gli Stati aderenti a conferirne le eccedenze delle porzioni di debito superiori al 60% del PIL. A sua volta il Fondo, per finanziarsi e tramutare i titoli nazionali con garanzia comune, potrà emettere sul mercato dei capitali degli eurobill, ovvero eurobond, che si avvarranno della tripla A, concessa dalle Agenzie di rating alle emissioni della UE, e pertanto godranno di tassi più bassi rispetto a quelli di molti paesi eurodotati. A questa conversione di titoli viene pretesa la garanzia dell’asservimento dei rispettivi asset patrimoniali nazionali, riserve valutarie e auree e parte del gettito fiscale (es. IVA) a titolo di collaterale. Naturalmente tale asservimento, rappresentato dalle garanzie in asset, potrà essere automaticamente liquidato dal Fondo di Redenzione ogni volta che un paese risulterà inadempiente alla riduzione programmata della quota parte di eccesso di debito. Come firmare cambiali in bianco pronte all’incasso seguendo la logica del curatore fallimentare più orientata a soddisfare i diritti del creditore che del debitore! Se un paese membro non sarà in grado di reperire le risorse necessarie ogni anno e per vent’anni, scatterà la procedura automatica. Praticamente per quel che ci riguarda i nostri gioielli di famiglia, rappresentati dalle partecipazioni in ENI, Finmeccanica, Poste, ENEL ecc., i beni immobiliari pubblici, le riserve auree e valutarie, saranno liquidate automaticamente se non provvederemo in modo autonomo a diminuire di un ventesimo l’anno l’eccedenza del surplus di debito con il pericolo che saranno letteralmente svendute pur di rispettare le assurde e anacronistiche regole.
Questo significa LA TOTALE E IRREVERSIBILE ABDICAZIONE DELLA SOVRANITA’, pretesa e richiesta sull’altare della sostenibilità di una moneta che si è rivelata essere un OGM concepita per fungere perfettamente da volano e supporto alle operazioni finanziarie e all’economia virtuale e non certo alle esigenze dell’economia reale e alle sacrosante esigenze e diritti dei cittadini! Un altro aspetto importantissimo a nostro discapito è che l’emissione di eurobond, in sostituzione dei titoli nazionali, tramuterebbe quella porzione di debito definitivamente sotto la giurisdizione estera internazionale in quanto ora, per quanto già espressa in valuta estera euro, almeno ricade ancora sotto l’applicabilità nel nostro Paese degli art.1277 e 1278 del cc. che prevedono la lex monetae, cioè la possibilità di conversione in qualsiasi momento nella valuta legale in uso. Si tratterebbe dell’abdicazione più totale di qualsiasi residuo di Sovranità e saremo depredati di tutto il nostro patrimonio pubblico a prezzi di liquidazione fallimentare. Inoltre il residuale debito rientrante nel rapporto del 60% sul PIL, che rimarrebbe nella nostra gestione, subirebbe un forte deprezzamento a causa dei tassi, perché si dovrebbe confrontare sui mercati con lo spread generato dalla presenza degli eurobond, sempre espressi in euro ma con tripla A e con garanzia di collaterale sottratta alla garanzia generale di tutto il debito emesso.
La nostra classe politica, che ha ratificato il Fiscal Compact e inserito prontamente nel dettame costituzionale il principio del pareggio di bilancio modificandone l’art.81 (caso unico fra i 25 firmatari) e che continua a ragliare sempre più forte sulla cessione della Sovranità del nostro Paese a vantaggio di Bruxelles in totale fregio della nostra Carta Costituzionale, è in grado di capire cosa ci attende con l’ERF? Per questi personaggi, che occupano anche ruoli istituzionali, l’appellativo di collaborazionisti, e svenditori del Paese è sin troppo leggero! Il Divino Dante già ha previsto la loro collocazione definitiva: nel trentaduesimo canto dell’Inferno e precisamente nella seconda zona del nono cerchio, dove il Padre della nostra lingua ha posto i traditori della patria! I prossimi mesi saranno cruciali sulle evoluzioni che avverranno in Europa e vedremo se proveranno ad adottare questo ulteriore meccanismo automatico come ultima carta per la sostenibilità dell’euro.
Altro pericolo incombente per la nostra economia e per la nostra qualità di vita è dietro l’angolo: mi riferisco al TTIP (Transatlantic Trade & Investment Partnership) o meglio TAFTA (Transatlantic Free Trade Agreement) cioè il Trattato fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea per poter far nascere la più grande area di libero scambio del mondo con l’abbattimento dei confini commerciali e soprattutto dei vincoli normativi fra Europa e USA. Da diversi mesi lo stanno negoziando, nella totale e massima segretezza, il Governo americano e la Commissione Europea, nonostante gli effetti potrebbero letteralmente sconvolgere il nostro modo di vivere.
Dell’accordo analizziamo solo alcuni aspetti: da quello che si può per ora intuire, oltre alle cosiddette barriere tariffarie, cioè i dazi, saranno interessate anche le barriere non tariffarie, in particolare quelle che riguardano i controlli e gli standard qualitativi richiesti per i generi alimentari, per i controlli sanitari delle merci, sulle politiche dei prezzi dei farmaci, sui brevetti e i copyright, sulla libertà nell’uso di internet e sulla privacy dei consumatori, norme sui prodotti chimici in agricoltura e naturalmente sull’immenso infinito dei servizi, cioè assicurazioni sulla vita e sanitarie, servizi finanziari, ecc. Tuttavia, dalle indiscrezioni trapelate, l’accordo prevedrebbe uno spazio finanziario comune, ma non una regolamentazione concertata della finanza. Sappiamo altresì che esistono livelli estremamente diversi di standard e di comportamenti normativi fra USA e UE e l’accordo provocherebbe forti discapiti a Paesi come il nostro che, specialmente nel settore agro-alimentare, ha issato controlli e standard qualitativi molto alti. Basti pensare alla possibilità di libero commercio nella grande nuova macroarea di carni di animali trattati con gli ormoni e antibiotici e generi alimentari con l’utilizzo di sementi OGM e la non più tutela dei prodotti a denominazione d’origine controllata e garantita, capisaldi delle nostre eccellenze alimentari.
Ma l’aspetto più sconcertante di questo accordo è l’adozione di Tribunali arbitrali privati per la risoluzione di controversie in caso di contenziosi per il non rispetto delle norme del Trattato TTIP a cui gli stessi Stati dovranno sottostare subordinando la propria legislazione. Pertanto se una azienda reputa di essere stata danneggiata da una decisione politica di un Governo, potrà appellarsi ad un Tribunale privato che ha la giurisdizione per poterlo fare citando in giudizio lo Stato stesso. Inoltre il Trattato prevede, in caso di risoluzione di uno o più Paesi, il vincolo di rispettarlo comunque e in ogni caso per un periodo di vent’anni, il giusto tempo per rendere irreversibile qualsiasi economia ormai assoggettata profondamente e definitivamente al nuovo sistema introdotto.
Inutile precisare che il coltello dalla parte del manico l’avrebbero sempre in ogni caso gli americani, in quanto potendo contare sul governo del tasso di cambio della loro moneta per mezzo della FED rispetto ai paesi europei che invece non hanno la stessa possibilità in quanto non previsto dal mandato della BCE, agirebbero costantemente sui mercati valutari per favorire in modo ottimale i flussi fra import ed export.
I nostri cugini francesi hanno già fatto sapere di non essere disponibili ad accettare di sottostare ai Tribunali privati arbitrali, dimostrando di tutelare il loro sistema paese e i loro cittadini; noi invece preferiamo tacere e firmare in bianco qualsiasi cosa ci venga proposta.
Anche in questo caso i nostri politici preferiscono cedere la Sovranità del Paese evidentemente non essendo in grado di gestirla, ma la nostra Storia, la nostra identità, la nostra Costituzione non lo consentono assolutamente, sono in ballo criteri e diritti propri di una democrazia e pertanto non negoziabili, non disponibili e imprescindibili. E’ in atto una vera e propria dittatura economica e il modello di democrazia imposto dall’Europa è la più subdola delle tirranie. L’Italia è la nostra Patria e guai a chi la vuole distruggere: abbiamo dimostrato nei millenni di saper camminare con le nostre gambe e non vogliamo rinunciarvi per un piatto di lenticchie, anzi di crauti e patatine fritte! Cerchiamo di fare finalmente i nostri interessi esattamente come non hanno mai smesso di farli tutti gli altri, magari con il contributo di una nuova classe politica dirigente che sappia non solamente fare inchini per tornaconti personali, ma che sappia proporre iniziative concrete per il bene del Paese.
PREPARIAMOCI A RIPRENDERE LE CHIAVI DI CASA PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI, NEL RISPETTO DI QUELLO CHE HANNO COSTRUITO I NOSTRI PADRI E PER GARANTIRE UN FUTURO AI NOSTRI FIGLI!