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martedì 25 agosto 2020

Pierluigi Battista a La Verità: «Se saltano le elezioni è guerra civile»


Pierluigi Battista a La Verità: «Se saltano le elezioni è guerra civile»

Pierluigi Battista
Sa Defenza 



L'intellettuale liberale: «Il premier Conte si regge sulla paura, ormai ha messo la democrazia in quarantena. Si sta affermando l'idea che il governo sia slegato dalla sovranità popolare. Ma se il 20 settembre non si vota...».

«È un governo che si regge sulla paura. Se davvero rinviano le elezioni, prepariamoci alla guerra civile». Pierluigi Battista, firma storica del Corriere della Sera, punta il dito contro «l'emergenza sine die», che vede negli esperti del Comitato tecnico scientifico l'avanguardia armata.

Li ha chiamati «professionisti dell'antivirus», abbracciando un'espressione coniata da Massimo Donelli. Di chi parliamo?

«Di questo mandarinato di burocrati che da mesi fornisce indicazioni contradditorie e pericolose. Hanno detto che la mascherina non serviva. Hanno inveito contro il Veneto perché faceva i tamponi agli asintomatici. Oggi dovrebbero mantenere un minimo di garbato silenzio».
Se questo «professionismo dell'antivirus» ricalca il «professionismo dell'antimafia» di Leonardo Sciascia, allora abbiamo a che fare con uno strumento di potere.
«Sì, sono i sommi sacerdoti della religione della chiusura. Sanno ripetere solo una frase: “Chiudiamo tutto". Quando iniziarono le prime aperture, compresero che il loro ruolo stava venendo meno, e cominciarono a sfornare previsioni apocalittiche. Dissero che entro il 10 giugno avremmo avuto 150.000 ricoverati in terapia intensiva».
Non è successo.
«Sono degli imbroglioni. Ingannano sui numeri. Dovrebbero spiegarci perché a inizio aprile c'erano 800 morti al giorno e oggi poche unità. Con le dovute cautele, dovremmo farci un applauso. Invece abbiamo a che fare con persone lugubri che insistono con la politica della paura, a dispetto dei dati»
Chiariamo: lei non è un negazionista.
«Ma no. Il lockdown è stato assolutamente necessario, ed è giusto continuare a prestare attenzione. Riaprire le discoteche, per esempio, è stata una scemenza. Ma la mia domanda è un'altra: perché nessuno si è davvero occupato della fase due? Perché oltre a spargere terrore, non spargono proposte? È ridicolo che in sei mesi non abbiano trovato una soluzione minima sulla scuola, o sui medici territoriali, o sui mezzi pubblici».
Risultato?
«Sanno soltanto colpevolizzare: se la prendono con il runner e con il popolo della movida».
Prendersi la briga di fare delle scelte è compito della politica.
«Sì. Il problema è che questi esperti sono entrati in perfetta sintonia con un governo frutto di una combinazione di palazzo. Lo stesso governo Conte si regge sulla paura, vi trova legittimazione. Altrimenti non resterebbe in piedi un minuto di più».
Intende dire che il governo si appoggia consapevolmente sulla paura, alimentata di concerto con gli esperti del Comitato tecnico scientifico?
«Ma certo. Se Zangrillo viene attaccato non è certo per via d'una disputa scientifica. Se venisse meno il messaggio quotidiano che alimenta l'ansia, gli impresari della paura non saprebbero più chi sono».
Il filosofo Giorgio Agamben sottolinea un paradosso: la cessazione di ogni rapporto sociale viene presentata come massima forma di partecipazione civica.
«Su questo ha ragione. Tutto ciò che c'è di buono nella socialità, e che peraltro rende la vita migliore, viene considerato delittuoso. Questa tendenza riguarda anche la politica. Non a caso si comincia a parlare della possibilità di non svolgere le elezioni regionali».43
La frase di Walter Ricciardi sull'ipotesi di un rinvio è stata un'uscita maldestra?
«No, è il sintomo di una tentazione, e da liberale la vedo molto male. A furia di separare l'idea del governo dall'idea del voto, si sta creando un vuoto di fiducia nei confronti della democrazia».
Non siamo forse in emergenza?
«Sì, ma l'emergenza non può essere la regola. Ci stiamo abituando all'idea che non ci sia nesso tra sovranità popolare e governo: è una divaricazione preoccupante, che è diventata programmatica. Se davvero saltassero le prossime elezioni, prepariamoci alla guerra civile. La situazione sarebbe insostenibile».
Fino a che punto?
«Non sto pensando alla dittatura. E non sto dicendo che in Italia non c'è più libertà. Dico però che le forme democratiche non contano più. È una deriva anche culturale. E attenzione: nel panorama occidentale, sta accadendo solo in Italia. Insomma, siamo un'eccezione».
A proposito di anomalie: l'alleanza nelle regioni tra Pd e 5 stelle è durata cinque minuti. Anzi, non è mai iniziata.
«Sono due partiti che si odiano: si accusavano di essere fuorilegge e di rubare bambini. Per la prima volta nella storia repubblicana due forze che si odiano sono salite al governo insieme, per evitare che Salvini vincesse le elezioni. L'alleanza doveva proseguire, ma è chiaro che non hanno nulla in comune».
Tra i due litiganti, chi ne esce peggio?
«Non so se i 5 stelle abbiano tradito sé stessi: comunque sia, il governo va dove vogliono loro. Il Pd, in un anno, ha dovuto ingoiare il reddito di cittadinanza, il taglio dei parlamentari, la prescrizione, il blocco del Mes. E cos'ha ottenuto in cambio? Vi risparmio la fatica di pensarci: zero».
Un'alleanza sbilanciata?
«Il Pd non ha la forza di imporre nulla, anche perché non c'è una sola battaglia che consideri imprescindibile. Ogni tanto si alza uno e grida: “Ius culturae! Cuneo fiscale!". Ma lo trattano come un comico, e finisce lì. Questo è il vero dramma, al di là delle schermaglie quotidiane: il Pd non ha più una bandiera che ne caratterizzi identità e cultura».
Insomma, il potere per il potere?
«I partiti della prima repubblica avevano un radicamento storico, quelli della seconda, bene o male, vantavano un certo rapporto con l'elettorato. Ma dal 2011 in poi, si è deciso che il popolo non conta più. Nascono governi che con il voto elettorale non hanno alcun legame. E in questo periodo il Pd è stato quasi sempre al governo, ma con il minimo dei voti».
Come se lo spiega?
«È diventato il partito del sistema, dell'establishment. E non lo dico con disprezzo: è semplicemente il perno del potere. L'importante per loro è stare al governo: con Monti, con Conte, con Renzi. È la loro insegna politica».
Come finirà la manfrina tra le due forze di maggioranza?
«No, quale manfrina: c'è una profonda incompatibilità. Quando il Pd dovrà ingoiare la candidatura della Raggi, sarà doloroso. Vedo una forte pulsione suicida, che peraltro a Roma rischia di contagiare il centrodestra».
Il centrodestra?
«Mi sarei aspettato che da quel versante proponessero per il Campidoglio una persona capace realmente di guidare la città. E quella persona è Guido Bertolaso».
Invece?
«Rischiano di sbagliare un rigore a porta vuota, puntando magari su un oscuro funzionario di partito. Così facendo perderanno, e si dimostreranno dei peracottari tali e quali agli avversari».
Che succede al governo se il centrodestra conquista anche Puglia e Marche?
«Nessuna conseguenza. Si tirerà a campare. Se si va alle elezioni politiche, qui spariscono tutti. E Conte, che è il nulla che si muove, farebbe la fine di Lamberto Dini».
L'obiettivo è trascinarsi fino al voto per il Quirinale?
«Ovvio che se resta questa maggioranza, il prossimo inquilino sarà espressione della sinistra, perpetuando un'anomalia che dura da anni. E qui il centrodestra, se vuole essere della partita, deve imparare a trasmettere messaggi rassicuranti, far filtrare nomi. Occorre coltivare un rapporto con una parte di società che vada oltre i propri seguaci».
Chi si prenderebbe il disturbo, nella compagine di centrodestra?
«Giorgia Meloni, oltre a curare il suo 15%, dovrebbe fare un gesto di rottura. Immaginiamo che un giorno, con un discorso alto, dica sì al Mes, che peraltro a me sembra una cosa ragionevole».
Francamente difficile da immaginare.
«La politica è fatta anche di gesti coraggiosi, che rompono gli equilibri. Ariel Sharon cacciò con l'esercito i coloni israeliani a Gaza, scatenando un putiferio interno. Un leader politico non può limitarsi ad accarezzare il pelo del popolo urlante».
Ma se Meloni facesse un gesto del genere, cosa ci guadagnerebbe?
«Si smarcherebbe da Salvini, diventando una vera alternativa per il centrodestra. Una coalizione che già oggi, per come la vedo, dovrebbe scrivere e pubblicare un contro-programma di governo».
Contro-programma?
«Un elenco dettagliato di quello che hanno intenzione di fare. Infrastrutture, sanità, scuola, cultura, lavoro. Non dev'essere un carteggio vago, ma una cosa da ragionieri, fatta di numeri. Del resto, gli economisti da quelle parti non mancano».
Insomma, un libro bianco. E se il premier non intendesse leggerlo?
«Pazienza. Il centrodestra mostrerebbe comunque al Paese di saper governare. Meglio di quelli che sono oggi al timone».
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