giovedì 17 maggio 2012

QUIRRA: IL GENERALE GIOCA SULLA PELLE DEI SARDI

Mariella Careddu

 QUIRRA. Il futuro della base e il risanamento davanti alla commissione d'inchiesta del Senato




L'ufficiale indispettisce la commissione. Maurizio Lodovisi, generale dell'Aeronautica e responsabile del capitolo bonifica al Poligono di Perdasdefogu, ai senatori ha raccontato di strade e acquedotti costruiti grazie ai militari, di aiuti ai civili arrivati da terra e da mare e dei soldi che volerebbero via dall'Isola se il Poligono chiudesse.

BOTTA E RISPOSTA La risposta del senatore Pd, Gian Piero Scanu, unico sardo a far parte della commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, arriva un istante dopo. «Di certo non è per brandire l'arma della fame in una Regione che è già abbastanza affamata, che il generale ha voluto farci sapere quello che i sardi perderebbero se loro andassero via. Ma possibile che non abbia avuto una parola per ammettere che a Quirra ci siano state delle vergogne? Possibile che non ci sia stata una parola per ammettere che lo Stato debba chiedere scusa?».
IL RAPPORTO No, nella relazione dell'ufficiale non c'è nemmeno un parola sui veleni denunciati sette giorni prima dal procuratore capo della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi.
Maurizio Lodovisi, prima ha spiegato cosa si fa nell'area militare, sottolineando che «tutte le attività sono note al Ministero», una chiara replica alla «bugia di Stato», di cui aveva parlato il pm. Il generale ha proseguito con una dissertazione sull'ottimo rapporto che lega i militari al territorio con «16 interventi di elitrasporto, 1.800 soccorsi a terra e a mare e 67 operazioni a sostegno dell'antincendio». Per concludere con le ripercussioni che la chiusura del Poligono avrebbe sull'economia dell'Isola. «La stima di massima è di 150 milioni di euro». Pochi riferimenti alla bonifica per la quale assicura «è impossibile azzardare ipotesi sugli oneri per la messa in sicurezza. La caratterizzazione darà tempi e costi». Nessun preventivo, dunque, sul denaro che servirà a strappare via dalle terre di Escalaplano, Perdasdefogu e Quirra, il cadmio, il torio, l'amianto e tutti gli altri veleni disseminati, secondo la Procura di Lanusei, dalle guerre simulate, dai brillamenti e dalle esercitazioni militari.
LA CHIUSURA Il colloquio con l'ufficiale sembra non aver convinto neppure il presidente della commissione, Giorgio Costa, che con mille cortesie ha reso tutto più semplice, mettendo a fuoco il punto chiave della questione. «Servono ancora dei poligoni così grandi o bastano anche delle aree più piccine?». Lo spettro della chiusura del Poligono, insomma, non abbandona i lavori della commissione che ieri si è riunita ancora una volta. I senatori hanno discusso degli ultimi dati acquisiti e il presidente ha conferito ufficialmente l'incarico a Gian Piero Scanu di redigere una relazione intermedia che verrà esaminata durante gli incontri previsti per martedì e mercoledì prossimo.
IL FUTURO Già chiari gli aspetti sui quali si baserà la tesi del senatore del Pd. «Si partirà dall'interruzione di qualsiasi attività che possa recare un danno alle persone o all'ambiente. Verranno attivate immediatamente le procedure per una bonifica effettiva, radicale e completa e, solo quando l'area sarà del tutto sterilizzata e il territorio sarà tornato alla normalità, inizierà la riconversione del Poligono». Insomma, un piano che potrebbe cambiare il volto di quel quadrato da dodici mila ettari che per lunghissimi anni ha ospitato pastori e greggi. Pecore e vacche pascolavano lungo le sorgenti infestate di sostanze tossiche, nei formaggi prodotti con il loro latte, i periti della Procura hanno trovato i veleni di Quirra. Il futuro, però, sembra promettere tutt'altro. «La riconversione dell'area porterà allo sviluppo di attività di ricerca scientifica, di approfondimenti tecnologici e della strumentazione della protezione civile».
La relazione sembra a buon punto, martedì prossimo i senatori si riuniranno di nuovo per il verdetto finale. Sul tavolo le due verità, quella del pm e quella del generale. In mezzo c'è il destino di un Poligono avvelenato nel quale lavorano centinaia di persone.


«Mi pare che in merito alla distrazione nell'emanazione della procedura delle bonifiche, ci sia un procedimento disciplinare in corso a carico del responsabile».

 Il presidente della commissione di senatori Giorgio Costa, pronuncia quelle parole al microfono, capisce che sarebbe stato meglio tacere e aggiusta il tiro. «Questo è quello che si dice, potrebbe non essere vero». Sarebbe la terza inchiesta, stavolta interna, che va ad affiancarsi a quelle della Procura di Lanusei sui veleni di Quirra. La prima, si è appena conclusa e ipotizza i reati di disastro ambientale, omissione e falso in atto pubblico. Venti indagati a giugno saranno davanti al gup. La seconda parla di omicidio volontario ancorché con dolo: diciotto cadaveri riesumati, ma ancora non c'è la parola fine

sabato 12 maggio 2012

SARDINYA:«Lotta nelle urne per liberare l'Isola»

«Lotta nelle urne per liberare l'Isola» 




Referendum, consegnate le firme;
 Salvatore Meloni: Sardegna senza padroni con il diritto internazionale

di Stefano Lenza


 www.unionesarda.it




Se non il paradiso terrestre, qualcosa di molto simile, la Sardegna indipendente immaginata da Salvatore, Doddore, Meloni. Un'isola padrona di se stessa, libera da vincoli con il resto d'Italia, a cominciare da quelli fiscali. Dove tutto andrà bene e tutti staranno meglio. Per riuscire a centrare l'obiettivo, il presidente della Repubblica di Malu Entu (l'isola di Mal di ventre) indica un percorso nuovo che guarda a ovest invece che ad est: non a Roma, allo Stato, ma a New York, all'Organizzazione delle Nazioni Unite. Ieri mattina, ha depositato alla Regione le firme per richiedere il referendum della liberazione.


Un solo quesito, semplicissimo e scontato, almeno apparentemente: “Sei d'accordo, in base al diritto internazionale delle Nazioni Unite, al raggiungimento della libertà del popolo sardo, con l'indipendenza?”. Prima di recarsi in viale Trento, Doddore e i suoi hanno fatto tappa a Palazzo di Giustizia per la certificazione in Corte d'appello. «Presenteremo - ha spiegato Meloni in una conferenza stampa - 12.999 firme, più la mia, non valida perché lo Stato italiano mi ha condannato all'interdizione perpetua dal diritto di voto».


Questa sorta di ergastolo elettorale non gli è stato inflitto per le sue idee, non per il pensiero ma per l'azione: il 18 maggio del 1985 venne condannato in Assise a nove anni di carcere per quello che fu definito il complotto separatista. Per la sentenza, poi diventata definitiva, lui, ed altri, avevano organizzato un tentativo, seppur rimasto alla fase embrionale, di cospirazione politica che non escludeva il ricorso alla violenza. Storia del secolo scorso. Meloni si è fatto la galera ma negava e nega di aver mai avuto intenzione di ricorrere alle armi. L'indipendenza, invece, la voleva e la vuole ancora. E spera di ottenerla in tempi brevi. «Il referendum si terrà entro la fine dell'anno, o all'inizio del 2013. Per la prima volta, i sardi potranno decidere cosa vogliono fare da grandi. Se dipendere da Roma o diventare finalmente padroni in casa propria».


Resta da capire cosa accadrà dopo il voto. Nel caso venga raggiunto il quorum e con il sì prevalente nelle urne, non è che al Palazzo di Vetro voteranno per inviare i caschi blu a liberare la Sardegna dall'oppressione italiana. «Succederà invece - prevede Salvatore Meloni - che i sardi, tutti quelli che vogliono l'indipendenza e oggi militano in altre forze politiche, non ritenendo affidabili i movimenti indipendentisti, daranno vita al partito referendario di chi vuole una Sardegna libera. Stravincerà alle regionali e dal Consiglio scompariranno tutti quei gruppi e gruppetti che sono lì per questioni di poltrone e pensano solo agli affari loro». Dopo di che non ci saranno più ostacoli alla nascita della Repubblica dei Quattro Mori? «Nessuno, lo dicono le Nazioni Unite. Siamo una minoranza etnica e linguistica e non abbiamo niente a che fare con l'Italia. Da cui, fino a prova contraria ci separano le acque internazionali». 


Tutto ciò, a suo parere, dovrebbe bastare all'applicazione del diritto all'autodeterminazione dei popoli sancito dalla carta delle Nazioni Unite recepita dallo stato italiano. Doddore non vede difficoltà alcuna a cominciare dal fatto che l'Onu intende tutelare, almeno in teoria e non sempre in pratica, minoranze oppresse o pesantemente discriminate. In questi casi la comunità internazionale ritiene prevalente il principio della tutela dei diritti umani rispetto a quello della non ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano. E interviene, come avvenuto in Kossovo nel 1999 o, recentemente in Libia. Niente ha fatto invece l'Onu per i Paesi Baschi o altre minoranze che rivendicano l'indipendenza. 


Qualche difficoltà, per Doddore, si pone anche in casa nostra. Giorgio Napolitano ha ricordato a Bossi e compagni che «non esiste una via democratica ad uno stato lombardo-veneto». Contemporaneamente ha lanciato un monito alle camice e cravatte verdi dentro e fuori dal Parlamento: «Se gli slogan della Lega dovessero diventare altro, lo Stato non esiterebbe a intervenire come già fece, agli albori della democrazia, nei confronti dell'indipendentismo siciliano». 


Il messaggio del Quirinale non turba comunque l'autoproclamato presidente di Malu Entu. «Bossi parla di Padania, noi di Sardegna. Tutti si dimenticano un piccolo particolare: nel 1297, il 4 aprile, Bonifacio VIII, fece il regno sardo corso e lo diede a Giacomo II di Aragona. Sapete come? In vassallaggio perpetuo. In teoria, quindi, noi e la Corsica dipendiamo sempre dal Vaticano». Mentre immagina un popolo sardo libero che vive nel benessere e nella concordia, Doddore non cede alla tentazione di lanciare una frecciatina contro altri cugini indipendentisti. «Abbiamo raccolto 27.347 firme ma ne presentiamo 12.999 e tra queste neanche una delle 541 autenticate da Gavino Sale nel suo ruolo di consigliere provinciale. Visto che lui non ha aderito personalmente, non parteciperà all'attuazione del referendum. È una questione di coerenza».

giovedì 10 maggio 2012

Poligono Quirra Sardinya, il pm: "bugie di Stato"



di Paolo Carta
riveduto da SA DEFENZA

Undici anni di lotta: questa  è la sconfitta della classe politica


L'inchiesta ha ottenuto quello che da anni chiedevano i familiari delle vittime.

C'è voluta un'inchiesta della magistratura per smuovere la classe politica  e far affrontare di petto dal Senato Italiano il caso Poligono di Quirra.

E' la grande vittoria del Procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi, che è riuscito a ottenere attenzione da parte del Governo Italico, l'avvio della bonifica e la sospensione di tutte le attività sperimentali e addestrative che mettevano più a rischio la salute dei militari e dei pastori. 

Era quello che chiedevano invano i pacifisti e i parenti di familiari morti dopo avere lavorato nel poligono con la divisa o al seguito del bestiame. 
Almeno dal 2001 dopo le segnalazioni sui casi sospetti di tumore del sindaco-oncologo Antonio Pili.

In mezzo c'erano stati due controlli ambientali voluti dalla classe politica regionale sarda e nazionale italiana, vera sconfitta di tutta questa vicenda.
Perchè al termine di analisi molto contestate anche in tempi non sospetti, si era arrivati nel 2005 e nel 2011 a una sorta di assoluzione delle attività svolte dalle forze armate italiane e dalle industrie belliche di tutto il mondo, senza il minimo controllo.

Pareri bollati come "bugie di stato" dal pm Fiordalisi ieri davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, in virtù delle consulenze di illustri scienziati coinvolti nell'inchiesta della Procura come esperti superpartes. 

A prescindere da come andrà il processo penale che inizierà tra un mese davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lanusei, quel che emerso merita il pronto intervento del Parlamento ITALIANO . Un angolo di paradiso, uno dei posti più belli della Sardinya è stato usato come discarica per smaltire armi provenienti da tutta l'Italia.

Quell'area militare inaugurata nel 1956 come se dovesse diventare una sorta di Cape Canaveral della NASA per il lancio di missili sperimentali e scientifici, è stata trasformata in una discarica che secondo la Procura ha inquinato suolo, aria e falde acquifere. Al punto che adesso la bonifica non è più procrastinabile.
Perchè dopo la parte destruens fatta di sequestri di aree del poligono, sgomberi dei meno colpevoli di tutti, i pastori, controlli e quant'altro, adesso è necessario avviare una fase costruens

La bonifica può dare posti di lavoro per tanti anni, porzionidel poligono come quella sul mare, utilizzata per tanti anni per test messi al bando, potrebbero essere sgomberate creando altro reddito una volta che i fondali saranno ripuliti.

Si farebbe giustizia anche dell'accordo (rimasto sin qui disatteso) firmato trent'anni fa dall'allora primo ministro italiano Giovanni Spadolini e dal presidente della regione Sarda Mario Melis, sulla necessità di alleggerire il peso delle servitù militari che grava così pesantemente sulla Sardinya e sul suo sviluppo economico.




Mariella Careddu
www.unionesarda.it

Poligono Quirra Sardinya, bugie di Stato

Audizione-choc del Procuratore di Lanusei Fiordalisi al Senato:
«Non test ma smaltimento illecito di rifiuti bellici dentro la base





I veleni di Quirra potrebbero uccidere il Poligono. La chiusura della base militare non è da escludere. Ci stanno pensando i parlamentari, all'indomani dell'audizione choc del procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi.


IL VERTICE 
Ieri pomeriggio, si è svolto il vertice d'urgenza della commissione di senatori che dovrà decidere cosa fare e dovrà farlo in fretta. Non si esclude nessuna ipotesi. Il magistrato ha parlato di «bugia di Stato», perché tra i confini della base isolana si «svolgeva un'attività diversa da quella dichiarata. Uno smaltimento di rifiuti bellici illecito». Una menzogna lunga decenni, secondo il pm, che per due ore ha riferito del grave inquinamento ambientale provocato da cadmio, amianto, uranio impoverito, torio e altre sostanze cancerogene sprigionate dai brillamenti e dalle esercitazioni avvenute in quel pezzo di Sardegna.


RELAZIONE CHOC 
La prima bugia starebbe già nel video mostrato dal pm ai commissari. Un filmato dell'esercito che nell'etichetta porta la scritta test , ma che in realtà mostra i brillamenti di bombe portate a Quirra da tutti i poligoni d'Italia. «I test sono un'altra cosa», assicura. Deflagrazioni che liberano nell'aria colonne di fumo e detriti alte diverse centinaia di metri, che il vento ha soffiato via verso i pascoli di Escalaplano e Perdasdefogu, verso fiumi e sorgenti, verso le aziende agricole che producono il miele e il formaggio nei quali i periti della Procura hanno trovato tracce di metalli pesanti. La relazione choc ha scosso i parlamentari: la commissione che indaga sulle morti e sulle malattie che hanno colpito personale militare impiegato nei poligoni in Italia e all'estero, dovrà fare in fretta. Dopo l'audizione di martedì è arrivata la convocazione d'urgenza nell'ufficio di presidenza. Ieri alle due del pomeriggio l'ultimo incontro. Un'ora per fare il punto della situazione e stabilire le tappe dell'intervento.


IL GENERALE 
Martedì prossimo a riferire davanti ai parlamentari sarà il generale Maurizio Lodovisi, responsabile della bonifica. L'ufficiale dovrà chiarire la situazione e presentare una relazione dettagliata che indichi l'importo necessario per ripulire l'area, il cronoprogramma e quello che già è stato fatto. «È importante che la commissione abbia deciso questo cambio di passo in seguito all'audizione del procuratore. Ora si passa da un livello cognitivo a un livello attivo», spiega Gian Piero Scanu, senatore del Pd e unico sardo a far parte del gruppo di lavoro.


L'AGENDA 
Dopo l'incontro con il generale, sono già in agenda altri due appuntamenti cruciali. Mercoledì la commissione farà gli straordinari: la prima seduta è fissata alle due del pomeriggio, servirà a tirare le somme, la seconda alle otto e mezza di sera, sarà quella decisiva. Il momento per decretare la morte o la vita del Poligono di Quirra. Ai parlamentari resta una settimana per ripensare alle foto mostrate loro dal magistrato. Il ritratto dell'agnello polifemo nato in un allevamento a una decina di chilometri dai confini della base. Le immagini di vacche impegnate a strappare i fili d'erba a ridosso della discarica di Is Pibiris. E poi, ci sono le relazioni degli esperti dell'Arpas, le perizie dei ricercatori che mostrano tracce di sostanze cancerogene e metalli pesanti ben oltre il perimetro del poligono.
Il resto è l'inchiesta della Procura che venerdì scorso ha chiesto venti rinvii a giudizio per il disastro provocato dalle esercitazioni militari. Nel registro degli indagati sono finiti nomi eccellenti dell'esercito, luminari del mondo accademico, medici, ricercatori e amministratori, tutti colpevoli, secondo il pubblico ministero, del disastro che ha seminato la terra e infestato l'aria con le scorie mortali.



Uranio impoverito e torio, accertamenti sul nesso di causalità coi tumori

C'è un'inchiesta-bis Morti sospette: si indaga ancora sulle guerre simulate
Inchiesta che va, inchiesta che viene. Gli atti dell'indagine sui veleni di Quirra sono appena arrivati nella cancelleria del giudice dell'udienza preliminare. Venti richieste di rinvio a giudizio in attesa di una risposta: la data dell'udienza verrà fissata a giugno. Al terzo piano del palazzo di giustizia di Lanusei, però, va avanti l'inchiesta bis, quella che vuole accertare il nesso tra le morti sospette di militari e civili e le sostanze letali lasciate a terra dalle guerre simulate. Per cercare una prova schiacciante non sono bastati i cadaveri dei diciotto pastori riesumati dalla Procura. Nella lista dei sospettati non c'è solo l'uranio impoverito. I test dei ricercatori hanno isolato tracce di torio, un metallo pesante più difficile da smaltire, più difficile da collegare in maniera univoca alle malattie che hanno portato alla tomba i pastori strappati alla terra in nome della giustizia. Senza nuovi risvolti, resta l'attesa per l'inchiesta madre nella quale sono indagati i militari Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois, Francesco Fulvio Ragazzon, Giuseppe Di Donato, Vittorio Sabbatini, Vincenzo Mauro, Walter Carta, i ricercatori Francesco Riccobono, Giuseppe Protano, Fabio Baroni, Luigi Antonello Di Lella, i chimici Gilberto Nobile e Gabriella Fasciani, il medico Pierluigi Cocco e il sindaco Walter Mura. 

mercoledì 9 maggio 2012

Quirra, il Senato pronto a varare misure urgenti

Mariella Careddu

www.unionesarda.it

Dopo l'audizione al senato italiano di ieri del pm Fiordalisi

Quirra, il Senato pronto a varare misure urgenti

 

 
PM Domenico fiordalisi


Un vertice d'urgenza sui veleni del poligono di Quirra. La commissione parlamentare è sotto choc. Alle dieci e mezza di ieri sera, il procuratore capo della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, conclude la sua relazione sugli effetti delle esercitazioni militari nel salto di Quirra: i politici capiscono che non c'è un attimo da perdere. Questo pomeriggio alle due, si riunirà l'ufficio di presidenza del Senato per adottare determinazioni urgenti.

L'INCONTRO A ROMA
Un fiume di parole iniziato alle otto e mezza di sera. Due ore di audizione e un faldone con centinaia di pagine che raccontano come il torio, l'amianto e le altre sostanze tossiche sprigionate dalle esercitazioni militari, abbiano impestato la terra e l'aria di quel quadrato grande più di dodicimila ettari, ma non solo. La bonifica dovrà andare oltre i confini catastali dell'area militare, perché l'inquinamento è più grave di quanto si potesse immaginare. 

I DATI DEL DISASTRO
Il pubblico ministero, che solo qualche giorno fa, ha chiesto il rinvio a giudizio per venti persone accusate di aver provocato il disastro e di aver omesso di denunciare la faccenda alle autorità competenti, ha sviscerato ogni aspetto della vicenda. I contenuti del colloquio sono stati secretati. Nel rapporto del procuratore, si va per capitoli. Si ripercorrono cronologicamente le tappe del disastro. Si elencano responsabilità e negligenze. Si evidenzia la pericolosità del torio, un metallo pesante, la cui incidenza è stata spesso sottovalutata. Più difficile da rintracciare attraverso i test, più difficile da smaltire, rispetto al ben più conosciuto uranio impoverito. 

LA COMMISSIONE
Ad ascoltare ogni dettaglio, c'erano i componenti della commissione parlamentare che deve fare chiarezza sui casi di morte e su quelli di malattia che hanno colpito il personale militare impiegato nei poligoni in Italia e all'estero. Tra i parlamentari, l'unico senatore sardo è Gian Piero Scanu del Pd. La relazione di Domenico Fiordalisi ha choccato tutti. Tanto che, alle dieci e mezza di sera, quando il pm si è congedato dai politici, è arrivata la decisione di non lasciar passare nemmeno un giorno in più. Bisogna fare in fretta, trovare una soluzione al più presto e far iniziare la bonifica per evitare che altri danni possano essere provocati in quell'area circondata da pascoli verdi, aziende agricole e centri abitati.


 
Un'esplosione nel poligono di Salto di Quirra

martedì 8 maggio 2012

Quel mistero di Sarsogna

Francesco Cesare Casula 

unionesarda

L'Isola dove tutti dormono e sognano e nessuno sa spiegare il perchè

Nemmeno uno scienziato inviato dall'Onu riesce a coronare la missione

Sogno Lucido
In mezzo a un vasto azzurro mare orlato d'antiche civiltà, insiste a vivere beata sotto il sol dell'avvenir un'isola di sogno, nella quale si dorme e si sogna, si sogna e si dorme, si dorme e si sogna in continuazione. Infatti, per questo, si chiama Sarsogna. 
 
L'ORIGINE
Chi le avesse dato per primo un simile nome, non si sa. I Greci achivi della Grecia e della Magna Grecia, in verità, la chiamavano Enipniona, che, poi, vuol dire sempre “la Dormiente che sogna”. Ma i più informati accademici odierni delle universias studiorum, accaniti latinisti, affermano nelle loro tesi dottorali di Filologia, Glottologia e Laringoiatria romanza che il nome deriva dal latino somnium. E ragionano così: i vecchi naviganti dell'alto mare aperto la conoscevano come ipsa insula somniat (che in italiano vuol dire “quell'isola sogna”…).
Nel corso del tempo secondo i dotti sarebbe caduta la ip e sarebbe rimasta solo la sa (chissà perché). Poi, la parola insula si sarebbe sott'intesa da sola ed eliminata in quanto ovvia.
Indi, dal II secolo a.Cr. in poi le chartae nauticae l'inscrissero col toponimo Sasognat. Ma, questo arbitrio non piaceva ai locali che spontaneamente aggiunsero una “r” eufonica e presero a chiamarla, fra un riposo e l'altro, Sarsognat. In ultimo, alle soglie del Medioevo, senza che nessuno se n'accorgesse (perché tutti dormivano), se n'è andata via quatta quatta la ”t” di coda per sfiducia nelle istituzioni. Ed eccoci giunti, così, a Sarsogna, come tutti oggi la studiano nei libri di geografia e di antropologia.
 
SU GOOGLE EARTH
Proprio così: di geografia e di antropologia; perché l'isola ha in sé una caratteristica unica al mondo, che la fa oggetto di attenti studi e ricerche nel campo delle risorse fisiche e morali umane. Per la parte fisica è presto detto. All'apertura serale di Google Earth risulta posizionata nell'emisfero nord della terra, a mezza strada fra il polo artico e l'equatore, in asse col meridiano londinese di Greenwich, ma un po' più a destra che a sinistra. Ha la forma di un cuscino stazzonato, tutto bozze e incavità al centro, sgualciture e spiegazzamenti ai lati. Contuttociò ha pochi porti, perché gli unici approdi li fecero i romani di passaggio, e ora, benché siano obsoleti e impraticabili (nelle banchine sud ed est), gli indigeni li reputano ancora congeniali, e sono troppo impegnati a dormire per pensare di riattarli coi tubi Innocenti, o, magari, farne uno nuovo in località Santa Pilla, da chiamarsi - potrebb'essere - Porto Alletto. 
 
GLI ABITANTI
Quanti abitanti annoveri, Sarsogna, nessuno lo sa con precisione: chi dice 20.000 chi 200.000 chi addirittura due milioni (pecore incluse). L'incertezza nasce dal fatto che nessun sarsognese è mai stato sveglio così a lungo da riuscire a compilare il formulario del censimento fino in fondo. Ma, di sicuro, quand'anche fossero 20.000, 200.000 o due milioni, essi sono ripartiti in otto, anzi dodici circoscrizioni che aspirano a diventare trentadue, come i denti dell'uomo/donna, in modo da poter masticare il cibo senza sforzo. Le circoscrizioni sono diverse le une dalle altre, e in competizione fra loro. Tutto dipende dalla postura dei dormienti. Nella circoscrizione di mezzo sono posizionati a pancia in su; in quella di sopra a pancia in giù. In quella di sotto dormono rannicchiati; mentre, in quelle di lato sono tutti distesi. E ognuno difende la propria posizione (che chiamano identità), anche a costo della vita.
 
IL MISTERO
Per cercar di capire perché i sarsognesi siano così addormentati tutti gli antropologi dell'orbe terraqueo si buttano a capofitto sull'antropologia culturale. Eppure, anche gli antropologi culturali, che di queste cose se n'intendono e sanno applicare l'olistica come se niente fosse, non riescono a spiegarsi il fenomeno sarsognese: «chi riesce andar via dall'isola dopo un giorno o due si risveglia del tutto e comincia pure a ragionare; chi invece arriva in Sarsogna sveglio e arzillo, pieno di buoni propositi, dopo due o tre giorni si assopisce e s'addormenta profondamente».
Alcuni antropologi, di non so dove, il primo giorno del loro arrivo, frastornati dal russare collettivo, andarono a chiedere lumi al governatore della regione. «Se non le sa lui, queste cose», pensavano, «non a caso sarà stato eletto governatore!».
Lo trovarono addormentato nell'alto scanno della sua autorità con un brutto cappello in testa per ripararsi dalla luce del sole. Cercarono di svegliarlo con cautela, poi scuotendolo leggermente, infine sbatacchiandolo vigorosamente tanto che il cappellaccio gli andò di traverso e rischiò di cadere. «Governatore - gridarono - perché dormite tutti?». Il governatore, di mala voglia, aprì un occhio (due sarebbe stato troppo), si aggiustò le manichette della giacca, quasi a chiedere loro salvifica ispirazione, ingurgitò la domanda, la rimuginò fra sé e sé, e infine trovò la soluzione: «Andate dallo storico di Palazzo, lui conosce senza dubbio la verità», e si riappisolò.
 
PANICO MONDIALE
Neanche lo storico ne cavò piede e anche l'Onu ne fu atterrita. Pensarono, allora, che la causa fosse l'aria («el aire pestilencial» sentenziarono gli ambasciatori di lingua spagnola, che ricordavano la malaria del passato). Tra il vedere e il non vedere, decisero ilico et immediate, all'unanimità, di mandare un drone (aereo senza pilota) per prelevare campioni di atmosfera insulare da analizzare. Niente da fare.
Per farla breve, alla fine diedero la colpa alle mosche (in effetti, la mosca tse-tse provoca il sonno). Chiesero alla comunità scientifica un entomologo che fosse disposto a paracadutarsi al centro dell'isola con tutta la sua attrezzatura (retini, microscopi, reagenti chimici, vettovaglie e tenda da campo) per osservare, catturare e, se del caso, vivisezionare i ditteri sospetti: le noiose mosche domestiche, le schifose mosche cavalline, le rare mosche bianche, le ruzzanti mosche cieche, le reticenti zitt'e mosca; insomma, la famiglia delle musciade al completo (padri, madri e figli).
 
LE MOSCHE
L'eroico scienziato volontario, calato giù dal cielo, perlustrò in lungo e in largo la campagna di Sarsogna sotto il sole cocente dell'estate acchiappando mosche a tutto spiano, tanto che a sera n'ebbe in suo potere un sacco pieno. Dalla contentezza non dormì neppure. Al lume della lampada acetilene si diede ad analizzare, anatomizzare, squartare teste, antenne, addomi, arti superiori ed inferiori delle povere bestiole ronzanti di paura, anelanti alla libertà. Purtroppo, col passar delle ore, si faceva palese l'insuccesso: nessun insetto pareva apportatore di sonno.
L'entomologo era disperato: per lui poteva essere il Nobel, la gloria, l'immortalità; invece, era la sconfitta, la vergogna, l'anonimato eterno. Si deterse il sudore dalla fronte, bevve dell'acqua dalla borraccia con mano tremante e s'apprestò ad escùtere l'ultimo vetrino dov'era spiaccicata la salma di una viscida mosca olearia, meglio conosciuta col nome latino di bactrocera oleae. «Mio Dio - pregò sommesso - fate che sia lei la colpevole». Già gli ciondolava la testa invasa dal torpore pomeridiano (si era al secondo giorno). Bisognava fare in fretta, molto in fretta. Nell'orgasmo dell'urgenza una goccia cadde accanto all'animaletto in osservazione. «Strano, disse l'entomologo, l'acqua che vedo non è del tutto pura…».
Effettivamente, insieme all'H2O il liquido mostrava sospette tracce di un lattice bianchiccio. «Vuoi vedere che…», pensò (non per nulla era un scienziato di fama internazionale!). Spostò il vetrino sul potentissimo microscopio elettronico per avere una scansione più dettagliata, e gli apparvero gli alcaloidi, le proteine, le cellule, l'enzima e gli idrocarburi di una secrezione che Wikipedia individuò proveniente da una pianta acquatica denominata euphorbia dendroides, ovverosia lua.
«La pianta - dice l'enciclopedia - è lattiginosa, con chioma spesso arrotondata, densamente ramificata, ma lassamente fogliosa. Tutta la pianta è tossica (un tempo questa specie veniva utilizzata per la pesca di frodo). Negli uomini, poche stille diluite nell'acqua provocano un sonno profondo». E tutti i bacini dell'isola ne erano invasi….!
 
EPILOGO
«Assassina!!!! - gridò l'entomologo - Ora ti denuncio al mondo intero!!!!". Ma, oramai, era troppo tardi: pure lui aveva bevuto il maledetto liquido, e i tre giorni di veglia erano scaduti. Cadde di schianto sul letto con l'inutile telefonino dell'accusa in mano, che faceva tu, tu, tu, a vuoto. Fu così che nobody in the world, nemmeno la CIA, seppe mai perché a Sarsogna si dorme e si sogna, si sogna e si dorme, si dorme e si sogna in continuazione.
 

Euforbia cespugliosa - portamento

lunedì 7 maggio 2012

Fukushima Il reattore n° 4 rilascia Cesio-137 i venti condannano la California

weeklyintercept

Technorati
Stephen Alexander

Se il reattore 4 a Fukushima diventa instabile e rilascia 10 volte la quantità di Cesio-137 (Cs-137) rilasciata al momento dell'incidente nucleare di Chernobyl, e i venti prevalenti potrebbero portarlo fino alla parte occidentale degli USA -che significa California .

Il 30 aprile 2012, 72 organizzazioni ONG hanno inviato una richiesta alle Nazioni Unite e al governo giapponese sollecitando la rapida azione per stabilizzare l'unità centrale nucleare di Fukushima Daiichi 4 combustibile nucleare esaurito.
Gli esperti nel settore nucleare sia  Giapponesi che nel mondo hanno approvato la lettera.

La lettera conteneva avvertimenti che l'unità
4  ha danneggiata la piscina del combustibile nucleare esaurito contiene cesio-137.
Questa piscina se è stata esposta a un terremoto o un altro evento che drena la piscina, quindi il risultato potrebbe essere un  catastrofico incendio radioattivo. La lettera ha esortato le Nazioni Unite a creare un vertice della sicurezza nucleare per trovare una soluzione al problema al'Unità di Fukushima Daiichi 4 e alla piscina del combustibile nucleare esaurito. La proposta ha indicatoto come le Nazioni Unite dovrebbero creare un team indipendente di valutazione relativa all'unità Fukushima Daiichi 4 e organizzare l'assistenza internazionale per stabilizzare il combustibile nucleare esaurito dell'unità e impedire la catastrofe imminente. La lettera è stata consegnata sia al Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon che al Primo Ministro giapponese Yoshihiko Noda.  
La seconda lettera ha incoraggiato il Giappone a chiedere ufficialmente aiuto alle Nazioni Unite.  Gli oltre 10.000 elementi di combustibile esaurito siti presso l'impianto di Fukushima Daiichi si trovano in piscine vulnerabili ai terremoti futuri. La radioattività è di circa 85 volte più alta e  duratura rispetto alla radioattività rilasciata a Chernobyl.

STIGLITZ E L' AUSTERITA' SUICIDA

DI GUSTAVO PIGA
ilmanifesto.it





  
Ascoltare il dibattito tra Monti e Stiglitz è stato emozionante. Potenti le cannonate dell’economista americano, che lasciano basita una platea abituata allo slang triste europeo. Al termine del suo discorso si sente lo spavento che pervade la sala, paura per una crisi che forse non passerà se non si faranno le cose giuste. Il linguaggio è stato come quello di un marziano. Tant’è che la migliore difesa che il premier ha potuto montare è stata quella di differenziare l’America dall’Europa in termini di obiettivi. Non ha funzionato.
L’Europa non deve solo crescere economicamente, come gli Stati Uniti, ma far crescere anche le sue istituzioni e questo può andare anche a scapito della crescita economica. Mi sono detto che non è così, che forse per uno o due o anche tre anni può essere così, ma nessuna nazione può tenersi in piedi, coesa socialmente, senza che le sue istituzioni siano dedicate solamente alla crescita del benessere dei suoi cittadini.

Un linguaggio che effettivamente non si sente più nel nostro Paese. Non è solo questione di diversa enfasi, no, ascoltare Stiglitz era rendersi conto che esiste là fuori una strada alternativa di cui in Europa è vietato parlare. Un nuovo «dibattito proibito», per riprendere il titolo di un felice libro di Jean-Paul Fitoussi che uscì qualche anno fa. Era anche dare nuova linfa alle parole, come se queste fossero rose innaffiate dopo lunga aridità.

Prendete la parola più menzionata in Italia questi giorni. La parola spreco. Anche Stiglitz ne ha parlato. Di sprechi. Ma non parla di Bondi. No, parla del più grande spreco, quello vero, quello reale, dice Stiglitz: lo spreco immenso, trilioni di dollari, di tutte quelle risorse, naturali, materiali ed umane, uguali a quelle che avevamo nel 2008 e che da allora però non utilizziamo più a causa di questa crisi. «Ed è l’austerità che tiene vivi questi sprechi». Tutti quei giovani, che oggi non lavorano, che diventeranno alienati dal resto della società, che se e quando, tra tanti anni – se continuiamo con la stupida austerità – troveranno forse un lavoro, ma a salari più bassi perché avranno disimparato a fare e avranno perso l’orgoglio e la voglia di affermarsi. Ecco lo spreco, dice il Premio Nobel. Ecco, è questo l’unico vero, grande intollerabile spreco di questa maledetta crisi che non vogliamo combattere.

Perché si può combattere. Con un nuovo approccio di politica economica. Nessuna grande economia mondiale, mai, è uscita da una crisi di questo tipo con l’austerità, dice Stiglitz che diventa subito un fiume in piena che abbatte le nostre magre argomentazioni europee affaticate dal fallimento. «L’austerità non funziona, basta guardare ai dati: essa smonta anche i rientri dei bilanci pubblici verso il pareggio». Le riforme? Le riforme che servono anche nel breve periodo sono quelle che migliorano la situazione dell’accesso al credito per le piccole imprese e quelle che aumentano il sostegno alle università. Le riforme sono utili, ma hanno bisogno di tempo e, nel frattempo a volte riducono la domanda nel sistema, che già manca. Il mercato del lavoro americano è certamente flessibile eppure ciò non ha impedito che si raggiungesse una disoccupazione del 10%. In questa crisi non si creano posti di lavoro senza maggiore domanda aggregata. Bisogna fare politiche per il breve periodo. «E il breve periodo può durare a lungo se si mantiene l’austerità». Tutto qui? No, finiamo con la ricetta proposta dall’economista americano.

Primo, politica fiscale espansiva in Germania, anche con ampi deficit pubblici. Concordiamo. Secondo, in Italia, politica fiscale espansiva senza maggiori deficit pubblici. Il che significa più spesa pubblica con gli aumenti di tasse (già fatti) destinati a pagarci la spesa pubblica e non il debito pubblico. Oppure con i tagli agli sprechi che non devono generare maggiore austerità ma maggiore domanda da parte dell’unico attore che in questa crisi può domandare, lo Stato. Concordiamo. Senza toccare il deficit, il Pil sale, facendo anche scendere i rapporti deficit e debito su Pil. Grande ruolo per investimenti pubblici, spesa per l’istruzione e per la sanità. Terzo, tasse e spesa pubblica devono anche ridurre le disuguaglianze che specie in questa fase distruggono la crescita economica. Concordiamo.

Senza maggiore spesa pubblica anni ed anni davanti a noi di maggiore disoccupazione. Alle sue raccomandazioni aggiungiamo: vera spesa pubblicata, monitorata e la cui qualità sia assicurata da competenze e assenza di corruzione.

Monti ha detto alla fine del dibattito: «Sono desideroso di sapere come rispettare l’obbligo di bilancio in pareggio facendo diminuire il rapporto debito su Pil e soddisfacendo al contempo l’esigenza immediata di crescita». Forse non se ne è reso conto, forse sì, ma questo «come» glielo aveva spiegato pochi minuti prima Stiglitz, che ha aggiunto: «I terremoti accadono. Anche gli tsunami. Non è colpa nostra se accadono. Ma perché a queste tragedie dobbiamo aggiungere dei disastri causati da noi stessi? È criminale questa ignoranza di quanto è avvenuto nel passato, l’economia deve essere al servizio della gente, e non viceversa».


giovedì 3 maggio 2012

Sardinya: «Isola indipendente»

  SARDINYA: SA REVOLUTZIONI DE IS PABAULIS

"L'indipendenza non va riferita a un futuro indeterminato. Appartiene all'urgenza e alla responsabilità del presente. CHI DICE CHE I TEMPI NON SONO MATURI CREDE CHE IL TEMPO DEBBA MATURARE PER CONTO SUO, COME FRUTTO DI STAGIONE. E' una concezione PASSIVA che chiude la frontiera del tempo e nega la sua apertura. (...) Chi dice di attendere il tempo giusto subisce il tempo governato dagli altri e continua a servire i padroni del tempo..."

Bachisio Bandinu, PRO S'INDIPENDENTZIA, pag.6

 Giuseppe Meloni

www.unionesarda.it

 Il quesito proposto da Malu Entu

«Isola indipendente»: l'iniziativa di Doddore Meloni raccoglie 27mila firme


Doddore Meloni

Sono già più di 27mila le firme raccolte dal referendum per l'indipendenza proposto da Doddore Meloni. Ad annunciarlo è lo stesso fondatore della Repubblica di Malu Entu, alla vigilia del suo compleanno numero 69 (è nato il 4 maggio), che coincide anche con la data del suo ritorno alla politica attiva, nel 2008, dopo tanti anni di silenzio.

IL QUESITO
Il testo su cui Meloni ha raccolto le sottoscrizioni (27.347, per la precisione) è molto diretto: «Sei d'accordo, in base al diritto internazionale delle Nazioni Unite, al raggiungimento della libertà del popolo sardo, con l'Indipendenza?». Non si parla genericamente di autogoverno o poteri locali: ai cittadini viene chiesto un pronunciamento molto chiaro, a favore o contro l'ipotesi della creazione di una Repubblica di Sardegna.
Forse anche per questa nettezza, molti degli altri leader indipendentisti hanno preso le distanze dall'iniziativa di Doddore Meloni. L'idea del referendum è emersa nei mesi in cui alcune delle varie sigle (la stessa Malu Entu insieme a Sardigna natzione, Progres e A manca pro s'indipendentzia) stavano progettando la cosiddetta Convergenza nazionale, ossia una sorta di patto di collaborazione politica tra diversi soggetti dell'area identitaria.

POSIZIONI CONTRASTANTI
Obiettivo sfumato, almeno momentaneamente: e tra le ragioni della mancata intesa c'è anche la scelta di Meloni di avviare la raccolta firme, giudicata negativamente dai colleghi perché assunta in solitario. I leader dei vari partiti e movimenti temono che un'eventuale consultazione, se si concludesse con la sconfitta del sì all'opzione della Repubblica sarda, segni un arretramento del loro ideale indipendentista e della relativa battaglia.
Ma questo, per Doddore Meloni, non è un buon motivo per non provarci neppure. «Per la prima volta nella storia della nostra terra - scrive in un comunicato - la popolazione sarda si potrà esprimere sul suo presente e sul futuro delle prossime generazioni». Meloni valuterebbe con favore anche una percentuale pro-indipendenza attorno al 35%: «Farebbe emergere un sentimento diffuso anche tra gli elettori dei partiti italiani, e favorirebbe la nascita di un polo indipendentista per presentarsi alle prossime elezioni regionali». 

martedì 1 maggio 2012

Il nuovo Statuto e l'antico desiderio di farlo riscrivere dalla società civile

 

Il nuovo Statuto e l'antico desiderio
di farlo riscrivere dalla società civile

Da undici anni si tenta (inutilmente) di varare l'Assemblea costituente  

Fabio Manca

www.unionesarda.it

Che lo Statuto speciale, la Carta costituzionale dei sardi, abbia bisogno di essere cambiato per aumentare il grado di autonomia della Regione e soprattutto dopo l'avvento del federalismo, e il conseguente decentramento di decine funzioni, e dopo l'ingresso dell'Italia nell'Unione europea è un fatto condiviso. Sul modo per farlo le forze politiche si dividono: è opportuno che le modifiche statutarie vengano fatte dal Consiglio regionale o da una nuova assemblea, composta non solo da politici, ma da gente comune e rappresentanti di tutte le forze sociali e imprenditoriali eletti dai cittadini?
È il tema del sesto dei dieci quesiti sui quali i sardi dovranno esprimersi domenica. “Siete favorevoli alla riscrittura dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna da parte di un'Assemblea costituente eletta a suffragio universale da tutti i cittadini sardi?” chiede il Movimento referendario.

LE ADESIONI Del tema si discusse abbondantemente tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo secolo, gli anni in cui, sulla spinta di un largo movimento trasversale, prima i Riformatori sardi, poi la Giunta regionale (su proposta dell'allora assessore agli Affari generali Italo Masala), seguiti dai Sardisti e da buona parte del gruppo dei Democratici di sinistra, presentarono proposte o disegni di legge poi unificati nella proposta di legge nazionale numero 5 approvata dal Consiglio regionale nel torrido pomeriggio del 31 luglio del 2001.
La legge chiedeva sostanzialmente che al titolo VII della legge costituzionale del 26 febbraio 1948 numero 3 (lo Statuto sardo) venisse aggiunto un articolo che autorizzava il Consiglio regionale a deliberare l'istituzione di un'assemblea costituente. Poi la legge, come spesso accade, si arenò in commissione Affari costituzionali del Senato e da lì non si è mai mossa.

«FACCIAMO DA SOLI» Nel frattempo è cambiato il mondo, compreso il titolo V della Costituzione che modifica le competenze di Regioni, Province e Comuni, e numerose Regioni hanno già modificato la loro Carta senza chiedere il permesso al Parlamento. Ed è esattamente ciò che si intende fare in Sardegna. Se i sardi si esprimeranno per il sì, sarà una esplicita autorizzazione a indire le elezioni per l'Assemblea costituente. Che - nelle intenzioni dei promotori - sarà costituita da tutte le componenti della società: dai sindacati alle imprese sino ai sindaci. Saranno loro a decidere che cosa cambiare dello Statuto speciale: certamente (lo ribadisce il leader della Cisl nell'articolo sotto) tra le altre cose vorranno una reale autonomia finanziaria e, dunque, una maggiore percentuale delle tasse pagate in Sardegna, il riconoscimento dell'insularità come fattore di svantaggio, più competenze sull'istruzione.

IL LAVORO DEL CONSIGLIO Sullo Statuto sta lavorando da tempo (seriamente ma con i tempi e i veti della politica) la commissione Autonomia del Consiglio regionale. Ragione per cui i nemici della Costituente ritengono il referendum superfluo. Secondo i promotori, al contrario, il Consiglio regionale non è riuscito negli ultimi undici anni e non riuscirà oggi a produrre nulla. Perché tende ad autoproteggersi. Come una Casta.

INTERVISTA. Parla Mario Medde, leader della Cisl sarda

«Istituzioni screditate,  rinnoviamo noi le norme»


«Dico sì alla Costituente perché né la Giunta né il Consiglio regionale hanno le carte in regola per riscrivere lo Statuto speciale e perché ci vuole una forte forza contrattuale nel confronto con lo Stato, che si può avere solo con una grande e diffusa partecipazione popolare».
Mario Medde, leader della Cisl Sarda, è tra i sostenitori storici della battaglia per la riscrittura dello Statuto attraverso un'assemblea costituente eletta a suffragio universale da tutti i sardi. E oggi che la crisi economica è drammatica, che il rapporto con lo Stato è ai minimi termini, come il gradimento dei partiti, lo è in modo ancora più convinto. «Per riscrivere lo statuto e liberare canali di collegamento, oggi ostruiti, tra partiti istituzioni e società ci vuole una forte legittimazione popolare», dice. Un'altra ragione è connessa alla necessità di far sì che lo Statuto venga rivisitato anche attraverso la partecipazione delle forze sociali ed economiche che sono in prima linea per rilanciare i temi dell'economia e del lavoro.

RIEQUILIBRARE I POTERI Per Medde: «Il nuovo Statuto può essere incisivo se saprà riequilibrare i rapporti e poteri e se rinegozierà le risorse che spettano alla Sardegna e questo sarà possibile solo se ci sarà una spinta totale dei sardi». Nel merito, il primo punto da rivedere sarebbe l'articolo otto, modificato alcuni anni fa in virtù dell'accordo, per ora inattuato, raggiunto in conferenza Stato-Regione sulla percentuale delle tasse versate dai sardi che spettano all'Isola. «Ci spetta una percentuale maggiore delle entrate fiscali e occorre che vengano riscosse direttamente dalla Regione, non più dallo Stato, a traverso un'agenzia delle entratea carattere regionale». Per Medde «serve un'autonomia finanziaria reale» e gli incrementi accordati dallo Stato e inseriti nel novellato articolo 8 «sono irrisori soprattutto alla luce del fatto che contestualmente sono state assegnate alla Regione le competenze sulla Sanità e sulla Continuità territoriale di cui prima si faceva carico Roma. Il fatto che quell'articolo sia stato decostituzionalizzato e inserito in un articolo della Finanziaria dello Stato la dice lunga sull'atteggiamento dello Stato nei confronti dell'Isola». A giudizio del segretario regionale della Cisl, agire sulla leva fiscale è fondamentale per allineare la Sardegna alle altre regioni, compensando gli svantaggi dell'insularità.

L'ISTRUZIONE REGIONALE Altra competenza da assegnare statutariamente alla Regione, per Medde è l'istruzione. «Oggi abbiamo solo la formazione professionale ma se vogliamo agire sulla dispersione scolastica e sulle drammatiche condizioni dell'edilizia scolastica dobbiamo avere la competenza su tutta la filiera dell'istruzione».

SOBERANIA EST INDIPENDENTZIA

 Gesuino Muledda 
Segretario natzionale RossoMori


Per molte delle cose che dirò posso essere chiamato in causa almeno come corresponsabile. E’ giusto che così sia.
Non è però giusto che qualcuno usi atteggiamenti censori per quanto uno pensa. Vale per tutti l’etica della convinzione e per tutti l’etica della responsabilità.
Concordo con Marcello Fois quando pone al mondo indipendentista la necessità di superare lo schema per cui tutti, o gran parte dei mali, derivano dall’esterno.
Perché è pur necessario, per l’etica della responsabilità, che si dia un giudizio sulle responsabilità dei governanti della Regione, in primo luogo, della lunga stagione della Autonomia; in secondo luogo, del ceto dirigente della società sarda, del quale, in fin dei conti, il ceto politico è espressione. Sto chiamando in causa l’intellettualità sarda, gli imprenditori, i formatori delle giovani generazioni, il sindacato e le rappresentanze di impresa. Fatta salva la principale responsabilità dei dirigenti politici e degli amministratori regionali.
Responsabilità per lo stato attuale della Sardegna.
La quale si è trovata ad affrontare la stagione della globalizzazione senza la pur possibile attrezzatura.
In primo luogo senza una intellettualità impegnata nella elaborazione di un progetto di modernità che avesse, contemporaneamente, una forte elaborazione identitaria, una consapevolezza degli strumenti necessari per la sua affermazione, una visione istituzionale capace di piena rappresentanza per la affermazione degli interessi del popolo sardo.
E una attività di governo che avesse orizzonti larghi e visioni lunghe. Le due cose si intrecciano, evidentemente.
Non si è realizzata in Sardegna la necessaria e possibile accumulazione di forza democratica per deficit nella accumulazione dei saperi, dei poteri, delle produzioni, delle innovazioni e di giustizia sociale
Sinteticamente, c’è stato un deficit di sardismo.
Intendo il sardismo come soggettività politica di un popolo che pretende di affermare contemporaneamente giustizia e libertà. Questo era l’azionismo originario dei padri fondatori del P.S. d’Az., coniugato con la forte determinazione a conquistare i poteri necessari per l’autogoverno del popolo sardo.
E collocavano, i padri fondatori, la Sardegna in un orizzonte europeo, proponendo, già allora, l’unità dell’Europa dei popoli, federale, solidale, e specialmente per Lussu, socialista.
Intorno all’obiettivo della conquista dello statuto di Autonomia si è realizzata una forte mobilitazione di consapevolezze e di popolo.
Come pure, in attuazione dell’articolo 13 dello statuto si è realizzata una battaglia rivendicativa della rinascita che, pur con limiti, ha conquistato impegno di risorse e ha consentito una importante implementazione dei poteri, per qualche parte normativa, per altre parti di esercizio di fatti di altri poteri.
Valga per tutti la limitazione dei poteri della Cassa per il Mezzogiorno, allora onnipotente.
Ma è stato scelto un modello di sviluppo incentrato sulla industria di base, poi fallita, che non ha portato all’accumulazione della produzione, nè alla nascita e affermazione di un sistema di imprese sarde del settore industriale. E in quel frangente storico non si è realizzata la necessaria e possibile apertura verso le innovazioni che nel mondo si andavano realizzando.
La carica identitaria si è indirizzata prevalentemente verso un rivendicazionismo e una vertenzialità economica e istituzionale durante la quale però, alla fin fine, lo stato italiano, i suoi governi si sono sottratti all’impegno per la Rinascita, progressivamente riducendo la presenza delle partecipazioni statali, introducendo la pratica tutta assistenzialistica della cassa integrazione a vita per la giovane classe operaia.
In gran parte della Sardegna non si è conosciuta la seconda generazione operaia. Responsabilità, certo, dello stato italiano e dei suoi governi. Ma responsabilità, anche dei governi regionali e del ceto dirigente tutto. Ciascuno per quanto gli compete.
E nel frattempo è nata la società dell’informazione. E la quantità della nostra scolarizzazione e la qualità della nostra formazione, non sono state adeguate. Non perché non si siano spese risorse: è mancata la finalizzazione a un progetto di sviluppo adeguato ai tempi. Che anzi i fatti innovativi che si sono proposti sono stati osteggiati perché mettevano in discussione gli equilibri di potere. Lo stesso fenomeno del turismo è nato come corpo sostanzialmente esterno e la nascita e la crescita delle imprese turistiche sarde hanno tardato e non hanno costituito ancora oggi sistema. E le tematiche ambientali sono state vissute come ostacolo all’imprenditoria e le questioni dell’acqua e dell’energia sono state vissute come fatti non combinabili come occasione per organizzare un nuovo modello di sviluppo.
E la riforma agropastorale estesa fin in tutte le zone irrigue ha dato importanti risultati nel settore primario, abbandonato però alla logica predatoria degli industriali del latte; ma di fatto ha orientato gli investimenti e le attenzioni quasi esclusivamente verso la pecora e non per le colture ortofrutticole per le quali siamo rimasti completamente dipendenti.
La Regione Autonoma aveva i poteri per fare questo o altro. Non è stato fatto l’altro necessario e possibile. E’ stato creato un sistema regionale centralistico e ministerializzato. Ma la Regione, di norma, avrebbe dovuto operare attraverso gli Enti locali. E’ stato creato un sistema di bilancio finalizzato alla gestione centralistica che non ha consentito agli amministratori locali di esercitare la propria autonomia, riducendo in questo modo la possibilità di ricambio del ceto politico regionale. Si potrebbe continuare.
L’etica della responsabilità vuole che chi ha avuto ruolo politico, per la parte che gli compete, se ne assuma le responsabilità. Anche senza assolvere lo stato italiano, l’Europa, e i relativi governi.
Nel 1975 il Consiglio Regione ha nominato una commissione speciale per riscrivere lo statuto di Autonomia. Non è stato riscritto. E’ stato solo delegittimato lo statuto esistente non è stato elaborato e adottato il nuovo. Siamo a questo punto.
Una visione sovranista, indipendentista, autonomista, oggi non può sostanziarsi di passato.
Ne si può lontanamente pensare che non si debba prendere atto di quanto di nuovo è sopravvenuto.
Esiste l’Unione Europea che decide sulla gran parte dei nostri interessi. Gli stati nazione di stampo ottocentesco sono finiti e le ultime feroci resistenze messe in campo per tenerli in vita in quella forma stanno solo facendo danno all’idea di Europa e ai cittadini tutti.
I migranti che cercano condizioni di vita migliore, mantenendo la propria identità culturale e religiosa, sono una realtà della quale bisogna prendere atto positivamente.
La finanziarizzazione dell’economia, e la impossibilità e incapacità degli stati nazione a contrastarla rende necessaria altre culture rispetto a quelle che abbiamo ereditato e conosciute.
Le relazioni con questa nuova realtà pretendono che la consapevolezza di essere popolo e nazione (nobile eredità sardista) si trasformi in scelte e atti che consentano a questo popolo e a questa nazione di essere riconosciuti dagli altri popoli e dalle altre nazioni.
E ben per questo serve oggi affermare che l’identità del popolo sardo, oltre le radici e la cultura ereditata è costituita e sostanziata per quello che siamo.
E per quanto, materialmente, è necessario fare va detto che la sovranità si conquista, per intanto, esercitandola.
Servono partiti di Sardegna, sovrani. Servono governi e parlamentari sardi non subalterni a chicchessia.
Serve uno statuto di sovranità, costituzionalmente riconosciuto in Europa e in Italia.
Serve una costituzione Europea per l’esercizio della sovranità del popolo europeo, federalista.
Serve una costituzione italiana federalista.
Serve che la costituzione federalista europea e italiana prevedano il principio di allargamento interno che possa consentire la politica pacifica della autodeterminazione.
E serve dire con chiarezza che la Sardegna ha come orizzonte politico e istituzionale permanente l’Europa.
Serve anche che nella congiuntura non breve della battaglia per la sovranità i ceti dirigenti di questo popolo sardo sappiano coniugare la pratica dello statuto come fatto costituito e la innovazione di una consapevole fase costituente.
Democratica, partecipata, generosa.

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