lunedì 28 maggio 2012

Aut aut del Psd'Az alla maggioranza: «Si rispettino i patti»

Lo.Pi.
unionesarda.it


Il Partito Sardo d'Azione chiede chiarimenti alla giunta.


Il Psd'Az alza le barricate per difendere la sua proposta. All'indomani del Consiglio nazionale di Tramatza Giacomo Sanna, leader e presidente del partito di Lussu e Bellieni, non solleva dubbi sull'alleanza con il centrodestra ma mette i puntini sulle i del patto elettorale sancito nel 2009.


IL PATTO POLITICO 
«C'erano 13 punti programmatici: flotta sarda e Assemblea costituente erano il nostro contributo», dice. «Non per scriverli in una lista di cose da fare fine a se stessa, ma per realizzarli. Non osservare il patto politico-elettorale, in questo senso, potrebbe portare al nostro disimpegno». C'è però un referendum che, a furor di popolo, ha sancito l'abolizione delle Province. In casa sardista - essendo gli enti intermedi simboli, assieme alle prefetture, del potere impositivo dello Stato sui sardi, faceva notare sabato pomeriggio a margine dell'incontro di Tramatza l'assessore ai Trasporti Christian Solinas - la cosa è considerata buona e giusta anche se l'eccezione è sul metodo scelto, perché poteva essere il Consiglio a ottenere lo stesso risultato approntando una legge di riforma. Il referendum del 6 maggio chiede a gran voce anche l'Assemblea costituente: «Che quindi deve essere istituita subito, senza se e senza ma», ha spiegato Giovanni Colli, segretario del partito sardo. «In caso contrario, la nostra presenza nell'alleanza sarebbe in forte discussione». Insomma, per Sanna e Colli «l'Assemblea costituente dovrà essere attuata con la stessa celerità con cui sarà dato corso all'abolizione del sistema delle Province e al nuovo sistema istituzionale: i tempi stringono e non vorremmo che qualcuno stesse giocando a lasciare le cose come stanno».


CONGRESSO TRA SETTEMBRE E OTTOBRE
 Nel Consiglio nazionale, appuntamento intermedio in vista del congresso programmato tra settembre e ottobre, si è discusso dei benefici di cui la Sardegna potrebbe godere nel caso in cui venisse attuata la Zona franca, ma è sulla flotta sarda che Giacomo Sanna alza la posta: «In commissione si è trovato il consenso, tant'è che è stata esitata, la legge sulla flotta sarda che presto andrà in Aula», conclude il leader sardista. «Non credo che in Consiglio la maggioranza abbia origini diverse da quella che lavora in commissione», conclude Sanna: «Vedremo come andrà, ma auspichiamo una scossa, se davvero l'aspetto programmatico rispetto alle nostre proposte ha ancora un valore».




L'ISLANDA RISOLVE LA CRISI BANCARIA CON IL MUTUO SOCCORSO E CON L'INCRIMINAZIONE DEI BANCHIERI


Mark Thoma's  View Economist , si è imbattuto in un blog interessante sul regolamento finanziario chiamato Trust Your Instincts . Ultimamente, l'autore, "Richard", ha scritto una serie di messaggi a confronto di due modelli di come affrontare la crisi finanziaria, che egli chiama: modello svedese (usato da Svezia e Islanda) e  modello giapponese (usato da Giappone, Stati Uniti, e Regno Unito).
Ecco la  descrizione dei due modelli:
I lettori abituali sanno che il modello giapponese delle perdite e  sugli eccessi del sistema finanziario è riconosciuto solo alle banche di generare capitali riassorbibili. Questo è un bene per le banche in quanto il modello prevede di nascondere la loro vera condizione e perseguire politiche volte a incrementare i guadagni delle banche. E 'un male per l'economia, perché distorce i prezzi delle attività e l'accesso al capitale (per prova, guardate la performance dell'economia giapponese).
L'alternativa è un modello svedese che è un male per le banche e il bene per l'economia. E 'un male per le banche, perché sono tenuti a riconoscere le perdite sugli eccessi attuali del sistema finanziario. E 'bene per l'economia perché evita la distorsione dei prezzi delle attività e l'accesso ai finanziamenti associati invece di nascondere le perdite dovute al modello giapponese (per prova, guardate le prestazioni dell'economia in Svezia).











Richard indica i recenti avvenimenti in Islanda come un'altra applicazione del successo del modello svedese. Lì, le banche del paese hanno cancellato prestiti equivalenti al 13% del prodotto interno lordo, secondo un articolo di Richard Cites su Bloomberg L'equivalente negli Stati Uniti sarebbe di circa 1.950 miliardi dollari di svalutazioni del debito ipotecario. Le banche islandesi hanno deciso di cancellare tutti i debiti dei mutui oltre il 110% del valore di una casa.
Non solo, riferisce Bloomberg uno sviluppo che avrebbe incontrato,  anche  l'approvazione dei membri del Tea Party e Occupy allo stesso modo della manifestanti: i banchieri sono stati ritenuti personalmente responsabili per crisi dell'economia del paese. I CEO delle tre maggiori banche sono i 200 che si trovano ad affrontare accuse penali, e un procuratore speciale prevede  fino a 90 rinvii a giudizio dei più. Il contrasto con gli Stati Uniti non potrebbe  essere più che evidente.
Mentre l'Islanda è un piccolo paese con una popolazione di soli 317.000 e 13 miliardi dollari del PIL, fidatevi del vostro istinto e prestategli la giusta attenzione.  Paul Krugman ha scritto Mercoledì, "Penso sia stato uno dei primi commentatori, con un vasto pubblico a sottolineare come  l'Islanda stava facendo relativamente bene." 
Quello che non ha menzionato, il suo commentatore "Infoliner", è che il credito dell'agenzia di rating Fitch ha migliorato il debito dell'Islanda nel grado di investimenti della scorsa settimana. Inoltre, secondo il racconto di Business Week, il paese può ora prendere prestiti in dollari USA ad un mero 4,77%. Confronto  alla Grecia che li ha al 35,98% o il Portogallo al 12,77%, e anche Spagna e Italia sono un po 'più del 5% (il link FT non ha indicato i prezzi  per l'Irlanda, che non ha titoli a 10 anni).
La morale della storia è che un approccio diverso ad affrontare le banche è necessario, sia per ripristinare l'economia statunitense, ma anche nel perseguire i finanzieri che hanno infranto la legge. Allo stato attuale, i banchieri l'hanno fatta franca mentre la crescita economica del paese è stata ampiamente anemica. 
Mentre il mercato del lavoro ha mostrato di recente un guizzo di vita , il Paese ha bisogno di milioni di posti di lavoro solo per tornare dove era prima dell'incidente della caduta finanziaria, in realtà non è affatto una situazione di buon inizio  per la classe media.
L'ISLANDA INSEGNA QUAL'E' LA VIA DA PERCORRERE PER SUPERARE LA CRISI ECONOMICA E PER NON CADERE DENTRO LA LOGICA ABERRANTE DI AUSTERITA'
SA DEFENZA

domenica 27 maggio 2012

Sardinya: Entrate, il presidente della regione Cappellacci attacca Monti: «Non mendichiamo i nostri diritti

regione_sardegna


Lorenzo Piras
www.unionesarda.it


Sardinya contro

«Non mendichiamo i nostri diritti»

«Il Governo rispetti la Costituzione repubblicana e lo Statuto sardo, norma di rango costituzionale: non mendichiamo i nostri diritti»


LA SITUAZIONE 
All'indomani della diffida e della messa in mora del Governo per avere le risorse che lo Stato deve alla Sardegna in base all'articolo 8 dello Statuto, il governatore Ugo Cappellacci ritorna a parlare della vertenza Sardegna. E mentre l'opposizione, con Pd e Sel, parla di «scarsa credibilità della Giunta nella contrattazione con lo Stato», i sindacati hanno convocato per il 30 maggio a Santa Cristina i loro stati generali per organizzare una grande manifestazione regionale di due giorni entro metà giugno. Migliaia le persone mobilitate in un maxi corteo che da Porto Torres dovrebbe toccare, anche in marcia, tutte le principali aree di crisi dell'Isola. La conclusione (i dettagli organizzativi sono da definire), sarà a Cagliari davanti al Palazzo del Consiglio regionale.

L'AFFONDO DEL PRESIDENTE
 Cappellacci alza il tiro della rivendicazione: c'è il miliardo e 400 milioni delle Entrate, ma anche la partita più generale della vertenza Sardegna: altri due miliardi e mezzo per il potenziamento infrastrutturale. «I diritti dei sardi», dice, «non solo sono sanciti dallo Statuto, ma sono stati accertati dalle sentenze della Corte Costituzionale. La questione relativa alle entrate rientra in una più ampia vertenza Sardegna, che comprende tutte le questioni ancora aperte tra Stato e Regione». Il governatore argomenta ancora i motivi della protesta: «Nei mesi scorsi», ricorda Cappellacci, «dopo un vertice a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, è stato insediato un tavolo tecnico, ma durante i lavori i rappresentanti dell'Esecutivo hanno mostrato una volontà dilatoria incompatibile con le situazioni di emergenza acuite dalla crisi internazionale. La Sardegna non ha un'autostrada né una rete ferroviaria adeguata, paga il costo dell'energia più alto di tutte le altre Regioni e ha dovuto ingaggiare una battaglia senza precedenti sulla continuità territoriale marittima. Non stiamo mendicando nuove forme di assistenzialismo, perché il vittimismo non rientra nella nostra indole, ma chiediamo con forza che i nostri diritti siano rispettati e abbiano piena effettività». 

L'APPELLO
 Il presidente della Regione aggiunge che la Sardegna intende essere protagonista con idee, progetti e valori «che hanno origine nella nostra terra, delle politiche finalizzate a uscire dalla crisi e a promuovere la crescita e lo sviluppo, ma deve essere messa in condizione di operare alla pari con le altre regioni italiane ed europee. Auspico un intervento del presidente della Repubblica», conclude Cappellacci: «L'unità nazionale che non può essere minacciata da atteggiamenti che sembrano concretizzare una secessione al contrario».

L'OPPOSIZIONE
 E se Luciano Uras (Sel) sottolinea come Cappellacci, con il suo atteggiamento, «abbia minato anche in Consiglio l'unità politica per fronteggiare una crisi che solo lui sembra non percepire», Giampaolo Diana, capogruppo Pd, fa una proposta: «Perché, anziché abbandonare i tavoli, non chiede a Monti un'anticipazione del credito in titoli di Stato? Ma senza progetti credibili difficilmente otterrà udienza». Chiude Silvio Lai, segretario dei Democratici sardi: «La verità non sta nella legittimità dell'obiettivo, che non è in discussione», dice: «Questa Giunta non ha credibilità, visto che non è in grado di spendere le risorse che ha. E le iniziative folcloristiche non aiutano di certo a recuperarla».

sabato 26 maggio 2012

Sardinya. Province, l'ultimo anno

Giuseppe Meloni
unionesarda.it
Province, l'ultimo anno

Il Presidente della regione Sarda Cappellacci firma i decreti che ufficializzano l'esito del referendum Enti in vita sino a febbraio. L'Ups verso la segnalazione al Governo
Quella di giovedì notte è solo una soluzione provvisoria. Come il ruotino messo su dopo una foratura: ha un chilometraggio limitato. Poiché i referendum hanno travolto le Province, serviva una legge per governare la transizione. E il Consiglio regionale l'ha approvata appunto due notti fa.
Le provincie sarde nel 2008


LA NUOVA NORMA
 Tiene in vita gli attuali organi provinciali, fino al 28 febbraio 2013; preannuncia però la soppressione di tutti gli otto enti. E avvia un riordino delle autonomie locali basato su Regione, Comuni e unioni di Comuni, che dovrà essere varato entro il 31 ottobre. Entro il 2012, invece, si consulteranno le popolazioni di tutti centri dell'Isola, per collocarli nelle nuove realtà sovracomunali.
Perciò, fatta la norma transitoria, i partiti guardano alla riforma che verrà. La commissione Autonomia è già al lavoro: a giorni il relatore Roberto Capelli (Api) consegnerà un testo.


LA REAZIONE 
Pensano di certo già al futuro i referendari: Pierpaolo Vargiu, pur non avendo votato la leggina, parla di «vittoria, un risultato straordinario». Ma le Province reagiranno ancora: meditano, tra l'altro, di segnalare possibili incostituzionalità del testo al Governo (che può fare ricorso entro due mesi).
Contestano lo scioglimento di organi eletti dal popolo (gli otto Consigli provinciali) prima della scadenza naturale del 2015. E se la norma dice che «le otto Province saranno soppresse», può confliggere con la previsione delle Province nella Costituzione e nello Statuto sardo. I presidenti dell'Ups si vedranno martedì, e in seguito si terrà un'assemblea di tutti i Consigli provinciali. Forse ci sarà anche Giuseppe Castiglione, presidente dell'Unione Province italiane, che girerà una sua segnalazione al Governo.


I REFERENDARI 
Nel frattempo pende sempre il ricorso dell'Ups al tribunale civile di Cagliari, l'udienza dovrebbe tenersi a ottobre. «Continuano a portarci dai giudici con soldi pubblici, per difendere le loro poltrone», ha protestato ieri Efisio Arbau nell'incontro del Movimento referendario. Dal leader della Base anche una stilettata a Ugo Cappellacci: «Doveva essere garante del voto, anche con la sua maggioranza, ma è stato assente».
In generale i promotori hanno voluto sottolineare gli aspetti positivi: «Festeggiamo una vittoria», ha detto Pierpaolo Vargiu, «non solo si aboliranno le nuove Province ma tutte. Abbiamo votato no alla legge perché volevamo una transizione rapida, una riforma entro agosto. E sarebbe stato più in linea con l'esito delle urne affidare le Province a commissari non politici».
Ora però, dice Vargiu affiancato dai cosiddetti garanti del voto, restano da vincere altre tappe: anche per ottenere il rispetto di tutti i dieci referendum. «Ormai in Sardegna - aggiunge - la divisione è tra chi vuole il cambiamento e chi non ci crede». Come «i frenatori che evocavano il caos post-referendario: è bastata una leggina di dieci righe fatta in poche ore, per evitare qualsiasi catastrofe».


COMMENTI 
«È ora di smetterla con le bugie», ribatte il presidente Ups Roberto Deriu: «La legge dimostra appunto che senza un provvedimento sarebbe stato il caos. Il Consiglio è stato costretto a farlo, sotto dettatura dei giuristi, perché atterrito dalle conseguenze da noi previste». Chicco Porcu (Pd) ribadisce «l'ipocrisia dei referendum» e segnala i rischi di nuovo accentramento regionale, dopo che nella scorsa legislatura erano state trasferite alle Province molte funzioni («qualche autorevole esponente anche del Pd sembra dimenticarlo», osserva, forse pensando a Renato Soru).
Per il vicesegretario Idv Salvatore Lai «la soppressione delle Province non può essere rinviata al febbraio 2013», e attacca i Riformatori: il cui leader Michele Cossa ribatte che «noi abbiamo votato contro la legge, che è comunque un passo avanti, l'Idv a favore». Renato Lai (Pdl) auspica una riforma che difenda «l'autonomia amministrativa della Gallura», senza rispolverare «subalternità ad altri territori ormai superate».


LA POLEMICA 
Il più severo, contro la norma votata dal Consiglio, è il sardista Paolo Maninchedda, presidente della commissione Autonomia: «È una gravissima espropriazione del referendum. Tipico gattopardismo italiano, come quando chiamarono Politiche agricole il ministero dell'Agricoltura abolito dagli elettori. Ora è ragionevole pensare che i Consigli provinciali resteranno fino al 2015. E la Provincia di Cagliari, che doveva scadere il 31 maggio, è già prorogata per un anno».

ANALISI Elezioni amministrative italiane 2012, alta astensione e protesta contro l’austerità



Elezioni amministrative italiane 2012: alta astensione e protesta contro l’austerità

Di Marianne Arens
wsws.org

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 9 maggio 2012
Le elezioni amministrative tenutesi lo scorso fine settimana in Italia sono state caratterizzate da un alto livello di astensione. Rispetto alle elezioni amministrative dello scorso anno, l’affluenza alle urne è diminuita mediamente del 7 per cento, scendendo da circa il 74 per cento al 67 per cento. I partiti che sostengono le politiche di austerità del governo Monti hanno perso una grande percentuale dei loro voti. Un aumento di voti è stato registrato per i partiti minori e per la lista di protesta guidata dal comico Beppe Grillo.

Nel primo turno del 6-7 maggio si sono svolte elezioni amministrative a Genova, Palermo, Parma, Verona, Bologna e in centinaia di piccoli comuni; hanno preso luogo anche alcune elezioni provinciali . Un totale di nove milioni di elettori, uno su cinque dell’elettorato italiano, è andato alle urne. Era la prima elezione dall’avvento del governo tecnico di Mario Monti e quindi un importante banco di prova.
I partiti politici tradizionali hanno subito grandi perdite: Il Popolo della Libertà (PdL) di Silvio Berlusconi, come anche la Lega Nord (LN) di Umberto Bossi, dopo lo scandalo per corruzione e le conseguenti dimissioni del fondatore del partito; LN ha toccato i minimi storici di consenso elettorale. Il sindaco di Verona Flavio Tosi, LN, è stato confermato, tuttavia solo dopo aver preso le distanze dalle posizioni di Bossi. In seguito a tali sviluppi, PdL e LN hanno sciolto la loro alleanza.

A Palermo, tradizionale roccaforte del PdL, il partito di Berlusconi non è neanche riuscito a raggiungere il secondo turno. Il vincitore è stato Leoluca Orlando, candidato del partito Italia dei Valori (IdV), che ha ottenuto il 46 per cento dei voti; al secondo turno Orlando è rivale di Fabrizio Ferrandelli, il candidato del Partito Democratico (PD); Ferrandelli aveva ottenuto un’inaspettata vittoria alle primarie contro il candidato favorito dalla dirigenza del partito, Rita Borsellino.

Solo poche settimane prima delle elezioni, IdV ha proposto l’ex sindaco Orlando come proprio candidato. Orlando è uomo di destra ed è stato sindaco di Palermo ben quattro volte, negli anni ’80 e ’90, guadagnandosi la reputazione di avversario della mafia; questa volta, Orlando è riuscito a conquistare il sostegno dei Verdi e di Rifondazione Comunista (RC), ed è emerso dal primo turno come candidato più forte.

A Genova, il professore di economia Marco Doria (discendente del nobile genovese Andrea D’Oria), volto nuovo sulla scena politica, ha vinto le primarie del PD, mentre i candidati ufficiali del partito non hanno ottenuto buoni risultati. Il caso ricorda quello del sindaco di Milano Giuseppe Pisapia, che lo scorso autunno riportò una vittoria contro il leader del centro-sinistra, Doria è riuscito a conquistare il sostegno di alcuni gruppi al di fuori dei partiti tradizionali; con il 48 per cento dei voti entra quindi nel secondo turno come favorito.

Il PD è stato in grado di mantenere la maggior parte dei suoi sindaci, perché vengono percepiti come relativamente indipendenti dalla linea ufficiale del partito. Il PD è il principale successore del Partito Comunista Italiano (PCI) e, insieme al PdL di Berlusconi, appoggia incondizionatamente le politiche di austerità del governo Monti.

I candidati della lista del comico Beppe Grillo, il Movimento Cinque Stelle (MCS), sono stati in grado di ottenere alcuni successi. A Parma, nella sua prima partecipazione alle elezioni, la lista ha ottenuto quasi il 20 per cento dei voti, in competizione contro una coalizione di PD e IdV. MCS ha vinto il 14 per cento e il 9 per cento dei voti a Genova e Verona rispettivamente. In media i candidati di Grillo hanno ottenuto circa l’8 per cento dei voti.

Ciò nonostante il fatto che il comico genovese non offra una reale alternativa politica ai partiti tradizionali e ai politici che sono oggetto delle sue critiche. Grillo dirotta verso destra la diffusa e legittima indignazione dell’opinione pubblica per l’arroganza e la corruzione della classe politica; fedele sostenitore del sistema di libero mercato, chiede uno stop agli sprechi, una politica “pulita”, la promozione di iniziative locali e verdi e l’appoggio a piccole imprese invece di multinazionali e banche internazionali.

Grillo ha recentemente cercato di sfruttare l’ostilità della popolazione contro l’Unione Europea (UE) e ora chiede che l’Italia lasci la zona Euro. L’UE è giustamente vista da molti lavoratori italiani come uno strumento delle banche e forza trainante dietro le brutali misure di austerità.
Grillo sta chiaramente approfittando del vuoto esistente a sinistra. Il crollo dei tradizionali partiti dei lavoratori e dei sindacati, con il loro nazionalismo, il sostegno prestato ai diktat dell’UE e la controrivoluzione sociale perseguita dal governo Monti, spiegano perché un movimento territorialmente sparso ed essenzialmente retrogado come i “Grillini” abbia potuto beneficiare della rabbia crescente di larghi strati sociali.

Queste elezioni si sono svolte nel contesto di una crescente recessione. La produzione industriale, nel primo trimestre del 2012 è scesa del 2,3 per cento e il prodotto interno lordo (PIL) è diminuito dell’1,6 per cento. Molte aziende hanno già messo in atto licenziamenti di massa o chiuso per fallimento.
In un breve periodo di tempo le drastiche misure di austerità introdotte dal governo Monti hanno notevolmente peggiorato la situazione dei lavoratori. I tagli alle pensioni e l’aumento dell’età di pensionamento significano che migliaia di anziani dovranno aspettare più a lungo prima di poter percepire la pensione, rimanendo nel frattempo senza la minima possibilità di trovare un lavoro. Per loro la povertà diventa inevitabile.

Il tasso di suicidio è aumentato drammaticamente; sempre più lavoratori disoccupati e piccoli imprenditori decidono di togliersi la vita a causa della disperata situazione finanziaria. L’Associazione Artigiani, CGIA, segnala che più di mille persone si sono uccise l’anno scorso, il 25 per cento in più rispetto all’anno precedente. Quest’anno è molto probabile che le vittime aumenteranno.
Il numero ufficiale di disoccupati in marzo è stato di due milioni e mezzo; un incremento di mezzo milione di persone, pari a una crescita del 23 per cento rispetto all’anno precedente; e questa tendenza è in aumento. 

Nel solo mese di marzo 2012, il tasso totale di disoccupazione è aumentato del 2,7 per cento rispetto al mese precedente. Dal novembre 2011, dopo l’introduzione delle drastiche misure economiche da parte del governo Monti, la disoccupazione è aumentata vertiginosamente.
Quando nelle statistiche vengono inclusi i cosiddetti “inattivi”, ossia le persone in età lavorativa che non hanno cercato lavoro nel mese precedente, il numero ufficiale di disoccupati sale a 14,5 milioni di persone, pari al 36,7 per cento della popolazione in età lavorativa.

Nel marzo del 2012, 22.900.000 persone risultavano su libro paga, il che rappresenta un tasso di occupazione del solo 57 per cento per le persone tra i 15 ed i 64 anni. Per le donne il tasso di occupazione è inferiore al 50 per cento. Inoltre, il 36 per cento dei giovani fra i 15 e i 24 anni è ufficialmente disoccupato.

Queste cifre dimostrano la crescita di un’enorme tensione sociale sotto la superficie. I risultati delle recenti elezioni sono solo la prima indicazione di imminenti sconvolgimenti politici.

venerdì 25 maggio 2012

Sardinya ; A manca pro s'indipendentzia, il portavoce Sabino: «Attenti, l'Isola esplode»




una pentola a pressione, l'unica via d'uscita è l'indipendenza

«La Sardegna è una pentola a pressione. Ribolle di tensioni sociali». E come il vapore nella pentola, le aspirazioni dei sardi cercano vie d'uscita: secondo Cristiano Sabino, l'indipendenza è la via giusta. Nell'ultima puntata dei forum dell'Unione Sarda e Videolina, il portavoce di A manca pro s'indipendentzia espone la sua teoria: il cammino di liberazione dell'Isola, dice replicando ad altri leader della stessa area politica, non passa dalle alleanze con i partiti italiani.
E neppure dal referendum proposto da Doddore Meloni: «Ci sembra una fuga in avanti», riflette Sabino. «Sarebbe una prospettiva interessante, ma alla fine di un percorso. In Scozia l'Snp ha il 50% dei voti, ma si è rifiutato di votare già nel 2012 per staccarsi da Londra».
Farlo adesso, qui, danneggerebbe le vostre battaglie?«Temo di sì. L'indipendentismo ha fatto passi da gigante, ma reggerebbe una cosa simile? Ci vuole un'altra preparazione».
Ma se il referendum si farà, andrete a votare?«Affrontiamo i problemi quando si pongono. Per ora dico che c'è il rischio di bruciare uno strumento utile, se non hai alle spalle un radicamento culturale delle tue idee».
Eppure sembra che oggi tutti parlino di questi temi.«Vedo due approcci distinti: quello formale considera l'indipendentismo solo come una nuova forma giuridica, un passaggio di consegne tra governi. Per me invece è un processo storico di liberazione di energie. Economiche e sociali».
Esistono davvero, in Sardegna, queste energie?«Sì. La Sardegna è come imprigionata, bloccata dalla dipendenza economica».
Le ricerche dell'ateneo di Cagliari rivelano forti sentimenti identitari. Stupito?«No, i sardi nei momenti di crisi hanno sempre reagito riscoprendo le loro radici. Dal tempo dei giudicati fino al sardismo, dopo la prima guerra mondiale. Il problema è trasformare un sentimento diffuso in progetto politico. Molti pensano che, poiché c'è questo sentimento, i sardi voteranno indipendentista. Ma la storia non dice così».
E cosa dice?«Gli ideali illuministi nascono nel '700, ma la rivoluzione francese arriva solo a fine secolo. Prima si sperava nel dispotismo illuminato. Oggi i sardi si stanno riscoprendo sardi, ma hanno ancora fiducia che i partiti italiani risolvano i loro problemi. Gramsci diceva: il vecchio sta morendo e il nuovo non può nascere. In questo spazio nascono i fenomeni più morbosi e terribili».
A cosa allude?«A fenomeni ibridi. Forme di semi-indipendentismo».
Intende dire che nell'attenzione di tanti partiti ai temi dell'autogoverno c'è una forte dose di opportunismo?«Sì. Non metto in dubbio la buona fede. Ma parlare di sovranità senza indipendenza lo trovo un assurdo logico, giuridico e storico».
La sovranità è il nuovo slogan di indipendentisti come Gavino Sale e Claudia Zuncheddu.«La sovranità si ha quando c'è uno Stato. Lo ha detto anche la Corte costituzionale, bocciando la legge sarda sulla Consulta statutaria: autonomia e sovranità sono concetti opposti, dialettici».
Oggi l'indipendentismo non è maggioritario. Perciò si immagina un avvicinamento graduale, basato su “segmenti di sovranità”.«Va bene la gradualità. Ma quella strategia non la capisco. Se tutti vogliono i nuovi spazi di sovranità, da Cappellacci a Soru, perché non li creano? Perché è impossibile. Mi sembra una strategia impalpabile».
Quindi voi escludete alleanze con i partiti italiani?«Nella maniera più assoluta. La nostra strategia è solo la Convergenza nazionale indipendentista».
La Convergenza non è partita benissimo.«Però è partita. Ed è una novità. Varie sigle hanno lavorato per un anno, lontano da scadenze elettorali, producendo una carta che è il dna, il codice genetico dell'indipendentismo. Valori condivisi e proposte».
È un cartello elettorale?«Si vedrà. Diciamo che siamo disposti a ragionare con chiunque accetti quei valori e quelle proposte. Che non sono solo di A manca. Noi siamo un partito socialista, molto orientato su questioni di classe. Sono sicuro che se mi siedo con Sel a discutere un concetto di nazione non siamo d'accordo».
Proprio Sel ha proposto l'alleanza “sovranista”.«Sì, ma loro accolgono Napolitano col tricolore inneggiando al Risorgimento. Noi gli avremmo chiesto semmai perché non ci restituisce i soldi che ci deve».
E del Psd'Az, ritornato a posizioni nettamente indipendentiste, cosa pensa?«La storia dei sardisti è abbastanza noiosa: parte indipendentista, ricade nell'unionismo, recupera l'indipendentismo, ricade ancora. È ciclica».
Quindi nessun entusiasmo per il loro ordine del giorno, approvato dal Consiglio regionale, sulle ragioni della permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana?«È un segno dei tempi. Non parlerei di entusiasmo, ma è un testo interessante. Apre nuovi scenari. Ma non crediamo che dalle stanze dei partiti che l'hanno votato possa venire la libertà. Col Psd'Az può esserci dialogo se interrompe la connivenza con i partiti coloniali. Tutti, però. Non è che se si passa da Berlusconi a Vendola si è meno coloniali».
Allora il suo giudizio sarà negativo su tutte le Giunte regionali, di entrambi i poli.«È così. Anche se è vero che ci sono delle differenze, almeno tra le persone».
Ha votato ai referendum del 6 maggio? Secondo Bustianu Cumpostu, cancellare le Province è stata una vittoria indipendentista.«Non ho votato. Non erano referendum anticasta: Vargiu e i Riformatori sono proprio la casta. Portare a 50 i consiglieri regionali riduce gli spazi di democrazia, dà potere alla piccolissima cerchia di chi si può comprare l'elezione».
E le Province?«Non si poteva abolirle senza un'alternativa. I referendari stanno in Consiglio regionale: perché non hanno fatto le riforme, invece che spendere soldi per i referendum? Noi, quando ci candidammo alla Regione, proponemmo di ridurre gli stipendi dei consiglieri a 2.000 euro. Così sì, che si tagliano i costi della politica».
Nel passato di “A manca” ci sono arresti, accuse di terrorismo. Come li valuta?«È normale che uno Stato reagisca con violenza a un progetto di liberazione di una terra col 70% delle basi militari italiane, poligoni per cui lo Stato incassa canoni dalle altre nazioni. Logico che, si cerchi di demonizzare un movimento poco disponibile al compromesso».
Condividete il no all'uso della violenza per affermare l'indipendentismo?«I popoli hanno diritto a resistere e ribellarsi. Detto questo, abbiamo detto chiaramente che la nostra lotta si svolge alla luce del sole. In A manca non c'è mai stato neppure un dibattito sull'uso della lotta violenta. Vogliamo essere una forza popolare, non una nicchia di carbonari, e usare gli spazi democratici, fin quando esistono. Altri popoli hanno fatto altre scelte, legittime, che poi magari hanno rivisto».
Quando vi si dipinge come semiterroristi, vi dà fastidio?«Ci lascia completamente indifferenti»
«L'Italia ci regala soltanto carceri:
sui temi economici decidano i sardi»

Sabino, perché governandosi da sola la Sardegna dovrebbe fare meglio?

«Sfatiamo un tabù: indipendenza non è sinonimo di solitudine. Nessuno Stato vive isolato. Il problema è poter prendere le nostre decisioni economiche».
Chi ce lo vieta?«Siamo condizionati da un piano economico non deciso qui, e neppure in Italia».
Non amate l'Ue, vero?«Mai stati europeisti, mai creduto nell'euro. E poi è sconsigliabile entrare in una casa che sta crollando. Come si può essere indipendentisti ed europeisti? Da piccolo ho visto mio nonno espiantare la vigna perché lo diceva la Cee».
C'erano agevolazioni.«Sì, per non produrre. Bell'aiuto all'economia. Solo per tutelare i vini francesi. Guardiamo invece al Mediterraneo, alla Corsica. Nell'Europa non avremmo ruolo, quasi tutte le decisioni di Bruxelles ci danneggiano».
Invece se decide il ceto politico sardo va tutto bene?«Beh, quello che abbiamo non è un ceto sardo. È espressione diretta di quello italiano. Pd e Pdl, quando hanno un problema, chiamano il podestà, il commissario».
Se la Sardegna dovesse basarsi solo sulla sua fiscalità, secondo alcuni calcoli mancherebbero molti miliardi di euro per mantenere gli attuali servizi pubblici.«Quanto a servizi, lo Stato italiano se ne sta già andando dalla Sardegna. Dovremo fare da soli. A partire dall'agenzia delle entrate».
Come dice il Fiocco verde?«Sì, ma ridisegnando anche le aliquote. Oggi un artigiano sardo paga tanto, perché gli studi di settore sono disegnati per Milano».
Torniamo a quei calcoli.«Io non li ho fatti, ma Stati molto più piccoli della Sardegna gestiscono bene scuole, sanità e tutto il resto. E poi ci sono i soldi che lo Stato non versa alla Regione».
Però lo Stato realizza anche infrastrutture.«Sì, le carceri. Fatta 100 la media degli investimenti per infrastrutture in Italia, la Sardegna si ferma alla metà in tutti i settori: arriva al 220% solo per i penitenziari. Progetti blindati, noi non possiamo metterci becco. Anche la manodopera è esterna».
Voi quale modello di sviluppo auspicate?«La sovranità alimentare è uno dei punti cruciali. Siamo contro la grande distribuzione, e sosteniamo la lotta dei pastori per i mattatoi zonali: consentendo di vendere la carne in filiera corta, i mercati rionali abbasserebbero i prezzi e i consumatori avrebbero carne di qualità a costi ragionevoli. Un'altra proposta concreta è il polo di sovranità economica a Nuoro».
Di che si tratta?«Di una battaglia di A manca: anziché una nuova caserma costruita su terreni civici con 12 milioni di euro dirottati dalle scuole, chiediamo di utilizzare le risorse per strutture che ospitino prodotti tipici e biologici, macchine agricole, punti di ristoro, seminari di formazione sulla sovranità alimentare. Questo potrebbe dare posti di lavoro a Nuoro, non un po' di soldati che vanno al bar per il cappuccino».
Altri cardini della futura economia sarda?«L'artigianato. Quello sardo è tra i più ricchi al mondo perché lavora tutti i materiali, dall'oro ai cestini. Soru ha abolito l'Isola, che in effetti era un carrozzone: ma dopo sono venuti progetti manageriali costosi che non hanno portato niente agli artigiani veri. È un settore in totale abbandono».
Qual è la vostra posizione sull'industria?«Senza industria un popolo muore. Il problema è quale. Anche qui: dobbiamo decidere noi. I Paesi ricchi sono quelli che trasformano le materie prime. Noi lavoriamo solo quelle inquinanti. Abbiamo sabbie silicee di ottima qualità: la classe politica non ha mai pensato di lavorarle qui, di utilizzare i contributi per quello anziché per mantenere poli in crisi». 
È contro la chimica verde?«Abbiamo elementi per dire che sarà un inceneritore. Speriamo di sbagliarci. Ma non si può convertire tutta la produzione agricola a cardi geneticamente modificati».
E sul gasdotto Galsi?«Totalmente contrari. È una nuova servitù energetica. E una truffa: a chi giova? Non è previsto un piano di metanizzazione dell'Isola. Si dice che la rete costerà 4 miliardi, ma nessuno li ha finanziati». 
Col tubo arriva il metano, colmando una lacuna storica. La rete interna si può fare anche dopo.«Vent'anni fa Angelo Caria, un indipendentista, invocava il metano. Ma allora aveva senso. Ora in Algeria sono previste scorte per pochi anni: il Galsi doveva essere già finito e ancora non è partito, nel frattempo finiscono le risorse. Avremo tutta la rete quando non ci sarà più il metano».
Il tubo potrebbe funzionare anche nel senso inverso.«Non è scritto da nessuna parte. In ogni caso, non abbiamo deciso noi. È un affare per il gruppo Hera, grande azienda dell'energia in odore di Pd, fatta dalle municipalizzate emiliane. A loro conviene, hanno il gas e non la servitù di passaggio. È un favore ai comuni emiliani e al Pd».
Alternative energetiche?«Intanto smetterla di ragionare su monopoli che costruiscono dipendenza. Hanno ragione i pastori, chiedono di dotare ogni azienda di piattaforme energetiche autonome, fotovoltaiche o di mini-eolico. Non costerebbe più di 150 milioni di euro, quelli previsti per la legge sul golf».
L'indipendentismo spesso è ambientalista, e agli ambientalisti non piace l'eolico.«Io non mi definisco ambientalista. Non sono contrario all'eolico ma a questo eolico, che conviene solo alle multinazionali. E vale anche per il solare. Fanno campi eolici e fotovoltaici non per produrre energia ma per i certificati verdi, noi sardi non siamo padroni di quello che produciamo. Eppure abbiamo competenze, ingegneri. Spesso costretti a emigrare».
A proposito: che idee avete per l'istruzione?«In due anni la scuola ha perso 5.738 posti di lavoro, l'8% in meno, il tasso più alto d'Italia. Sproporzionato, perché il calo degli studenti è del 2,26%. E poi tagliare la scuola in un quartiere di Milano o in un paesino isolato non è lo stesso. Non è solo un fatto culturale: incide sul lavoro. In Sardegna il 32,6% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non fa niente: non lavora e non studia. In Europa la media è del 15%».
Le vostre proposte?«Investire, difendere le scuole, non valutarle come aziende. E poi rendere la scuola un luogo di formazione al lavoro. Soprattutto, sardizzare la scuola e l'università, che falliscono perché sembrano marziani caduti sulla terra».
Cosa significa sardizzare?«Copiare chi ha scuole di eccellenza. I programmi ministeriali non sono più intoccabili, in Trentino il 25% è legato a lingua e cultura locali. Poi c'è il tema del patrimonio archeologico: abbiamo 8-10 mila nuraghi, per non parlare del resto, ma danno lavoro a non più di 30 cooperative di giovani».
E sulla limba?«Quasi il 98% dei sardi parla o capisce il sardo. Utilizziamo questo dato per creare lavoro. Noi proponiamo un principio di “discriminazione positiva”: a parità di curriculum, si dia lavoro a chi ha raggiunto un livello B2 di sardo, che è un livello alla portata anche di chi non è sardofono».

mercoledì 23 maggio 2012

«Quirra, discarica di Stato e fabbrica di tumori»

 Elena LaudantelanuovasardegnaSassari, convegno con Domenico Fiordalisi, il procuratore che ha strappato il velo sui legami tra basi e inquinamento.
La premessa è d’obbligo: «Affronterò la questione in un quadro generale, visto che il mio ruolo di pm non mi consente di addentrarmi in aspetti specifici» dell’inchiesta sul Poligono di Quirra. Ma non può fare a meno di descrivere quanto accaduto nell’area interdetta come «un’attività di smaltimento di Stato».
Domenico Fiordalisi, il procuratore di Lanusei - da alcuni visto come «il giudice a Berlino» che squarcia il velo delle omertà, dai detrattori come magistrato sensibile alla ribalta - parla per la prima volta dall’inizio dell’inchiesta che ha fatto discutere. E rischia di costringere lo Stato a rivedere il rapporto di forza tra la Sardegna e la sgradita presenza militare. A partire proprio da Quirra. 
Divenuto “Un caso emblematico”, il titolo scelto dal Gruppo di Impegno politico e sociale per il convegno sul rapporto tra ambiente, salute e giustizia, discusso ieri nell’aula magna dell’Università di Sassari, così affollata da sembrare un palazzetto dello sport. Ospite di punta, Fiordalisi ha ripercorso anni di legislazione «inadeguata» per tutelare la salute in relazione al diritto ad un ambiente salubre. 
Seguito poi da Vincenzo Migaleddu, il presidente dei Medici per l’Ambiente, e Riccardo Cerri, docente di Chimica farmaceutica, con l’introduzione di Piero Mannironi, giornalista de La Nuova Sardegna che ha fatto da moderatore.
A una platea di cittadini, curiosi, operatori della Giustizia, ma soprattutto giovani studenti - alcuni dei quali prendevano appunti -, Fiordalisi ha fornito strumenti tecnici per comprendere come solo di recente, e grazie alla giurisprudenza delle allora preture, cioè dei giudici di provincia e di frontiera, la Legge si sia adeguata al sentire comune: la necessità, avvertita solo a metà anni Ottanta, di perseguire traffici di rifiuti, inquinamento di ogni tipo, avvelenamento delle falde. Per garantire un diritto che in realtà è tutelato dalla Costituzione. Ma non è riuscito a trattenere una valutazione, ilmagistrato calabrese, forse frutto dell’anno e mezzo di indagini sugli esperimenti bellici di Quirra, dal 20 giugno in un’aula di Tribunale. 
Affrontando il tema delle carenze normative sull’inquinamento dell’aria, ha detto: «Adesso parliamo di nanoparticelle come possibile pericolo nel Salto di Quirra, dopo che venivano distrutte - poi si vedrà nel contradditorio - e smaltite tutte le bombe e le munizioni obsolete dell’Aeronautica militare. 
Fatto non da poco. Se non avessi fatto intercettazioni o un’inchiesta, una vicenda così grossa, durata tra l’84 e il 2008, un’attività di smaltimento di Stato, fatto noto in alcuni ambienti istituzionali, forse non sarebbe emersa». Un fatto che nemmeno i primi giornalisti che avevano scoperto l’altissima incidenza di linfomi ad Escalaplano, ai primi del 2000, aveva immaginato. Mannironi ha ricordato come tutto sia nato proprio lì, da quel sindaco solo e inascoltato, Antonio Pili, medico e primo cittadino di Villaputzu, che per primo aveva denunciato pubblicamente «il 2 ottobre 2001, il caso dei linfomi di Quirra, poi attribuiti dalle istituzioni all’arsenico». Una versione oggi smentita, che Mannironi non ha esitato a definire «una forma di depistaggio», per i silenzi e le omissioni di chi doveva invece garantire la salute dei cittadini. 
Di silenzi non ne può più Rita Tilocca di Porto Torres, moglie di Natalino Delrio, operaio del Petrolchimico morto dopo quattro tumori. Così ieri ha ricordato: «I colleghi di mio marito non possono parlare perché perderebbero il posto. Ma io sì: voglio giustizia. Mio marito portava a casa pane imbottito di cancro. A noi dava il pane, lui si è tenuto il cancro».

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