sabato 16 giugno 2012

SARDINYA: Sovranità, opera in Progres; «Ora atti concreti di autodeterminazione»


Esponenti del movimento in molte giunte: «Ora atti concreti di autodeterminazione»


Sovranità, opera in Progres

Indipendentisti alla prova di governo delle realtà locali
Giuseppe Meloni
www.unionesarda.it




Adesso hanno la bicicletta. Gli indipendentisti volevano essere messi alla prova del governo locale: la prima occasione arriva dopo le elezioni amministrative. Specie per quelli di Progres-Progetu Republica, che piazzano alcuni eletti nei Comuni di seconda fascia (nelle grandi città l'appuntamento è ancora rimandato). E ora si candidano a ruoli di responsabilità nelle giunte.


GLI ELETTI
 Non sono grandi exploit, più che altro un'avanzata graduale. Progressiva, verrebbe da dire. Però riguarda un partito che fino a sedici mesi fa neppure esisteva. Due consiglieri eletti a Lanusei, nella lista del nuovo sindaco: uno è il leader di Progres, Salvatore Acampora, l'altro è Nadir Congiu. A Terralba c'è una performance personale clamorosa: Stefano Siddi, con 613 preferenze, è il più votato in assoluto tra i consiglieri eletti nei 62 Comuni che non andranno al ballottaggio. Solo ad Alghero qualcuno ha superato quella soglia, neppure sfiorata invece in centri come Oristano e Selargius: e dire che Terralba non arriva a 10mila elettori.
Nel centro dell'Oristanese, Progres dovrebbe avere addirittura due assessorati su quattro: oltre a Siddi toccherà anche ad Alessandro Murtas, che ha ottenuto 174 preferenze. La buona prestazione degli indipendentisti, nella lista del sindaco Pietro Paolo Piras, è completata dai 63 voti di Federico Putzolu.
C'è il marchio Progres a Oniferi, con Maurizio Caddori e Daniela Daga, mentre in liste civiche sparse qua e là ci sono nomi vicini al partito ma non ancora ufficialmente tesserati. E Frantziscu Sanna è il più votato di “Aristanis noa”, che a Oristano ha riunito le varie anime dell'indipendentismo fermandosi però poco oltre il 4 per cento.


LA RIVOLUZIONE 
È l'esito della svolta di un gruppo accusato, in passato, di essere troppo snob, non volendosi mescolare con altri partiti. Stavolta invece Progres non ha fatto liste in solitario, con propri candidati sindaci, ma ha disseminato i propri esponenti in progetti “civici” capaci di proporsi per amministrare le comunità locali.
In fondo è stata una presa d'atto di una realtà evidente: almeno per ora, l'indipendentismo di testimonianza da solo non vince. Omar Onnis, presidente del partito, la spiega così: «Noi non facciamo politica per il partito, ma per i sardi. Abbiamo scelto, scientemente, di partecipare come cittadini a progetti condivisi a vantaggio delle nostre città e dei nostri paesi».
Onnis parla di «contaminazione», ed è chiaro che contaminarsi comporta anche qualche problema. Per esempio le critiche per le intese con i partiti «italiani». «È proprio perché non crediamo all'indipendentismo settario», riflette il presidente di Progres: «Per cambiare la Sardegna bisogna partire dalle realtà locali. Vogliamo costruire pratiche di sovranità reale, per dimostrare che l'indipendentismo è in grado di assumersi responsabilità di governo e per creare la nuova classe dirigente che dovrà farsene carico».


LE PROPOSTE 
Aver partecipato «da cittadini» alle liste civiche non vuol dire, spiegano dal partito, che non si siano sviluppate linee comuni. «Tutti i candidati - precisa il segretario Acampora - hanno nei programmi gli incentivi per i prodotti a chilometri zero, a partire dalle mense scolastiche, in una filiera corta dell'agroalimentare; e poi l'esaltazione delle risorse storico-culturali dei territori, il turismo sostenibile, il plurilinguismo. Ora gli eletti, come primo atto concreto, proporranno il ritiro delle deleghe a Equitalia per il recupero dei crediti», altro impegno enunciato in campagna elettorale.
Ci sarà comunque un confronto continuo col partito tramite l'Istituzione nazionale sarda, cioè l'assemblea degli eletti di Progres. Che si affianca, nella non semplice articolazione interna, all'assemblea degli attivisti: questi ultimi sono 157 e a loro volta si distinguono dai circa 200 sostenitori perché hanno superato il percorso formativo che dà diritto a pagare i ben 60 euro dell'iscrizione («un modo per evitare che qualcuno compri pacchetti di tessere», spiega Acampora).
Regole bizzarre? Può darsi, ma Progres è un esperimento molto originale, quasi una democrazia diretta interna. Un po' la trasposizione politica dell'opera prima di un romanziere americano, Joshua Ferris, “E poi siamo arrivati alla fine”: scritta tutta alla prima persona plurale, con un “noi narrante” anziché un “io”. Anche Progres punta sul collettivo, in rifiuto del leaderismo: scommessa non facile da vincere, nel terzo millennio, e forse ancora più complicata da gestire dopo i successi elettorali. Ma hanno fortemente voluto la bicicletta, e sanno di dover pedalare assai.

mercoledì 13 giugno 2012

Sardinya: Michela Murgia «La mia estate Anni Ottanta e la scoperta del sardo plurale»

Celestino Tabasso
www.unionesarda.it


La scrittrice di Cabras racconta per Einaudi uno scorcio di infanzia sullo stagno «La mia estate Anni Ottanta e la scoperta del sardo plurale»
 Michela Murgia e “L'incontro”, da oggi nelle librerie
Un'estate allo stagno. Tre preadolescenti che vanno, sotto il solleone di Cabras, alla scoperta dell'amicizia e dell'appartenenza a un gruppo, a un quartiere, a una parrocchia. A una comunità.
E intanto si divertono, scherzano e si spaventano come dei Tom Saywer aromatizzati alla bottarga.
Si intitola “L'incontro” (112 pagine, 10 euro) il libro di Michela Murgia che Einaudi manda oggi nelle librerie e che l'autrice presenterà venerdì a Cagliari insieme a Francesco Abate nella biblioteca provinciale di Monte Claro, «perché è giusto andare nelle biblioteche, che oggi vivono un pessimo momento».


Michela Murgia, abbiamo consumato ettari di carta e fontane d'inchiostro per raccontare al mondo che il sardo è un solitario, un individualista, e lei scrive un romanzo su un ragazzino isolano che scopre il fascino del pronome “noi”.«Quella dell'individualismo è una leggenda nera e falsissima: la cultura sarda è coesa e comunitaria. Certo, ci piace molto descriverci come degli orsi delle caverne, ma è l'opposto della realtà. Giusto per fare un esempio: in nessun'altra regione d'Italia esiste un'associazione di librai, categoria di “singoli” per eccellenza. A volte non ce ne rendiamo conto, ma da noi regna il presente plurale».


Che cosa è?«Un verbo specifico che ho inventato per indicare quel fenomeno tipicamente nostro... che so, mi fallisce l'azienda e dico:“Eh, noi sardi non siamo imprenditori”, litigo con qualcuno e commento: “ Siamo sempre i soliti, pocos, locos y malunidos”, Marco Carta vince a Sanremo e andiamo tutti in estasi per il nostro trionfo. Insomma: il disastro del singolo è un fallimento collettivo, e il successo del singolo è il riscatto di un popolo. Dopo che ho vinto il Campiello, per strada i lettori italiani mi dicevano “brava”, i sardi mi dicevano “grazie”».


E dopo aver scoperto il “noi”, i tre amici del racconto arrivano a definire il “loro”: gli altri, gli estranei. È una metafora della misteriosa e vessatissima questione dell'identità sarda? Il sardo che si definisce a contrario, in quanto non romano, non italiano?«Il punto è quello, ma non è in questi termini che lo porrei. È pacifico che il sardo non è romano né italiano. La categoria dell'alterità è chiara, perfettamente comprensibile. Il problema è quando l'altro viene da dentro, non da fuori. Alla fine del libro dichiaro il mio debito verso l'antropologo Benedetto Caltagirone per il suo “Identità sarde”. La sua inchiesta lo porta a girare per il Barigadu - e non a caso sceglie un'area meno definita, meno nitida della Barbagia o del Campidano - alla ricerca del Cab'e Susu, il Settentrione. Nel primo centro gli spiegano che per arrivare al Cab'e Susu deve andare pochi chilometri più a Nord: è lì che comincia quella famosa area. Ma una volta arrivato gli spiegano che il Cab'e Susu comincia un po' più su, deve salire ancora un po'. E va avanti così, all'inseguimento di questo Altrove che è sempre altrove, fino a quando una vecchia gli spiega con più precisione degli altri: il Cab'e Susu è dove noi non siamo . È da questa scintilla che nasce il mio racconto».


Il differenziarsi.«Sì. Dentro una comunità si può essere tutti diversi ma il confine, il distinguo, non si nota finché qualcuno non si incarica di evidenziarlo».


Nel libro non c'è solo un'analisi, metaforica, dell'identità sarda e dei meccanismi di circoscrizione di una comunità. Il suo libro per qualche pagina fa resuscitare gli acquisti fatti su Postal Market, il ghiacciolo Lemonissimo, la benda di Capitan Harlock... Sembrava impossibile avere nostalgia degli orridi anni Ottanta.«Sono stufa di sentir dire che gli Ottanta furono orridi: sono stati anni meravigliosi che oggi vengono ingiustamente criticati, perché tutti attribuiscono a quel periodo pecche e guai nati in altri momenti. Io chiedo ufficialmente il riscatto degli Anni Ottanta».


Vabbè. E comunque per essere un'autentica estate Anni Ottanta, manca un elemento fondamentale.«Sarebbe?».
La tivù.«Perché, lei nelle estati degli Anni Ottanta guardava la televisione?».


Non si usava?«Ma quando mai. L'estate '80 funzionava così: compiti fino alle tre, massimo tre e mezza, e poi via in strada. C'erano da organizzare gli agguati con le cerbottane, bisognava scegliere il posto sui gelsi per gli appostamenti... Aveva voglia Bimbumbam a trasmettere cartoni animati: eravamo noi, i cartoni animati, e non c'era Paolo Bonolis capace di tenerci in casa».


Si dice che per far funzionare un racconto vanno benissimo il sesso e/o la violenza. Ma anche i topi, un bel branco di topi in agguato nel buio, funzionano alla perfezione.«Non so. Di sicuro è stata un'esperienza molto forte da vivere, più che da raccontare. Ma non ho sviluppato la fobia, ed è già qualcosa».


“L'incontro” si legge di slancio. Significa che è stato laborioso scriverlo?«È stato così. Anche perché, come dire, questa storia ha una storia. La trama l'avevo in testa da molto tempo, e quando il Corriere della Sera, più o meno un anno fa, mi chiese un racconto per una collana di inediti decisi di raccontare le vicende di quell'estate. Il fatto è che una volta arrivata al numero di cartelle che mi chiedeva il Corriere, mi resi conto che non avevo né il tempo né lo spazio per raccontare molte delle cose che avevo in mente. A quel punto ho consegnato quel che avevo scritto, anche se a malincuore, ma ho tenuto i diritti e dopo averne parlato con Einaudi ho ripreso in mano il testo e in qualche settimana ho reso giustizia ai personaggi scomparsi nella prima versione».

lunedì 11 giugno 2012

Sardinya: Accordo Podda-Granarolo .. addio ad un'altra eccellenza sarda

Sa Defenza pubblica due articoli "sull'esproprio" di una un'altra azienda sarda: il gruppo Podda, azienda di qualità, fagocitata da una società emiliana il gruppo agro-industriale  Granarolo; 
stessa sorte  a quella del Banco di Sardegna già fagocitato  anni fa da un'altro gruppo emiliano il gruppo bancario: Banca Popolare Emilia Romagna.

Enrico Pilia
www.unionesarda.it
Nasce una nuova società per la distribuzione dei formaggi realizzati a Sestu; 
Accordo Podda-Granarolo Latte, intesa commerciale con il colosso bolognese
Oggi alle 15, in uno studio legale al centro di Cagliari, la famiglia Podda e il direttore generale della Granarolo, Giampietro Corbari, si ritrovano per fondare una nuova società. Se l'accordo si dovesse chiudere positivamente, oggi sarà il primo giorno della Casearia Podda, la nuova compagnia del settore lattiero-caseario che sarà controllata al 65 per cento dalla Granarolo - il colosso nazionale del latte - e al 35 dalla Ferruccio Podda spa, la seconda società sarda del settore dopo la cooperativa di Arborea.
Nessuna cessione dell'azienda, nessun passaggio di consegne o di quote, tantomeno un passo indietro dei Podda: «Siamo felici per questa trattativa, pronti a firmare se riterremo che l'accordo sia vantaggioso per tutti», dice Sandro Podda, amministratore delegato della storica società del latte, nata nel 1952 grazie al padre Ferruccio. Quella piccola rivendita di latte sfuso oggi è un'azienda che fattura 15 milioni di euro, con una produzione di formaggi e un'elevata qualità dei prodotti che hanno suscitato l'interesse della Granarolo, che di milioni ne fattura 850 all'anno.

LE CRITICHE 
In un documento diffuso ieri pomeriggio, gli indipendentisti di A Manca hanno espresso forti critiche sull'accordo, chiamando in causa la classe politica che - secondo il testo diffuso via mail dal direttivo politico di A Manca - assiste senza muovere un dito allo shopping nell'Isola delle grandi compagnie nazionali: «Un colosso italiano dell'economia ci porta via uno dei prodotti di eccellenza della nostra economia».
Secondo Sandro Podda «niente di più sbagliato, la nostra azienda non perde pezzi né cede quote, l'accordo con Granarolo - se dovesse andare in porto - permetterà a noi di poter utilizzare nuovi canali commerciali e a loro di commercializzare il nostro formaggio pecorino, visto che oggi non è un prodotto che realizzano».

I DETTAGLI
 Ferruccio Podda e il figlio Sandro restano al comando della società sarda, mentre è proprio della “newco” Casearia Podda che si parlerà questo pomeriggio nell'incontro decisivo con il manager della Granarolo. Alla fine della cena, prevista in un ristorante di viale Regina Margherita, potrebbe esserci anche il brindisi alla neonata società. L'accordo commerciale prevede che l'immobile di Sestu rimanga alla famiglia Podda, che lo affitta nella nuova società. «La Granarolo non entra nella Ferruccio Podda». sottolinea l'amministratore delegato, «saranno i nostri prodotti a viaggiare di più». La produzione per “alimentare” il nuovo marchio cagliaritano spetterà ai Podda, mentre sarà la Granarolo a mettere a disposizione la sua imponente struttura logistica e le reti di distribuzione, sia per la Sardegna che per il resto d'Italia. La lettera d'intenti è stata già firmata, il faccia a faccia di oggi prelude a un'intesa storica.



GRANAROLO ACQUISISCE STABILIMENTI PODDA. ARBOREA SI ESPANDE. QUALI CONSIDERAZIONI?


Di Corda M. & Bomboi A. – Ass.ne U.R.N. Sardinnya.
http://www.sanatzione.eu/

Economia: 11 giugno, si chiude l’accordo Granarolo-Podda. La società italiana dovrebbe incorporare il 65% degli stabilimenti Podda SPA, lasciando ad Alessandro e Ferruccio Podda il 35% della seconda azienda lattiero-casearia dell’isola nata nel 1952.

La Podda conferirà la rete commerciale e di produzione alla Granarolo, mentre quest’ultima fornirà il servizio logistico e di distribuzione regionale all’impresa Sarda.

Partiamo da un presupposto, quando un’azienda locale diventa appetibile ad una più grande significa che ha ben operato e consolidato la propria rete commerciale nel territorio. I Podda hanno creato un eccellenza del settore che per qualità e fatturato (15 milioni di euro annui) si pone al secondo posto del mercato locale, dopo la 3A di Arborea.

Le fusioni e le acquisizioni vanno dunque valutate positivamente -a prescindere dalla nazionalità- quando puntano ad incrementare il proprio fatturato nel mercato (e possibilmente salvando tutti gli operatori coinvolti nella filiera). Ma una politica commerciale si valuta in base ai contenuti ed agli effetti che produce. Sotto questo punto di vista la linea dei Podda appare ben diversa dal gruppo 3A. Infatti, mentre la 3A nel 2012 ha avviato un piano di espansione commerciale nel nord Italia e quindi verso un nuovo mercato, i Podda hanno realizzato un accordo di segno inverso, perché sarà la Granarolo ad introdursi nel nostro mercato, con tutto ciò che consegue in termini di fatturato a vantaggio dei nuovi investitori italiani rispetto agli imprenditori Sardi.

Sarà inoltre opportuno valutare quali effetti avrà questo accordo nelle produzioni locali dell’ovicaprino, anche alla luce dell’acquisizione da parte del gruppo 3A di Arborea delle Fattorie Girau di San Gavino avvenuto a fine 2011, inedita partnership oltre il latte vaccino con le quali l’azienda arborense punta ad integrare il proprio fatturato annuo superando i 140 milioni di euro.

Quale politica commerciale si riserverà di adottare la Granarolo nei confronti dell’ovicaprino Sardo? E come intenderà porsi la Arborea nei confronti del colosso italiano appena entrato nel nostro mercato? Riteniamo sempre più attuale l’ipotesi di creare un Antitrust Sardo a garanzia della trasparenza, della libera concorrenza e della tutela degli operatori commerciali e degli utenti presenti sul territorio, al fine di evitare zone d’ombra che rischiano di danneggiare i generali interessi economici della Sardegna. Non è pensabile che il nostro sistema economico divenga preda di gruppi esterni senza trarne il minimo vantaggio in termini di espansione commerciale e solidità occupazionale. Elementi di cui la politica Sarda dovrebbe tenere conto in ragione del fatto che “essere italiani” per noi Sardi non significa nulla in termini di ricaduta economica per il territorio nel momento in cui il fatturato di un determinato settore esce dal nostro tessuto economico. Anche la zona franca avrebbe aiutato non poco.

Persino la 3A di Arborea, nonostante sia occupata ad espandere la sua penetrazione in nuovi mercati, risente dell’italianizzazione del suo brand rispetto al valore aggiunto della tipicità Sarda. Un esempio? Nella sua nuova politica commerciale, la Arborea non ha esaltato il “made in Sardinia” (peraltro inesistente sul piano formale), ma il “made in Italy”, e contrassegnando il suo restyling con il motto: “L’isola felice delle mucche”.

Chi ha illustrato il nuovo payoff aziendale? Luciano Negri, valido direttore di marketing ma che dimostra l’assenza di una imprenditorialità locale diffusa e dedita alla promozione del nostro valore aggiunto (anche in termini linguistici Sardi).
Naturalmente i responsabili di questo deficit di valorizzazione territoriale nel campo della formazione, del management e del marketing vanno ricercati nelle università Sarde, anzi, nelle università italiane di Sardegna.
L’assenza di una seria formazione territoriale è la punta dell’iceberg di un tessuto socioeconomico incapace di valorizzare e di incrementare l’efficacia della sua performance, consentendo dunque situazioni nelle quali l’imprenditore -in questo come in altri settori- non solo non è protagonista ma è subordinato al rango di chi è obbligato dal contesto ad accodarsi.

domenica 10 giugno 2012

SARDINYA: Maria Marongiu, Una vita per l'indipendentismo

Cristina Cossu
www.unionesarda.it




 Maria Marongiu, titolare dell'Alfa editrice: vorrei rifare Sa Republica sarda 


 Una vita per l'indipendentismo 


«Per la lingua sarda servirebbe una battaglia unitaria»




Maria ha ricordi bellissimi e una missione: difendere l'identità del popolo sardo. Per quasi quarant'anni ha combattuto accanto al suo uomo, con le parole, gli scritti, le manifestazioni, il teatro, l'attività nelle scuole, i festival. 


Poi lui se n'è andato, abbattuto dal cancro, e lei ha continuato a lottare. «Perché non possiamo affrontare il futuro se non partiamo dalle radici». 


Porta avanti, praticamente da sola, l'Alfa editrice, da un ufficio pieno di carte e di quadri all'ingresso di Quartu, stampa i suoi libri a Ortacesus, «dove c'è una bella tipografia», sta pensando seriamente di rifondare, almeno on line, Sa Republica sarda , giornale bilingue uscito dal 1977 al 2009, che ha ospitato articoli di Francesco Masala e Ugo Dessy, Giovanni Lilliu e Eliseo Spiga. Punto di riferimento politico per le idee nazionalitarie e indipendentiste, strumento di denuncia contro il colonialismo e la globalizzazione, sostegno alla diffusione della lingua sarda e alle battaglie per le minoranze, l'autodeterminazione, i diritti civili, l'emarginazione. 


Maria Marongiu è nata a Osilo cinquantotto anni fa, ha tre figli, suo marito, Gianfranco Pinna, è morto nel 2003 e la guarda serio da una grande fotografia appesa alla parete. Vicino, un ritratto di Bettino Craxi. «Collaborava con noi, usava lo pseudonimo di Edmond Dantes. Nel '93 Gianfranco pubblicò una serie di pezzi critici sull'operato della magistratura, contattò l'ex leader socialista che, secondo lui, rappresentava il simbolo dell'accanimento moralizzatore e dello strapotere delle procure rosse. Forte di queste convinzioni, diede vita a numerose iniziative che miravano a sensibilizzare l'opinione pubblica e a riportare l'Italia sulla via della giustizia e della verità. Poi, per la scomparsa di Craxi, l'editoriale si intitolava: “Ucciso come Matteotti”, un crimine di Stato». Posizione discutibile, ma tant'è, devozione pura.


Gianfranco. Lo ha seguito sempre e in tutto.«Era un giornalista e un editore eccezionale. Ma sopra ogni altra cosa era un attivista, ribelle e libertario».


Come vi siete conosciuti?«A Sassari, grazie ad amici comuni. Io ero giovane, avevo 21 anni, lui dieci di più. Gravitava nell'area della sinistra, poi si è avvicinato al pensiero di Antonio Simon Mossa ed è rimasto folgorato. Ci siamo sposati poco dopo, a Nuoro, nella chiesetta dell'Ortobene, i testimoni di nozze erano Bainzu Piliu e Giannino Guiso. Avevamo chiesto una cerimonia in sardo, il vescovo non l'ha concessa e il parroco ha dovuto dire messa in italiano. Allora il sardo, ufficialmente, nelle scuole, era tabù, se non si era criminalizzati poco ci mancava»

E così avete fondato il mensile “Sardigna”.«Alla fine del '76 uscì il numero zero della rivista, diretta da Gianfranco Pintore. Fu il prologo di Sa Republica sarda , pubblicata dal maggio '77, il direttore era Gustavo Buratti, intellettuale democratico e sensibile. L'obiettivo era di radunare sotto la testata, personalità della cultura, della politica, dell'economia».


Poi vi siete trasferiti a sud.«Sì, perché avevamo problemi di tipografia. Qui abbiamo iniziato a stampare a Tutto quotidiano , la tiratura media era di duemila copie, ma in alcune occasioni siamo arrivati a quota centomila». 


A quel punto, a Cagliari, è nata la casa editrice Alfa.«Pubblicavamo anche periodici indipendentisti, Iskra , Boge , e libri, come ora. Tanti libri, tre, quattro all'anno, saggistica etnica, romanzi, volumi di storia, manuali per gli studenti».


Ci racconti la militanza politica.«Nel 1982 Gianfranco, con Angelo Caria, Giampiero Marras e Bore Ventroni, promosse a Bauladu la riunione di tutte le organizzazioni politico-culturali anticolonialiste, nazionalitarie e indipendentiste dell'Isola, dalla quale scaturì il movimento Sardinna e Libertade . Al congresso costitutivo c'erano Fabrizio De André e Simone De Beauvoir».


E oggi, quale indipendentismo? Lei per chi vota?«Io sono amica di tutti, purtroppo la nostra maledizione sta nel personalismo. Ho apprezzato per le comunali di Cagliari la candidatura a sindaco di Claudia Zuncheddu, mi piace Cappellacci quando fa la flotta sarda e la messa in mora dello Stato in lingua sarda, usate per la prima volta in una rivendicazione. Queste battaglie devono diventare patrimonio di tutti: per l'uso della lingua dobbiamo fare quello che abbiamo fatto per le servitù militari».


Vive bene a Quartu?Ci sono tante Quartu diverse. Purtroppo il vuoto culturale è desolante, un tempo il fermento esisteva. La città è ricca di tradizione e di feste meravigliose, eppure non si riesce a promuoverle. C'è una sola libreria e la biblioteca non è considerata un servizio essenziale».

Sardinya; Su matessi de Catalunya: «Indipendenza, non finisce qui Il popolo sardo si pronuncerà»


Giuseppe Meloni 
www.unionesarda.it



«Indipendenza, non finisce qui; Il popolo sardo si pronuncerà» 


Spunta l'idea di consultazioni autogestite come in Catalogna 


Sarà un referendum alla catalana (ma senza cipolla, a differenza dell'aragosta). 
Nonostante la bocciatura del quesito proposto da Doddore Meloni, gli indipendentisti non rinunciano a chiedere ai sardi di pronunciarsi sull'ipotesi di una repubblica autonoma nell'Isola.
 E contano di prendere ispirazione da quel che hanno fatto a Barcellona e dintorni: dei referendum autogestiti, non ufficiali, organizzati da forze politiche e attivisti per portare la popolazione a pronunciarsi in favore dell'indipendenza o contro. 


L'IDEA 
È l'intenzione annunciata dallo stesso Doddore Meloni subito dopo che l'Ufficio regionale per i referendum ha respinto la sua richiesta di una consultazione sull'argomento. Ed è anche l'idea, seppur ancora embrionale, di altri movimenti indipendentisti. «Il referendum, in un modo o nell'altro, si farà», prevede Omar Onnis, presidente di Progres-Progetu Republica. Ovviamente, un'iniziativa autogestita - avendo un valore puramente politico - avrebbe successo solo con una grande affluenza popolare. In Catalogna hanno fatto così, hanno messo su banchetti e urne artigianali e chiamato a raccolta i cittadini. I voti in favore dell'indipendenza hanno superato il 90%, ma a dare grande forza alle consultazioni è stata la partecipazione straordinaria. Anche nell'Isola, una mobilitazione limitata a pochi manipoli di attivisti resterebbe velleitaria. Altro impatto avrebbe una folla in fila ai seggi. 


SENTIMENTI DIFFUSI 
Da questo punto di vista, Onnis è ottimista: «C'è forte interesse per questo tema. Lo dimostrano il recente sondaggio dell'Università di Cagliari, le 30mila firme raccolte dal Fiocco verde su una proposta di sovranità fiscale, e la stessa iniziativa di Doddore». Progres aveva espresso dubbi sull'opportunità della scelta di Maluentu, «ma la bocciatura di quel referendum - riflette il presidente - è opinabile anche sotto il profilo giuridico. Lo stesso Ufficio regionale non aveva obiettato alcunché ai dieci quesiti per cui si è votato un mese fa, eppure alcuni aprivano forti dubbi di legittimità: come quello contro le Province storiche previste dalla Costituzione e dallo Statuto speciale». L'ipotesi di referendum autogestiti sarà presto valutata dalle varie forze indipendentiste: «Ancora nulla di definito», precisa Onnis. «Comunque se i sardi vorranno l'indipendenza, prima o poi ci arriveranno, a meno che non siano bloccati con la repressione. La comunità internazionale riconosce il diritto ad autodeterminarsi». 


«SERVE UN PROGETTO» 
Qualche dubbio in più da parte di Salvatore Melis, segretario dei Rossomori: «Non crediamo all'indipendenza fatta coi colpi di mano. Non abbiamo firmato il referendum di Doddore perché riteniamo che, prima, vada costruito un progetto politico-istituzionale». A partire da atti di governo concreti: «Molti strumenti già sanciti dallo Statuto speciale», riprende, «come le zone franche e non solo, non sono stati mai attuati e non per colpa dello Stato, ma per nostre incapacità. Iniziamo ad appropriarci delle competenze su scuola ed energia, o di quelle dell'Anas, che assurdamente gestisce soldi regionali». 


«LIBERTÀ VIGILATA» 
Invece Claudia Zuncheddu (Sardegna libera) è d'accordo con chi guarda alla Catalogna o alla Scozia: «Il processo di condivisione sui temi dell'autogoverno e dell'indipendenza è democratico e popolare, comporta un ampio coinvolgimento di coscienze, persone e organizzazioni che promuovano una trasformazione culturale e politica». Ma la bocciatura del referendum di Maluentu «rappresenta un gravissimo attacco al diritto di espressione dei cittadini sardi. È una situazione di libertà limitata e vigilata». Anche dalla Zuncheddu arriva un richiamo al «diritto internazionale all'autodeterminazione. Di fronte alla crisi economica che vede la Sardegna sempre più piegata, impoverita e vilipesa, la classe politica italiana dimostra di aver paura che noi sardi possiamo fare a meno dell'Italia e autogestire le nostre risorse, creando benessere e prosperità per famiglie e imprese».

sabato 9 giugno 2012

Rivoluzione d'ISLANDA a RE-AZIONE


ISLANDA
By Deena StrykerDaily Kos
http://www.dadychery.org/2011/12/18/iceland-ongoing-revolution/



"Ci hanno detto che se abbiamo rifiutato le condizioni della comunità internazionale, si sarebbe divenuti la Cuba del Nord. Ma se avessimo accettato, ci sarebbe diventati la Haiti del Nord. "

Bandiere del Che e l'Islanda a proteste anti-austerity.

La storia di un programma radiofonico italiano, sulla rivoluzione in corso l'Islanda è un meraviglioso esempio di quanto poco i nostri media ci racconta il resto del mondo. 


Gli americani possono ricordare che all'inizio della crisi finanziaria del 2008, l'Islanda è andata letteralmente in bancarotta. I motivi sono stati citati solo di sfuggita, e da allora, questo poco conosciuto membro dell'Unione europea ricadde nel dimenticatoio. 


Da quattro anni in Islanda - quell’isola glaciale attribuita all’Europa, che riposa in mezzo all’Atlantico del Nord, con appena 300.000 abitanti - succedono cose interessanti e nuove che non appaiono sui media corporativi dell’Occidente, confermando la manipolazione inesorabile di cui l’umanità è oggetto per il controllo che, sui mezzi di stampa mondiali, esercitano la super-potenza e le oligarchie ad essa legate. 


 In Islanda non ha avuto luogo una rivoluzione sociale, ma è successo qualcosa di quasi altrettanto grave per l’alta gerarchia della finanza: una rivoluzione contro la tirannia delle banche capitaliste in un mondo globalizzato con radici che portano inesorabilmente a Wall Street. 


 Anche se, grazie alle sue centrali geotermiche, l’Islanda gode di grande indipendenza energetica, il paese dispone di scarse risorse naturali e la sua economia, dipendente per un 40% dalle esportazioni della pesca, è per questo molto vulnerabile. 


Come gli altri paesi europei, si era indebitata con la speculazione bancaria per vivere al di sopra delle sue possibilità reali nel sistema finanziario neoliberista spinto dagli Stati Uniti, ai quali ora l’economia reale sta presentando il conto 


Per far fronte agli effetti di una crisi devastatrice, quattro anni fa il suo governo nazionalizzò le principali banche del paese e, per rappresaglia, Londra congelò tutti gli attivi di 300.000 clienti britannici e 910 milioni di euro investiti nelle banche islandesi da amministrazioni locali e enti pubblici del Regno Unito. 


L’isola dovette investire 3.700 milioni di euro di denaro pubblico per rimborsare quei clienti. Con un debito bancario islandese equivalente a parecchie volte il suo PIL, la moneta perse valore, la Borsa sospese le sue attività e il paese andò in bancarotta. Proteste di massa davanti al Parlamento a Reykjavik, la capitale islandese, obbligarono nel 2009 a convocare elezioni anticipate che, a loro volta, provocarono le dimissioni del Primo Ministro conservatore e di tutto il suo governo in blocco. 


Un progetto di legge, ampiamente dibattuto in parlamento, ipotizzava di scaricare su tutti i cittadini dell’isola il rimborso alle banche britanniche e danesi del debito di 3.500 milioni di euro, che avrebbero dovuto essere pagati mensilmente per i prossimi 15 anni. La popolazione scese nelle strade chiedendo di sottoporre a referendum tale legge. 


Il Presidente non lo accettò e non la ratificò, nonostante che il progetto contasse su 44 dei 66 voti in Parlamento. Venne convocato il referendum e il NO al pagamento ottenne il 93% dei voti. 


Davanti ad una tale vittoria della rivoluziona pecifica islandese, il Fondo Monetario Internazionale congelò ogni aiuto all’Islanda finchè non si fosse risolto il problema del pagamento del debito. 


 Il governo dispose un’inchiesta per accertare le responsabilità della crisi e cominciarono gli arresti dei banchieri e degli alti dirigenti. L’Interpol emise un ordine di cattura e tutti i banchieri implicati abbandonarono il paese. 


In questo contesto viene eletta un’assemblea per redarre una nuova Costituzione, che raccolga le lezioni apprese dalla crisi e che sostituisca quella attuale. Per questo si ricorre direttamente al popolo sovrano, rappresentato da 25 cittadini senza affiliazione politica eletti tra 522 candidati proposti. 


L’assemblea costituente lavora dal febbraio 2011 ad un progetto di Charta Magna a partire dalle raccomandazioni raggiunte in varie assemblee celebrate in tutto il paese. Il progetto dovrà poi essere approvato dal Parlamento attuale e da quello che si costituirà dopo le prossime elezioni legislative. 


 La ripresa economica sperimentata dall’isola dopo essersi liberata dal carico parassitario del debito con le banche viene vista dalle cupole capitlistiche europee come un esempio pericoloso per paesi chiamati “morosi” come la Grecia e l’Irlanda. 


Soprattutto perchè i recenti successi che l’Islanda ha avuto hanno portato molti economisti a ritenere che sia stato proprio il collasso delle banche ciò che più ha favorito tali successi. Non solo perchè l’economia islandese non è crollata con la soluzione alla crisi del non pagamento del debito, ma perchè il 2011 si è chiuso con una crescita del 2,1% che diventerà dell’1,5% nel 2012, cifra che triplica quella dei paesi della zona euro. 


Gran parte di questa crescita si basa su incrementi produttivi, principalmente nel settore turistico e nell’industria della pesca. Ciò contrasta con il quadro che mostrano altre economie europee, rallentate o in declino. 


L’Islanda ha dimostrato che, con il recupero della sua sovranità, giustizia e dignità sono andate di pari passo. Politici e banchieri corrotti sono stati processati. E, quale riaffermazione della sua indipendenza, l’Islanda è diventata – lo scorso ottobre – il primo paese europeo a riconoscere la Palestina come nazione indipendente, qualcosa che nessun paese sottomesso al giogo della banca internazionale capitalista ha potuto fare.

Bustianu Cumpostu: «Non era il momento giusto»

Bepi Anziani
www.unionesarda.it


Per il leader di Sni, Bustianu Cumpostu, l'iniziativa referendaria era prematura «Non era il momento giusto» 
 Ma per Sardigna Natzione è l'ennesimo sopruso ai sardi
«L'indipendentismo sta diventando un concetto collettivo, un qualcosa di accettabile. Ora è il momento di fare un salto in avanti e farlo diventare un concetto delegabile, la vera alternativa ai partiti italiani». Bustianu Cumpostu ha appena lasciato la scuola nuorese dove insegna ed era impegnato nei primi scrutini di fine anno ma si ferma senza indugio a parlare di Sardegna, indipendentismo, zona franca e della dichiarazione di non ammissibilità della proposta di referendum della Repubblica di Malu Entu da parte dell'ufficio regionale.
«Noi non eravamo d'accordo con Doddore Meloni -dice il leader di Sardigna Natzione - non nella sostanza naturalmente ma perché non era il momento per proporre il quesito referendario. L'indipendenza è un lavoro collettivo, dove è necessario il coinvolgimento di tutto il popolo sardo. L'iniziativa di Doddore ci è sembrata pericolosa per l'indipendentismo, sbagliata nella forma e nei tempi».
Quindi alla fine è meglio che l'iniziativa non sia andata avanti...«Non dico questo. Dico solo che oggi non si poteva aspirare a raggiungere il risultato sperato che è poi quello di allargare la schiera di coloro che ci credono. Ciò non toglie che la mancata ammissibilità del referendum sia l'ennesimo sopruso dello stato italiano nei confronti del popolo sardo che non è nemmeno libero di esprimere un parere su un tema così importante».
Come è possibile oggi immaginare di conquistare per la Sardegna l'indipendenza dall'Italia?«È possibile solo attraverso quella grande invenzione che si chiama Europa. I sardi non devono trattare con l'Italia, ma porsi come interlocutori delle altre nazioni europee. Tutto ciò che un tempo era guerra oggi è politica. Tutto ciò che prima si conquistava in battaglia oggi si conquista attraverso la possibilità data al popolo di esprimersi tramite i suoi rappresentanti nelle istituzioni. La Sardegna è più Europa che non Italia. L'Italia è per noi una gabbia che ci separa dall'Europa e dal Mondo. L'indipendenza della Sardegna non arriverà da una contrattazione con l'Italia. L'Europa deve portare la questione delle nazioni senza stato sullo stesso tavolo dove si risolvono pacificamente le questioni tra stati-nazione».
«Se si vuole costruire un'Europa moderna» riprende Cumpostu, «basata sulla libera adesione e condivisione dei popoli che ne fanno parte sarà necessario riconoscere le rivendicazioni d'indipendenza delle nazioni senza stato e riconoscere loro una soggettività indipendente».
Ma se la politica non è stata capace nemmeno di mettere in piedi un modello di zona franca o di vantaggi fiscali per la Sardegna come è possibile che ora possa favorire una spinta indipendentista?«Guardi, io penso che un modello tradizionale di zona franca applicato dallo stato italiano alla Sardegna possa essere addirittura improduttivo per il nostro popolo. Noi siamo più per un sistema misto di zona franca e punti franchi attraverso il quale possano essere superate le molte disparità che esistono fra la Sardegna e l'Italia e fra le diverse zone della Sardegna. Un punto franco in una zona agricola dell'interno porterebbe una fiscalità di vantaggio enorme. Pensate se potesse produrre esclusivamente per l'industria turistica costiera. Quel poco di ricchezza che esiste nell'isola è concentrato vicino al mare. Le zone dell'interno devono quindi essere aiutate a superare questo gap con l'introduzione di uno strumento come il punto franco».
Una battaglia per la quale l'appoggio del Consiglio regionale e della Giunta sarebbe indispensabile.«Sì. Ma non ci possiamo contare troppo. Noi con la Regione abbiamo solo rapporti di carattere istituzionale. Abbiamo avuto piacere che il presidente Cappellacci abbia condiviso con noi la battaglia per il referendum sul nucleare ma per il resto non ci sentiamo coinvolti. Per noi che alla guida della Regione ci sia il centro destra o il centro sinistra è assolutamente indifferente. L'indipendentismo non può essere che laico, qualsiasi forma di indipendentismo confessionale è incompatibile con gli interessi della nazione che dell'indipendentismo vuole fare strumento di liberazione nazionale».
Di conseguenza siete anche indifferenti al dibattito di questi giorni in Consiglio regionale che vede duramente contrapposte le diverse anime del Pdl ed il Presidente Cappellacci?«È un teatrino. Tentano di far cadere la giunta Cappellacci per poter votare ancora con la legge elettorale in vigore, in modo da non perdere nessuno dei privilegi legati al vecchio schema a cominciare dalla spartizione delle poltrone».

Commenti :
ProgReS

«Allarme democratico nell'Isola»

La bocciatura del referendum di Maluentu è «negativa», e «deve suscitare un allarme democratico nei sardi». È la posizione di Progres, che pure aveva «a suo tempo espresso dubbi sull'opportunità» dell'iniziativa, ma aveva anche «preso atto con soddisfazione della riuscita della raccolta firme. Preoccupa la denegata democrazia da parte dell'Ufficio dei referendum, che ha agito in termini politici».


venerdì 8 giugno 2012

Doddore Meloni: «Indipendenza, si va avanti»


Fabio Manca
Parla il fondatore della Repubblica di Malu Entu dopo la bocciatura del suo quesito 
 «Indipendenza, si va avanti» 
 Meloni: un no politico, faremo votare comunque i sardi
«È una decisione politica e anticostituzionale contro la quale ricorreremo in tutte le sedi. Non solo: faremo comunque un referendum informale girando la Sardegna in lungo e in largo per chiedere ai sardi che cosa vogliono fare. Spero abbiano un moto d'orgoglio e si ribellino allo Stato arrogante e tiranno».
Doddore Meloni ha appena ritirato la copia della delibera dell'Ufficio regionale del referendum che mercoledì ha dichiarato non ammissibile il quesito consultivo proposto dal suo movimento che chiedeva ai sardi se volessero l'indipendenza. Dopo aver letto le motivazioni, il leader di Malu Entu è ancora più convinto della battaglia che ha intrapreso. 
Secondo Giangiacolo Pisotti, Vincenzo Amato, Tito Aru, Antonio Contu e Gabriella Massidda «la materia...non può essere oggetto di referendum consultivo» perché «...contrasta con l'ordinamento generale e i principi fondanti della Repubblica» e «...con l'articolo 5 della Costituzione in cui si afferma che la Repubblica è una e indivisibile». Inoltre, sostiene l'Ufficio, «...non è consentito sollecitare il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modifiche costituzionali...».


Si aspettava la bocciatura?«No, perché si tratta di un referendum consultivo in cui chiediamo ai sardi che cosa sperano per il loro futuro. L'ufficio elettorale ha preso una decisione politica».
Eppure nella motivazione della decisione è chiaro il riferimento alla Costituzione?«Le valutazioni in materia di costituzionalità non dovevano nemmeno essere fatte. La legge regionale sul referendum all'articolo 7 stabilisce che l'ufficio deve verificare se le firme sono in regola e svolgere una funzione neutrale prescindendo da qualunque considerazione politica».
Quindi a suo avviso l'ufficio è andato oltre le sue competenze?«Certo, noi chiedevamo solo un parere. Se ritengono incostituzionale il quesito si rivolgano alla Corte costituzionale».
Lei sa bene che la Repubblica Italiana è una e indivisibile.«Sì, anche se non capisco, visto che siamo un'isola separata dall'Italia da acque internazionali. In ogni caso noi facciamo riferimento alla legge di ratifica della Carta delle Nazioni Unite del '57 e al Patto di New York del '66 che sanciscono il diritto di autodeterminazione dei popoli».
Ma prima c'è la Costituzione.«L'articolo 80 della Costituzione dice che le Camere devono recepire i trattati ratificati anche se comportano variazioni territoriali».
Alle Carte da lei citate ha fatto riferimento la Catalonia?«Esatto. Di recente il Parlamento europeo ha deciso che la Catalonia ha diritto all'indipendenza, che avrà anche la Scozia dal 2014. I Fiamminghi in Belgio hanno votato per la loro indipendenza, Malta, Cipro, la Slovenia, il Montenegro l'hanno ottenuta. Potrei citare molti altri esempi, dal Quebec alle tribù pellerossa che quattro mesi fa hanno ottenuto dalla Corte suprema degli Usa la restituzione delle loro terre e una provvisionale di 3,5 miliardi di dollari. L'ultimo caso è quello della Groenlandia che a metà 2011 ha ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca».
Ora che cosa farete?«Innanzitutto ricorreremo al tribunale internazionale per i diritti dell'uomo e al tribunale civile contro un arbitrio dello Stato italiano contro il popolo sardo».
Poi?«Faremo comunque una consultazione raccogliendo pareri in tutti i Comuni della Sardegna, non abbiamo bisogno di nessuna autorizzazione. Poi da martedì ci metteremo in marcia partendo da Carbonia, una delle zone più disastrate della Sardegna e considereremo virtualmente indipendenti tutti i luoghi dove passeremo».
Sente anche lei spirare un vento indipendentista?«Sì, e penso che se questa volta i sardi non si muovono rischiamo di retrocedere verso il quinto mondo». 
E i politici?«Il Consiglio regionale deve insorgere e Cappellacci si deve dimettere».
Perché?«Perché è stato lui a nominare i membri dell'ufficio elettorale che hanno bocciato il referendum facendo valutazioni politiche anziché limitarsi a verificare la correttezza formale delle firme».
Secondo lei il Consiglio, da cui emerge una sempre più diffusa insofferenza verso i soprusi dello Stato, la sosterrà?«Una presa di posizione politica forte sarebbe importantissima. Spero che si mettano d'impegno per legiferare in materia. Non vedo perché possiamo farci una nostra legge elettorale e non possiamo esprimerci su questo referendum».
I sardi la sosterranno?«Spero che abbiamo un moto d'orgoglio. Combatto da trent'anni per l'indipendenza e mi sembra che non ci siano stati momenti più propizi per tirare fuori la testa. Ora o mai più».


I commenti:


Sni (Sardigna Natzione Indipendentzia) 
Bustianu Cumpostu«Non ci fanno esprimere»
«I sardi non possono neanche esprimere un parere di libertà perché le chiavi della gabbia italiana le possiede solo l'Italia: sono l'articolo 5 della Costituzione Italiana e l'imposto articolo 1 dello statuto sardo». Lo sostiene Bustianu Cumpostu. Ma il leader di Sni ribadisce le critiche a Meloni per la sua corsa solitaria. «L'indipendenza è un lavoro collettivo, solo così Sni è disponibile portarlo avanti».

Psd'az  (Partidu Sardu-Partito Sardo d'Azione
«Serve una reazione d'orgoglio»
«L'Ufficio regionale del referendum certifica ancora una volta il rapporto di subalternità e di sudditanza in cui è costretta la Sardegna alla quale è impedito di esprimersi attraverso lo strumento democratico del voto». Lo sostiene il segretario del Psd'az Luigi Colli, secondo cui «il processo di indipendenza non può prescindere da un profondo coinvolgimento di tutti i sardi ed ancor prima da una condivisione politica».

LA RUOTA PER CRICETI E LA LINGUA SARDA


LA RUOTA PER CRICETI E LA LINGUA SARDA



Mentre i gruppuscoli indipendentisti ( per non parlare di chi è in Consiglio regionale di ogni partito) corrono nella loro personale ruota per criceti, nel Parlamento italiano si sta ratificando la Carta delle lingue europee che, discriminando ferocemente la lingua sarda non riconosce nei fatti la minoranza linguistica sarda trattata da serie C rispetto a quelle dell'arco alpino ( escluso il friulano egualmente discriminato ).
Questa discriminazione ha un valore politico internazionale che disconosce alla radice la SPECIALITA' della QUESTIONE SARDA.

Tarpa le ali all'applicazione della Convenzione quadro sulle minoranze nazionali e nazionalità del Consiglio d'Europa che riconosce ( contrariamente alla Costituzione italiana che considera solo le minoranze linguistiche ) i sardi come componenti la Nazione sarda.

E siccome solo chi non approfondisce che il diritto di autodeterminazione è il DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE NAZIONALE e che l'INDIPENDENZA è una delle OPZIONI dell'esercizio di questo diritto, si riempio la bocca di un suono cioè la parola INDIPENDENZA, senza riempirlo di contenuti e quindi dare vero valore politico a un messaggio di libertà accessibile ai sardi.

Anzi c'è anche chi si definisce indipendentista adornandosi del massimo piumaggio indipendentista ma è contrario al nazionalismo sardo di libertà , quindi alla nazione sarda e alla lingua sarda quale sua maggiore caratteristica aprendo le porte alla santificazione della lingua italiana non come lingua dello stato ma come una lingua nazionale dei sardi facilitando l'assimilazione.

Diritto d'autodeterminazione può anche voler dire MAGGIORE E MIGLIORE AUTONOMIA, vuol dire anche aumento della SOVRANITA' e quindi pure gli autonomisti o i nuovi SOVRANISTI dovrebbero battersi per la lingua sarda perchè anche nel loro caso il riconoscimento vero della lingua sarda, la sua costituzionalizzazione con l'inserimento in un nuovo Statuto di sovranità della lingua sarda sarebbe garanzia di applicazione dei loro propositi istituzionali e politici.

Eppure basta leggere la proposta di legge di ratifica della Carta delle lingue approvata in Commissione per capire al volo che non solo si pone un ostacolo insormontabile a modifiche costituzionali di riconoscimento dei diritti politici della nostra nazione, ma si bocciano tutti i presupposti per l'insegnamento della e nella lingua sarda in tutte le scuole, del suo uso paritetico e normale veramente efficace nei media e nella giustizia e in tanti altri settori ancora.

Lo Stato italiano, nel silenzio di tutti i parlamentari sardi, ma anche dei consiglieri regionali e della Giunta, dei partiti indipendentisti in Consiglio regionale e fuori di esso, di amanti di Storia patria sarda, di fantasie Shardaniche, dell'ecologia isolana, di ballerini in tondo, cantanti a tenores o con la chitarra elettrica, di poeti, scrittori e affabulatori che “ a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche” , sta ratificando la soluzione finale per la lingua sarda, trasformando in cappio la corda tesa dal Consiglio d'Europa per salvare la lingua sarda dall'affogamento nello stagno italiano e tutelare l'identità nazionale dei sardi.

Malgrado le affermazioni di sardità e di fedeltà alla lingua dei padri nella cosiddetta area indipendentista sarda c'è una sordità costante, una accidia sostanziale, una ignoranza dei veri termini della questione, un rifiuto sostanziale ad affrontare per le corna la questione linguistica sarda come fatto politico precondizionante ogni programma di libertà strategico e sopratutto tattico di sovranità.

La battaglia per la lingua sarda, come diritto collettivo, come diritto civile e umano degli abitanti la Sardegna, non viene concepita come invece è l'unica ipotesi rivoluzionaria e pacifica e non violenta, spendibile in campo internazionale.

Non viene neanche assunta come proposta che prefigura non solo un ottenimento di diritti politici costituzionali di sovranità col passaggio dall'Autonomia all'Indipendenza, sopratutto come garanzia di un rovesciamento dei poteri interni alla Nazione sarda, che sconfigga i ceti Compradores italianizzati e facendo emergere nuovi soggetti politici sardi nazionalisti, unici capaci di porre mano col piccone alla dipendenza istituzionale, economica, culturale e alla autocolonizzazione imperante in ogni campo della nostra società.

Girano in tondo, ognuno nella propria ruota organizzativa, come criceti dell'Autonomia malgrado correndo in tondo dentro la gabbia colonialista emettano vaghi suoni indipendentistici, dimenticando di lottare veramente per la lingua dei sardi.

Se esiste una responsabilità da parte dei poteri coloniali, esiste anche una responsabilità per omissione. Se sarà ratificata così come si può leggere nel sito del Parlamento , commissione esteri, sarà responsabilità anche di chi non ha fatto nulla per impedirlo, anzi non ne sapeva proprio nulla..impegnato a correre sulla ruota..

Per chi voglia documentarsi...



UN COMMENTO 
di Sa Defenza

..condivido pienamente l'analisi dei comportamenti descritti da Mario, e lo ringrazio della franchezza con cui tratta l'argomento; ho visto , ho notato anch'io quanto rimproveratoci e la incapacità che regna dentro le fila dell'indipendentismo  ove io milito e mi assumo anch'io la mia parte di colpa e mi aspergo di cenere il capo e devo vestire il saio di juta per essere asperso di umiltà, a motivo della mia apatica rinuncia alla lotta per il cambiamento del movimento; spesso, comunque  è visibile, latente, la sirena del mettersi in mostra nella vetrina dell'ego, anzichè  avere gli oneri e gli onori dovuti dall'azione; azione profumata dall'amore per la nostra terra; invece di agire e darsi una struttura per organizzare diffusamente indipendenza politica ed economica, stiamo sonnecchiando,  e come detto da Mario ci scordiamo l'importanza della nostra amata lingua.


 Nel passato in questa terra di Sardinya, a differenza dell'oggi, si vedeva fortemente come la nostra terra fosse  piena di passioni di profumi pieni di lotta, di onore ancestrale dei nostri padri,  di amore forte sudato e gridato che emerge dall'agire, del nascente movimento di giovani idealisti de su populu sardu. 
Io stesso negli anni settanta giovinetto di appena diciasette anni in su disterru  già da oltre dieci anni incontravo questo  fermento,  che vi stavo appena descrivendo, della lingua mia a me semi-sconosciuta; io che vivevo in uno dei tanti hinterland del milanese pregni di tristezza e puzzolente odore di smog e nebbia malsana in un  grigiore da Grande Fratello  "1984" di memoria Orwelliana,  dentro una fabbrica molto sindacalizzata in principio non dai sindacati della triplice, bensì, dall'autonomia della classe operaia in un turbinare di fermento intellettuale ed espressione  di sovranità, all'Alfa Romeo incontro un compagno un patriota sardo, con barba fulva e un pò di piazzetta appena accennata, era un uomo pieno di passione per la nostra terra e mi portava questo inebriante profumo attraverso il giornale "Su populu sardu", ne  ero affascinato nel vedere  una lingua sarda scritta, lingua che mi apparteneva sebbene non parlata ne  mai insegnata . Un ricordo bellissimo di militanza gagliarda, guardata con occhi di chi non aveva ancora una piena consapevolezza in se del progetto della sovranità in terra sarda, come  proponeva il giornale che mi veniva dato in fabbrica, vivevo in un luogo che non mi apparteneva, e grazie a ciò che leggevo  mi nasceva e instillava il desiderio di tornare alla mia antica PATRIA sarda. 


Voglio rammentare agli amici, ai patrioti, ai fratelli e ai compagni ai sardisti agli indipendentisti o ai sovranisti, quanto fosse importante per lo stesso Gramsci, uomo che sappiamo tutti come fosse ideologo del partito comunista, ciononostante mostrò quanto fosse  legato alle sue origini alla sua terra ed alla sua lingua. 


Seguiamone l'esempio nel ricordarne i suoi  scritti, quando riconosce l'importanza della lingua natzionale sarda: "In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino piú lingue, se è possibile." 


A. Gramsci, Lettera a Teresina, 26 marzo 1927

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