venerdì 13 agosto 2010

OLBIA ULTIMA FERMATA

«Un litro di latte è pagato meno di un litro d'acqua». Gli allevatori sardi sul piede di guerra contro gli industriali e i politici. Oggi minacciano di bloccare porto e aeroporto, mentre migliaia di turisti sbarcano sull'isola per il Ferragosto
Pietro Calvisi
ilmanifesto.it
Era dai primi anni novanta che i pastori sardi non scendevano così massicciamente in piazza per far valere i propri diritti. Allora si protestava contro gli industriali del formaggio che nel giro di pochi mesi avevano tagliato pesantemente il prezzo del latte. Oggi la battaglia è a tutto campo con politici e imprenditori chiamati a rispondere di anni di mala gestione. Il prezzo del latte è ai minimi storici con dati che sull'isola variano dagli 0,50 centesimi di euro agli 0,65 al litro, mentre nel resto del paese è fra gli 0,80 e 1 euro. Una condizione ormai insostenibile per le centinaia di allevamenti ovini.
La lunga marcia di protesta che negli ultimi due mesi ha toccato diversi centri, dal nord al sud della regione, oggi scenderà per le strade di Olbia cercando di bloccarne alcune arterie principali. Con migliai di turisti in arrivo, nel porto e nell'aeroporto per il fine settimana di ferragosto, i rallentamenti sembrerebbero assicurati. «Comprendiamo bene il disagio che possiamo creare - hanno spiegato alcuni pastori - ma solo con questo genere di azioni possiamo
attirare l'attenzione sulla nostra situazione. Per oggi chiediamo solo un po' di solidarietà e di pazienza per i disagi che si potranno creare».
Il comparto ovino, in alcune zone della Sardegna, è ancora l'economia trainante. Si comprende quindi come mai, in piena crisi economica e con un isola messa
all'angolo nelle politiche di sviluppo industriale, dove le poche realtà esitenti serrano i cancelli quotidianamente, l'attenzione di un'intera regione si indirizzi verso questa categoria.
«Negli anni scorsi, prima l'Unione europea (Ue) ci ha chiesto di investire nella modernizzazine delle nostre aziende - spiega Felice Floris, pastore di Desulo e leader del Movimento dei pastori sardi (Mps)- poi però ci ha lasciati soli, con le cantine dei produttori caseari colme di formaggio invenduto e un prezzo del latte da fame». La crisi dei paesi nord americani ha messo in ginocchio le esportazioni, con Roma e Cagliari rimaste a guardare. «Il parmiggiano e il grana per esempio - continua Floris - sono stati aiutati con oltre 200milioni di euro in sovvenzioni varie per conservare il loro mercato nei paesi extra europei, per noi invece no è stato mosso un dito». Gli allevatori hanno presentato all'assessore all'agricoltura della regione Sardegna, Andrea Prato, una piattaforma di dodici punti dove riportano le loro proposte.
Il movimento dei pastori, che si dichiara apartitito, opera anche in contrapposizione ai sindacati e alle associazioni di categoria, accusate di immobilismo visto che la loro ultima manifestazione risale al 2005.

«Abbiamo una classe politica inadeguata ad affrontare questa crisi - ha detto Fortunato Ladu, pastore di Desulo e fra i primi organizzatori della protesta - ma a settembre tireremo le somme con la manifestazione finale di Cagliari, dove vogliamo portare migliaia di persone».
Parlando di numeri, il movimento chiede la rimodulazione del piano di intervento rurale, circa un miliardo e 800milioni di euro destinati agli interventi di risanamento delle strutture nelle aziende, che venga indirizzato ver
so gli aiuti per le greggi. «Che mi importa di avere il capannone nuovo - ha attaccato Floris - se poi non posso dare da mangiare al mio bestiame?».
La regione intanto a preso tempo fino al prossimo mese, quando risponderà ufficialmente alle richieste dei pastori. Sotto accus
a finiscono anche gli industriali caseari accusati di importare latte stabilizzato dall'estero, in particolare dalla Francia, per poi rivendere i formaggi con marchio di produzione sarda.
«Sono affezionato al mio lavoro
- ha detto Ladu - e da alcuni mesi ho lasciato famiglia e azienda per lavorare al fianco di tanti miei colleghi. La forza che mi spinge ad andare viene dal sostegno che quotidianamente giunge dalla gente che incontriamo, in particolare dai giovani».


IL PASTORE
In questa terra il mio presente e il mio futuro

Felice Floris, classe 1954, è il leader del Movimento dei pastori sardi, che da alcuni mesi guida la protesta degli allevatori dell'isola. Nessuna appartenenza politica, un outsider, che fin da giovane si è battuto per il riconoscimento dei diritti degli allevatori ovini, tanto da prendere anche alcune manganellate nel 1990.
Perché avete iniziato a radicalizzare la protesta arrivando a chiudere anche le strade di accesso agli aeroporti?
Riconosco che sono azioni estreme, ma non ci stava ad ascoltare nessuno. Ormai il prezzo del latte è ai minimi storici. Costa più un litro d'acqua che non uno di latte. Questo
è inaccettabile.
Che cosa vuol dire fare il pastore oggi in queste condizioni?
È difficile da spiegare, ma posso dire che oltre ad essere tutto il mio presente, rappresenta anche il mio futuro. Un mio figlio già lavora con me e appena si diploma il secondo anche lui verrà a darci una mano».
Nella proposta dei dodici punti, che avete presentato in regione, si parla anche di utilizzare le energie rinnovabili per portare l'energia nelle aziende agricole.
È vero, purtroppo diverse zone non hanno ancora l'energia e quindi ci viene difficile stare al passo con il mercato nella produzione. Ma bisogna puntare anche sulle energie rinnovabili perché noi pastori siamo i primi custodi dell'ambiente.
A volte vi accusano di essere una categoria assistita, voi cosa rispondete?
Vogliamo lavorare e a limite ricevere degli aiuti per incentivare la nostra produzione. Oggi invece i contributi vengono dati più per tenere le terre incolte che non per sfruttarle.


L'ANTROPOLOGO
Senza tradizione sindacale, ma ora si organizzano

Bachisio Bandinu, antropologo sardo, è originario di Bitti (Nu) uno dei centri più importanti della tradizione pastorale dell'isola. Figlio di allevatori ha trattato in diversi libri l'impatto della modernizzazione nelle società pastorali, soprattutto del centro Sardegna.
Per la prima volta dopo tanti anni i pastori, superando la loro storica diffi
denza nell'associarsi, si sono uniti per protestare.
Il mondo pastorale, non avendo una tradizione sindacale trova e ha sempre trovato difficoltà nell'associarsi. In fabbrica per esempio ci si organizza perché altrimenti si è sconfitti. L'uomo di campagna invece viene da una tradizione diversa dove manca ancora la presa di coscienza della propria condizione.
Oggi i pastori si trovano di fronte ad un bivio: o si cambia velocemente rotta o si rischia di scomparire.
Molte aziende, che hanno investito ingenti capitali per rimodernare tutte le str
utture e i mezzi, hanno chiesto i finanziamenti alle banche che non accettano rinvii nella date di scadenza dei pagamenti. Con la crisi del prezzo del latte e con i costi di produzione che fra mangimi e medicinali si portano via oltre il 30% dei ricavi, oggi tirare avanti è diventato sempre più difficile.
Cosa pensa dei finanziamenti che percepiscono gli allevatori?
Spesso si dice che i pastori sono aiutati economicamente dall'Union
e europea. E questo è vero. Ma quanti soldi vengono dati all'industria? Quanti a tanti altri settori produttivi del paese? Nella sola Sardegna sono state costruite intere realtà industriali che si sapeva benissimo sarebbero andate a chiudere. Però per anni lo stato a speso tanto per tenerle in vita.
Su cosa dovrebbe puntare il pastore sardo per sopravvivere?
Bisogna puntare sulla specificità del prodotto e sul ruolo che il pastore continua ad avere nelle nostre società. Il pastore non è solo un mestiere ma è il primo guardiano dell'a
mbiente, è uno stile di vita.





martedì 10 agosto 2010

Dichjarazioni di di i prighjuneri pulitichi Fresnes DICHIARAZIONE DEI DETENUTI POLITICI

Dichjarazioni di i prighjuneri pulitichi di Fresnes


Soprattutto offriamo il nostro aiuto fraterno a Yvan Colonna, per la sua lotta a lungo termine e che con molta difficoltà si da da fare per provare la sua innocenza e di Thierry Gonzales con lo sciopero della fame. Oggi il nostro lavoro è l'espressione simbolica del nostro pieno impegno per far rispettare i nostri diritti. Soprattutto quella di essere più vicino alla nostra isola di Corsica per la difesa di cui siamo ingiustamente incarcerati ed esiliati.

Siamo uomini che amano il loro paese. Alcuni di noi hanno scelto una forma specifica di resistenza, altri attivisti sono più pubblici, altri sono fervidi sostenitori nazionalisti. Alcuni di noi ha una fedina penale macchiata a motivo del nostro impegno politico per la libertà della nostra terra che è in procinto di essere chiusa o in procinto di archiviazione. L'altra parte è presa in esame. Ma noi tutti ci rifiutiamo di essere prigionieri con la freddezza disumana come la cinica signora Alliot Marie, spudoratamente oserei dire "perseguire con determinazione la politica di avvicinamento dei prigionieri della Corsica"

Signora Alliot Marie non ha alcuna considerazione per noi. Essa contrasta con il nostro grido di sofferenza di una falsa dichiarazione riconciliazioni. Si ignora totalmente una madre, un padre, una moglie, un figlio sopportare per venire a vedere uno di noi alcuni momenti, con le spese che ciò comporta, soprattutto in questi tempi di crisi economica, e spesso per molti anni. Non importa che non ci sono più chilometri miglia. E ha spazzato il dorso della mano, non solo la nostra chiamata a rispettare la nostra dignità, ma anche tutte quelle voci in Corsica, all'unanimità si sono espressi a favore di questa fusione ..

La nostra situazione carceraria dimostra la gravità della menzogna e l'inganno della signora Alliot Marie. Ed è per questo che oggi le parole del presidente Nicolas Sarkozy ha detto che mentre il ravvicinamento potrebbe "avvenire a prescindere dalla natura e la durata della pena"?

Non abbiamo mai chiesto di approvare le nostre idee, e alcuni di noi, le nostre azioni. Ma nessuno può negare la dimensione politica del nostro impegno; dimensione paradossalmente riconosciuto dalla natura stessa del tribunale speciale incaricato dei nostri rispettivi casi. Data la nostra lotta e investimenti specifici, leggi le nostre richieste, nessuno può mettere in dubbio la scelta decisiva di immaginare l'emancipazione del nostro popolo e la supremazia della sua cultura e la sua lingua. Nessuno può curare, ci assimila a chissà quali il terrorismo può dubitare che, perché una volta il nostro impegno per la pace e la vita?

Siamo i patrioti della Corsica e costantemente cercare di capire i diritti della nostra comunità a vivere e quale sia la sua identità nel mondo è nostro. Registriamo il nostro messaggio in questo mosaico che è universale per tutti i popoli e le nazioni di questo mondo. Noi siamo gente aperta, libera di xenofobia e razzismo e plasmate da uno dei nostri valori storici: il riconoscimento dell'altro. La differenza di trattamento sia noi che vive attualmente.

Infine ci siamo impegnati al principio del necessario post-crisi, così come auspicato CORSICA LIBERA e costituisce un importante contributo ad un vero e proprio compromesso storico. Siamo pienamente consapevoli del fatto che un simile compromesso richiede il sostegno del maggior numero di giocatori coinvolti nel problema che si presenti, senza alcun tabù o di esclusione. E sappiamo anche che questo compromesso è possibile, perché provoca la fine di antagonismo. Può anche essere presa in considerazione per la Corsica, il controllo del suo futuro, all'alba del XXI ° secolo. L'identità della Corsica non è mai stata un elemento di divisione, ma piuttosto un esempio storico di integrazione.

Infine, è il governo francese, una volta a prendere la piena misura della l'aspirazione della nostra comunità per live la sua identità e ad avviare una politica di different che already condannato a failure "fermezza e Protezione. In definitiva, la questione richiede inevitabilmente la Corsica come risposta adeguata, il riconoscimento del popolo corso, l'attore principale della scelta per il suo futuro.

Siamo mobilitati per capire e sapere che la nostra dignità è violata e che ogni giorno soffrono di esilio e di separazione. La nostra volontà è forte e prima che sia troppo tardi, perché non si degradano prima della disumanità degli argomenti e dei metodi della signora Alliot MARIE chiediamo la solidarietà, per la nostra comune lotta per i diritti umani l'uomo è anche il collante di ciò che vogliamo, come una società libera di domani.

AVIVA A NAZIONI!
AVIVA a libart!
Pa SULIDARITÀ A TUTTI A MOSSA!
TUTTI IN LOTTA A CHI LOTTA SOLA PARMITTARÀ Il ADUNITA E A VITTORIA!

mercoledì 4 agosto 2010

Former Prisoners of Conscience Take Protest to Military Base in Colombia (Obiettori di coscienza protestano fuori della base USA in Colombia)

tradutzioni de Sa Defenza
http://www.soaw.org/


Nove attivisti dei diritti umani Statunitensi stanno tenendo una veglia presso la base militare Tolemaida in Colombia con un banner (striscione) di 12 piedi ove si legge "US Military fuori dalla Colombia".

La base militare di Tolemaida è un accordo di cooperazione USA-Colombia , firmato nel mese di ottobre 2009.
L'accordo è stato raggiunto con l'opposizione dei colombiani e del movimento internazionale per i diritti umani. Esso tra l'altro ha causato tensioni nella regione dopo che un documento di US Air Force divenne pubblico, esso ha rivelato che gli Stati Uniti militare stanno progettando di usare le sette basi colombiane per il "full spectrum operations throughout South America" against il quale minaccia non solo il traffico di droga e i movimenti di guerrilla, ma anche i cosidetti "governi anti-Usa" presenti nella regione.

Padre Roy Bourgeois, fondatore SOA Watch e destinatario di Purple Heart, sta conducendo questo delegazione di attivisti SOA Watch.

La maggior parte di loro hanno subito la prigione federale per azioni non violente, per il fatto che chiedono la chiusura della Scuola delle Americhe (SOA), ora chiamato Western Hemisphere Institute for Security Cooperation (WHINSEC).
Confrontandosi con questa escalation attuale della politica degli Stati Uniti, gli attivisti non violenti USA di fronte scuola di guerra a Tolemaida esprimono solidarietà ai coraggiosi colombiani che lavorano per la pace e la giustizia. I membri della delegazione vengono da ogni parte degli Stati Uniti, e sono sia uomini che donne, e rappresentano una grande varietà della vita e delle esperienze di fede.



Per leggere i comunicati stampa che vengono erogati dalla base Tolemaida, visitate SOAW.org/docs/aug3statement.doc
Per i bios e citazioni degli attivisti dei diritti umani, visitate SOAW.org/docs/aug3bios.doc
comunicati stampa in lingua spagnola: SOAW.org/docs/aug3espanol.doc
Bios e citazioni in lingua spagnola: SOAW.org/docs/aug3biosespanol.doc

"Le basi dell'accordo opera dallo stesso fallito mentalità militare che ha dato luogo alla Scuola delle Americhe (SOA / WHINSEC)," ha detto padre Roy Bourgeois. "Lo scopo delle basi e lo scopo della SOA / WHINSEC sono gli stessi: garantire il controllo statunitense sulla regione attraverso mezzi militari".SOA / WHINSEC è una scuola di formazione militare degli Stati Uniti per l'America Latina , i soldati latino americani sono addestrati a Fort Benning, in Georgia.

SOA / WHINSEC ha addestrato oltre 12.000 soldati colombiani in tecniche di contro-insurrezione,nelle abilità di cecchino, di commando e di guerra psicologica, nell'intelligence militare e le tattiche di interrogatorio.
I gruppi per i diritti umani chiedono la chiusura dell'Istituto.
Il recente rapporto militare pubblicato di assistenza e diritti umani: Colombia, rileva responsabilità degli Stati Uniti nelle implicazioni globali, delineati i collegamenti tra laureati SOA / WHINSEC e istruttori, con uccisioni extragiudiziali e altre gravi violazioni dei diritti umani in Colombia.

Dal 19-21 novembre 2010, migliaia di persone si riuniranno alle porte di Fort Benning, Georgia, per chiedere la chiusura della Scuola delle Americhe (SOA / WHINSEC) ed a parlare di giustizia in solidarietà con il popolo della Colombia e tutte le Americhe.

LIBERARE i PRIGIONIERI POLITICI DELLE NAZIONI SENZA STATO, IL CORAGGIO di concedere la LIBERTA' e L'INDIPENDENZA.

SAYLI VATURU

A DISTANZA DI UN ANNO RIPRENDIAMO UN ARTICOLO MOLTO SIGNIFICATIVO PER TUTTO IL MOVIMENTO INDIPENDENTISTA NAZIONALITARIO INTERNAZIONALE, OGGI SI PROFILA LA POSSIBILITA' DI DARE UNO SBOCCO DEMOCRATICO A DECENNI DI GUERRE DI LIBERAZIONE NAZIONALE DI NAZIONI SENZA STATO.

L' EUROPA E' SEMPRE PIU' DEFINITA NEL SUO POTERE STATUALE E SUONA INSENSATO IL MANTENIMENTO DI UNO STATUS QUO NAZIONALE PERIFERICO DELLE VECCHIE STATUALITA'.

VA DA SE' IL SUO SUPERAMENTO E IL LORO SCIOGLIMENTO PER FAR POSTO ALL'EUROPA DEI POPOLI, PIU' GIOVANE E DINAMICA NELLA NUOVA SITUAZIONE D'EUROPA DEI POPOLI, E' L'OVVIA CONSEGUENZA DEL NUOVO SUPER STATO, MA, DEVONO ESSERE SUPERATE LE RIGIDE BARRIERE ERETTE DALLE VETUSTE STATUALITA'.

DARE CORSO ALLA LIBERAZIONE DELLE MIGLIAIA DI PERSONE PATRIOTE ANCORA CHIUSE DENTRO LE FATTISCENTI ED INSANE CARCERI SPARSE NELLA VECCHIA EUROPA, E' COSA BUONA E GIUSTA, ED E' SAGGIO COMPRENDERE CHE LA PACIFICAZIONE NATZIONALE PASSA ATTRAVERSO UN ATTO DI "CLEMENZA" DOVUTO AL PROPRIO ANTAGONISTA, COSA "DOVUTA" E NON ELARGITA, COSA CHE I VECCHI ED OBSOLETI STATI NAZIONALI STENTANO ANCOR ORA A COMPRENDERE NELLA LORO PICCOLEZZA PROGETTUALE, LA STANTE, INATTUALE INGIUSTIZIA.

E' ORA DI DEFINIRE E DAR CORPO ALLA INSUSISTENZA DEI VECCHI STATI PER SUPERALI CON DECRETO AMMINISTRATIVO DELLA CAMERA EUROPEA AFFINCHE' ESSI SIANO ABOLITI E DIANO SPAZIO AL NUOVO FATTO CHE ALEGGIA NELL'ARIA DA MOLTI E LUNGHI ANNI, OVVERO UNA EUROPA DEI POPOLI, SI PROVVEDA A DARE VIA ALLA NUOVA REALTA' TRASNAZIONALE DEI POPOLI EUROPEI!

LIBERARE I PRIGIONIERI POLITICI DELLE NAZIONI SENZA STATO E' NON SOLO UN DOVERE CIVICO MA UNA RAGIONE DI EVOLUTA COSCIENZA E CONSAPEVOLEZZA.
MANTENERLI ANCORA CHIUSI DIETRO LE SBARRE E' SINONIMO DI IRRESPONSABILITA' E VOLER MANTENERE LO STATO DI COSE PASSATO ANCORA ATTIVO NONOSTANTE SIA DI GRAN LUNGA SUPERATO DAGLI EVENTI E DALLA REALTA' DELLA NUOVA STORIA D'EUROPA!


SEGUE ARTICOLO

IL PROCESSO DI UN POPOLO
DEGLI AMICI E COMPAGNI DI CORSICA


Di fronte all’anarchia della fine del diciannovesimo secolo, il legislatore ha inventato la "associazione sovversiva" è ben noto anche oggi, l’uso criminale indiscriminato dell’inchiesta dello stato francese, emettendo ordini di custodia cautelare che durano un tempo indeterminato, a persone cui non sono accusate di trasgressioni penali con accuse certe su episodi certi coadiuvati di trasgressioni di legge certe, no, non di questo si tratta, ma di accuse esercitate in modo blando generico e superficiale, accuse di associazione sovversiva con fini di “impresa terroristica” senza prove ne documentate ne provate. Con l’aggravante della negazione della possibilità di autodifesa per i detenuti Patrioti Corsi falsamente e ingiustamente detenuti dallo stato francese, in quanto trattasi di accusa astratta falsa e insensata, La condanna a 30 anni di carcere,e la reclusione da Jean Castela e Vincent Andriuzzi, l’assoluzione in appello e la condanna successiva alla pena massima di Yvan Colonna certifica l'affondamento del diritto e della giustizia dei tribunali francesi in Corsica(1).

In quasi tutti i più recenti conflitti, gli insorti hanno invocato il proprio diritto all’autodeterminazione per giustificare la secessione di una parte del territorio nazionale. Di autodeterminazione parlano poi alcuni gruppi terroristici dell’Europa occidentale (l’ETA nei Paesi baschi e l’IRA nell’Irlanda del Nord), che, pur non dando luogo a vere e proprie guerre civili, hanno determinato situazioni di indubbia gravità. Infine, gruppi politici ben insediati nei parlamenti di alcune democrazie occidentali inseriscono nei loro programmi, secondo il vento che tira, un’ipotetica quanto futura separazione di una parte del territorio dello Stato (quella che essi rappresentano): la Lega nord in Italia, o al Partito catalano in Spagna, ma anche ai gruppi per l’indipendenza di Sardegna, Corsica, Bretagna, Scozia, Galles, Québec. Ma il diritto dei popoli all’autodeterminazione fa a pugni con l’esigenza di tutelare l’integrità territoriale degli Stati. Tutto questo porta ad un’inevitabile questione: a chi spetta e a che condizioni può essere esercitato il diritto all’autodeterminazione? Quand’è che un popolo può spezzare le frontiere che fino a quel momento l’hanno racchiuso?

La Carta delle Nazioni Unite, senza troppe specificazioni, fa riferimento al diritto all’autodeterminazione nell’art. 1, par. 2 (che lo considera una condizione indispensabile per lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni) e all’art. 55 (dove sono indicate le misure da prendere per garantirne l’esercizio). Stando alla lettera delle disposizioni, comunque, gli Stati europei non avevano alcun obbligo di evacuare le colonie per lasciarle al loro destino, ma dovevano limitarsi a promuoverne lo sviluppo e il benessere, in vista di una futura quanto ipotetica indipendenza. Inoltre, in virtù dell’art. 2, par. 7, che sancisce il divieto di ingerenza negli affari interni degli Stati, i poteri dell’Organizzazione in materia erano alquanto ridotti. Oggi la situazione è completamente diversa, grazie alla mutata coscienza degli Europei e alle numerose dichiarazioni e risoluzioni che sono state approvate in materia: la Dichiarazione dell’Assemblea generale sulla decolonizzazione (2) (che sancisce il dovere positivo di promuovere l’autodeterminazione e il dovere negativo di astenersi dall’usare la forza per privarne i popoli); il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 ("all peoples have the right to self-determination" (3) ); la Dichiarazione 2160 del 1966 (4) (per la quale ogni azione coercitiva, diretta o indiretta, volta a privare un popolo del suo diritto all’autodeterminazione, costituisce una violazione della Carta delle Nazioni Unite); la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli (1970), adottata per consensus (5) ("all peoples have the right freely to determine, without external interference, their political status and to pursue their economic, social and cultural development, and every State has the duty to respect this right in accordance with the provision of the Charter" (6) ), che qualifica l’uso della violenza per privare i popoli della loro identità nazionale come una violazione dei loro diritti inalienabili e del principio del non intervento; la Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974 (7) , che riafferma il divieto di minaccia o uso della forza contro istanze di autodeterminazione (8) . A ciò bisogna aggiungere le numerose risoluzioni di condanna contro la politica colonialista di Portogallo, Repubblica Sudafricana, Rodesia del Sud, Israele, che sono state approvate all’unanimità "virtuale", cioè con il solo voto contrario di coloro contro cui erano dirette.

Al colonialismo possiamo affiancare l’apartheid (cioè quel regime che pratica su larga scala, tramite una precisa legislazione, la discriminazione razziale), che oggi viene considerato un crimine contro l’umanità (9) . Visto che la stragrande maggioranza degli Stati si è conformata alla condanna generale del colonialismo e del razzismo, si può ritenere attualmente esistente una norma consuetudinaria che ha modificato le originarie previsioni della Carta ed ha internazionalizzato questo tipo di lotta per l’autodeterminazione.

Ma chi è legittimato ad accertare la natura razzista e/o colonialista del governo contro cui combattono gli insorti? Non è sufficiente che lo Stato interveniente dichiari unilateralmente, per giustificare il proprio appoggio militare ai ribelli, che il governo legittimo opera discriminazioni basate sulla razza o attua una dominazione di tipo coloniale: è fin troppo facile prevedere gli abusi di un simile potere discrezionale. La lotta dei movimenti di liberazione nazionale deve perciò essere legittimata da un atto delle Nazioni Unite, quale una risoluzione di condanna nei confronti del regime, o una dichiarazione di sostegno agli insorti. Tra i tanti esempi, si possono ricordare la risoluzione 390 del 1950 dell’Assemblea generale, che prevedeva l’autogoverno dell’Eritrea, i pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia che hanno riconosciuto la legittimità della lotta della Namibia contro l’occupazione sudafricana (1970) e quella del Fronte Polisario per l’indipendenza del Sahara occidentale (1975), o ancora la risoluzione 3237 del 1974, che invitava permanentemente l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina a partecipare come osservatore ai lavori dell’Assemblea generale. Questi atti si aggiungono alle numerose risoluzioni di condanna nei confronti di Israele, Rodesia del Sud, Repubblica Sudafricana e Portogallo, che hanno legittimato indirettamente gli oppositori a questi governi.

Anche nel lontano tempo del nazifascismo imperavano i “Tribunali Speciali” , malattia comune e diffusa nell’Europa nazi-fascista, i quali si dilettavano alla ricerca di criminali che nella loro concezione non potevano chiedere di autodeterminarsi e perciò considerati di fatto oppositori allo stato assolutista. In Italia il fascismo colpisce l’indipendentismo Sardo che aveva contribuito in modo determinante alla liberazione alla sua liberazione dall’occupazione Austriaca, con decine di migliaia di martiri Sardi morti per una nazione che non ci appartiene, e che invece di premiarci ci opprime; e così anche per i fratelli Corsi il regime di Vichy riserba loro il carcere duro e sicure decapitazioni, il tutto senza nemmeno aver uno straccio di prova contro i patrioti, cosa dobbiamo pensare del regime attuale sia in Francia che in Italia, in paragone dei fatti anzidetti?

RIVENDICARE IL DIRITTO ALLA SOVRANITA’ E FATTO INCONTESTABILE E DOVUTO!

L’insurrezione contro un governo colonialista e/o razzista

Il diritto dei popoli all’autodeterminazione comparve per la prima volta tra i quattordici punti proclamati dal presidente americano Wilson alla fine della Prima guerra mondiale (10) . Nella sua prima versione, fu riconosciuto soltanto ai popoli (intesi come comunità caratterizzate dall’appartenenza ad una stessa etnia, lingua, cultura) dell’Europa dell’est e del Medio Oriente, che, dopo la caduta degli Imperi centrali e di quello Ottomano, erano finalmente liberi di decidere del proprio destino. Nacquero così Stati come la Cecoslovacchia e la Yugoslavia, ed è significativo notare (per evidenziare l’elasticità del principio) che proprio questi Paesi oggi non esistono più.
Ma non è tutto. L’art. 1, par. 4 del primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, stipulato nel 1977, equipara ai conflitti internazionali, ai fini dell’applicazione del diritto umanitario, le guerre in cui i popoli lottano contro la dominazione coloniale, i regimi razzisti o l’occupazione straniera (9) , distinguendoli perciò dalle guerre civili, di cui si occupa il secondo Protocollo. Per essi, si prescinde dall’elemento materiale del controllo effettivo di una parte del territorio nazionale, per privilegiare il fine, ritenuto dagli Stati presenti a Ginevra particolarmente meritevole.

Una precisazione si rende però necessaria. Secondo un’opinione ricorrente, favorire e riconoscere l’indipendenza del Kosovo potrebbe legittimare, in un prossimo futuro, le pretese secessioniste di altre minoranze, come quelle dei baschi, dei còrsi dei sardi o degli altoatesini di lingua tedesca. Ci si chiede, perciò, perché la Serbia dovrebbe tollerare che un’autorità esterna le imponga di amputare una parte rilevante del suo territorio, quando Spagna, Francia e Italia, di fronte ad una simile pretesa, alzerebbero gli scudi. L’opinione si basa sulla premessa: l’affinità della situazione balcanica con i movimenti indipendentisti occidentali.

La necessità di liberazione per i popoli e le nazioni senza stato in Europa è di fondamentale impellenza, l‘Europa e le Nazioni si devono porre il problema per risolverlo velocemente, dando il giusto risvolto ai bisogni dei popoli, 10) mostrando buona volontà liberando i prigionieri “politici” che sono incarcerati nei vari Paesi a partire dalla Francia e dalla Spagna 2)dare tutte le libertà civili necessarie e liberalizzare e propugnare il diritto all'autodeterminazione delle nazioni in Europa delle realtà senza stato, tutte, presenti nella Comunità Europea.

Parità di diritti e dignità, parità di rappresentanza e parità di sovranità di tutti i popoli e le nazioni senza stato, in una libera Europa.

Libertà Per tutte le nazioni senza stato nel mondo






NOTE BIBLIOGRAFICHE:


1) http://www.uribombu.com/france_justice_exception716482.htm

2) Sul principio di autodeterminazione, vi sono interessanti contributi reperibili a questo indirizzo telematico.

3) Declaration on granting Indipendence to Colonial Countries and Peoples, in Yearbook of the United Nations, 1960, p. 46.

4) Testo in American Journal of International Law, 1967, p. 861 e 870.

Paragrafo 1, lett. b della Declaration on the Strict Observance of the Prohibition of theThreat or Use of Force in International Relations and the Right of Peoples to Self Determination.

6) Cioè in assenza di voto palese.

7) Testo in American Journal of International Law, 1971, p. 243 ss.

8) Testo in Revue générale de droit international public, 1975, p. 261 ss.

Cfr., per un esame delle dichiarazioni richiamate, ISLAM, Use of Force in Self-Determination Claims, in Indian Journal of International Law, 1985, p. 424 ss.; VIRALLY, Droit international et décolonisation devant les Nations-Unies, in Annuaire français de droit international, 1963, p. 508 ss.

10) Cfr. Revue générale de droit international public, 1978, p. 330.

Sulla personalità internazionale degli Stati che praticano l'apartheid, si veda CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1996, p. 18. Secondo l'Autore, nel caso della Rhodesia del Sud, contro cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato misure di isolamento totale, si era formata una norma ad hoc, che ne escludeva la personalità.
http://www.cahiers.org

martedì 3 agosto 2010

U Prugramma di e Ghjurnate Internaziunale di Corti

U Prugramma di e Ghjurnate Internaziunale di Corti


Ghjurnate Internaziunale di Corti, i 7 è 8 d'Aostu 2010

DELEGATIONS :

EUSKAL HERRIA :
- Batasuna
- Segi
- Askatasuna
- Autonomia
- Errakia (représenté par Gaby Mouesca, ex président de l’OIP)

EIRE :
- Sinn Fein (Représenté par Paul Flemming, ex prisonnier politique de l’IRA, membre du bureau politique du Sinn Fein, ex maire de Derry)

CATALUNYA :
- ERC (Esquerra Republicana de Catalunya)

KANAKY :
- FLNKS (Front de Libération Nationale Kanak et Socialiste)
- USTKE (Union Des Travailleurs Kanaks et Exploités)
- Parti Travailliste de Kanaky

SARDIGNA :
- IRS (Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna)
- Sardigna Natzione Indipendentzia

PROGRAMME :

SAMEDI 07 AOUT :

- 10 h : Ouverture des Ghjurnate di Corti, conférence de presse internationale, présentation des délégations.

- 12 h : Ouverture Restaurant Sulidarità au profit des prisonniers politiques.

- 16 h : Débat Répression et droits humains : tour d’horizon sur la répression dans les divers pays avec les représentants d’associations politico-humanitaires. Débat animé par la C.A.R. de Corsica Libera et l’Associu Sulidarità. Situation du rapprochement des prisonniers politiques en Corse avec les démarches entreprises ces derniers mois. Situation répressive en Irlande, au Pays basque et en Kanaky.

- 18 h : débat et analyse respective des situations dans les pays en lutte, « sur les processus politiques de sortie de crise en Europe »

- 19 h : Ouverture du restaurant Sulidarità.

- 20 h : Apéritif animé par divers groupes culturels.

- 21 h 30 : Hommage à la lutte du peuple irlandais, avec la projection du film « Bloody Sunday » de Paul Greengrass, suivie d’un débat avec Paul Flemming, témoin vivant de ce tragique événement.

DIMANCHE 08 AOUT :

- 11 h : Première assemblée de la Fédération des élus de Corsica Libera.

- 12 h : Ouverture du restaurant Sulidarità.

- 14 h : Atelier Fédération des élus de Corsica Libera.

- 16 h : Débat avec Corsica Libera et les acteurs de la vie politique, sociale, économique et culturelle sur les thèmes de la citoyenneté et du foncier.

- 18 H : MEETING CORSICA LIBERA.

- 20 h : Ouverture restaurant Sulidarità.

- 22 h : Soirée culturelle avec Alba Nova et l’Arcusgi.

Au cours des ces Ghjurnate Internaziunale, les visiteurs auront la possibilité d’aller à la rencontre de la réalité des diverses luttes représentées par les stands des délégations. Les stands de l’Associu Sulidarità et de Corsica Libera seront également présents, ainsi que ceux tenus par des écrivains qui feront une dédicace de leurs ouvrages consacrés aux différentes luttes de libération.


lunedì 2 agosto 2010

Confronto tra centrali solari CSP e centrali nucleari

folliaquotidiana.net

È interessante confrontare i vantaggi e gli svantaggi di due tecniche per ottenere energia elettrica che sono candidate a sostituire i combustibili fossili.

Centrali nucleari

Il vantaggio principale delle centrali nucleari consiste nella elevata potenza e nella disponibilità della produzione di energia, sono infatti disponibili reattori che raggiungono anche i 1600 MW di potenza. La produzione di energia è costante, quindi possono essere impiegate come fonti energetiche “di base”, ovvero fornire la quota di energia elettrica che è necessaria giorno e notte e in tutti i giorni dell’anno. Non sono adatte invece ad essere fonti energetiche “di picco”, ovvero fornire l’energia elettrica nei periodi in cui è richiesta una quantità di energia superiore alla media, ad esempio nelle giornate più calde dell’estate o nelle giornate più fredde invernali. Poiché la potenza è poco modulabile, nel caso in cui una nazione possieda una grande quota di energia prodotta dal nucleare come la Francia, si corre il rischio di dover “svendere” l’energia all’estero nei periodi in cui c’è poca richiesta, come nelle ore notturne.

Gli svantaggi sono diversi. Le centrali nucleari sono molto costose, da 3800 a 5200 $/kW, mentre il MIT calcola circa 4000 $/kW. La sicurezza è un problema molto delicato, poiché un incidente può avere conseguenze disastrose. Il combustibile nucleare deve essere prodotto attraverso una complessa sequenza di lavorazioni e le scorte di minerale sono stimate in 60 anni. Un problema non ancora risolto è costituito dallo smaltimento dei rifiuti nucleari, poiché i siti devono avere caratteristiche fisiche stringenti.

Centrali solari CSP

Le centrali solari CSP sono centrali che concentrano i raggi solari attraverso degli specchi in tubi che contengono un fluido. Il fluido riscaldato viene impiegato per generare vapore, che muove una turbina per produrre elettricità. Oltre ad essere ad energia rinnovabile, queste centrali hanno il vantaggio di essere fonti energetiche affidabili e, sotto alcune condizioni, continue. Durante la notte la centrale può continuare a produrre elettricità, sfruttando il calore residuo del fluido. Aumentando la quantità di fluido e aumentando gli specchi è possibile aumentare l’autonomia della centrale.

Il fluido è costituito generalmente da sali usati nei fertilizzanti e le centrali non hanno problemi di sicurezza. Una volta costruite è richiesta solo la manutenzione.

La svantaggio principale consiste nella loro collocazione, che deve essere sufficientemente soleggiata da ricaricare di calore il fluido per la notte. Attualmente le centrali solari CSP hanno un costo comparabile a quello delle centrali nucleari ed è necessario disporre di collegamenti a lunga distanza per portare l’elettricità dove viene consumata. Il costo dell’elettricità è attualmente superiore a quello del nucleare, ma poiché non dipende dal costo del carburante, può solo diminuire attraverso la produzione di massa dei componenti più utilizzati, ovvero gli specchi.


Centrale Nucleare Centrale Solare Termica a Concentrazione
Costo di costruzione ($/kW) da 3800 a 5200 [7] da 4200 [4] a 5388-5700 [3]
Costo elettricità (LCOE) (c$/kWh) da 8,5 a 11 [7] strettamente correlato alla posizione della centrale
da 12,8-13,6 [3] a 20 [4]
si prevede una diminuzione fino a 5 nel 2020 [6]
Vita della centrale 60 anni 60 anni
Vulnerabilità ad attacchi terroristici Elevata: sono considerate un obiettivo primario
Necessitano di complesse misure di sicurezza relative alla centrale e ai materiali
Nessuna
Costi aggiuntivi Decommissioning, Gestione dei rifiuti radioattivi, Trasporto dei materiali radioattivi e sicurezza Linee elettriche su lunghe distanze
Emissioni indirette di CO2 Presenti nella costruzione della centrale e nella produzione del combustibile nucleare Presenti solo nella costruzione
Problematiche da risolvere Gestione dei rifiuti radioattivi, Proliferazione nucleare Nessuna

Conclusioni

Si prevede che in dieci anni i costi delle centrali solari CSP si riducano fino a diventare competitivi con le fonti energetiche tradizionali. L’immagazzinamento dell’energia rende queste centrali le uniche fonti rinnovabili che possono garantire una generazione di energia continua. Queste caratteristiche le rendono, assieme all’eolico, le energie rinnovabili maggiormente appetibili per il futuro. Sia per le centrali solari che per il nucleare esistono margini di miglioramento tecnologico, ma mentre per le centrali si tratta di migliorare la produzione di massa per ridurre i costi, le centrali nucleari di nuova generazione devono affrontare sfide tecniche molto più difficili, come lo sviluppo di sistemi di sicurezza migliori, lo sviluppo di reattori “veloci” (IV generazione) e una soluzione per la gestione dei rifiuti radioattivi.

Riferimenti:

[1] John M. Deutch, J.M., Charles W. Forsberg, A. C. Kadak, M. S. Kazimi, E. J. Moniz, J. E. Parsons, DU, Yangbo, L. Pierpoint
"Update of the MIT 2003 Future of Nuclear Power Study", Massachusetts Institute of Technology, 2009. Disponibile: http://web.mit.edu/nuclearpower/pdf/nuclearpower-update2009.pdf
[2] Yangbo Du, John E. Parsons, "Update on the Cost of Nuclear Power", Working Papers 0904, Massachusetts Institute of Technology, Center for Energy and Environmental Policy Research. Disponibile: http://tisiphone.mit.edu/RePEc/mee/wpaper/2009-004.pdf
[3] K. Ummel, D. Wheeler "Desert Power: The Economics of Solar Thermal Electricity for Europe, North Africa, and the Middle East", december 2008, Center for Global Development. Disponibile: http://www.cgdev.org/files/1417884_file_Desert_Power_FINAL_WEB.pdf
[4] "Technology Roadmap Concentrating Solar Power", International Energy Agency, 2010, Disponibile: http://www.iea.org/papers/2010/csp_roadmap.pdf
[5] Ramteen Sioshansi, Paul Denholm "The Value of Concentrating Solar Power and Thermal Energy Storage", Technical Report, February 2010, National Renewable Energy Laboratory, Disponibile: http://www.nrel.gov/docs/fy10osti/45833.pdf
[6] "Clean Power from Deserts – The DESERTEC Concept for Energy, Water and Climate Security", Whitebook 4th edition, February 2009, Desertec Foundation, Disponibile: http://www.desertec.org/fileadmin/downloads/DESERTEC-WhiteBook_en_small.pdf
[7] Seth Borin, Todd Levin, and Valerie M. Thomas, "Estimates of the Cost of New Electricity Generation in the South", Working Paper # 54, Georgia Institute of Technology, disponibile: http://www.spp.gatech.edu/faculty/workingpapers/wp54.pdf

domenica 1 agosto 2010

I sindacati sardi e il nuovo Statuto

MANIFESTO PER UN NUOVO STATUTO DELLA SARDEGNA

http://www.gianfrancopintore.net

16 luglio 2010

Al Popolo della Sardegna e alle sue istituzioni

Noi, cittadini, uomini e donne della cultura, del sociale, della politica e delle istituzioni della nostra amata terra, provenienti da tutte le parti dell'Isola e partecipanti di differenti espressioni politiche, diversi orientamenti culturali, molteplici ruoli politici e sociali riuniti nei pressi del Nuraghe Losa, in Abbasanta per riflettere sulle condizioni, i progetti e i doveri verso il nostro difficile presente e in vista di un migliore comune futuro, consapevoli dei tanti motivi che fino ad ora ci hanno visto spesso differenziati e posti reciprocamente in conflitto negli indirizzi istituzionali e in quelli politici decisi però a lavorare insieme attraverso ciò che ci unisce, ci rafforza e ci rende liberi, partecipando dei migliori valori del nostro popolo, nell'intento di costruire le risposte alle odierne necessità e alle positive prospettive della nostra gente, abbiamo congiuntamente deciso di porre all'attenzione del nostro Popolo i principi ispiratori che fondano il nostro impegno nella costruzione dei nuovi istituti autogoverno.
Sono i seguenti:

Primo. – La Sardegna è una nazione.
Il riconoscimento della soggettività del popolo sardo e del suo essere nazione rimanda a un’entità collettiva, a un popolo che trova, appunto, nel codice identitario (storia, lingua, tradizioni, stato geoterritoriale), non solo la vocazione, ma la fonte della titolarità dell’autogoverno.


Secondo.- La Sardegna sviluppa e mantiene una posizione singolare per quanto si riferisce alla lingua, alla cultura, al diritto civile ed all'organizzazione territoriale.
Il lavoro e i diritti, sas libertades, sono l’epicentro di questi obiettivi.


Terzo.- La Sardegna è un’isola ricca di territorio e di biodiversità anche se povera di popolazione. Tale originalità la definisce e la potrebbe arricchire rafforzandola per i tempi che verranno.
La comunità dei Sardi si identifica con i diritti internazionalmente riconosciuti agli individui e ai popoli, sul versante soprattutto delle libertà, dello sviluppo economico e sociale e dei diritti inerenti al lavoro, alla salute e all’istruzione. La comunità dei Sardi li promuove attraverso la formazione dei sui cittadini, il funzionamento delle sue istituzioni, il rispetto delle leggi, l’attuazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà e, nelle relazioni con gli altri, sulla base del mutuo rispetto e della pace fra i popoli.
In questa direzione si tratta di riconoscere alla Sardegna, da parte dell’Italia e dell’Europa, lo status di insularità. Inoltre, la comunità dei sardi ritiene di avere il diritto di decidere, anche oltre il patto di stabilità, e il federalismo fiscale, sui diritti essenziali e fondamentali, sulla scuola, sulla sanità, sulla mobilità delle persone e delle merci, sul sostegno alle imprese, sull’imposizione fiscale, sulle risorse utili a finanziare il lavoro e lo sviluppo, su quanto della ricchezza prodotta deve restare in Sardegna.


Quarto. - La Sardegna
Allo Stato italiano le istituzioni della Sardegna sono legate da un patto costituzionale i cui contenuti, i metodi e le condizioni intendono sottoporre a verifica secondo i propri diritti storici, le convenienze e le mutate condizioni della storia.
E’ dunque sulla base del riconoscimento del popolo-nazione, della nuova architettura costituzionale, del federalismo e del modello di partecipazione democratica che si deve avviare la fase della negoziazione con lo Stato per la definizione del Nuovo Patto Costituzionale.
Il federalismo interno, cooperativo e solidale rappresenta la scelta indispensabile per costruire un
nuovo sistema delle istituzioni sarde.
I principi di riferimento sono la sussidiarietà, la differenziazione e l’adeguatezza dei soggetti
costitutivi, nel rispetto delle peculiari identità storicoculturali e delle varianti linguistiche nei territori dell’Isola.


Quinto.- La Sardegna convive fraternamente ed è solidale con gli altri popoli del mondo.
La Sardegna si sente infatti partecipe dei destini del mondo. Essa si impegna, per quanto di sua possibilità, a difendere lo stare bene di tutte le comunità, perché i popoli ne fruiscano nella giustizia e perché la cittadinanza si estenda ad ogni essere umano.


Sesto.- La Sardegna, forte di una tradizione politica democratica, sottolinea l'importanza dei diritti e dei doveri, del sapere, dell'educazione, della coesione sociale e dell'eguaglianza.
Il nuovo modello di democrazia che riconosca e valorizzi il pluralismo delle “ISTITUZIONI”, sia politiche che sociali, nella formazione della volontà pubblica.
E’ questa la dimensione democratica e sociale fondamentale per contribuire a governare e risolvere la complessità dei problemi di una società in cui la rappresentanza elettorale non esaurisce la molteplicità dei bisogni e delle deleghe della persona.


Settimo.-La Sardegna partecipa con propri rappresentanti, progetti e programmi all'Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e di progresso europei.
La Sardegna, per la sua vocazione europea, partecipa con propri rappresentanti, progetti e programmi all’Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e di progresso per l’Europa. Offre amichevole collaborazione alle comunità e alle regioni vicine per formare, a partire dal Mediterraneo, un Euroregione per il progresso di interessi comuni.


Per fedeltà ai suddetti principi e per realizzare il diritto inalienabile della Sardegna all'autogoverno e al federalismo, è indispensabile, avviare un processo costituente, valorizzando tutte le proposte oggi in campo, è individuando un comune denominatore, in primo luogo tra le forze politiche ed istituzionali, e con il coinvolgimento di quelle economiche e sociali, avendo come riferimento temporale la durata di questa legislatura.


Questo manifesto per lo Statuto della Sardegna che congiuntamente individuiamo quale ‘il Manifesto del 16 luglio 2010 rappresenta l'ambizioso punto di riferimento che, a partire da oggi proponiamo all'attenzione e al confronto di tutti i cittadini della Sardegna, quale indirizzo alla riflessione e all'azione e quale promessa di impegno.









Il mondo mette al bando le bombe a grappolo (CLUSTER BOMBS) ma l'Italia no. Le produce

Alessandra Potenza
ilmanifesto.it

BOMBE A GRAPPOLO Entra in vigore oggi la Convenzione che le vieta
Il mondo le mette al bando ma l'Italia no. Le produce


Breve filmato ch
e documenta gli effetti letali dell'uso di munizioni a grappolo in tutto il mondo, con commenti, le nuove statistiche e analisi da esperti militari di Human Rights Watch. Video mostra come le munizioni a grappolo hanno messo in pericolo la popolazione civile dell'epoca in Vietnam, attraverso conflitti in Iraq e in Libano. Durante i tre ultimi giorni della guerra in Libano, Israele ha sparato fino a 4.000.000 di submunizioni cluster, secondo stime delle Nazioni Unite - il doppio dell'importo utilizzati dagli Stati Uniti durante l'attacco all'Iraq nel 2003.


Dopo anni di discussioni e negoziati, entra oggi in vigore la Convenzione sulle munizioni cluster (Ccm), un trattato internazionale che mette al bando le cosiddette «cluster bombs», le bombe a grappolo che hanno fatto migliaia di vittime civili negli ultimi anni. Una grande vittoria per la comunità internazionale e le vittime di queste armi disumane.

La convenzione, di cui si cominciò a discutere nel febbraio 2007 a Oslo, è stata già firmata da 107 paesi e ratificata da 38. Aperta alle firme il 3 dicembre 2008 a Oslo, grazie agli sforzi della Cluster munition coalition (Cmc) e altre associazioni umanitarie nel febbraio 2010 erano state raggiunte le 30 ratifiche necessarie perché la convenzione entrasse in vigore.

Fra gli obblighi vincolanti per gli stati aderenti vi sono: la distruzione entro 8 anni degli stock di bombe a grappolo, l'assistenza alle comunità e alle vittime delle bombe per un reinserimento nella società, l'identificazione e la bonifica entro 10 anni delle zone inquinate da bombe a grappolo, e l'assistenza ai paesi che necessitano aiuto per la distruzione degli stock e la bonifica dei terreni. Naturalmente, sotto la convenzione, le nazioni aderenti non potranno più usare né produrre questo tipo di bomba, considerata anche più letale delle mine anti-uomo.

Le cluster, infatti, quando vengono sganciate, rilasciano tanti ordigni più piccoli che si sparpagliano sul terreno e vi rimangono per anni, anche dopo la fine dei conflitti. Poiché tecnicamente non rientrano nella categoria di mine anti-uomo, le bombe a grappolo furono escluse dal trattato internazionale di Ottawa, che metteva al bando appunto le mine, entrato in vigore nel marzo 1999. Tuttavia gli effetti delle bombe a grappolo sono gli stessi. Spesso quando vengono sganciati, gli ordigni più piccoli rilasciati dalla bomba rimangono inesplosi, andando così a costituire una minaccia ancora più grave dopo la fine dei conflitti, in particolare per i civili.

In Libano, per esempio, più di 200 persone sono morte dopo la fine degli scontri con le truppe israeliane nell'agosto 2006. Questo perché l'esercito d'Israele, dopo il cessate il fuoco, sganciò migliaia di bombe grappolo sui campi libanesi. Come è intuibile, non esistono mappe che indichino l'ubicazione delle bombe, a differenza delle mine anti-uomo, e questo rende il processo di bonifica ancora più difficile e pericoloso. Inoltre le bombe cluster, per la loro forma e il colore, sono spesso scambiate dai bambini per giocattoli: il risultato è che fra le vittime civili almeno un terzo sono minori, secondo quanto riportato dalla Cluster munition coalition (Cmc).

Di fronte a questi fatti, va da sé l'importanza dell'entrata in vigore della Convenzione sulle munizioni cluster. Eppure i principali paesi produttori e utilizzatori (Stati uniti, Cina, Russia, Israele, India e Pakistan) non hanno aderito, rendendo meno efficaci i benefici della convenzione. Da buon paese civile, pronto sempre a dichiararsi contro le brutalità della guerra, neanche l'Italia ha aderito in pieno: nel senso che ha firmato, ma la ratifica da parte del parlamento non c'è ancora.

Perché il nostro paese indugia a fare il passo decisivo nei confronti di un documento così importante dal punto di vista umanitario? Prima di tutto perché noi le bombe cluster le produciamo e le conserviamo nei nostri arsenali militari (anche se la quantità degli ordigni non è conosciuta). Poi, perché la convenzione richiede agli stati aderenti delle responsabilità concrete: ad esempio la distruzione degli stock e l'assistenza umanitaria alle vittime, compiti onerosi che, a quanto pare, il governo non si vuole assumere e non si può (vuole) permettere.

A sollevare il caso sono stati alcuni senatori del Pd, che il 28 luglio hanno presentato un'interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio e ai ministri degli esteri e della difesa, affermando che sarebbe «inaccettabile» se la mancata ratifica fosse «da ascrivere alle esigenze dei bilanci ministeriali, anteposti ai diritti umani e al diritto internazionale».

La petizione «Stop cluster» attivata dalla Campagna italiana contro le mine ha già superato le 60mila adesioni e oggi, sul litorale romano, i volontari dell'associazione distribuiranno volantini, raccoglieranno firme e invieranno delle lettere ai parlamentari incitandoli a ratificare la convenzione.

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