sabato 16 gennaio 2010

L'orologio dell'apocalisse

Marina Forti
ilmanifesto.it
L'umanità è un minuto più lontana dalla catastrofe atomica. Il Doomsday Clock, o «Orologio del Giudizio universale», ora segna sei minuti alla mezzanotte - fino a due giorni fa ne segnava cinque. Creato nel 1947 da un noto gruppo di scienziati nucleari, il Doomsday Clock è una sorta di barometro del rischio: quanto siamo vicini a una guerra nucleare. Che ora si è leggermente allontanato, ha dichiarato giovedì il Bullettin of Atomic Scientists annunciando la decisione di riportare indietro, seppure solo di un minuto, le lancette del virtuale orologio. «C'è qualche motivo di ottimismo nello stato degli affari mondiali», argomentano in un comunicato: «Per la prima volta da quando le prime bombe atomiche sono state sganciate nel 1945, i governanti degli stati possessori di armi nucleari stanno cooperando per ridurre i loro arsenali e controllare il materiale che serve a fabbricarle. E per la prima volta in assoluto, i paesi industrializzati e in via di sviluppo dichiarano la volontà di limitare le emissioni di gas di serra responsabili del cambiamento del clima che può rendere il nostro pianeta pressoché inabitabile. Questi passi senza precedenti sono segnali di una crescente volontà politica di affrontare le due più gravi minacce alla civiltà umana: il terrore delle armi atomiche e un cambiamento del clima galoppante».
Un raro segnale di fiducia, dunque, da parte di persone che pure guardano con iperrealismo al rischio nucleare. Il Bullettin of Atomic Scientists è stato fondato nel 1945 da un gruppo di scienziati della University of Chicago che avevano partecipato al Manhattan project - il programma di ricerca che ha creato le prime armi atomiche (che gli Stati Uniti hanno usato, appunto nel '45, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki). Proprio perché avevano contribuito a creare «il mostro» erano terribilmente consapevoli del suo potenziale distruttivo, e hanno deciso di dedicarsi a diffondere la pubblica consapevolezza che usare l'arma atomica può solo significare catastrofe. Si allarmavano anche della segretezza intrinseca nella ricerca militare, e de
l pericolo che i governanti possano trascinare i loro paesi in una guerra atomica senza la consapevolezza né il consenso dei loro cittadini. Così, attraverso il Bollettino (www.thebullettin.org) cercano di «colmare il gap di conoscenza tra gli esperti del settore e il pubblico più generale». E questo continuano a fare, generazioni di scienziati e esperti di sicurezza di tutto il mondo.
Si noti che in 62 anni le lancette virtuali erano state ritoccate solo 18 volte. Nel 1945 stavano a 7 minuti dalla «mezzanotte» e aveva
no raggiunto i 2 minuti nel 1953, quando Usa e Urss hanno condotto test nucleari paralleli. Poi sono arrivati i primi trattati sul controllo degli armamenti... Neppure la fine della guerra fredda però ha portato al disarmo nucleare. E nel 2007 le lancvette erano tornate a 5 minuti: il Bullettin segnalava che nel mondo restano 27mila testate nucleari, di cui circa 2.000 pronte a essere lanciate nel giro di pochi minuti, e che una nuova minaccia si era sommata: il rischio di distruzione degli habitat umani a causa del cambiamento globale del clima.
Ora dunque, guardando sia alla non proliferazione atomica sia al clima, il Bullettin of Atomic Scientists vede segni di ottimismo. Riconoscono «la collaborazione tra Usa, Russia, Unione europea, India, Cina, Brasile e altri sulla sicurezza nucleare e la stabilizzazione del clima», dicono. Certo, abbiamo guadagnato solo un minuto, e l'orologio continua a ticchettare.

sabato 19 dicembre 2009

LA BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI CI METTE IN GUARDIA CONTRO FUTURE CRISI

DI ANDREW GAVIN MARSHALL
Mondialisation.ca

La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza e l'indebitamento è la ripresa.

È importante ricordarci che le esclamazioni onnipresenti e ostinate di «una fine» di recessione, di «una soluzione alle crisi» e di «una ripresa» dell'economia, vengono proprio da quelle stesse persone e istituzioni che negli ultimi anni ci dissero che non c'era «nessuna ragione di preoccuparsi», che le «basi dell'economia continua(va)no a resistere», che non c'era «nessun rischio» di crisi economica.

Perchè continuiamo a credere a persone che si sono sempre sbagliate, nelle loro affermazioni e nelle loro scelte? A chi dovremmo credere e a chi rivolgerci per avere informazioni e analisi più giuste? Una fonte utile sarebbe forse quella che si trova all'epicentro della crisi, nel cuore del mondo oscuro delle banche centrali, il regolatore del sistema bancario mondiale e la «più prestigiosa istituzione finanziaria al mondo», che, fino ad oggi, ha previsto la crisi con esattezza: la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Ecco un buon punto di partenza.


La crisi economica è tutto fuorchè finita e le «soluzioni» apportate sono paragonabili a un cerotto su un braccio amputato. La BRI, la banca centrale delle banche centrali, ci ha messi in guardia rispetto a questo tipo di speranze fuori luogo e continua a farlo.

Cos'è la banca dei Regolamenti Internazionali?

La BRI è stata creata dal Comitato Young, creato nel 1929 per regolare il pagamento delle riparazioni tedesche, esposte brevemente nel Trattato di Versailles del 1919. Il comitato era diretto da Owen D.Young, presidente e direttore generale di General Electric, coautore del piano Dawes del 1924, membro del Cnsigilio d'Amministrazione della Fondazione Rockefeller e vice-presidente della Federal Reserve Bank di New York. Come principale delegato statunitense alla conferenza sulle riparazioni tedesche, era accompagnato da J.P.Morgan, Jr. [1]. Qui nasce il piano Young per il pagamento delle riparazioni tedesche.

Questo piano entra in vigore nel 1930, dopo il crac finanziario. Una parte del piano implicava la creazione di un'organizzazione internazionale di regolamento, fondata nel 1930 e conosciuta con il nome di Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Si diceva essere stata concepita per facilitare e coordinare i pagamenti delle riparazioni tedesche di Weimar ai poteri alleati. Tuttavia, la sua seconda funzione, più segreta e molto più importante, era di agire come «coordinatore delle operazioni delle banche centrali nel mondo». Definita come «una banca per le banche centrali», la BRI «è un'istituzione privata con degli azionisti, ma fa delle operazioni per le agenzie pubbliche. Queste operazioni sono strettamente confidenziali, quindi in generale il pubblico ignora la maggior parte delle operazioni della BRI» [2]

La BRI è stata fondata dalle «banche centrali di Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Giappone e Regno Unito, e dalle tre principali banche commerciali degli Stati Uniti: J.P. Morgan & Company, First National Bank of New York e First National Bank of Chicago. Ogni banca centrale ha sottoscritto 16000 azioni e le tre banche statunitensi hanno anch'esse sottoscritto lo stesso numero di azioni». Nonostante ciò, «solo le banche centrali hanno diritto di voto [3]».

I membri delle banche centrali fanno incontri bimensili alla BRI, nei quali discutono di diverse questioni. È importante notare che la maggior parte «delle transazioni effettuate dalla BRI per conto delle banche centrali esigono la massima segretezza [4]», ecco perchè probabilmente la maggior parte delle persone non ne hanno mai sentito parlare. La BRI ppuò offrire alle banche centrali «una confidenzialità e una segretezza bancaria superiore a una banca quotata tripla A [5]».

La BRI è stata instaurata «per rimediare al declino di Londra come centro finanziario mondiale, offrendo un meccanismo per cui un mondo dotato di tre principali centri finanziari a Londra, New York e Parigi, potrebbe sempre funzionare come se ce ne fosse uno solo [6]». Come spiegava Carroll Quigley:

I poteri del capitalismoo finanziario avevano un altro obiettivo dalla notevole portata, niente meno che la creazione di un sistema mondiale di controllo finanziario nelle mani dei privati, capace di dominare il sistema politico di ogni paese e l'economia del mondo intero. Questo sistema doveva essere controllato in modo congiunto e con una forma feudale dalle banche centrali del mondo, con degli accordi segreti conclusi durante le frequenti conferenze e riunioni private. In cima al sistema, doveva trovarsi la Banca dei Regolamenti Internazioni a Basilea, in Svizzera, una banca privata, detenuta e controllata dalle banche centrali mondiali, anch'esse delle società private [7].


Non ci sono dubbi che la BRI sia la più importante, potente e segreta delle istituzioni finanziarie al mondo. I suoi avvertimenti non dovrebbero essere presi alla leggera, visto che, più che ogni altra istituzione al mondo, sarebbe a conoscenza di tali informazioni.

Nel settembre 2009, la BRI riportava che «il mercato mondiale dei prodotti derivati aveva fatto un salto enorme raggiungendo i 426 miliardi di dollari nel secondo trimestre, quando il gusto del rischio è riapparso, ma il sistema rimane instabile e soggetto alle crisi». Il rapporto trimestrale della BRI indica che i prodotti derivati hanno subito una crescita del 16% «soprattutto per via di una crescita dei contratti a termine (futures) e delle opzioni sui tassi d'interesse a tre mesi». L'economista capo della BRI ha avvertito che il mercato dei derivati pone «dei rischi sistemici maggiori» nel settore finanziario internazionale e che «il pericolo è che le autorità di regolamentazione non riescano, una volta ancora, a vedere che le grandi istituzioni hanno preso molti più rischi di quanto non potessero in condizioni di choc». L'economista ha inoltre aggiunto: «L'uso di derivati da parte degli hedge funds e di altri investimenti di questo tipo, può portare alla luce importanti rischi nascosti [8]».

All'indomani della pubblicazione del rapporto della BRI, il suo vecchio economista capo, William White, ha messo in guardia in questo modo: «Il mondo non ha affrontato i problemi che si trovano al centro del declino economico ed è possibile che lentamente entri di nuovo in recessione». Ha inoltre avvertito che «le azioni dei governi destinate ad aituare l'economia sul breve periodo, potrebbero in realtà gettare le basi delle crisi a venire». White avrebbe inoltre messo in guardia riguardo a una recessione a W: «Ci stiamo dirigendo verso una recessione a W? È quasi certo. Stiamo andando verso una L? Non ne sarei poi così sorpreso. La sola cosa che potrebbe sorprendermi davvero sarebbe una ripresa durevole che venga dalla posizione in cui ci troviamo».

Un articolo del Financial Times spiegava che i commenti di White dovevano essere presi in considerazione, perchè oltre ad aver diretto il dipartimento economico della BRI dal 1995 al 2008, aveva «più e più volte avvertito dei pericolosi squilibri congiunturali nel sistema finanziario mondiale, avvertimenti che risalgono al 2003, e – rompendo un gran tabù dell'epoca nelle cerchie delle banche centrali – ha osato contestare la continua perenne politica di denaro a buon mercato di Alan Greenspan, all'epoca presidente della FED».

Il Financial Times continua:

Ovunque, nel mondo, le banche hanno immesso migliaia di miliardi di dollari di nuovo denaro nel sistema finanziario negli ultimi due anni, come sforzo per prevenire la depressione. Nel frattempo, i governi sono andati verso estremi simili, collezionando grandi debiti per sostenere le industrie, dalle banche ai costruttori automobilistici.


White ha avvertito che «è possibile che queste misure stiano già riempiendo una bolla nei prezzi degli attivi, andando dalle azioni alle merci e [che] esiste un rischio minore che l'inflazione diventi incontrollabile a medio termine». In un discorso tenuto a Hong Kong, William White spiegava che «i problemi basilari dell'economia mondiale, come i disequilibri commerciali insostenibili tra Stati Uniti, Europa e Asia, non sono stati risolti» [9].

Il 20 settembre 2009, il Financial Times rivelava che durante una riunione del G20, la BRI «a capo dell'organismo che sorveglia la regolamentazione bancaria mondiale, ha dato un avvertimento importante, dicendo che il mondo non può permettersi di supporre in modo 'compiacente' che il settore finanziario si sia davvero ripreso» e che «Jaime Caruana, direttore generale della BRI e ex governatore della Banca Centrale di Spagna, ha affermato che la ripresa finanziaria non deve essere mal interpretata [10]».

Questi avvertimenti seguono quelli della BRI lanciati nell'estate 2009 riguardo alle speranze inopportune di fronte alle misure di stimolazione economica prese dai diversi governi nel mondo. Alla fine di giugno, la BRI ha avvertito che «le misure di stimolazione budgetarie non possono dare niente di più che un rilancio temporaneo della crescita, seguita da una lungo periodo di stagnazione».

Un articolo dell'Australian rivela: «Il solo organismo internazionale ad avere anticipato la crisi finanziaria [...] ha previsto che il più grande rischio era che gli investitori delle obbligazioni sul mercato mondiale (world bond investors) forzassero i governi ad abbandonare le misure di stimolazione economica e a ridurre invece radicalmente le spese pur alzando le imposte e i tassi di interesse, dopo che il rapporto mondiale della BRI ha, negli ultimi tre anni, messo in guardia dei pericoli di una nuova depressione». Inoltre, «il suo ultimo rapporto annuale ha avvertito che paesi come l'Australia si trovavano di fronte a una possibile forte richiesta di valuta, cosa che provocherebbe un innalzamento degli interessi».

La BRI ha inoltre avvisato che «una tregua temporanea potrebbe intralciare le autorità a prendere iniziative destinate a rimettere in piedi il sistema finanziario, se sono impopolari, e infine prolungare il periodo di crescita lenta».

Del resto, «nello stesso tempo, le garanzie dei governi e gli asset insurance hanno esposto i contribuenti a delle perdite potenziali enormi». Spiegando come le misure fiscali creino dei rischi significativi, la BRI continua: «La possibilità che i responsabili della fiscalità esauriscano la loro capacità di prendere in prestito prima di finire le costose riparazioni del sistema finanziario, costituisce un pericolo [...] È ben probabile che i piani di stimolazione aumentino i tassi di interesse reali e le previsioni di inflazione. Quest'ultima allora si intensificherebbe mentre il declino si attenuerebbe e [a BRI] ha espresso dei dubbi sul piano di salvataggio bancario adottato negli Stati Uniti [11]».

La BRI ha inoltre messo in guardia contro l'inflazione, affermando che «La grande e giustificabile paura è che la drammatica facilità della politica monetaria negli aggregati monetari e di credito cresca, prima che questa situazione venga rovesciata. Questo porterà a un'inflazione che nutre le prospettive di inflazione o potrebbe alimentare ancora un'altra bolla speculativa, gettando le fondamenta del prossimo ciclo finanziario di bolla-crollo [12]». Secondo il più recente rapporto sulla creazione della bolla dei derivati, è ormai evidente cosa è successo: è stata creata un'altra bolla speculativa. Il problema delle bolle, è che scoppiano.

Da parte sua, il Financial Times riportava che William White, ex economista capo della BRI aveva anche fatto sapere che «dopo due anni di sostegno dei governi al sistema finanziario, abbiamo ormai un gruppo di banche ancora più grandi e pericolose che mai; questo è stato sottolineato anche da Simon Johnson, ex economista capo dell'FMI, quando ha affermato che l'industria della finanza si è in effetti appropriata del governo degli Stati Uniti». Ha chiaramente detto: «La ripresa fallirà, a meno che non rompiamo l'oligarchia finanziaria che impedisce la realizzazione di una riforma essenziale [13]».

All'inizio del settembre 2009 i responsabili delle banche centrali si sono incontrati alla BRI e, secondo la stampa, «si son messi d'accordo su un insieme di misure mirate a rafforzare la normativa e la supervisione dell'industria bancaria, sulla scia della crisi finanziaria». Il capo della BCE avrebbe detto: «Gli accordi a cui siamo arrivati oggi tra i 27 grandi paesi del mondo sono essenziali, perchè stabiliscono nuovi standard per la regolamentazione e la supervisione bancaria a livello mondiale [14]».

Tra le misure stabilite, «i prestatari dovrebbero alzare la qualità del loro capitale incluedendo un maggior numero di titoli e allo stesso modo, le banche dovranno aumentare la quantità e la qualità degli attivi che hanno in riserva e frenare il leverage». Una delle decisioni chiave prese alla conferenza di Basilea (il cui nome viene dal Comitato di Basilea sul controllo bancario, ed è stato costituito dalla BRI), è che «le banche dovranno aumentare la qualità del loro cosiddetto Tier1 Capital, che misura la capacità di una banca di assorbire le perdite improvvise». Questo vuol dire che «la maggior parte di questo genere di riserve dovrebbero essere delle azioni ordinarie e dei benefici non ripartiti, e gli averi sarebbero completamente resi pubblici [15]».

A metà settembre, la BRI ha ammesso che «le banche centrali devono coordinare la supervisione mondiale delle camere di compensazione dei prodotti derivati per limitare il rischio sistemico». In altre parole «I responsabili della regolamentazione fanno pressioni affinchè una gran parte del commercio dei derivati fuori dalla borsa di 592 miliardi di dollari sia trasferito alle camere di compensazione, che agiscono a titolo di compratore per ogni venditore e di venditore per ogni compratore, riducendo così i rischi di credito per il sistema finanziario». Il rapporto pubblicato dalla BRI poneva la domanda seguente: «Le camere di compensazione dovrebbero avere accesso alle facilities di credito delle banche centrali e se sì, in quale momento? [16]»

Crisi in vista

Il mercato dei derivati rappresenta una grave minaccia per la stabilità dell'economia mondiale. Tuttavia, si tratta di una minaccia come tante altre, tutte legate e intrecciate, l'una scatenando l'altra. Il grosso elefante nella stanza è la grande bolla finanziaria creata dai piani di salvataggio e dalle misure di “rilancio” in tutto il mondo. Questo denaro è stato usato dalle grandi banche per consolidare l'economia, comprando banche meno grandi e assorbendo l'economia reale: l'industria dell'alto rendimento. Il denaro è stato anche usato nella speculazione, alimentando la bolla dei derivati e portando a un innalzamento delle borse, evento completamente illusorio e inventato. In realtà i piani di salvataggio hanno innalzato la bolla dei derivati a livelli rischiosi, e gonfiato i mercati della Borsa che son diventati così incontrollabili.

Nonostante ciò, un temibile rischio sorge dal costo dei piani di salvataggio e delle cosiddette misure di “stimolazione”. La crisi economica è una conseguenza dei bassi tassi di interesse e del denaro facile: si facevano dei prestiti ad alto rischio, il denaro era investito ovunque e in qualsiasi cosa, il mercato dell'abitazione si è gonfiato, così come quello dell'immobiliario commerciale, il commercio dei derivati si è impallato, raggiungendo le centinaia di miliardi di dollari all'anno, la speculazione si è fatta invadente e dominava il sistema finanziario mondiale. Gli hedge funds erano i facilitatori volontari del commercio dei derivati e le grandi banche erano i principali partecipanti e detentori.

Nello stesso tempo, i governi spendevano senza contare, in particolare negli Stati Uniti, pagando diversi miliardi di dollari per guerre e budgets di difesa e stampando il denaro dal nulla, cortesia del sistema mondiale di banche centrali. In compenso, tutto il denaro creato ha portato un debito. Nel 2007 il debito totale (debiti interni e di consumazione, e prestiti commerciali) degli Stati Uniti raggiungeva la somma sconcertante di 51 miliardi di dollari [17].

E come se il fardello del debito non fosse sufficiente, considerando che sarebbe stato impossibile rimborsarlo, negli ultimi due anni abbiamo assistito all'aumento del debito più rapido e costoso della storia, sotto forma di misure di rilancio e di piani di salvataggio in tutto il mondo. Nel luglio 2009, ci veniva detto che «ai contribuenti si sarebbero potuti chiedere 23,7 miliardi di dollari per sostenere l'economia e risollevare le società di finanziamento, ha osservato Neil Barofsky, ispettore generale speciale del Troubled Asset Relief Program [piano di salvataggio degli attivi a rischio] del Tesoro [18]».

Il piano Bilderberg in azione?

Nel maggio 2009 ho scritto un articolo sulla riunione del Bilderberg, riunione ultrasegreta delle principali §˜ites dell'Europa e del Nordamerica che si incontrano annualmente a porte chiuse. Il gruppo Bilderberg agisce come gruppo di riflessione internazionale informale e non pubblica nessuna informazione: i reportages sulle riunioni vengono dunque da fughe di notizie e le fonti non possono essere verificate. Tuttavia, le informazioni fornite dagli inseguitori del Bilderberg e giornalisti Daniel Estulin e Jim Tucker si sono rivelate sorprendentemente giuste in passato.

A maggio, le informazioni scappate dalle riunioni riguardavano senza sorpresa il principale soggetto di conversazione: la crisi economica. La domanda chiave era di sapere se ci si dovesse impegnare in «una depressione prolungata e dolorosa che condannasse il mondo a dei decenni di stagnazione, declino e povertà [...] o in una depressione più corta ma intensa che aprisse la strada a un nuovo ordine economico mondiale, che offrisse una minor sovranità, ma che fosse più efficiente».

È importante notare che uno dei punti importanti all'ordine del giorno era di «continuare a ingannare milioni di risparmiatori e investitori che credevano al clamore sulla pretesa ripresa economica. Stanno per affrontare perdite massicce e gravi difficoltà economiche nei mesi a venire».

Estulin ha parlato di un rapporto trapelato e che egli affermava aver ricevuto dopo la riunione, che mostrava i grandi disaccordi tra i partecipanti, dato che «I partigiani della linea dura sono favorevoli a un declino drammatico e a un'espressione corta e severa, ma altri pensano che le cose sono andate troppo lontane e che le conseguenze del cataclisma economico mondiale non possono essere calcolate con esatezza». Nonostante ciò, la visione comune era che la recessione sarebbe andata peggiorando e che la ripresa sarebbe stata «relativemente lente e lunga» e che si dovevano cercare questi termini nella stampa durante le settimane e i mesi a venire. In effetti, questi termini sono apparsi ad infinitum su tutti i media mondiali.

Il giornalista rivelava inoltre che «di fronte allo spettro della loro morte finanziaria, alcuni eminenti banchieri europei sono estremamente preoccupati e qualificavano questa acrobazia come 'insostenibile', e affermavano che i deficit di budget e commerciale avrebbero potuto generare il crollo del dollaro». Un membro di Bilderberg ha ammesso che «le banche stesse non sanno quando [si toccherà il fondo]». Tutti sembravano essere d'accordo sul fatto che «il nuovo capitale di cui le banche statunitensi han bisogno potrebbe essere considerevolmente più elevato di ciò che il governo statunitense ha suggerito al momento dei suoi recenti test di pressione». Inoltre, «qualcuno dell'FMI ha sottolineato che il suo studio personale sulle recessioni storiche suggerisce che gli Stati Uniti sono solo al terzo di questa. Di conseguenza, le economie che si aspettano di ristabilirsi grazie alla rinascita della domanda proveniente dagli Stati Uniti dovranno aspettare a lungo». Uno dei partecipanti ha dichiarato che «Le perdite in capitali propri nel 2008 erano peggiori di quelle del 1929 [e che], la prossima fase del declino economico sarà ugualmente peggiore che negli anni '30, soprattutto perchè gli Stati Uniti si portano addosso un debito eccessivo di circa 20 miliardi di dollari. L'idea di un boom [economico] sano sarà solo un miraggio finchè questo debito non sarà eliminato [19]».

La percezione generale di una ripresa dell'economia vorrebbe dire che il piano Bilderberg è in azione? Bene, per rispondere in modo chiaro a questa domanda, dobbiamo esaminare chi erano i principali partecipanti alla conferenza.

I dirigenti delle banche centrali

Come al solito, numerosi dirigenti delle banche centrali erano presenti. Tra questi, il governatore della Banca nazionale di Grecia, quello della Banca d'Italia, il presidente della Banca europea degli investimenti, l'ex presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, Nout Wellink presidente della Banca centrale dei Paesi Bassi e membro della direzione della BRI, Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea, il governatore aggiunto della Banca nazionale del Belgio e un membro del Consiglio degli amministratori della Banca centrale d'Austria.

Ministri dell'Economia e media

Anche i Ministri dell'Economia e i funzionari di numerosi paesi hanno assistito alla riunione. La Finlandia, la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna avevano tutti un rappresentante dell'Economia. C'erano anche molti rappresentanti delle grandi imprese mediatiche mondiali, tra cui l'editore del Der Standard d’Austria; Il presidente e direttore generale della Washington Post Company; il redattore capo del The Economist; l'editore delegato del Die Zeit tedesco; il coredattore e cronista del Nouvel Observateur francese; e il corrispondente per gli affari e cronista economico del The Economist. Ecco alcune delle grandi pubblicazioni finanziarie mondiali presenti a questa riunione. Naturalmente, hanno una grande influenza sulla percezione che il pubblico ha dell'economia.

I banchieri

È importante sottolineare anche la presenza a quest'incontro di banchieri privati, dato che sono le grandi banche internazionali che detengono le azioni delle banche centrali mondiali, le quali detengono, a loro volta, le azioni della BRI. Tra le banche e le società di finanziamento rappresentate, c'erano la Deutsche Bank AG, ING, Lazard Freres & Co., Morgan Stanley International, Goldman Sachs e la Royal Bank of Scotland. Inoltre, è importante sottolineare la presenza di David Rockefeller [20], ex presidente e direttore generale della Chase Manhattan (oggi J.P. Morgan Chase), che potremmo definire come l'attuale «re del capitalismo».

L’amministrazione Obama

L'incontro del Bilderberg accoglieva inoltre numerosi rappresentanti dell'amministrazione Obama incaricati di risolvere la crisi economica, tra cui Timothy Geithner, segretario al Tesoro ed ex presidente della Federal Reserve Bank of New York; Lawrence Summers, direttore del Consiglio economico nazionale della Casa Bianca, ex segretario al Tesoro del governo Clinton, ex presidente dell'Università di Harvard ed ex economista capo della Banca mondiale; Paul Volcker, ex governatore della FED e capo del Comitato consultivo di rilancio economico del presidente Obama e Robert Zoellick, ex presidente di Goldman Sachs e attuale presidente della Banca Mondiale [21].

Senza che questo abbia conferme, si parla della presenza del presidente della Fed Ben Bernanke. Tuttavia, se possiamo fidarci della storia e delle precedenti riunioni del Bilderberg, il presidente della Fed e quello della Federal Reserve Bank of New York sono sempre presenti. Sarebbe quindi una sorpresa che non fossero presenti all'incontro del 2009. Ho contattato la Fed di New York per chiedere se il presidente aveva assistito alle riunioni di organismi o gruppi qualsiasi in Grecia durante l'incontro dei membri del Bilderberg e mi hanno risposto di chiedere alle organizzazioni una lista dei partecipanti. Se non ne hanno confermato la presenza, non l'hanno neanche negata.

È evidente che tutti questi giocatori chiave possono esrcitare abbastanza influenza per modificare l'opinione pubblica e la percezione della crisi economica. Sono inoltre gli stessi che hanno più da guadagnarci. Nonostante ciò, poco importa l'immagine che creano, questa resta ciò che è: un'immagine. L'illusione si romperà molto presto e tutti si renderanno conto che la crisi che abbiamo vissuto fino ad ora non è altro che il capitolo introduttivo della crisi economica tale come sarà scritta nei libri di storia.

Conclusione

Gli avvertimenti della BRI e del suo vecchio economista capo, William White, non devono essere presi alla leggera. Le precedenti messe in guardia della BRI e di William White sono passate in sordina e col tempo si sono rivelate esatte. Non lasciate che la speranza di «ripresa economica» veicolata dal media metta da parte la «realtà economica». Anche se può farci deprimere riconoscerlo, è molto meglio conoscere la terra che calpestiamo, anche se costellata di pericoli, invece di ignorarla e correre imprudentemente su un campo minato. L'ignoranza non rende felici, ma è piuttosto una catastrofe a scoppio ritardato.

Un medico deve prima identificare e diagnosticare correttamente un problema prima di poter dare un qualsiasi rimedio come soluzione. Se la diagnosi non è corretta, il rimedio non avrà effetto, potrebbe anzi aggravare la situazione. L'economia mondiale è colpita da un grave cancro: alcuni l'hanno diagnosticato correttamente, eppure il rimedio che le è stato dato serviva a guarire un raffreddore. Il tumore economico è stato identificato. La domanda è: l'accettiamo e cerchiamo di eliminarlo o continuiamo a pensare che il rimedio per la tosse lo guarirà? Tra le due posizioni, quale offre le migliori possibilità di sopravvivenza? Ora cercate di accettare il motto «stupido felice».

Come diceva Gandhi, «Non vi è altro Dio che la verità»

Per una visione d'insieme delle crisi finanziarie a venire, vedere: "Entering the Greatest Depression in History: More Bubbles Waiting to Burst" Global Research, 7 agosto 2009.

Note

[1] Time, HEROES: Man-of-the-Year. Time Magazine: Jan 6, 1930: http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,738364-1,00.html

[2] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 2

[3] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 6

[4] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 148

[5] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 149

[6] Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), 324-325

[7] Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), 324

[8] Ambrose Evans-Pritchard, Derivatives still pose huge risk, says BIS. The Telegraph: September 13, 2009: http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/banksandfinance/6184496/Derivatives-still-pose-huge-risk-says-BIS.html

[9] Robert Cookson and Sundeep Tucker, Economist warns of double-dip recession. The Financial Times: September 14, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/e6dd31f0-a133-11de-a88d-00144feabdc0.html

[10] Patrick Jenkins, BIS head worried by complacency. The Financial Times: September 20, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/a7a04972-a60c-11de-8c92-00144feabdc0.html

[11] David Uren. Bank for International Settlements warning over stimulus benefits. The Australian: June 30, 2009:

http://www.theaustralian.news.com.au/story/0,,25710566-601,00.html

[12] Simone Meier, BIS Sees Risk Central Banks Will Raise Interest Rates Too Late. Bloomberg: June 29, 2009:

http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601068&sid=aOnSy9jXFKaY

[13] Robert Cookson and Victor Mallet, Societal soul-searching casts shadow over big banks. The Financial Times: September 18, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/7721033c-a3ea-11de-9fed-00144feabdc0.html

[14] AFP, Top central banks agree to tougher bank regulation: BIS. AFP: September 6, 2009: http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5h8G0ShkY-AdH3TNzKJEetGuScPiQ

[15] Simon Kennedy, Basel Group Agrees on Bank Standards to Avoid Repeat of Crisis. Bloomberg: September 7, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=aETt8NZiLP38

[16] Abigail Moses, Central Banks Must Agree Global Clearing Supervision, BIS Says. Bloomberg: September 14, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=a5C6ARW_tSW0

[17] FIABIC, US home prices the most vital indicator for turnaround. FIABIC Asia Pacific: January 19, 2009: http://www.fiabci-asiapacific.com/index.php?option=com_content&task=view&id=133&Itemid=41

Alexander Green, The National Debt: The Biggest Threat to Your Financial Future. Investment U: August 25, 2008: http://www.investmentu.com/IUEL/2008/August/the-national-debt.htm l

John Bellamy Foster and Fred Magdoff, Financial Implosion and Stagnation. Global Research: May 20, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=13692

[18] Dawn Kopecki and Catherine Dodge, U.S. Rescue May Reach $23.7 Trillion, Barofsky Says (Update3). Bloomberg: July 20, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=aY0tX8UysIaM

[19] Andrew Gavin Marshall, The Bilderberg Plan for 2009: Remaking the Global Political Economy. Global Research: May 26, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?aid=13738&context=va

[20] Maja Banck-Polderman, Official List of Participants for the 2009 Bilderberg Meeting. Public Intelligence: July 26, 2009: http://www.publicintelligence.net/official-list-of-participants-for-the-2009-bilderberg-meeting/

[21] Andrew Gavin Marshall, The Bilderberg Plan for 2009: Remaking the Global Political Economy. Global Research: May 26, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?aid=13738&context=va

Titolo originale: "La reprise ¦—onomique est une illusion"

Fonte: http://www.mondialisation.ca
Traduzione a cura di MARINA GERENZANI

martedì 1 dicembre 2009

MANIFESTAZIONE ANTINUKE!! NO NUKE! UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA'



http://socialmail.tiscali.it/messages_s/75/159/2494_b7301042a33f5e6f67836bd2b429d6/attachments/NO%20NUKE.mp3

NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!


8 DICEMBRE 2009 ORE 17,00 CAGLIARI PIAZZA DEL CARMINE MANIFESTAZIONE ANTINUCLEARE CON INTERVENTI DEI SOSTENITORI DI UNA REALTA' DI PRODUZIONE ENERGETICA NON INVASIVA NEL RISPETTO DELL'AMBIENTE E DELLA DIMENSIONE UMANA

RELAZIONE DEL PROF. L. BURDERI, DIBATTITO CON INTERVENTI DEGLI ADERENTI ALL’EVENTO, CENA SARDA...


MUSICA: ROSSELLA FAA, MARIO SANDRO MOSSA QUINTET, REAGGE MUFFIN, EROTIC MONKEY, SIMONA DEIDDA SOUND, DR.BOOST, ISOLA SOUND, E MOLTI ALTRI ANCORA, EPPOI ANCORA GIOIA PACE E MOLTA SIMPATIA!!!!!!!


COMITATO SARDO ANTINUCLEARE






Nucleare, legare le multinazionali ai consorzi per la costruzione delle centrali.

foto

È il nucleare la soluzione per Alcoa

La proposta dell'Enel: le imprese energivore nei consorzi delle centrali

Giuseppe Centore - La Nuova Sardegna 1 Dicembre 2009

Fonte: Rassegna Stampa Provincia di Nuoro

PORTOVESME. Passa anche dal nucleare la soluzione della vertenza Alcoa. I silenzi del governo, le non-risposte alla piazza e al Parlamento, non erano legate all'assenza di idee su come uscire dal rebus delle tariffe, ma alla necessità di prendere tempo per definire i dettagli di una strategia.
Una strategia che non a caso è stata esplicitata a Sondrio dal presidente di Enel il giorno dopo la manifestazione di Roma. Entro l'anno verranno sistemati altri tasselli e ci saranno anche gli annunci ufficiali. La strategia del governo si regge su tre pilastri: il ruolo dei grandi produttori (Enel), l'avvio in esercizio delle infrastrutture di trasporto tra Sardegna e Penisola (il Sapei), le agevolazioni per Alcoa. Il ruolo di Enel passa per il nucleare. Non c'è allo stato attuale alcun collegamento tra questa opzione e la realizzazione di centrali nucleari nell'isola.
Il progetto che ha in mente il governo, presente anche nella legge 99 di quest'anno, ipotizza l'incontro tra produttori e consumatori speciali di energia (Alcoa in pratica ha bisogno di una media centrale elettrica per sé) nei consorzi per la costruzione di queste centrali a prescindere dalla loro collocazione.
«Crediamo che il nucleare debba vedere un ampio coinvolgimento dell'industria elettrica e delle grandi imprese energivore italiane». Con queste parole Fulvio Conti, ha indirettamente risposto al pre-accordo tra governo e Alcoa del giorno prima intervenendo in una conferenza sul Sistema energetico venerdì a Sondrio. Conti, ha spiegato che l'Enel sta pensando «a modelli societari o consortili per ciascuna unità (cioè ciascuna centrale, ndr) aperti ai grandi consumatori di energia come industrie o consorzi di imprese od altri operatori del settore energetico, che potranno così beneficiare di elettricità a prezzi vantaggiosi per tutta la durata in esercizio della centrale, in proporzione alla loro partecipazione. Quello che chiedo é che in questi consorzi sia sempre Enel a mantenere la posizione di leadership».

Il secondo pilastro, su cui si regge il primo, riguarda le infrastrutture. E' già attiva operativa la prima tranche da 500 megawatt del cavo sottomarino, il cosiddetto"Sapei" che collegherà la Sardegna alla penisola. I tecnici di Terna contano di portarlo in esercizio a pieno regime per il prossimo marzo, e di attivare la seconda tranche del cavo a marzo 2011. L'entrata in funzione del cavo doveva essere accompagnata da una grande cerimonia, prevista per il 19 novembre. I pre-inviti per quell'evento, con la presenza del Presidente Berlusconi, fautore dell'opera, erano già partiti, ma poi c'era stato un imprevisto dietro-front. Non è escluso che lo slittamento sia legato alla vertenza Alcoa. L'attivazione del Sapei, anche solo con la prima tranche, crea una forte discontinuità con il passato. La Sardegna non è più isolata sul fronte energetico, né in entrata né in uscita. La disposizione del 2000 (governo Prodi, ministro dell'industria Enrico Letta) che elevò la quota di riserva (quella immettibile in rete in qualunque momento in caso di black-out) all'80 per cento della potenza prodotta in Sardegna, non ha più ragione d'essere. La riserva anche nell'isola scenderà più o meno al 20, e questo significa che il chilowattora prodotto in Sardegna costerà di meno perché dovrà confrontarsi con l'energia prodotta nel resto del paese, ora col Sapei in grado di attraversare il mare nelle due direzioni.

Terzo pilastro della strategia del governo è il pre-accordo; l'interconnessione con l'estero, l'interrompibilità delle forniture e la riduzione della tariffa per il"trasporto" dell'energia dal luogo di produzione a Portovesme diventano alla luce degli altri due punti, complementari e di minore importanza. Adesso si capisce il ritardo e l'assenza di notizie sulle comunicazioni formali tra le parti e con l'Europa: il piano del governo stava prendendo corpo, e solo con la pre-intesa poteva essere parzialmente illustrato. Un altro risultato raggiungibile nella strategia del governo (analogamente a quando accaduto con l'altra azienda energivora del Sulcis-iglesiente, la Portovesme srl) è quello di "legare" virtuosamente le multinazionali al territorio. Nel caso della Portovesme il Contratto di programma (quando arriverà) e l'eolico impediscono di ipotizzare abbandoni anche a medio termine. Nel caso di Alcoa la partecipazione a un consorzio per la costruzione di una centrale nucleare non consente improvvisi disimpegni. Anche questo un risultato non da poco.

mercoledì 18 novembre 2009

Padroni dell'acqua

INVITIAMO TUTTI/E GLI AMICI/HE A FIRMARE LA PETIZIONE CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA
http://www.petizionionline.it/petizione/campagna-nazionale-salva-lacqua-il-governo-privatizza-l-acqua-/133
SA DEFENZA SOTZIALI

Andrea Palladino

ilmanifesto.it
Un istituto fondato da un ex maoista e chiamato: Scuola di guerra economica. Un dossier rivolto a governi e multinazionali che spiega le strategie per vincere la battaglia per il controllo privato dell'oro blu. Al primo punto: come neutralizzare i movimenti. Cosa si nasconde dietro la privatizzazione
«Il mio nome è Harbulot, Christian Harbulot». Forse la prossima saga firmata John Le Carré inizierà così. E invece dei terribili traffici della Spectre parlerà d'acqua e d'ambiente, mostrando i terribili nemici del progresso: i comuni e i cittadini. Sembra uno scherzo, ma è una questione molto seria.

Tutto ha inizio nel 1997, quando l'ex maoista francese Christian Harbulot incontra un generale reduce della guerra d'Algeria, Jean Pichot-Duclos, membro del Consiglio internazionale della difesa. Si guardano, si piacciono ed hanno la brillante idea di creare una scuola speciale, unica nel suo genere: la Ecole de guerre économique. I campi di battaglia del futuro saranno i mercati, annunciano, e sarà necessario usare mezzi non tradizionali. «Dobbiamo trasferire verso l'impresa la cultura sovversiva», spiegava nel 1998 in una intervista al Corriere della sera l'ex militante della Gauche proletarienne Christian Harbulot.
Undici anni dopo in Europa si parla del futuro dei beni comuni, con l'acqua prima della lista. Da qualche anno in Francia decine di comuni stanno cacciando le potentissime multinazionali, la Veolia e la Suez, ritornando alla gestione pubblica. Scatta l'allarme nei consigli di amministrazione, la Veolia Environnement Europe Service - lobby attiva a Bruxelles - aumenta il capitale sociale da 100 mila a 2,44 miliardi di euro. E il 18 giugno scorso la école de guerre économique pubblica un rapporto dettagliato, diretto da Christian Harbulot, con le istruzioni per le truppe. L'era della guerra per l'acqua è iniziata.
Il titolo rivela il destinatario: Environnement concurrentiel de Veolia. Ovvero la prima multinazionale multiutility del mondo, guidata da un fedele amico di Sarkozy, Henri Proglio, che in Italia controlla buona parte del mercato idrico a Latina, in Calabria e in Sicilia. L'analisi partorita dalla scuola di guerra economica francese parte dall'individuazione di chi ostacola l'espansione del colosso francese, che ha tra gli azionisti anche lo stato. C'è un pericolo che viene dal mercato asiatico, dove i cinesi stanno per ora mettendo da parte il know-how tecnologico europeo, per poi prepararsi a conquistare il mondo. Ci sono tanti concorrenti - tra le quali Acea, salita al dodicesimo posto nella classifica mondiale delle imprese dell'acqua - emersi negli ultimi dieci anni. Ma soprattutto ci sono i comuni e i movimenti, i veri nemici di chi fa affari vendendo l'acqua.
Pagare prima di tutto
«Pagare l'acqua garantisce lo sviluppo sostenibile», spiega a pagina 49 il rapporto. È una questione di «campagna pedagogica», è necessario far capire a tutti i cittadini che più pagano più l'ambiente «verrà conservato». Per il rapporto la questione prezzo è ovviamente strategica. Anche perché - come mostrano chiaramente i dati - dove l'acqua è privatizzata le tariffe aumentano. In Francia, ad esempio, nella graduatoria comparativa dei prezzi dei servizi idrici, le città con le tariffe più alte hanno tutte una gestione privata: Toulon, Nizza, Lione, Marsiglia, solo per citare le più conosciute. In fondo alla lista c'è invece Grenoble, dove il servizio idrico venne ripubblicizzato alcuni anni fa.
L'acqua del sindaco? Pessima!
Da qualche anno nella patria di Veolia e Suez tanti comuni stanno cacciando i gestori privati. L'esempio più clamoroso è Parigi, dove le due multinazionali si spartiscono i due lati della Senna. Dal primo gennaio del 2010 si cambia, il sindaco di Parigi riprenderà in mano la gestione dell'acqua. I generali della nuova guerra economica hanno pronta la controffensiva e la suggeriscono a Veolia: «Va provocata una repulsione» verso questa ipotesi. Le multinazionali devono lanciare subito una campagna di guerra dell'informazione mostrando «da una parte il mercato francese privatizzato con un consumatore che beve acqua pura direttamente dal rubinetto, e dall'altra un mercato municipalizzato, con un consumatore che beve acqua di dubbia qualità».
Bloccare le Ong
Ma l'incubo peggiore per le multinazionali - suggerisce il rapporto del think tank francese - sono i movimenti e le Ong. Due in particolare: Public Citizen negli Usa e France Liberté in Francia. I movimenti «interferiscono nell'ambiente concorrenziale di Veolia», spiegano nel rapporto. In questo contesto «la battaglia dell'immagine è importante» e sarà necessario esercitare un forte potere di lobby, utilizzando «la prossimità di mister Proglio - presidente di Veolia, ndr - con il presidente Sarkozy». E cosa dovrebbe chiedere Mr Proglio al presidente? «L'industria dell'acqua deve entrare nella lista delle industrie strategiche, protette dal governo francese, come quella della difesa». Insomma i rubinetti dei cittadini dovranno essere trattati come armi da vendere e da difendere dall'attenzione dei movimenti.
La battaglia, però, deve andare anche oltre la Francia. In Europa tutto si gioca sulla regolamentazione, spiega il rapporto, ed è qui che Veolia dovrà agire. Come potente lobby, per cambiare la politica europea, per fermare i sindaci e i movimenti. Una vera lotta di lunga durata, direbbe l'ex maoista Christian Harbulot.



lunedì 9 novembre 2009

G-20 La Gordon tax non piace agli Stati Uniti di Obama

Il premier britannico: tassare le transazioni finanziarie
Paolo Gerbaudo
ilmanifesto.it
«Non è accettabile che i benefici del successo siano raccolti da pochi mentre i costi del fallimento vengono pagati da tutti». Intervenendo di fronte ai ministri delle finanze e ai governatori delle banche centrali dei paesi G-20, riuniti a Saint Andrew in Scozia - «patria del golf» e parte del suo collegio elettorale - il primo ministro britannico Gordon Brown ha proposto la creazione di un fondo globale per il salvataggio delle banche, finanziato da una tassa sulla finanza internazionale simile alla Tobin Tax. Ma la proposta di Brown è stata subito silurata dagli altri partecipanti al summit, con il segretario Usa al tesoro Timothy Geithner che ha risposto ruvidamente che il provvedimento «non è una cosa che siamo disponibili a sostenere». Contrario anche il ministro dell'economia Giulio Tremonti, che ha sostenuto che «gli speculatori bisogna fermarli prima, non tassarli dopo».
Nell'ennesimo incontro targato G20 in un 2009 segnato dal tentativo di evitare che la crisi finanziaria si tramuti in una depressione duratura dell'economia globale, la discussione si è concentrata sulle prospettive di recupero accarezzate da alcune economie tra cui l'Italia a dispetto di una disoccupazione galoppante e sulle misure da prendere per garantire quella «cr
escita sostenuta e sostenibile» di cui si è tanto parlato al vertice G20 di Pittsburgh del settembre scorso.
Brown che ha provato a rivestire i panni di architetto del nuovo sistema finanziario internazionale, che aveva rivendicato nell'aprile scorso al vertice di Londra, ha avvertito che si è «a metà del cammino sulla strada del recupero» e che superata la fase di emergenza acuta è necessaria «una exit strateg
y dalla crisi» in cui sarà necessario affrontare la «crisi di legittimità del sistema finanziario internazionale» che «ha perso credibilità» dopo il crollo delle borse del settembre 2008.
Il primo ministro britannico ha incentrato il suo discorso sulla necessità di «un nuovo contratto
sociale ed economico tra il sistema finanziario e i cittadini».
Obiettivo evitare che in futuro siano di nuovo i contribuenti a dover sborsare i soldi per evitare il collasso dei giganti della f
inanza. Il fondo globale di salvataggio delle banche proposto a questo scopo, potrebbe essere finanziato secondo Brown in diversi modi, tra cui con l'erogazione da parte delle banche di contributi assicurativi per coprire i rischi del mercato finanziario, oppure attraverso un'imposta globale sulle transazioni finanziarie, che ricorda la Tobin Tax, chiesta in anni recenti da Attac ed altri gruppi altermondialisti.
La proposta del primo ministro è stata accolta positivamente da sindacati e organizzazioni non governative che hanno manifestato vicino al luogo del summit. La Ong britannica Oxfam ha affermato per bocca di un suo portavoce che «per i banchieri sta per arrivare il conto» e ha chiesto che parte del fondo globale sia destinata alle po
polazioni dei paesi in via di sviluppo.
Se la proposta di un piano di copertura dei rischi del sistema finanziario internazionale è stata respinta in coro dagli altri paesi del G20, a consolare Brown ci sono un impegno formale del G20 di puntare ad un accordo ambizioso al vertice Onu sul clima a Copenhagen, e la continuazione del «piano di stimolo» da mille miliardi di dollari varato nell'aprile scorso durante il G20 di Londra, nonostante la perplessità di alcuni paesi tra cui Stati Uniti e Germania.
Così anche questa volta della tanto discussa riforma del sistema finanziario globale non si è visto niente. Se le discussioni su un limite agli stipendi dei manager delle banche agitati da Sarkozy al G20 di Pittsburgh si erano tradotte in un nulla di fatto, i
n questa occasione la stessa sorte è toccata al piano di salvataggio globale proposto da Brown, ansioso di presentarsi come il fautore di una riforma sociale dei mercati globali, ma poco disposto ad accettare un regolamentazione robusta del mercato finanziario voluto da paesi come Germania e Francia ma di cui i broker della City di Londra non vogliono sentir parlare.

domenica 1 novembre 2009

Bambino by Alda Merini




Bambino, se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.

Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.

Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.

Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.


Alda Merini

sabato 31 ottobre 2009

La stele di Nora rivela: sant'Efisio divinità nuragica

CARLO FIGARI
unionesarda.sr
Sant'Efisio non è un martire cristiano, ma il figlio di Jahu/Jahwé, una divinità millenaria adorata dai popoli nuragici simile al Dio degli ebrei. In scrittura semitica viene riportato come Lefe/is-y (le vocali sono incerte perché non venivano scritte) e nel tempo il nome si è tramandato passando da una civiltà religiosa all'altra. Sino all'epoca romana quando Lefe/is-y è diventato il guerriero cristiano Efisio, il santo ancor oggi venerato dai cagliaritani e in tutta l'Isola. È quanto sostiene, in estrema sintesi, uno studioso oristanese che fa risalire le origini nuragiche del nome e del personaggio di Efisio all'epigrafe della stele di Nora, uno dei reperti più importanti e famosi del museo nazionale archeologico di Cagliari. Non è un caso che l'Efisio romano fu martirizzato proprio a Nora, nella zona dove nel 1773 venne trovata la stele con un'iscrizione fenicia sino a oggi ritenuta il documento scritto più antico della storia occidentale. Ma anche questo caposaldo dell'archeologia sarda rischia di essere demolito, insieme al mito di sant'Efisio, dalle clamorose rivelazioni di Gigi Sanna, già noto per le battaglie sull'esistenza di una lingua scritta usata dai popoli dei nuraghi. Ex docente di lingua e letteratura latina e greca, ora insegnante di storia della Chiesa antica presso l'istituto di Scienze religiose di Oristano, ha raccolto le sue tesi in un libro di 250 pagine "La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo" (edizioni Ptm) che oggi alle 18 verrà presentato nella sala consiliare del Municipio oristanese.
NUOVO LIBRO Già si annuncia come una bomba, con effetti deflagranti per il
mondo culturale sardo e per gli studiosi di antichità. Gigi Sanna non è nuovo ai clamori delle sue ricerche, spesso duramente criticate e qualche volta persino sbeffeggiate da chi non aveva argomenti validi da opporre. Due anni fa, per avvalorare quanto da tempo va affermando con saggi e convegni, venne in Sardegna Remo Mugnaioni, docente francese dell'università di Lyon, assiriologo di fama mondiale. Questa volta dalla sua ha altri due studiosi di spicco quali Aba Losi, docente di fisica dell'università di Parma e il vice rettore dell'università Pontificia di Cagliari, Antonio Pinna, noto biblista ed esperto di antico ebraico. Entrambi da tempo seguono gli sviluppi degli studi sulla stele e oggi ne discuteranno durante l'incontro in Comune.
Una vicenda complessa, questa delle stele, che potrebbe aprire nuove strade sullo studio della lingua dei cosiddetti nuragici. «Ormai non ho più alcun dubbio che avessero anche una loro lingua scritta» dice Sanna: «Le prove? Sinora ho classificato come nuragici 52 documenti con iscrizioni riportate prevalentemente su pietre, su cocci, su bronzo, come quelle stupende di Tzri
cotu di Cabras. Tutti documenti scritti con caratteri di alfabeti consonantici semitici. Tra questi documenti nuragici ora può essere inserito il monumento di Nora che, anche sulla base di una rilettura dell'alfabeto fenicio arcaico o protocananeo, contiene una straordinaria scritta con significati solo ieri del tutto inimmaginabili».
LA TRADIZIONE Per l'archeologia ufficiale la stele è scritta in lingua fenicia ed è ritenuta l'iscrizione più antica rinvenuta nell'isola e nel Mediterraneo occidentale. Ricavata da un blocco di pietra fu trovata in un muretto a secco vicino a una chiesa di Pula, il paese che trae origine dall'antica città di Nora fondata dai fenici. Secondo l'int
erpretazione più nota, l'epigrafe - che si fa risalire al nono/ottavo secolo - riporterebbe la parola b-srdn , cioè «in Sardegna», la prima citazione dell'isola che si conosca. Per alcuni studiosi, invece, la sequenza alfabetica srdn della terza linea farebbe riferimento agli Shardana, che probabilmente vivevano in Sardegna nel'età del bronzo e che facevano parte della coalizione dei "popoli del mare". Guerrieri e navigatori che combatterono anche come mercenari nell'Egitto dei faraoni. Nell'epigrafe si legge all'inizio un'altra parola: b-trss , «in Tartesso», toponimo misterioso dell'antichità citato più volte nella Bibbia.
LE NOVITÀ Ebbene Gigi Sanna spazza via tutto questo: «Intanto non è il più antico documento perché una quarantina di quelli da me studiati e pubblicati sono, per tipologia alfabetica, antecedenti al fenicio arcaico della stele. Inoltre la stessa stele, a mio parere, ha una datazion
e più alta di quella seguita dai più, riconducibile al 1100 -1000 avanti Cristo». Ma la vera scoperta di Sanna sarebbe un' altra: «L'epigrafe - spiega - non è fenicia, ma nuragica, caratterizzata dalla presenza di una lingua prevalentemente semitica riportata con caratteri di tipologia semitica. Il documento attesta in tutta chiarezza che i costruttori dei nuraghi parlavano anche una lingua semitica e la scrivevano utilizzando, nell'occasione, l'alfabeto fenicio arcaico».
Per lo studioso oristanese b-srd non vuol dire affatto «in Sardegna»: mettendo al giusto posto della sequenza la consonante della linea precedente si ottiene «aba shardan», che vuol dire «padre signore giudice». Le altre parole che precedono «aba shardan», cioè b-trss e w grs sono invece due toponomi sardi uniti dalla congiunzione "e": il primo è il nome di Tharros e l'altro quello di Corras/Cornus.
I DUE ESPERTI Ma non è tutto. La studiosa Aba Losi , con un'osservazion
e tipica del matematico, ha individuato la ripetitività di tre precise lettere in simmetria, con andamento alto-basso e basso-alto nelle parti laterali dell'epigrafe. «Da lì - afferma Sanna - a concludere che esistesse una seconda lettura "a cornice" della stele il passo è stato breve. Come breve è stato scoprire anche una terza lettura, stavolta centrale, con l'andamento delle lettere in forma di un serpente, uno dei simboli più forti e ricorrenti, insieme al numero tre, nelle iscrizioni di natura religiosa nuragica», sottolinea lo studioso: «Bisogna considerare che gli scribi nuragici si esprimevano con scrittura "a rebus", traducibile evidentemente solo da chi possedeva la complessa chiave di lettura del codice espressivo». Sino a pochi decenni fa gli storici sostenevano che i sardi non avevano una loro scrittura, ma si servivano volta per volta di quella altrui. La stele - chiaramente un monumento religioso a forma fallica (simbolo della potenza creatrice della divinità) - è dedicata al «dio padre giudice signore» ed è un'offerta dei Norani ( mlkt nrns).
LUNGA VITA Questa stele ebbe vita lunghissima a Nora in quanto fu leggibile sino al momento in cui i caratteri fenici furono usati in Sardegna e la lingua semitica compresa se non da tutta, da una parte delle popolazioni residenti. «Non si dimentichi - scrive Sanna nel lib
ro - che la Sardegna mantenne caratteri alfabetici fenici cosiddetti neopunici e ovviamente la parlata semitica sino al terzo secolo dopo Cristo. È presumibile che con l'avvento del Cristianesimo e con l'affermarsi dei caratteri alfabetici romani, che soppiantarono quelli semitici, l'oggetto di culto degli abitanti di Nora cominciò a perdere d' importanza e significato, anche perché sostituito da qualche altro simbolo monumentale per il santo Lefe/is-y. Questo è infatti il nome "incredibile" che si legge alla fine della stele: "Lefe/isy bn ngr" . Nome che, nella lingua parlata locale, da Santu Lefe/isy, per indebolimento della consonante liquida (la elle), diventò Sant' Efisy (poi Efisio). Efisy figlio di ngr, ma anche "figlio del dio padre" aba -shardan, da celebre santo pagano, col tempo, passò pari pari alla venerazione cristiana».




venerdì 30 ottobre 2009

NELLA SEMPLICITA'...................



Nella semplicità che non ha nome
non ci sono desideri.

E senza desideri è tutto pace
e il mondo trova ordine in sè.

Lao-tse

martedì 27 ottobre 2009

Terra La Guyana avvelenata

Fulvio Gioanetto
ilmanifesto.it
La catastrofe ecologica della Guyana è arrivata alla frontera nord dello stato di Bolivar, Venezuela. Tutto è contaminato: terra, fiumi, popolazioni indigene. Interi villaggi ai margini dei fiumi, come il Cuyuní o il Barima, decimati dai residui del mercurio e del cianuro delle miniere di oro e di diamanti a cielo aperto. L'acqua contaminata, che serve per consumo umano e per irrigare i piccoli orti familiari, trasporta le particelle residuali dei metalli pesanti nei polmoni e nel cervello degli abitanti. La Guyana ha svenduto ciò che restava delle allora imponenti e impenetrabili foreste tropicali umide locali alle compagnie del legname . Niente sembra fermare il massacro ecologico e umano. Un quarto del territorio guyanese è già stato concesso alle compagnie minerarie, dove la Gmcc (l'ente statale statale per la geologia e attività minerarie) ha già approvato ben 14.500 concessioni minerarie e 1800 permessi per dragare i fiumi. Ci sono dentro tutti: aziende minerarie europee, russe, canadesi, statunitensi, cinesi, giapponesi. Addirittura dei sindacati minerari brasiliani, che secondo la stampa partecipano di importanti traffici transfrontalieri di trasporto di minerali. Dalle miniere a cielo aperto di Marudi Mountain, Kartuni, Peter's mine, Oko, Kurupung, Potaro Kurupung, Aranka, Aurora, Lower Puruni tutti estraggono uranio, bauxite, oro, diamanti, granito. Immensi spazi nella controvertida zona di Esequibo, disputata da Venezuela, Colombia e Guyana, sono già zone di estrazione di oro e diamanti. Come i sette progetti minerari delle canadesi Sacre Coeur Minerals Ltd.e Guyana Goldfields Inc.
Fin dal 2005 vari studi del Wwf avevano lanciato l'allarme. Secondo un rapporto della Scuola di Giurisprudenza di Harvard («La Mineria en Guyana; fallas del Gobierno en los Derechos Humanos y Comunidades Indigenas») gli indigeni arawak, kariña, akawaio, pemón e gli abitanti meticci della zona frontaliera sono ormai obbligati a bere acqua piovana perché i fiumi sono contaminati. Secondo il gruppo ambientalista venezuelano Vitalis (http://www.vitalis.net), in tutti i fiumi alla frontiera con la Guyana ci sono centinaia di draghe che estraggono oro e diamanti dai fiumi scaricando poi diesel, benzina e residui. Esistono ormai isole di fango e sabbie puzzolenti in parte dei bordi del fiume Caroni e nella conca del Caura.
La commissione indigena guyanese da anni reclama il diritto ancestrale su 69.200 km di terre , anche se finora le comunità indigene hanno ricevuto solo ambigui titoli di proprietà o di usufrutto solamente in 9.600 km. cuadrati. Dei dodicimila poverissimi abitanti indigeni, un 40% lavora schiavizzato nelle miniere o nei progetti di dragaggio dei fiumi o di disboscamento delle proprie terre. L'alcolismo e la prostituzione generalizzata, i salari miserabili, la perdita di identità sono le ultime conseguenze di questo ecocidio.
Dal lato venezuelano, alcune comunità indigene hanno iniziato a organizzarsi, stanche da tante distruzioni e soprusi. Come in Machiques de Perija, un piccolo punto nella mappa, dove gli indigeni Yukpa, da tempo in mobilizzazione per rivendicazioni territoriali in 20.000 ettari, hanno occupato il municipio in protesta contro la distruzione ecologica e sociale avviata da un progetto minerarie con capitale cino- canadese. Lato guyanese, i 6.000 abitanti della comunitá inidgena del Cuyuní, Mata de Donald, hanno organizzato petizioni e azioni collettive. Appoggiati da un distaccamento dell'esercito, hanno iniziato a distruggere balse e smantellamenti di campamenti minerari.


sabato 24 ottobre 2009

La rivolta del popolo calabrese... Adesso ammazzateci tutti

| Tonino Perna
ilmanifesto.it

Per secoli i calabresi hanno visto il mare come un pericolo, il vettore su cui passava l’invasore, una distesa acqua e sale di cui non coglievano il senso (anche la letteratura calabrese fino al Novecento ignora il mare). Poi, improvvisamente, la svolta. Dalla metà del secolo scorso, i calabresi hanno abbandonato in massa colline e montagne e hanno occupato gli 800 e passa chilometri di coste. L’hanno fatto spesso in modo selvaggio, come testimoniato dalla estetica delle costruzioni, in modo illegale – la gran parte delle costruzioni hanno usufruito dei vari condoni edilizi - e senza quella cura e quel senso di appartenenza, quel genius loci che lega gli abitanti alla storia di un territorio.
Ma, le nuove generazioni sono in gran parte nate sul mare ed hanno imparato ad amarlo, a viverlo come parte costitutiva della loro identità. Il film di Mimmo Calopresti «Preferisco il rumore del mare» può essere assunto come il punto di svolta, un messaggio emblematico che segna il salto culturale compiuto dalle nuove generazioni. In questi ultimi venti anni sono sorti decine e decine di circoli e centri di vela, canottaggio, wind surf, immersioni e foto subacque, pesca sportiva. Sono decine di migliaia i giovani calabresi emigrati, per ragioni di studio e lavoro, che tornano ogni anno per questo mare e queste spiagge che adorano, che non cambierebbero con nessun altro posto.
Molti di loro saranno ad Amantea sabato, parteciperanno con rabbia e convinzione a quella che sarà sicuramente una grande manifestazione che ha una valenza storica: si tratta della prima rivolta di massa contro la ‘ndrangheta.
Mai sono state scritte, dal cittadino calabrese medio, parole di disprezzo così dure e cariche di rabbia contro i signori della ‘ndrangheta e della politica che hanno prodotto il più grande disastro ambientale nella storia calabrese. In pochi giorni, sono più di trentamila le firme raccolte dal Quotidiano della Calabria per protestare contro l’inerzia del governo e chiedere la bonifica integrale dei fondali marini a Cetraro, Vibo e Capo Bruzzano, e la ricerca delle altre navi affondate. Sindaci della costa dell’Alto Tirreno calabrese, di qualunque colore politico, sono andati a Roma a protestare e saranno centinaia i sindaci che da tutta la Calabria verranno ad Amantea. Niente aveva prodotto tanto sdegno, rabbia, ribellione. Non i settecento morti ammazzati nella guerra di ‘ndrangheta dal 1985 al ’92, non i centinaia di sequestri di persona che colpirono anche molti professionisti locali, non le decine di scandali che coinvolgono una parte significativa della classe politica calabrese. Nemmeno l’efferato omicidio Fortugno, malgrado il clamore nazionale e la nascita di un movimento di giovani «ora ammazzateci tutti» che ebbe un forte lancio mediatico, riuscì a coinvolgere tutta la Calabria e, soprattutto, tanti giovani.
Chi ha trasportato e fatto affondare decine di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, ha prodotto un disastro ecologico che rischia di fare concorrenza a Chernobil per le conseguenze sulle catene alimentari. La ‘ndrangheta ci ha messo la faccia e ne è uscita a pezzi, ma gli ‘ndranghetisti hanno fatto solo i manovali di questa impresa criminale. I mandanti si trovano nelle sedi delle multinazionali, tra i manager delle centrali termonucleari, i dirigenti dell’Enea di Rotondella, pezzi importanti dello Stato, a partire dai servizi segreti. Un intreccio di interessi che vanno al di là dell’immaginabile e che fa emergere sulla scena della storia una nuova classe dirigente: la borghesia mafiosa. Di fatto è una classe sociale già arrivata al potere in molti paesi – Colombia, Messico, Russia... – e non c’è da stupirsi se in questo bel quadretto sia già finito il nostro paese.



D’altra parte, studiosi di lungo corso come Umberto Santino o il procuratore generale della Repubblica Piero Grasso da anni parlano di «borghesia mafiosa» e non più di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Per la prima volta si va a uno scontro aperto con questa «nuova borghesia» che farà di tutto per insabbiare le indagini, impedire che i fusti vengano ripescati, che altre navi affondate vengano individuate. E’ una lotta impari. Ma questa volta, statene certi, il popolo calabrese non si farà ricacciare sulle montagne. Qui non si tratta di saraceni selvaggi e violenti, di OttoMani che razziavano e fuggivano, qui si tratta di una SolaMano, una Mano Nera che ha messo in discussione il diritto alla vita nel mare e fuori.
Per questo sarà una battaglia epocale. Non una questione calabrese, ma una questione nazionale e internazionale perché il mare non conosce frontiere.

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