venerdì 12 giugno 2009

Nei Quaderni la profezia di Gramsci Il vecchio mondo muore e il nuovo non può nascere


de Gianni Fresu
La prima guerra mondiale provocò nella società europea una grave crisi economica, politica e culturale. La guerra era stata invocata come progresso e igiene dell'umanità ma dopo la sbornia di retorica patriottica e militare quel che restava era un quadro sociale profondamente disgregato segnato da alcuni fattori destinati a deflagrare tra loro: l'inefficacia e l'instabilità del sistema liberale, l'impoverimento e il ridimensionamento dei ceti medi, l'irrompere sulla scena delle grandi masse popolari mobilitate durante il conflitto. Gli storici hanno poi parlato di crisi morale e d'identità di una borghesia resa inquieta dalla crescita del movimento operaio e contadino e timorosa per l'esempio della rivoluzione dell'ottobre '17. Un contesto drammatico e insieme esaltante, dove il vecchio mondo sembrava destinato a morire da un momento all'altro, che segnò Gramsci nelle scelte di vita, consacrata alla militanza politica, e nel percorso teorico, sempre problematicamente rivolto all'insieme di queste contraddizioni.
L'Italia costituiva un punto nevralgico della crisi di civiltà europea, non è un caso se qui si formarono le condizioni per la nascita e l'avvento del fascismo, e l'opera dei Quaderni dal carcere ne analizza sistematicamente cause ed effetti. Quando una classe perde consenso e cessa di essere dirigente, limitandosi ad essere dominante attraverso l'uso della forza coattiva, vuol dire che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali e dai vecchi valori. La crisi del dopoguerra è sintetizzata in queste note, contenute nell'ottavo volume in uscita domani, da una celebre frase dell'intellettuale sardo: «il vecchio muore e il nuovo non può nascere».
A fronte di un decadimento irreversibile del vecchio ordine liberale non era corrisposto il suo superamento da parte di un ordine nuovo, il socialismo, per l'immaturità, il paternalismo e il dilettantismo del suo movimento. In situazioni di tale tipo si moltiplicano le possibili soluzioni di forza, i rischi di sovversivismo reazionario, le operazioni oscure sotto la guida di capi carismatici. Questa frattura tra rappresentati e rappresentanti porta per riflesso al rafforzamento di tutti quegli organismi relativamente indipendenti dalle oscillazioni dell'opinione pubblica come la burocrazia militare e civile, l'alta finanza, la chiesa. Dietro alla crisi di egemonia del regime liberale in Italia c'era l'inutile sforzo per la guerra, con il suo carico di promesse millantate non mantenute, e l'irrompere di soggetti sociali prima passivi. Il fascismo era la logica conseguenza di una condizione di stallo dove nessun gruppo, né quello conservativo né quello progressivo, aveva la forza necessaria per la vittoria definitiva. L'uso della forza, sia quella tradizionale dello Stato, sia quella illegale delle squadre paramilitari di Mussolini divengono allora per Gramsci il mezzo con il quale le vecchie classi dirigenti tentano di sopperire alla morte del vecchio mondo impedendo con ogni mezzo la nascita di quello nuovo.
fonte : unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo/124888


giovedì 11 giugno 2009

L’astensionismo antidemocratico de Alain de Benoist

L’astensionismo antidemocratico



In Francia, alla vigilia del voto, s’attendeva un’ondata d’astensioni senza precedenti: fino al 50 per cento. Tenuto conto dell’eliminazione delle listarelle che non avranno il 5 per cento dei suffragi, sebbene fra tutte rappresentino circa il 20 per cento dell’elettorato, gli eletti al Parlamento di Strasburgo rappresenterebbero un quarto della popolazione. Brutto segno per la democrazia. Ma per quale democrazia? Democrazia d’opinione, televisiva, di mercato? Studiate nella dimensione della crisi o valutate nella dinamica postmoderna, le patologie delle democrazie contemporanee attraggono vieppiù l’attenzione degli osservatori. È opinione generale che esse non ineriscano alla democrazia come tale, ma derivino dalla corruzione dei suoi principi. Gli osservatori più superficiali l’attribuiscono a fattori e fenomeni esterni (rituali le denunce del fondamentalismo, del populismo, del comunitarismo, della globalizzazione, ecc.), che riguardano solo evoluzione dei costumi e mutamenti sociali. Spesso, insomma, si scambia la causa per l’effetto, mentre gli osservatori più seri vanno oltre le osservazioni immediate e s’interrogano sull’evoluzione della democrazia, parlando allora di distacco più o meno netto fra ciò che la democrazia è e ciò che dovrebbe essere secondo i suoi principi fondatori.
Certuni parlano già di “post-democrazia”, non per dire che la democrazia è al termine, ma per suggerire che ha spontanemente adottato forme post-democratiche, da definire e classificare. Altri suggeriscono che siamo in una situazione paragonabile a quella di pochi anni prima della rivoluzione francese. I toni più comuni sono inquieti e disillusi. Per le democrazie europee la crisi attuale non è la prima. In materia Marcel Gauchet pubblica La révolution moderne e La crise du libéralisme, 1880-1914 (entrambi Gallimard), primi due - di quattro - volumi su L’avènement de la démocratie. La prima crisi della democrazia si profila in Francia dal 1880, s’afferma con lo «choc 1900», ma esplode solo dopo la Grande guerra, culminando negli anni Trenta. A quell’epoca - scrive Gauchet - «il regime parlamentare si rivela tanto ingannatore quanto impotente; minato dalla divisione del lavoro e dall’antagonismo fra classi, la società pare crollare; generalizzandosi, il cambiamento storico accelera, cresce, sfugge ai controlli». Si entra nell’era delle masse e la società è lacerata dalla lotta di classe. Inoltre cadono le solidarietà organiche e si svuotano le campagne. Conseguenza diretta di tale crisi è innanzitutto l’ascesa delle prime ideologie (pianismo, tecnocrazia) che vogliono dare il potere politico a «esperti», poi, e soprattutto, lo scatenarsi dei regimi totalitari, che tenteranno - come hanno dimostrato Louis Dumont e, in misura minore, Claude Lefort - di compensare gli effetti dissolventi dell’individualismo e la destrutturazione culturale della società con un olismo tanto artificioso quanto brutale, legato alla mobilitazione delle masse e all’instaurazione d’un regime da caserma nella società globale, su un fondo d’appelli a concetti prepolitici come la «comunità razziale». In realtà, per Gauchet, «tornano o tentano di tornare, in un linguaggio laico, alla società religiosa, alla sua coerenza e alla convergenza delle sue parti».

Da questo punto di vista, i totalitarismi del XX secolo sono incontestabilmente figli (illegittimi) del liberalismo. La fine della II guerra mondiale segna il grande ritorno della democrazia liberale. In un primo tempo, però, per evitare la ricaduta negli errori prebellici, la democrazia liberale si veste da Stato-Provvidenza. Nel contesto del fordismo trionfante, in realtà si forma un regime misto, che al classico Stato di diritto associa elementi d’essenza più democratica, ma dove la democrazia è vista innanzitutto come «democrazia sociale». Per Gauchet le caratteristiche di questa «sintesi liberal-democratica» sono: rivalutazione del potere esecutivo in seno al sistema rappresentativo, adozione - dove ancora mancavano - di assicurazioni sociali contro la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia e l’indigenza, infine costituzione di un apparato che rimedi all’anarchia derivante dal libero sviluppo degli scambi sui mercati. Più o meno normalmente il sistema funzionò fino a metà degli anni Settanta. Dal 1975-80 nuove tendenze portano a una crisi diversa. Ideata come società d’assicurazioni e come organizzazione benefica, la democrazia sociale comincia ad ansimare e il liberalismo puro torna a prevalere. Privilegiata senza ritegno, la società civile diventa il motore di una nuova fase dell’organizzazione autonoma della vita sociale. È il grande ritorno del liberalismo economico, mentre a poco a poco il capitalismo si libera degli ostacoli, processo culminante nella globalizzazione seguita alla disgregazione del sistema sovietico. A lungo relegata nel ruolo simbolico e decorativo delle venerabili astrazioni d’epoca, l’ideologia dei diritti dell’uomo diventa la religione dei tempi nuovi e, insieme, la cultura dei buoni sentimenti, l’unica capace di realizzare il consenso sulle rovine delle ideologie precedenti.
Nello stesso tempo lo Stato-nazione si rivela sempre più impotente contro le sfide del momento, perdendo progressivamente tutti i «valori di maestà», mentre si assiste, ovunque, al massiccio rilancio del processo d’individualizzazione, che si traduce nella scomparsa, in pratica, dei grandi progetti collettivi fondatori d’un «noi». Mentre in passato «era questione solo di masse e classi, perché l’individuo era considerato per il suo gruppo, la società di massa è stata sovvertita dall’interno dall’individualismo di massa, che sottrae l’individuo al suo appartenere». È anche l’epoca della quasi scomparsa delle società rurali occidentali, rivoluzione silenziosa i cui effetti profondi saranno più o meno inavvertiti, e dalla generalizzazione delle società multietniche, nate dall’immigrazione di massa. Per capire quest’evoluzione va colta la distinzione fra democrazia antica e moderna. La prima, già insita nell’idea di un’autocostituzione delle comunità umane, può definirsi come la formazione politica dei mezzi dell’autonomia grazie alla partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. La democrazia moderna è intrinseca alla modernità, ma solo attraverso un legame col liberalismo che tende a snaturarla. La causa profonda della crisi è l’alliage contronatura della democrazia col liberalismo, che Gauchet ha potuto presentare come «la dottrina stessa del mondo moderno». L’espressione «democrazia liberale» associa come complementari termini contraddittori. Oggi, rivelandosi del tutto, il liberalismo minaccia le basi della democrazia.
Giustamente Chantal Mouffe (The Democratic Paradox, Verso) osserva: «Da una parte c’è la tradizione liberale costituita dal regno della legge, dalla difesa dei diritti dell’uomo e dal rispetto della libertà individuale; dall’altra la tradizione democratica, con idee principali come eguaglianza, identità fra governo e governati, sovranità popolare. Fra queste due diverse tradizioni non c’è una relazione necessaria, ma solo un’articolazione storica contingente». Senza cogliere questa distinzione non si capisce la crisi attuale della democrazia, crisi di sistema di questa «articolazione storica contingente». Democrazia e liberalismo non sono sinonimi. Su punti importanti sono perfino concetti opposti. Ci possono essere democrazie non liberali (democrazie e basta) e liberali non democratici. Per Carl Schmitt, più una democrazia è liberale, meno è democratica.


Traduzione di Maurizio Cabona
www.ariannaeditrice.it
fonte:
Les Amis d’Alain de Benoist







«L'ecologia unisce e vince»

L'altermondialista Bové spiega l'alleanza con l'europeista Cohn-Bendit e il successo della lista
Anna Maria Merlo
ilmanifesto.it
PARIGI
Il successo della lista Europa ecologia alle elezioni europee in Francia, che manda a Strasburgo lo stesso numero di eurodeputati del Ps (14), sta trasformando il panorama politico. A partire dall'analisi del voto e delle ragioni del successo della lista ecologista, guidata da personalità che, a prima vista, sembravano lontane: Daniel Cohn-Bendit, Dany il rosso del lontano '68, da anni impegnato sul fronte europeo ed europeista, nel 2005 grande sostenitore del «sì» al referendum francese sul Trattato costituzionale; José Bové, leader contadino e altermondialista, che nel 2005 si era schierato per il «no» e nel '99 aveva manifestato a Seattle contro la Wto portando una forma di formaggio roquefort; Eva Joly, giudice anti-corruzione, che ha lavorato in Francia, ma anche in altri paesi. E poi tanti altri, provenienti da orizzonti diversi, da Jean-Paul Besset, vicino a Nicolas Hulot, tra i primi ad aver portato la sensibilità ecologica in tv, alla giovane Karima Delli, 28 anni, membro del collettivo Salviamo i ricchi, che organizza happening dal significato politico (l'ultimo è stato un'irruzione al Bristol, uno degli alberghi più chic di Parigi, muniti di pane e salame, per far vedere agli abbienti seduti ai tavoli di un ristorante carissimo che ci si può nutrire anche con pochi soldi).
Abbiamo chiesto a José Bové, neo-deputato a Strasburgo, di analizzare la situazione.
Come avete fatto a mettervi assieme, visto che altrove la divisione ha avuto la meglio e ha portato a risultati drammatici?
La prima idea importante per poter avanzare e trasformare l'avvenire è stato il rassemblement, il raggruppamento. Questa unità, che non era possibile alla sinistra della sinistra, è stata realizzata da noi perché c'era una visione globale sulla questione ecologica. La questione sociale, la sua mutazione in corso da un lato, e la questione ecologica dall'altro hanno la stessa importanza. Ma occuparsi del solo problema sociale, secondo me, non permette di arrivare a una risposta nuova. Invece le problematiche del cambiamento climatico, delle questioni ec
ologiche, della limitazione delle risorse e del loro saccheggio sistematico permettono di dar corpo a una dottrina comune. E dal momento che c'era un accordo complessivo sull'analisi, il fatto che le persone coinvolte provenissero da percorsi differenti non ha rappresentato un problema insormontabile. Ognuno di questi percorsi ha legittimità, ognuno segue il suo binario diverso: Daniel Cohn-Bendit, impegnato a lungo a Bruxelles, Eva Joly coinvolta come giudice nella lotta anti-corruzione, molto importante in Francia e a livello internazionale; io altermondialista che si batte contro gli organismi geneticamente modificati. Ognuno, al proprio livello, porta la sua specificità.
Europa Ecologia ha ottenuto un ottimo risultato, ma in Francia l'astensione ha sfiorato il 60% e a non essere andate a votare sono soprattutto le classi popolari. Come peserà tutto ciò sul futuro della vostra alleanza?
Le classi popolari si sono sentite finora escluse dall'Europa e, per di più, da sempre vengono maggiormente valorizzate le elezioni nazionali. Le istituzioni europee, per come funzionano oggi, non traducono la posta politica che è in gioco per molti. Tanta gente ha difficoltà a
capire se, votando per questo o quel partito, qualcosa cambierà, verrà trasformato. C'è bisogno di fare informazione pedagogica sull'Europa, sul ruolo del parlamento europeo. Uno dei primi compiti sarà, infatti, trasformare la realtà istituzionale europea.
Chi ha votato per voi?
Quello che è chiaro è che abbiamo avuto il voto dei giovani. Siamo stati il primo partito votato da chi ha meno di 40 anni. Per quanto riguarda il voto popolare, l'astensione è stata forte perché riguarda gli esclusi i quali non capiscono che interesse hanno ad andare a votare. Su questo fronte vedremo le dinamiche future, in particolare quella che si manifesterà alle prossime elezioni locali in Francia, sempre tenendo presente che la questione sociale e quella ecologica hanno eguale importanza e sono legate.
Quali saranno le vostre prime mosse?
Intanto, vogliamo subito creare una coalizione anti-Barroso a Strasburgo, per evitare che l'attuale presidente della Commissione venga rieletto. Abbiamo poi un calendario molto fitto, da luglio all'autunno, per costruire un accordo con altre forze.
Daniel Cohn-Bendit, da parte sua, ha precisato di «credere in una forza politica moderna», che «deve declinarsi a livello europeo. La crisi della socialdemocrazia potremo risolverla solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. E' qui che ha fallito il Partito socialista». Secondo Cohn-Bendit «in Olanda, in Germania, in Francia sono stati penalizzati tutti coloro che dopo la crisi continuavano a dire le stesse cose che dicevano prima», conservando «lo stesso software. Credo sia questa la grande difficoltà della socialdemocrazia». BNP Con questa percentuale di voti il nazista British National Party è riuscito ad ottenere per la prima volta due seggi all'Europarlamento. Ora è in caccia di alleanze e soldi Ue.


mercoledì 10 giugno 2009

Il Tribunale internazionale della coscienza dei popoli per il sostegno alle vittime vietnamite dell’Agente Orange apre i suoi lavori.

Khai Hoan e Huy Thang - Corrispondenti in Francia del Nhan Dan - Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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Bambini vietnamiti vittime dell' agent orange


Il tribunale è seguito con interesse da molte persone straniere che sostengono attivamente la lotta per la giustizia delle vittime vietnamite

>L'Associazione internazionale dei giuristi democratici (International Association of Democratic Lawyers - IADL) il 15 maggio a Parigi ha indetto una sessione di lavoro di due giorni del Tribunale internazionale della coscienza dei popoli per il sostegno alle vittime vietnamite dell’Agente Orange.
All’apertura dei lavori, il presidente del Tribunale, Jitendra Sharma, ha dichiarato: "La guerra chimica condotta dagli Stati Uniti contro il Vietnam attraverso l'uso dell’Agente Orange e di altre sostanze legate alla diossina dal 1961 al 1971 ha causato gravi, pesanti e prolungate conseguenze per l’ambiente, l’ecosistema e la salute del popolo del Vietnam".
Da quel momento fino ad oggi nessun governo degli Stati Uniti ha riconosciuto le proprie responsabilità per le conseguenze dell'uso di queste sostanze chimiche. Gli Stati Uniti, nella causa legale intentata dall’Associazione delle vittime dell’Agente Orange del Vietnam (Vietnam Association for the Victims of Agent Orange - VAVA), hanno preso posizione contro l’assunzione di responsabilità da parte delle imprese che hanno prodotto l’Agente Orange.



A nome della coscienza e dell’opinione pubblica internazionali, del Tribunale internazionale della coscienza dei popoli per il sostegno alle vittime vietnamite dell’Agente Orange, su iniziativa della Associazione internazionale dei giuristi democratici (IADL), verranno prese in considerazione e tratte le relative conclusioni in merito alle seguenti questioni:
1) I fatti dimostrano le conseguenze per l'ambiente e l'ecosistema del Vietnam e per la salute del popolo vietnamita prodotte dall'uso dell’Agente Orange da parte delle forze militari degli Stati Uniti dal 1961 al 1971.
2) La responsabilità delle amministrazioni degli Stati Uniti nel periodo 1961-1971 per aver condotto una guerra chimica in Vietnam sotto il Diritto internazionale consuetudinario.
3) La responsabilità degli Stati Uniti e delle imprese fornitrici per il riversamento dell’Agente Orange sul Vietnam, per il risanamento delle conseguenze ambientali e dell’ecosistema del Vietnam e per la salute del popolo vietnamita.
A nome dell’Associazione delle vittime dell’Agente Orange/diossina del Vietnam (VAVA), il presidente Nguyen Van Rinh ha sottolineato che l'eredità della guerra degli Stati Uniti in Vietnam negli anni 1960-1970 ha causato enormi danni all’ecosistema ed esposto a sostanze tossiche più di 4,8 milioni di persone. Su un totale di circa 3 milioni di persone colpite, molti sono morti, molti altri sono sopravvissuti in agonia per causa di strane e gravi malattie e disabilità, molti bambini sono nati con orribili deformità. Dopo quasi 40 anni, tali effetti ancora non mostrano segni di regresso. Hanno invece mostrato segni ancor più devastanti e duraturi di quanto si potesse prevedere.
Nel frattempo gli Stati Uniti, che direttamente hanno provocato questa tragedia, finora hanno cercato di sottrarsi alla loro responsabilità morale e giuridica. Di conseguenza, le vittime vietnamite hanno deciso di intentare causa al Tribunale Distrettuale degli Stati Uniti di Brooklyn, New York, il 30 gennaio 2004. Le vittime hanno trascorso cinque anni perseguendo la causa nei tribunali statunitensi, ma questa è stata rigettata in tutti e tre i gradi di giudizio dei tribunali federali, nonostante che il governo degli Stati Uniti avesse speso miliardi di dollari per risarcire i propri soldati veterani rimasti vittime dell’Agente Orange usato durante la guerra chimica in Vietnam.
I tribunali statunitensi hanno respinto le istanze delle vittime vietnamite per il solo motivo che l’Agente Orange/diossina poteva essere qualificato soltanto come erbicida, in ogni caso non come sostanza tossica e che le sue conseguenze dannose sono state involontarie. Questa affermazione assurda da parte dei giudici statunitensi deve essere studiata e presentata all'opinione pubblica mondiale.
Il signor Rinh ha sottolineato che: "Il dolore sofferto dalle vittime vietnamite è il dolore di tutta l'umanità. La loro lotta per la giustizia non è solo nel loro interesse, ma anche in quello delle altre vittime negli Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Canada; non solo per le vittime dell’Agente Orange/diossina, ma anche per le vittime di tutte le altre armi crudeli o di distruzione di massa; non solo per l’attuale generazione, ma anche per le generazioni future. Le vittime vietnamiti dell’Agente Orange sono quotidianamente private dei loro sacri diritti fondamentali di giustizia e dei diritti umani, cioè il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità".
Egli ha colto l'occasione per invitare tutte le persone amanti della pace e della giustizia di tutto il mondo a volgere i loro pensieri a questo Tribunale e marciare, fianco a fianco, con tutti i partecipanti a questa assise, per dare un seguito alla comune ricerca di giustizia.
Successivamente, i presenti si sono commossi nell’ascoltare le storie di tre vittime vietnamite sulle loro sofferenze causate dall’Agente Orange. Pham The Minh, nato il 16 dicembre 1975, della città di Haiphong nel distretto di Duong, ha raccontato di come i suoi genitori sono stati contaminati dalle sostanze chimiche dell’Agente Orange quando erano in servizio nel campo di battaglia della provincia di Quang Tri, a sud della zona demilitarizzata (DMZ) dove questa sostanza è stata versata nella maniera più intensiva.
"Sia io che mia sorella più giovane siamo nati dopo la guerra. Sono venuto al mondo con deformazioni congenite agli arti inferiori e in pessime condizioni di salute. Mia sorella esteriormente appare normale ma è nata prematuramente, molti mesi prima della data prevista, con patologie cardiache e polmonari congenite.
La mia esposizione alla diossina, causa delle mie deformità, è in realtà nota attraverso le storie raccontate dai miei genitori sulla loro esposizione diretta all’Agente Orange e a seguito dei controlli medici ospedalieri nel corso del trattamento delle mie diverse malattie. Il caso della mia famiglia è stato riconosciuto ed è stato anche corrisposto un sostegno economico mensile da parte del governo vietnamita.
A causa dell’esposizione all’Agente Orange, mia sorella, mia madre, mio padre, tutti noi, non siamo stati in grado di vivere normalmente come le altre persone. Non siamo in grado di lavorare a lungo e dobbiamo spendere molto denaro per la costante cura delle malattie. Mio padre è in questo modo deceduto nel 2005. Non posso in un così breve tempo descrivere tutte le sofferenze che la mia famiglia ed io dobbiamo patire, né le tragiche pene delle altre vittime dell’Agente Orange/diossina in Vietnam".


Il signor Ho Ngoc Chu, nato nel 1937 e che ora vive nella città di Quang Ngai, si unì alle forze rivoluzionarie del Vietnam del Sud, attive nelle vaste aree della regione montuosa delle province di Quang Ngai e Quang Nam in cui gli americani usarono in modo regolare ed intensivo queste sostanze tossiche.
Egli ricorda che: "Quando gli aerei americani arrivavano per spargere le sostanze chimiche, come le altre persone, avevo sentito dire che erano semplicemente erbicidi. Non avevo sufficienti conoscenze scientifiche per sapere che erano tossiche per gli esseri umani. Anche avendo saputo della loro tossicità non sarebbe stato comunque possibile per me e per tutti gli altri sfuggire alla contaminazione perché dovevamo combattere e coltivare i prodotti alimentari, come patate dolci, mais, riso, verdure e ogni tipo di commestibile solo per la nostra mera sopravvivenza. Abbiamo dovuto bere l'acqua presa da ruscelli o dai crateri causati dalle bombe.
Mi ricordo di essere stato oggetto di almeno 4 o 5 irrorazioni dirette. La maggior parte delle volte ero in tenda, ma una volta, quando ero di ritorno dalla raccolta del riso, arrivarono gli aerei e sparsero queste sostanze. Tutto il mio corpo era completamente impregnato di sostanze chimiche. Anche il sacco del riso che avevo con me era inzuppato.
Potevo osservare che di solito, un paio di giorni dopo essere stati irrorati, piante rigogliose come la casava, la papaja, il jack-tree... morivano subito. Questi grandi alberi nella giungla presto defoliavano. Anche la casava, nostro alimento abituale, era stata uccisa. Più tardi abbiamo saputo che questo era dovuto alle sostanze chimiche dell’Agente Orange, ma eravamo costretti a mangiare le sue radici e a bere l'acqua contaminata dei ruscelli.
Ho presto accusato vari disturbi. I miei occhi erano deboli, i miei denti sono caduti in anticipo rispetto alla norma, avvertivo i sintomi di problemi interni legati alla prostata, all’intestino e all’attività vestibolare, problemi legati alla pelle, in particolare su schiena e gambe con eruzioni cutanee irritanti, acne e pustole, le ossa della colonna vertebrale e delle gambe iniziarono a degenerare quando avevo 35 anni. Sono stato sottoposto a trattamento medico ad Hanoi e Ho Chi Minh City, ma senza risultati efficaci.
In aggiunta a questi problemi, anche il mio unico figlio è vittima dell’Agente Orange. Il mio matrimonio si è celebrato nel marzo 1977 e a metà novembre è nato prematuro ed estremamente debole tanto da dover essere curato nell’incubatrice per diverse volte. Era in grado di fare pochi passi e di pronunciare poche parole fino all’età di 4 anni. E’ cresciuto in modo anormale. Il suo apprendimento è stato molto lento ed i medici hanno detto che soffriva di deficit mentale. Inoltre, a volte veniva colpito da gravi convulsioni. Ora ha 37 anni, ma ancora non è autosufficiente. In un primo momento, non sapevamo cosa non funzionasse in lui. Lo portammo in ospedale più volte e visto che mia moglie aveva avuto aborti i medici conclusero che ero stato contaminato dall’Agente Orange e questo è anche il motivo della malattia di mio figlio. Nel mio paese si possono riscontrare anche peggiori disfunzioni e vedere le immagini di bambini deformi a causa dell’esposizione all’Agente Orange".
Quindi, il signor Mai Giang Vu, nato nel 1937, ha detto che i suoi due figli nati nel 1974 e nel 1975 erano sani e avevano frequentato normalmente le scuole. Ma nel 1980, il maggiore ha cominciato a mostrare sintomi insoliti. In seguito entrambi, uno di seguito all’altro, raggiunti i 10 anni, hanno cominciato a mostrare gli stessi segni. In un primo momento non erano più in grado di camminare e di fare le cose come al solito, dopo di che hanno dovuto abbandonare la scuola e i loro arti si sono avvizziti e arricciati gradualmente. Infine, tutti e due sono stati costretti a camminare a carponi e poi a rimanere a letto fino a 18 anni.
I suoi figli sono morti a 23 e 25 anni. Per un lungo periodo di tempo, ha ignorato il motivo alla base di questo disastro fino a quando i medici effettuarono dei controlli.
Egli fatto presente ai presenti al dibattimento che in Vietnam ci sono state tante famiglie che hanno patito una simile tragedia e che necessitano di tanto aiuto da ogni parte possibile.
Le vittime vietnamite hanno levato la loro voce chiedendo che il governo degli Stati Uniti e le imprese del settore chimico riconoscano la loro responsabilità nel contribuire, insieme con il Vietnam, a prestare aiuto per il trattamento delle persone intossicate, al risanamento delle aree contaminate, avendo cura dei casi gravi e fornendo mezzi di trasporto e altre necessità di base.
Più tardi, testimoni dagli Stati Uniti, Repubblica di Corea e Francia hanno riferito di quanto hanno dovuto soffrire per le terribili conseguenze dell’Agente Orange e mostrato le immagini delle vittime in Vietnam. Hanno affermato che tutte le terribili conseguenze dell’Agente Orange potrebbero essere misurate soltanto dai testimoni diretti di quel dolore.
Il Tribunale internazionale della coscienza dei popoli in sostegno delle vittime vietnamite dell’Agente Orange opera su iniziativa della Associazione internazionale dei giuristi democratici (IADL), a nome dell' opinione pubblica e della coscienza internazionali. Questo tribunale procurerà una documentazione a tutti coloro che sostengono questa causa per promuoverla nei loro paesi e in tutto il mondo.


Originale:
http://www.nhandan.com.vn/english/news/160509/domestic_i.htm


martedì 9 giugno 2009

Nucleare, Tesoro boccia il ddl "Manca copertura finanziaria"

MERAVIGLIOSO NON AVERE QUATTRINI..............

Allo stato attuale, l'intero provvedimento sul nucleare è "in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione". Ricadute anche per i consumatori. Bocciata anche la rottamazione delle auto


ROMA - Sonora bocciatura da parte del ministero del Tesoro su 34 novità introdotte nel ddl "sviluppo" durante il passaggio in Senato. Il ministero ha anche richiesto la soppressione di ben 18 norme "incriminate" che "metterebbero a rischio l'equilibrio economico dell'intero provvedimento sul nucleare e che allo stato attuale è in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione".

Per il Tesoro - si legge nella lettera indirizzata alla commissione Bilancio della Camera - le misure potrebbero determinare "incrementi delle tariffe a carico dei consumatori risultando pregiudizievoli a carico degli utenti finali".

La lista dei rilievi del ministero dell'economia è articolata. Sono tre le norme del provvedimento (collegato alla finanziaria e in terza lettura alla camera) imputate di possibili ricadute negative sui consumatori. Il comma 3 dell'articolo 26 sul nucleare, che prevede di reperire 100 milioni dalla componente tariffaria a2 sul prezzo dell'energia elettrica, secondo via xx settembre è "in contrasto con l'orientamento del governo in tema di contenimento delle tariffe, in funzione anticrisi" e determina "oneri privi di adeguata copertura finanziaria". Anche l'articolo 32, comma 6, prevedendo una possibile trasposizione di costi di terna sui clienti energivori, prefigura "un aumento di costi delle bollette" sul quale il ministero "esprime la propria contrarietà soprattutto alla luce dell'attuale contesto economico-finanziario". "Non è in linea con l'attuale orientamento governativo" nemmeno il comma 4 dell'articolo 36 comma che autorizza lo sviluppo economico a utilizzare consulenti esterni.

Quanto alla 'tenuta dei conti', si inizia dall'articolo 1 sulle reti d'imprese: si contesta la titolarità al solo ministero dello sviluppo economico e non anche a via XX settembre dell'autorizzazione per le misure su ricerca e sviluppo già stabilite per i distretti. Sempre per motivi di onerosità si chiede la soppressione degli articoli 4 (attuazione di un regolamento Ue sull'accreditamento e vigilanza del mercato per la commercializzazione dei prodotti), 5 (delega per il riassetto normativo delle prescrizioni e degli adempimenti procedurali per le imprese), 31 (semplificazione di procedure) e 56 (contributi all'editoria coperti dall'incremento della robin tax). In particolare, l'articolo 31, alleggerendo la certificazione energetica degli edifici, può avere "effetti elusivi", e l'articolo 56, incrementando l'aliquota della Robin tax, ha "copertura del tutto inadeguata, in quanto altera equilibri di operatori nei cui confronti le aliquote in esame non possono essere eccessivamente aggressive, posto che si producono effetti contrari".

Bocciata anche la modifica alla rottamazione delle auto: estendere l'agevolazione prevista per il gpl "determina maggiori oneri" e allargare "la platea dei destinatari in modo talmente eccessivo rischia di vanificare del tutto l'efficacia di una disposizione diretta ad assicurare il rilancio dell'economia nazionale del settore automobilistico riducendone la portata positiva finora conseguita".

(9 giugno 2009)

Link: http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/ambiente/nucleare3/nucleare-copertura/nucleare-copertura.html

lunedì 8 giugno 2009

ELEZIONI EUROPEE IN SARDINIA:Su bentu de s'indipendentzia tiradat forte!

GRATZIAS A SU POPULU SARDU PRO S'ASTENTZIONI CA' POSTU IN PITZUS A IS ELETZIONES EUROPEAS CUMPRENDENDE SA IMPOSIBILIDADI DE FAKERE INTRAI UNU DEPUTAU DE SANGUNAU NOHSTU A BRUSSELLE, SA CUSCIENTZIA CRESCHIDI!

sa defenza sotziali


Su bentu de s'indipendentzia tiradat forte, la forte astensione e le molte schede bianche e nulle significano che il popolo Sardo ha un sussulto di orgoglio Natzionale e si rifiuta di sottostare alle regole di questo mercato elettorale italiota, dove l'asso (Sicilia) piglia tutto.

Il merito è dei Sardi che si son resi conto che il sogno Berlusconiano và contro i propri, i nostri interessi basilari, la mancanza di rappresentanza dentro le istituzioni europee, sebbene siano totalmente da riformare, è una zappa ai piedi che nessun Sardo ha voluto tirarsi sui piedi.

Si interrompe il giubilio Governativo italiota per la festa che CI incoronava come cornuti doc, ovvero becchi e bastonati dalla politica selvaggia e compradora del padrone del paese italico: BERLUSCONES. Il tutto condito con parole insipienti e gravi, ma, cariche di mancanza di rispetto per le nostre istanze, dimostrato in breve tempo dalle dinamiche evolutive subite da noi sardi, dopo la vittoria elettorale della destra al governo della regione: G8, raddoppio della SS-OT, calpestata l'Autonomia del nostro Governo Regionale, mancanza di politiche del lavoro, licenziamenti seguiti a promesse vane fatte da Berluscones... ecc , la realtà è peggiore di come il continentale ce la racconta, e continua a voler calpestare i diritti di noi Sardi, la risposta non è tardata ad arrivare .... Alziamo saggiamente il climax dialettico e confrontiamoci per dare la svolta alla giusta aspettativa di sovranità della nostra natzione.



Complimenti a tutti coloro che si sono impegnati in primis, ad iRS e a Sardigna Natzione a A Manca a Sa Defenza Sotziali ed a tutta la miriade di soggettività indipendentiste che hanno contribuito alla buona riuscita del boicotaggio delle elezioni europee, complimenti anche per il coraggio che saputo assumere il PSdAz nel defilarsi dal miraggio berlusconiano ben pagato dal gettone-d'OR O europeo elargito ad una massa enorme di eletti nullafacenti, preoccupati più del loro futuro che delle problem atiche dei popoli.

Far tesoro di questo evento, cari patrioti, è come dissodare per bene la terra e renderla ancor più feconda, si cari amici , ora è il tempo di seminare con costanza e determinazione, per un futuro di Natzione indipendente; con il proprio stato, la propria lingua, le proprie leggi, il proprio statuto, la propria economia, e la propria terra, e sopratutto la propria LIBERTA'!


















V CIRCOSCRIZIONE: ITALIA INSULARE
Regione: SARDEGNA

Elettori 1.407.972
Votanti 576.367 40,93 %


Schede bianche 12.999 2,25 %
Schede nulle 11.677 2,02 %
Schede contestate e non assegnate 41 0,00 %


Sezioni pervenute 1.812 su 1.812
100,00 %


venerdì 29 maggio 2009

«Soldati a difendere le centrali» Sul nucleare il premier tira dritto La prova di forza di Berlusconi: altro che dialogo con le Regioni



de Marco Murgia
altravoce.net
La infila lì, tra Noemi e l'ennesimo attacco alla magistratura e alla stampa. Come se niente fosse, anche se così non è, ecco l'annuncio: il Governo è pronto a utilizzare i soldati per presidiare i siti su cui dovranno sorgere le centrali nucleari. Silvio Berlusconi non dice dove sorgeranno, promette ovunque si trovi che non saranno costruite lì, garantisce sulla sicurezza degli impianti. Ma mostra i muscoli, con italica determinazione: «Non c'è tempo da perdere: una volta deciso, se necessario useremo ancora l'esercito», come era già successo in Campania per la gestione dell'emergenza rifiuti. Per addolcire la pillola, comunque, serve il chiarimento: «Prenderemo decisioni assennate, suffragate da organismi democratici».

Quegli organismi dovrebbero essere Regioni e Comuni di destinazione, ma sono già superati dal decreto su sviluppo ed energia approvato in Senato due settimane fa. Dove si dice che il Governo potrà localizzare i siti anche senza il consenso delle istituzioni locali: esattamente il contrario di quanto il premier e il ministro Scajola avevano detto e ribadito in Sardegna durante la campagna elettorale di febbraio. Tutto dimenticato: palazzo Chigi potrà agire d'imperio e se necessario con la forza. Sarà necessario, visti gli ultimi sondaggi secondo i quali la maggioranza degli italiani boccia la scelta di tornare all'atomo.

In un colpo solo, il Cavaliere mette le mani avanti. Assicura che «le centrali di quarta generazione che saranno costruite sono assolutamente sicure». Ma mente sapendo di mentire: non sulla sicurezza degli impianti quanto sul fatto che la quarta generazione ancora non esiste. La replica arriva dal comitato scientifico di Legambiente Italia: «Il premier dovrebbe informarsi meglio sullo sviluppo di una tecnologia che a quanto pare non conosce», dice Stefano Ciafani, «visto che omette sempre di parlare dei costi esorbitanti di costruzione e gestione insieme al problema della produzione e dello smaltimento delle scorie. Problemi irrisolti a cui Berlusconi non fa mai cenno nei suoi spot sull'atomo. La quarta generazione, poi, è in costruzione solo nel paese delle meraviglie immaginato dal presidente del Consiglio, visto che quella è una tecnologia attualmente non disponibile perché ancora nella fase della ricerca».

Non solo: Berlusconi mette avanti anche i soldati. E qui la questione è tutta politica, sfiora i confini della democrazia. Le repliche, infatti, non tardano ad arrivare. Tanto in Sardegna quanto nel resto del Paese. Non è un mistero che l'isola sia al centro dei ragionamenti dei tecnici del governo per le sue caratteristiche: rischio sismico praticamente pari allo zero, scarsa densità abitativa, acqua in abbondanza soprattutto nelle zone costiere, una amministrazione regionale che difficilmente potrebbe opporsi visto l'appoggio durante la campagna elettorale. Il Cavaliere tutto questo lo sa bene: anche se continua a promettere, l'ultima volta nell'intervista a domicilio di Videolina, che non arriveranno centrali.

A spaventare è soprattutto il metodo: «Le parole di Berlusconi sul fatto che il governo costruirà le centrali nucleari manu miliari sono gravissime e inaccettabili in uno stato democratico». È il senatore del Pd Gian Piero Scanu, capogruppo nella commissione Difesa, a ricordare che «nel corso dell'esame al Senato del disegno di legge che contiene la delega al governo per il nucleare, maggioranza ed esecutivo hanno più volte assicurato che nessuna centrale nucleare sarebbe mai stata costruita senza il consenso delle comunità locali interessate. Ora con questa dichiarazione il presidente del Consiglio afferma invece che il governo costruirà le centrali manu militari, con una coercizione di tipo fascista invece che con la costruzione del consenso e nel rispetto delle regole democratiche. Abbiamo più volte detto che il nucleare per l'Italia e' una scelta sbagliata, costosa e improduttiva, ma il fatto di imporre le centrali alle Regioni con la forza costituisce un aggravante che non accetteremo nella maniera più assoluta. Secondo indiscrezioni, tra l'altro, pare che Berlusconi abbia a cuore la Sardegna per la costruzione non di una ma di più centrali: sono questi i regali che il premier riserva a una delle regioni più belle d'Italia».

Preoccupazione anche da Mario Bruno, capogruppo del Partito democratico in Consiglio regionale: «Le decisioni di un governo democratico si sostengono con il consenso dei cittadini e con il rispetto delle Regioni e degli enti locali. Non con l'intervento dell'esercito. Le dichiarazioni odierne del presidente del Consiglio Berlusconi sul nucleare ci preoccupano non poco, nonostante le rassicurazioni verbali di qualche giorno fa sull'esclusione della Sardegna dai siti interessati alla costruzione dei nuovi reattori». C'è la notizia sui militari da schierare, ma non solo: «Ci preoccupano soprattutto in un periodo come questo, nel quale - al di là di promesse che in altre occasioni non sono state rispettate - vediamo l'Autonomia regionale sistematicamente calpestata nel silenzio di chi dovrebbe rappresentare la Regione e i suoi cittadini. Dobbiamo continuare a vigilare attentamente, perché le scelte devono ancora essere fatte: per la nostra isola il nucleare sarebbe il tramonto di qualsiasi ipotesi di sviluppo».

Non è solo questione sarda: sul nucleare «è tragica l'assoluta disattenzione verso le popolazioni locali, per il tramite del rispetto di un relazione istituzionale con le autonomie locali e le Regioni, ma questo è un tratto tipico del governo Berlusconi». Parole di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd: «Come tutto questo possa essere tollerato me lo chiedo francamente, tanto più che contemporaneamente dalla Sardegna alla Puglia e in poi, ovunque Berlusconi vada dice “qua non faremo la centrale nucleari”: è un altro dei modi con il quale caratteristicamente il presidente del Consiglio si rivolge agli italiani. Cioè pigliandoli per fessi».

Allora «il governo dica la verità su dove vuole fare le centrali nucleari, invece di annunciare che farà presidiare il territorio nazionale dalla forze armate», dice l'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema: «Questo è un modo di governare indecente sotto il profilo del rispetto delle regole democratiche e sotto il profilo dell'efficacia di governo. Si fa fatica a prendere sul serio Berlusconi». Lui invece lo fa, e tira dritto per la sua strada. Era stato Nichi Vendola a mandargli il messaggio: se vorranno costruire qui una centrale, aveva detto il governatore della Puglia subito dopo l'approvazione in Senato del decreto-delega, «dovranno mandare i soldati». Accontentato.
soldato shardana , scenderemo in difesa del nostro territorio così attrezzati contro i colonialisti italioti e berlusCANI

STRONZATE DA MINISTRO....

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