venerdì 21 giugno 2013

ULTIME DAL MES: STATI E RISPARMIATORI DEVONO PAGARE LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE

ULTIME DAL MES: STATI E RISPARMIATORI DEVONO PAGARE LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE
DI PIERO VALERIO
tempesta-perfetta.blogspot.it



E voi direte, ma cosa c’è di nuovo sotto il sole? E’ dall’inizio della crisi dell’eurozona che governi e contribuenti pagano per il salvataggio delle banche e attraverso la manipolazione mediatica la cosa ormai è diventata una prassi comunemente accettata. La novità però questa volta è che i tecnocrati di Bruxelles, in vista del prossimo Consiglio europeo di fine mese, hanno messo nero su bianco su un documento ufficiale regole, metodi, cifre, vincoli per descrivere come si deve svolgere l’intero processo, lasciando poco spazio all’improvvisazione e all’immaginazione. In pratica i criminali hanno finalmente confessato la loro colpa, sperando negli effetti terapeutici dell’outing e spiegando chiaramente agli europei quanto ancora devono pagare (e si tratta di cifre da capogiro) per tenere in piedi l’idiozia dell’euro

Qualcuno diceva che il miglior modo per nascondere la verità, è renderla palese e visibile a tutti. Ecco, confidando nella nostra incapacità di interpretare gli eventi e capire la realtà che ci gira intorno, pare che i tecnocrati e i politicanti europei abbiano decisamente intrapreso questa strada. 

Ma vediamo come funzionerà l’ennesimo meccanismo infernale messo a punto da tecnocrati e banchieri per distruggere la democrazial’economia reale, la coesione sociale. Già sapevamo che gli accordi del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, prevedevano al loro interno, oltre al sostegno diretto agli stati (che serviva poi a finanziare le banche in difficoltà, vedi il caso Irlanda, Spagna e Cipro, o a pagare i creditori francesi e tedeschi, vedi il caso Grecia e Portogallo), anche la possibilità di ricapitalizzare le banche “zombie” dell’eurozona. Ora conosciamo i termini in cui avverranno queste operazioni di ricapitalizzazione, e vi anticipo già che saranno ancora dolori, lacrime e sangue per tutti i contribuenti, che già hanno dovuto una prima volta pagare e stanno ancora pagando per mettere in piedi la trappola del MES. Insomma nell’eurozona, fra mille indecisioni e tentennamenti, di una cosa possiamo sempre essere certi: la socializzazione delle perdite bancarie e la privatizzazione dei profitti non è più una raccapricciante anomalia dovuta all’emergenza ma la prassi, lanormalità, la forma principale di “buon governo” dell’economia e della finanza. E siccome, come abbiamo anticipato, i capitali necessari per salvare l’intero settore bancario fallitoraggiungono a spanne numeri ciclopici, non sappiamo quanto saranno ancora bravi gli europei a reggere l’urto e capaci di bere l’amaro calice. E’ davvero così difficile capire che ciò che sta accadendo in Europa corrisponde alla più grande espropriazione collettiva di ricchezza mai avvenuta nella storia dell’umanità? 

Prima però di analizzare nei dettagli il piano micidiale, vediamo da cosa nasce tutto l’affanno e la fretta con cui i tecnocrati sono arrivati a concepire il documento e le procedure incriminate. In Europa, per usare una metafora, c’è un vero e proprio iceberg gigantesco che giace nella profondità degli abissi, nel più assoluto riserbo e silenzio degli addetti ai lavori, e solo sporadicamente emerge in superficie: il credito in sofferenza delle banche (in inglese bad loan o NPLNon Performing Loan). In pratica una parte sempre più ingente e in continuo aumento degli attivi di bilancio delle banche è ormai inesigibile o incagliato, perché il debitore (che sarebbero poi i privati mutuatari, le aziende, i governi e le stesse banche) è fallito o è tecnicamente insolvente. Questo processo vizioso, simile ad un enorme cane che si morde la coda, come sappiamo è stato innescato dalle misure di austerità imposte a tutta l’Europa per salvare proprio le banche: i governi tassano i cittadini e le aziende, tagliano le spese pubbliche, rastrellano capitali da destinare al settore bancario, ma così facendo deprimono l’economia, costringono al fallimento i debitori privati e le banche alla fine hanno più danni che benefici dalle politiche rigoriste, perché se da una parte ricevono capitali freschi dai governi, dall’altra perdono sempre di più la possibilità di recuperare i crediti pregressi contratti con il settore privato. L’immagine del colapasta è forse quella più efficace per descrivere il fenomeno: la liquidità arriva abbondante dall’alto ma se ne va subito attraverso i buchi (di bilancio) che intanto si aprono in basso. Ma di quali cifre stiamo parlando? 

Arrivati a questo punto la faccenda diventa sempre più nebulosa e confusa, perché grazie alla complicità che esiste fra gli organismi di vigilanza europei (BCE, banche centrali, EBA) e le stesse banche, è molto difficile e complicato se non impossibile capire quanto ci sia di vero e di falso nei bilanci bancari. Secondo alcune stime, il totale del credito in sofferenza nell’eurozona ammonta a circa €720 miliardi, di cui €500 miliardi relativi alle banche della periferia. Il calcolo però è molto approssimativo perché si riferisce soltanto a ciò che viene riportato pubblicamente sui bilanci bancari e all’andamento aggiornato periodicamente dell’indice NPL delle banche, che come si può notare dal grafico sotto, soprattutto nelle periferia più colpita dalle misure di austerità, ha avuto una progressione esponenziale in questi ultimi anni, con una media di incremento del 2,5% l’anno. A causa del meccanismo perverso descritto in precedenza, per l’Italia attualmente l’indice NPL è arrivato a sfiorare punte del 13,4% sul totale degli attivi bancari, raggiungendo così in questa particolare classifica Spagna e Portogallo, ma rimanendo sempre dietro alle due prime della classe: Grecia con il 25% e Irlanda con il 19%. 



Tuttavia se dovessimo andare un poco più a fondo nella faccenda, le cose sarebbero molto più preoccupanti. Drammatiche, direi. Come emerge da un recente studio di due economisti olandesi, Harry Huizinga e Harald Benink, pubblicato su Vox.eu, il rapporto fra il valore di mercato dei cespiti bancari e quello riportato a bilancio ormai raggiunge la soglia dello 0,5 (vedi grafico sotto): ciò significa che le informazioni fornite dai bilanci bancari sono troppo ottimistiche e sovrastimate, e un attivo che viene registrato a bilancio con il valore di 1000 in realtà ne vale 500. In questo modo, continuando a manipolare i bilanci per nascondere la polvere sotto il tappeto, sarà sempre più complicato tarare un piano di salvataggio adeguato dell’intero settore bancario europeo, perché non tenendo conto di questo macroscopico margine di errore avrebbe sempre effetti parziali e provvisori. Inutile dire che l’economista Harry Huizinga sia un eurista convinto e abbia svolto mansioni di consulenza per la Commissione europea: lo studio infatti dal titolo emblematico “L’urgente necessità di ricapitalizzare le banche europee” doveva servire a creare nell’opinione pubblica il clima adatto di emergenza e a fare da apripista al documento poi pubblicato dalla stessa Commissione europea. Per intenderci, Huizinga propone uno schema di salvataggio bancario sul modello di Cipro, che pesi maggiormente sui bail-in interni tramite tagli in prima battuta sulle obbligazioni subordinate non garantite, e poi su quelle senior e i depositi (quindi prelievi forzosi ai risparmiatori e ai clienti della banca). Anche perché come rivela sfacciatamente lo stesso economista molti di questi strumenti sono garantiti dallo Stato e quindi in ultima istanza sarebbero sempre i governi a pagare. E così, conclude il geniale economista, si eviterebbe di utilizzare il MES: un giro di parole incredibile per nascondere il fatto che sia con i bail-in interni che con il MES sarebbero sempre i contribuenti a pagare i costi delle perdite bancarie. Siamo alla beffa allo stato puro e allo sberleffo in salsa olandese. 



Ad ogni modo, tenendo conto dei margini di errore dei valori contabili, la cifra esorbitante dei piani di salvataggio salirebbe realisticamente ben oltre i €1000 miliardi, e considerando altri fattori progressivi legati alla stagnazione economica generale e ai prossimi fallimenti che si verificheranno tra i debitori privati, le stime più pessimistiche parlano addirittura di €3000 miliardi, ovvero €3 trilioni. E qui viene il bello, perché nonostante queste cifre pazzesche nel documento della Commissione europea il programma di ricapitalizzazione diretta del MES e quindi lacopertura a livello europeo delle singole perdite bancarie è limitata a soli €50-70 miliardi, con la possibilità di ampliamento soltanto in caso di emergenza dopo approvazione del consiglio dei governatori. Mentre il resto deve essere a carico di ogni singolo stato membro. E quindi dei governi, dei contribuenti, dei risparmiatori e dei clienti della banca. Ma anche le modalità con cui il MES dovrebbe attivarsi sono piuttosto bizzarre. Vediamone in estrema sintesi alcune: 

· Il MES si attiva quando lo stato membro non ha la capacità finanziaria di ricapitalizzare da solo le sue banche

· Il MES si attiva anche quando la situazione fiscale dello stato membro è talmente delicata da compromettere l’accesso ai mercati dei capitali e da richiedere il sostegno dello stesso MES

· L’assistenza finanziaria del MES è indispensabile per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo complesso o dei suoi stati membri

· La banca non ha i requisiti patrimoniali richiesti dalla BCE nella sua veste di ente di vigilanza centralizzato ed è incapace di attrarre capitali tramite il settore privato, gli investitori, gli azionisti, laconversione del debito (qui dovrebbero stare attenti i titolari di obbligazioni strutturate convertibili in azioni) e la ristrutturazione del debito esistente (qui dovrebbero stare attenti tutti gli obbligazionisti e i depositanti, perché si tratta dello schema bail-in cipriota)

· La banca è un istituto di rilevanza sistemica e un suo eventuale fallimento rappresenterebbe una minaccia per la stabilità dell’area euro nel suo complesso o dei suoi stati membri (bisognerebbe capire come si fa a capire quali banche abbiano queste caratteristiche e se nei precedenti casi di salvataggio bancario con fondi europei, Anglo-Irish Bank in Irlanda, Bankia in Spagna e Laiki a Cipro, il MES si sarebbe potuto attivare)

· Se la banca non raggiunge la soglia minima legale del 4,5% del parametro CET1 (Common Equity Tier 1, rapporto fra patrimonio di vigilanza e attivi ricalcolati per il rischio), come previsto dagli Accordi di Basilea III, sarà lo stato membro a fornire un’immediata iniezione di capitali al fine del raggiungimento di questo livello, prima che si attivi il MES

· Se la banca raggiunge la soglia minima legale del 4,5%, lo stato membro sarebbe comunque obbligato a fornire un equivalente importo pari al 10/20% del capitale totale erogato dal MES

· Il consiglio dei governatori del MES può decidere di sospendere parzialmente o totalmente il suo piano di aiuti in accordo con lo stato membro qualora quest’ultimo non fosse più in grado di contribuire al programma o la sua adesione comporta delle implicazioni negative per l’accesso al mercato dei capitali

· Condizionalità : oltre a poter decidere sui livelli retributivi e bonus dei managers della banca, il MES potrà avanzare richieste di politica economica e fiscale ai singoli stati membri (austerità, insomma, sempre e solo austerità), allegandole al memorandum d’intesa che in ogni caso deve essere stipulato con il MES per avere diritto agli aiuti pattuiti


Penso che ce ne sia abbastanza per capire che questa ennesima trovata diabolica avrà l’effetto di mettere gli stati in ginocchio qualora dovesse scoppiare in tutta la sua enormità il bubbone del credito in sofferenza delle banche europee. Malgrado tutti i roboanti proclami, i tecnocrati non hanno alcuna intenzione di scindere lo stretto legame che intercorre fra i governi e le banche: i primi si finanziano grazie ai secondi e i secondi si salvano solo con gli aiuti di stato, causando l'espansione incontrollata del debito pubblico. Ma quello che deve più spaventare i semplici risparmiatori e depositanti delle banche è che ormai il ricorso ai prelievi forzosi è diventato uno strumento istituzionale regolarmente previsto dagli accordi intergovernativi europei. Ovviamente la giustificazione di facciata di tutta questa operazione è favorire l’uscita dell'eurozona dal lungo periodo di stagnazione, del tipo giapponese, grazie al salvataggio degli istituti finanziari e alla ripresa del credito bancario nei confronti di aziende e famiglie. E dalle analisi degli economisti e commentatori vicini agli ambienti comunitari si prende spesso a modello il caso degli Stati Uniti, che sono riusciti a riemergere dalla recessione economica solo in seguito alle tempestive ricapitalizzazione di stato delle sue principali banche nazionali. Ma come al solito, non fatevi fregare dal chiacchiericcio da bar e dalla propaganda di regime.

Negli Stati Uniti, le banche sono state salvate dall’intervento della Federal Reserve che con l'ausilio del computer del governatore Bernanke ha iniettato enormi quantità di liquidità creata dal nulla sia nel mercato finanziario per sostenere il corso dei titoli sia nel capitale sociale delle banche per evitarne il fallimento. Nessun contribuente americano ha dovuto pagare per questi salvataggi, o in modo diretto tramite aumenti delle tasse e tagli alla spesa pubblica, oppure in modo indiretto, tramite incrementi dell’inflazione e perdita del potere di acquisto dei salari e dei risparmi: la teoria quantitativa della moneta, che erroneamente postula un collegamento automatico fra aumento dell’offerta di moneta della banca centrale e inflazione, viene creduta o fatta passare per buona solo ai trogloditi europei, mentre nel resto del mondo sono andati parecchio più avanti nella moderna gestione dei flussi finanziari e monetari. I salvataggi bancari che presto o tardi si renderanno necessari in tutta l’eurozona, dalla Germania (a proposito: vuoi vedere che la prima banca ad usufruire del MES sarà proprio Deutsche Bank?) alla Grecia, saranno invece tutti a carico dei governi e quindi dei contribuenti, dei risparmiatori e dei semplici correntisti. Per chi ancora non avesse capito, il tempo delle rappresaglie è finito e adesso inizia il conflitto aperto fra noi e loro. E questo ultimo documento della Commissione europea equivale ad una dichiarazione di guerra in pieno stile militare-finanziarioEstote parati.

Piero Valerio

giovedì 20 giugno 2013

Prosciutti sardi solo di nome.....

«Consumatori tutelati da tanti controlli, produciamo più documenti che salsicce» 

 Michele Tatti
unionesarda.it

Prosciutti sardi solo di nome 
Maiali dellaValle del Cedrino - Orosei.
Vietato lavorare nei salumifici la carne di maiale isolana

Ricordate la filastrocca in limba per descrivere le dita di una mano? Custu est su porcu , custu l'at mortu...Dal pollice («il maiale»), fino al mignolo rimasto piccolino perché gli altri hanno mangiato tutto. La chiusa della cantilena, quel a custu mischineddu nudda nudda , può essere dedicata agli imprenditori del settore preoccupati, più che delle presunte frodi, del divieto assoluto di lavorare carni sarde imposto dall'Europa e avallato da Stato e Regione nel novembre 2012. Piaga dolente su cui si posa il sale del sequestro in uno stabilimento di Settimo San Pietro di insaccati falsamente etichettati (e fatti pagare) come cinghiale. Per ribattere all'accusa di frode alimentare, Antonio Vacca, l'imprenditore finito nell'occhio del ciclone, ha giustificato la vicenda con un occasionale scambio di etichette per poi scaricare tutte le colpe proprio sulla peste suina.


ALLEVATORE CONTRO 
«Scuse», ribatte autodefinendosi «il principale produttore di suini da carne della Sardegna», Pierluigi Mamusa deciso nel lanciare una sfida agli industriali agroalimentari: «Abbiate il coraggio di scrivere nelle etichette salume prodotto in Sardegna con carne di provenienza non sarda e per la gran parte congelata . Quanta merce si venderebbe e a che prezzo verrebbe esposta nei banchi della grande distribuzione?». Mamusa riprende una vecchia polemica e ribadisce che nell'Isola «si alleva e si alleverà sempre più carne di quanto gli industriali attualmente consumano: solo io produco molta più materia prima di quella che i principali salumifici lavorano». E la peste suina africana? «Solo una scusa per non comprare carne sarda», rincara la dose prendendosela anche con lo stesso Antonio Vacca: «Sostiene (dichiarazione gonfiata) che esporta solo il 10 per cento della sua produzione e, quindi, non subirebbe danni scegliendo esclusivamente carne sarda e certificandola realmente senza frodare i consumatori».

IRGOLI 
Tirata in ballo in prima persona, Rosaria Murru, amministratrice dell'omonimo salumificio di Irgoli, fuori sede per lavoro, si riserva di approfondire la vicenda e concede solo una replica indiretta a Mamusa: «Purtroppo avevamo una rilevante partita di prosciutti stagionati di carni sarde quando è scattato il divieto. Abbiamo dovuto riaccreditarci per esportare fuori e non possiamo commercializzare quel prodotto. Comunque, i problemi sono ben altri».

DESULO E FONNI
 «Polemica inutile e dannosa per tutti», sostiene a sua volta Daniela Falconi delle Fattorie Gennargentu di Fonni (16 dipendenti, sei milioni di euro di fatturato, il 30 per cento del prodotto esportato), «Mamusa sa bene che fino a sette mesi fa acquistavamo da lui la materia prima, il 40 per cento del nostro fabbisogno, perché non riusciva a garantirci di più. Tutti, allevatori e trasformatori, dobbiamo fare fronte comune e convincere la classe politica che l'Africana è un problema sociale, non sanitario. Noi lavoriamo 250 maiali a settimana e oggi purtroppo dobbiamo importarli, perdendo un indotto economico rilevante». Anche al salumificio Rovajo di Desulo (200 mila chili di carne lavorati ogni anno, 12 posti di lavoro) sarebbero ben felici di acquistare la materia prima in Sardegna. «Purtroppo il divieto è un dato di fatto», conferma Mario Ladu stremato come i suoi colleghi dal rincorrere, con l'Europa che ha perso la pazienza con la Sardegna incapace di eradicare la peste suina, veterinari, Asl, Regione, Ministero: «Ormai produciamo più documenti che salsicce».

NO AL PUGNO DI FERRO Più che inseguire le accuse di Mamusa, preoccupano le ultime vicende, con gli abbattimenti coatti nel paese del Gennargentu. «Le prove di forza possono causare solo danni - dice Ladu - bisogna dialogare e, soprattutto, trovare un modo per anagrafare tutti gli animali, monitorarli e abbattere i capi infetti innescando il processo naturale di sviluppo dei ceppo-resistenti». A Orgosolo - sottolineano al salumificio Rovajo - sono stati individuati suini di 12-13 anni immuni dall'Africana. Mi chiedo - conclude Mario Ladu - perché non si sviluppi questa ricerca. Con tutti i miliardi spesi in 35 anni non è possibile che non si sia investito per individuare un vaccino contro questa peste maledetta».

CONSUMATORI TUTELATI
 E le frodi? «Impossibili con tutti questi controlli - dicono in coro a Desulo, Fonni e Irgoli - e poi sarebbe folle solo rischiare di rovinare un marchio consolidato per guadagnare pochi euro in più». Custu est su porcu , custu la mortu...

mercoledì 19 giugno 2013

Assalto ai nostri risparmi: Se le Poste acquisissero MPS, comprerebbero un buco nero che rischierebbe di compromettere l’integrità dei depositi dei risparmiatori?

Assalto ai nostri risparmi: Se le Poste 

acquisissero MPS, comprerebbero un buco nero 

che rischierebbe di compromettere l’integrità 

dei depositi dei risparmiatori?


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Molti, anziché contestare e denunciare le malefatte dello stato italiano ai danni dei cittadini, esortano il suo governo truffa, quello “dalle larghe intese” insediatosi da qualche mese a questa parte, a trovare i soldi per mantenere in ordine i conti pubblici e contemporaneamente far risollevare l'economia italiana. E' il solito atteggiamento italiota secondo il quale, l'incapace si rivolge sempre allo stato quando si tratta di mettere le mani sui soldi degli altri, così da poter risolvere i problemi derivanti dalla sua incompetenza.

Ho la vaga impressione che quelli del governo i soldi a loro necessari li abbiano già trovati. Devono solo capire come, quando e a chi distribuirli.

Dove li avrebbero trovati questi soldi? Ebbene, a questo proposito, è da più di un anno che ce la menano, a noi italiani; noi siamo quelli che in Europa abbiamo il più alto risparmioprivato, noi siamo quelli che, considerato il numero di persone proprietarie di immobili, saremmo molto più ricchi dei virtuosi cittadini tedeschi, la ricchezza privata delle famiglie italiane dovrebbe essere ricompresa nel calcolo del rapporto debito/PIL, ecc..

Insomma, se non l'avete ancora capito, i soldi necessari, che lo stato avrebbe già trovato per attuare la sua politica, secondo il sottoscritto sarebbero quelli che noi italiani abbiamo sistemato nell'acquisto delle nostre case e quelli che, parsimoniosamente, abbiamomesso da parte nei libretti di deposito e attraverso la sottoscrizione dei buoni ordinari postali.

Infatti due sono le notizie che recentemente si sono susseguite e che mi hanno indotto a credere fermamente quanto testé esposto. La prima riguarda quella secondo la quale, un'idea avanzata a Poste Italiane (PI) vorrebbe che essa rilevasse il malandato Monte dei Paschi di Siena (MPS). Leggi qui.

Per PI l'affare potrebbe risultare interessante visto e considerato che sono anni ormai che essa tenta di ottenere la licenza bancaria senza alcune esito positivo, e che invece, una probabile fusione con MPS, permetterebbe a PI di raggiungere l'obiettivo tanto ambito.

Infatti, in mancanza di una licenza bancaria, a PI non è concesso prestare ai privati i depositi da essa raccolti. I prestiti ai privati attualmente proposti da PI, in realtà sarebbero frutto di convenzioni poste in essere fra PI e banche commerciali, per i quali essa risulterebbe essere solo un intermediario commerciale. Di conseguenza, i soldi prestati ai clienti di PI non sarebbero quelli da essa raccolti con il servizio di deposito dei risparmi e di conto corrente, bensì quelli raccolti dalle banche sue partner. L'unico soggetto privato a cui PI concederebbe prestiti è Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. (CDP), di proprietà del Ministero dell'Economia e Finanza, che usa il denaro raccolto per investirlo, principalmente, in titoli di stato italiani.

Un ulteriore dimostrazione del fatto che PI non sarebbe una vera e propria banca è quella secondo la quale PI non pagherebbe gli assegni emessi dai suoi correntisti anticipando la relativa somma, così come  fa normalmente una banca (la quale, in questo modo, crea di fatto nuova moneta dal nulla). Infatti, se non esiste la provvista necessaria per coprire l'assegno emesso, PI normalmente non concede la possibilità di andare in rosso, non paga l'assegno e protesta immediatamente il correntista.

Dunque, PI, non essendo una vera e propria banca, non potrebbe disporre dei depositi dei propri clienti per esporli ad alti rischi così come possono fare le banche normali, ai danni degli ignari risparmiatori (vedi il caso MPS). Certo, alla fin dei conti, in base a quanto testé detto, i depositi dei correntisti di PI sarebbero utilizzati per essere investiti in titoli di stato, che di sicurezze ne danno anch'essi ben poche da qualche anno a questa parte, ma perlomeno gli investimenti di PI non sono principalmente costituiti dagli ancora più pericolosi titoli derivati e la sua attività non è ampiamente dedita ad azzardi morali sui mercati finanziari.

Teoricamente, potremmo dire che i soldi depositati in PI sono esposti a rischi minoririspetto a quelli depositati nelle normali banche. (E' un'affermazione questa, da prendere con le pinze, ovviamente!)
Delle condizioni in cui versa MPS ho ripetutamente scritto su questo blog; esse sarebberodisastrose, proprio perché pare che essa sia stata gestita con scarso riguardo dei principi di prudenza ed economicità, rivelandosi più una banca dedita agli affari, usando i soldi degli altri (ossia quelli dei suoi correntisti), che un intermediario finanziario.

In definitiva, se PI acquisisse veramente MPS, comprerebbe un buco nero che rischierebbe di compromettere l’integrità dei depositi dei risparmiatori di PI, i quali non sarebbero più al sicuro tanto quanto lo sarebbero attualmente.
Questa voce circa la fusione fra PI e MPS, avrei potuto considerarla come una semplicevoce di corridoio, alla quale inizialmente non volevo darci peso più di tanto, per non preoccupare ulteriormente i risparmiatori circa i possibili rischi a cui potrebbero essere esposti i risparmi di una vita.

Poi ho dovuto leggermente ricredermi quando ho appreso la seconda notizia, ossia quella riguardante l'idea di far giungere lo stato italiano in soccorso di un'altra azienda italiana, anch'essa acciaccata: Telecom Italia s.p.a..

Infatti, a fine maggio, il cda di Telecom Italia ha deliberato l'intenzione di scorporare dalla compagnia telefonica italiana la sua rete telefonica, i cui costi di gestione sembrerebbero pesare troppo sul suo bilancio, il quale evidenzierebbe un debito di circa 28 miliardi di euro. Leggi qui.

Nel dettaglio, l'idea di Telecom Italia sarebbe quella di costituire una nuova società e di vendere le infrastrutture della rete telefonica a quest'ultima, le cui quote di proprietà verrebbero cedute a terzi, purché il pacchetto di controllo di essa resti sempre in mano agli attuali proprietari di Telecom Italia.

In tempi non sospetti, gli azionisti della società hanno palesemente fatto capire che non sono disposti ad alcuna ricapitalizzazione dell’azienda telefonica, rimettendoci di tasca propria. Stando così le cose, l’azienda ha pensato bene di non cercare altri soci privati, interessati ad entrare nella trattativa e aventi lo stimolo imprenditoriale giusto per rinnovare la qualità tecnologica della compagnia (una soluzione più auspicabile rispetto a qualunque altra). Telecom Italia avrebbe pensato invece di bussare alle porte del governo italiano per trovare un accordo che riguardasse la sopravvivenza dell’azienda.

In merito, se un accordo con il governo italiano dovesse essere raggiunto, conseguentemente alla delibera del cda di Telecom Italia, lo stato potrebbe intervenire nell’operazione acquisendo quote di minoranza della società di nuova costituzione la quale, come già detto, gestirebbe la più che onerosa rete telefonica scorporata da Telecom (la bad company). In questo modo, Telecom otterrebbe dallo stato i soldi necessari per ridurre la perdita di 28 miliardi, senza però perdere il controllo della rete ceduta alla nuova società (visto che, come deliberato dal cda, la quota di maggioranza di essa dove essere di Telecom).

Ciò che resterebbe della compagnia telefonica italiana, dopo lo scorporo, sarebbe l’attività di Telecom che genera più utili (la good company), nella quale lo stato non c’entrerebbe nulla e che resterebbe di esclusiva proprietà degli attuali soci privati (furbetti), i quali hanno sostenuto la non molto virtuosa dirigenza di Telecom Italia fino ad ora e che riuscirebbero a salvaguardare i propri interessi di guadagno, non grazie ai risultati della compagnia telefonica ottenuti sul mercato, ma grazie all’ottenimento di soldi pubblici. Bello fare gli imprenditori con i soldi degli altri, non è vero?

Ricapitolando, lo stato (tramite CDP) entrerebbe in affari beccandosi l’attività di Telecom che sarebbe meno profittevole, salvando così l’azienda da un probabile default, mentre gli attuali proprietari della compagnia telefonica italiana si terrebbero l’attività più redditizia. Queste sono le tipiche operazioni degli italiani, che prima permettono il salvataggio economico degli inefficienti e poi si chiedono come mai l’Italia non cresca!

In effetti, chi sarebbe il fesso che entrerebbe in una trattativa del genere, accollandosi gli oneri di gestione di una rete obsoleta, percependo la fetta minore dei redditi derivanti da tale infrastruttura, tutta da rimodernare (non scordiamocelo)? Lo stato italiano, no?

E con quali soldi lo stato italiano acquisterebbe le quote della nuova società? Con quelli raccolti dai cittadini da Cassa Depositi e Prestiti s.p.a.. Ecco spuntare di nuovo la gallina dalle uova d'oro, da 213 miliardi di risparmi raccolti nell’anno 2012 (leggi qui la notizia).

Pochi giorni dopo in cui CDP è stata tirata in ballo per il salvataggio del MPS in pericolo di default, oggi lo è nuovamente, per il salvataggio di Telecom Italia da una grave perdita in bilancio.

Dopotutto, secondo la L. 56/2012, il governo ha potere di veto avverso su qualunque delibera, atto o operazione adottata da una società (anche se privata) e riguardante i settori strategici dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni! Qualsiasi decisione in merito dunque, per legge, deve passare dal benvolere dello stato. Qualcuno si chiederebbe: ma che libertà economica sarebbe mai questa? Infatti, non è mica uno paese libero quello italiano! Non lo sapevate?

Quindi, lo stato può permettersi (ed è questo il bello; nessuna legge vieta ad esso di farlo) di usare i soldi degli ignari risparmiatori italiani, per favorire i già ricchi proprietari della compagnia telefonica in difficoltà. In questo modo questi ultimi continuerebbero a controllare la rete telefonica e l’intera compagnia, senza un soldo uscito dalle loro tasche, e a spolparsi quel che resta di buono dell'azienda. I costi di gestione dell’attività scorporata, verrebbero condivisi con CDP, la quale parteciperebbe agli utili solo in minima parte, mentre la storica compagnia tornerebbe ad assumere i tratti velati di un’azienda pubblica la cui gestione economica, come bene sappiamo, sarebbe paragonabile a ciò che ci si aspetterebbe da uno scimpanzé messo davanti al timone di una nave da crociera (quindi, addio progresso italiano nel campo delle telecomunicazioni!).

Come è possibile che nessuno ritenga che sarebbe cosa corretta quella di dover chiedere, a coloro che ci mettono realmente i soldi (cioè i singoli risparmiatori privati), se essi siano o meno disposti a rischiare i denari risparmiati, in un’operazione dai dubbi vantaggi per la collettività?

L'Italia è una colonia tedesca


L'Italia è una colonia tedesca

Letta fa poco perché anche lui è telecomandato da Berlino 
 di Costanza Rizzacasa d'Orsogna   

Lo dice Nigel Farage, europarlamentare inglese ed euroscettico. Il suo partito è secondo in Gb

Enrico Letta? Non ho alcuna opinione su di lui. È un personaggio irrilevante. Un altro burattino. Nessuna offesa personale, per carità. Ma, oggi, chi è al potere in Italia non conta niente. Non comanda su nulla. L'Italia non è più uno Stato sovrano, ma una colonia della Germania».

In un'intervista a ItaliaOggi, Nigel Farage, leader e militante storico dello Ukip, il partito indipendentista britannico che vuole l'addio del Regno Unito a Bruxelles, nonché co-presidente, con il leghista Francesco Speroni, del gruppo Efd (Europa della Libertà e della Democrazia), che raccoglie i principali partiti euroscettici al Parlamento europeo, denuncia «il declino della politica italiana».
Dopo il trionfo alle Europee del 2009, quando era riuscito addirittura a superare i laburisti, imponendosi come seconda formazione politica del Regno, alle ultime elezioni amministrative, un mese fa, il suo partito ha registrato un nuovo, clamoroso boom, trasformando il voto in un avvertimento per la politica nazionale e per l'Europa. Un vero tsunami, che ora rischia di travolgere anche le prossime elezioni politiche.

In rete, gli anatemi contro l'euro, di Farage, carismatico quanto furbo, oltre che bravissimo a gestire i tempi del video, sono seguitissimi. E tra i suoi estimatori (oltre a milioni di donne inglesi, che secondo il Telegraph considerano Farage più affascinante di Cameron – perché la popolarità oggi è più sexy del potere, signora mia) non poteva mancare Beppe Grillo, che l'ha definito un «oratore straordinario». Una stima ricambiata, quella del leader del M5S per il politico britannico, e del resto Farage è definito da molti “il Grillo inglese”. Anche se, al di là dei toni infiammati e della comune avversione al progetto europeo, le posizioni dei due non sempre convergono.

Domanda. Proprio ieri il Financial Times si è scagliato contro Letta, definendolo “in letargo” e spronandolo a svegliarsi. Concorda con il giudizio del quotidiano?
Risposta. Purtroppo sì. Letta sta un po' dormendo, è vero. D'altronde, se sei un Paese membro dell'euro cosa puoi fare davvero? Assolutamente nulla. L'abbiamo già visto accadere con altri Paesi. Non importa chi è al governo, perché, tanto, non è quella persona a governare. L'incarico politico, come si conferiva ed era inteso una volta, non esiste più. Non sono gli italiani a decidere, né tantomeno il Presidente della Repubblica: è l'Europa. E se all'Europa un leader non piace, lo rimpiazzano.

D. Si riferisce alle dimissioni forzate di Berlusconi nel 2011?
R. Guardi, io credo che in politica, come nel calcio e nello spettacolo, arrivi il momento di ammettere a se stessi che è tempo di andare in pensione. Per il bene dell'Italia, per l'immagine del vostro Paese in Europa e nel mondo, spero che Berlusconi abbia giocato la sua ultima partita. Detto questo, la nomina di Monti a Presidente del Consiglio è stata l'azione più esecrabile che abbia mai visto dalla nascita dell'Unione Europea. Sconvolgente e vergognoso che un gruppetto di persone in Europa decida, secondo le loro convenienze per di più, chi deve guidare l'Italia. Un governo fantoccio. È stato un bruttissimo segnale. Ero disgustato. Come si sono permessi? Come lo avete permesso?

D. Ce lo chiede l'Europa, o meglio, la Merkel.
R. Proprio così. Viviamo in un'Europa dominata dalla Germania. L'Unione europea, che sotto un altro nome, dopo la Seconda Guerra Mondiale, era stata concepita per contenere il potere tedesco, oggi è controllata e tiranneggiata economicamente dalla Germania. Una situazione pericolosissima. E nessun Paese sembra avere la forza di ribellarsi. Anche se il sentimento antitedesco e antieuropeo sui temi economici cresce, come ad esempio in Francia. Ma c'è di più: l'Ue era stata disegnata per avvicinare i suoi popoli, un tempo divisi tra Est e Ovest. Invece ha creato nazionalismi. Oggi l'Europa è divisa tra Nord e Sud, e il razzismo e la xenofobia dilagano. A questo proposito vorrei ricordare che è stato su mia iniziativa che Mario Borghezio è stato espulso dal gruppo degli euroscettici al Parlamento europeo, dopo le dichiarazioni sul ministro Kyenge.

D. Ma lei pensa che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro e dall'Ue?
R. Penso che Grecia, Spagna e Portogallo debbano uscire il più presto possibile dall'euro, se vogliono sopravvivere. Sull'Italia non ho certezze altrettanto forti. I vostri indicatori economici sono drammatici, è vero. Ma l'Italia versava in gravi difficoltà ben prima di entrare nell'euro, e, lasciandolo, non risolverebbe tutti i suoi problemi. Allo stesso tempo, uscire dall'euro permetterebbe al governo italiano di governare davvero, di non essere un governo fantoccio. E questo è fondamentale. Grillo ha ragione quando chiama al referendum sull'euro e sull'Ue, uno dei suoi cavalli di battaglia. È un dibattito necessario, se non altro per spingere gli italiani a prendere coscienza di cos'è davvero l'euro e cosa vi sta facendo. Per quanto mi riguarda, considero l'intera esperienza europea un totale fallimento.

D. Tra lei e Grillo c'è stima reciproca. Come giudica la débâcle del Movimento 5 Stelle alle ultime amministrative?
R. Credo sia naturale che un movimento partito dal nulla e arrivato al top in pochissimo tempo vada incontro ad alti e bassi. Quel 25% che Grillo ha preso alle politiche di febbraio, e che neanche lui si aspettava, denuncia la grande sete di cambiamento degli italiani. Una sete che non è stata soddisfatta. Ed è per questo che Grillo è stato punito dagli elettori alle amministrative: perché non ha tenuto fede alle aspettative di cambiamento che aveva creato e alimentato. Ma il partito è appena nato. Bisogna dargli tempo. Questa sconfitta, come pure le divisioni interne e l'incapacità di alcuni parlamentari, sono i classici problemi della crescita.

D. Molti però dicono che Grillo si sia stancato e cerchi una via d'uscita. Lei che ne pensa?
R. Voglio credere che non sia così. Grillo sta ricoprendo un ruolo molto importante nella politica italiana. L'Italia ha bisogno di un dibattito aperto e franco sul proprio futuro economico e politico. E il M5S oggi è l'unico che possa portare a questo dibattito.

martedì 18 giugno 2013

Uscire dall'euro


Uscire dall'euro

Ida Magli 
www.italianiliberi.it


 Maurizio Belpietro, Direttore del quotidiano Libero, ha preso una bella iniziativa. Il giorno 2 giugno, una data significativa, ha finalmente rotto il tabù del silenzio intorno all’euro e ha titolato così il suo editoriale: “Apriamo la discussione – Dieci buoni motivi per uscire dall’euro”. Perché soltanto in Italia– si domanda Belpietro – non si parla dei problemi dell’euro, mentre in tutti i paesi d’Europa si discute animatamente e a tutti i livelli se convenga abbandonare questa disgraziatissima moneta? I cittadini, dunque, sono invitati a dibatterne su Libero esprimendo la propria opinione sull’uscita dell’Italia dall’euro, e a indicare anche in quale modo farlo, tenendo conto naturalmente delle eventuali ricadute negative di una tale decisione. 



Dire che è stato rotto un tabù, purtroppo, è dire poco. I tabù non nascono da soli: sono i detentori del Potere che li instaurano. Il termine “tabù” nasconde la realtà, una realtà vergognosa per il tanto osannato mondo libero e democratico: sull’unificazione europea, ivi inclusa l’adozione della nuova moneta, e su tutto quanto ha comportato per i cittadini togliendo loro indipendenza,  sovranità, ricchezza, libertà in ogni campo, i governanti hanno imposto una censura di nuovo tipo per cui anche il termine censura è inadeguato e bisognerebbe crearne un altro. Il sistema è stato ed è pressappoco questo: non far sapere nulla ai cittadini; far sapere quello che non si può tenere nascosto esclusivamente elogiandolo e dimenticandolo il giorno dopo; non attribuire mai nulla di quanto accade all’unificazione europea, tanto meno  quello che accade di negativo (c’è sempre la Germania come bersaglio); non collegare mai gli uni agli altri i fatti che riguardano l’Europa. Bisogna poi aggiungere al sistema della segretezza le modalità con le quali si è proceduto all’unificazione: decine di provvedimenti quotidiani o quasi quotidiani, pensati, scritti, calibrati nelle forme appropriate per apparire come strumenti tecnici, politicamente soft, o meglio come costruzione di un’Europa “governata senza governo”.






 Per rendersi conto dell’enorme segretezza che circonda  l’Ue bisogna pensare che sono in attività ogni giorno, riccamente retribuiti da noi, oltre 900 parlamentari, migliaia di funzionari, migliaia di traduttori nelle 27 lingue ufficiali d’Europa, tutte le strutture di uno Stato con una Corte dei Conti, una Corte di Giustizia, una Commissione e un Consiglio con i suoi Ministri, ambasciate in ogni paese del mondo e un Ministro degli esteri che  non conta nulla perché è l’Europa che non conta nulla (né a Obama né a nessun altro capo di Stato viene in mente di rivolgersi a Lady Ashton invece che alla Merkel o a Hollande quando c’è da risolvere qualche problema in comune.) Che cosa fa tutta questa gente? Come mai i giornalisti ci informano di ogni parola, di ogni sospiro che esce dalla bocca di uno qualsiasi dei nostri politici e non ci dicono nulla, assolutamente nulla, delle migliaia di decisioni, di decreti, di norme che da Bruxelles piovono sulla nostra testa? Volete chiamarla censura? No, non esiste un termine per descrivere e per definire il modo con il quale è stata realizzata l’unificazione europea.

  È in questo contesto di menzogne e di totale finzione  che bisogna guardare alla moneta euro: tutto è stato deciso esclusivamente secondo la volontà dei governanti, i quali non torneranno mai indietro, non ammetteranno mai di aver sbagliato perché non hanno sbagliato. E come si può pensare che non sapessero quello che facevano i migliori professori di economia e i migliori banchieri d’Europa? L’euro è una moneta in balia di ogni più piccolo colpo di vento perché non ha uno Stato dietro di sé, ma i proprietari della Banca centrale europea e sono stati gli economisti e i banchieri a volerla così. E’ sufficiente guardare ai fatti per sapere quale sia la realtà. L’unione europea è stata pensata e realizzata per distruggere gli Stati nazionali e la potenza della civiltà europea, consegnandone le ricchezze e i governi alla grande finanza e ai partecipanti delle banche centrali. L’euro ha aiutato a raggiungere questo scopo, accelerando la distruzione delle singole economie. Il progetto era questo ed è riuscito ottimamente.

  Forse si sarebbe ancora in tempo a salvare l’Italia, uscendo però subito dall’Ue e non soltanto dall’euro, ma quale dei nostri governanti lo farebbe? Hanno venduto la propria anima, la patria, la libertà dei propri confratelli per conquistarsi una poltrona di carta in un impero di carta e anche se un movimento politico (che non c’è) riuscisse a provocare  qualche piccola ribellione, si comporterebbero esattamente come si sta comportando Erdogan. La democrazia è obbedienza. I popoli parlino, discutano quanto vogliono dato che le loro opinioni non cambiano nulla alle decisioni dei governanti, ma obbediscano.

domenica 16 giugno 2013

Il governo dei nemici


Il governo dei nemici


Ida Magli 
www.italianiliberi.it/


Come sappiamo già da molto tempo, il concetto di “rappresentanza” non esiste più; si è esaurito, insieme alla sacralità del Potere, con gli avvenimenti politici di questi ultimi giorni dell’aprile 2013. Adesso, però, con la formazione del governo Letta, lo possiamo confermare con assoluta certezza; ma soprattutto - è questa la cosa più importante – abbiamo finalmente la grande gioia di poterlo gridare a gran voce: “non ci rappresentano!” Sono i nuovi governanti del popolo italiano, i suoi despoti, i suoi sfruttatori, i suoi traditori, i suoi nemici, i delegati di quel Potere che si nasconde dietro il Bilderberg, la Trilaterale, l’Aspen Institut, e che indichiamo col nome di “Laboratorio per la distruzione” visto che ne sappiamo una sola cosa: che la sua meta è appunto la nostra distruzione, l’annientamento della civiltà europea e degli Stati europei.


Non ci rappresentano, però! Dobbiamo essere felici quindi, di poterli guardare in faccia, uno per uno, con la certezza di non condividerne nulla. Stanno dall’altra parte, sono altro da noi, non sono “italiani”, ma nemici degli Italiani, i peggiori dei nemici, quelli che spargono il sale sul terreno prima ancora di aver vinto.

  L’itinerario che ha portato alla fine della rappresentanza è cominciato con il rinnovo del mandato presidenziale a Giorgio Napolitano, e non poteva in fondo non essere così dato che era stato lui a “saltare” le regole della democrazia quando aveva consegnato l’Italia al potere del Laboratorio mondialista chiamando al governo Mario Monti. 

Nel momento in cui ha accettato il secondo mandato, Napolitano ha inferto l’ultimo colpo alla sacralità del “settennato” e di conseguenza alla “rappresentanza”, che è appunto sostanziata dalla fenomenologia del Sacro. Il “sette” è un numero sacro, un numero magico e potente, sotto la cui protezione si sono rifugiati fin dalla più remota antichità quasi tutti i popoli che fanno parte della nostra storia, dagli Egizi agli Ebrei, ai Greci, ai Romani… i sette anni assegnati dalla Costituzione alla Presidenza della Repubblica non sono quindi un caso o una decisione razionale, ma sottintendono la potenza trascendente di questa carica, più forte di quella dei parlamentari, e ne indicano la perfetta completezza nel cerchio chiuso in se stesso del numero sette. 

Come è stato notato da molti politici di fronte alla richiesta di rinnovare il mandato a Napolitano, non era mai stato detto che non si poteva “ripetere”; ma non era mai stato detto proprio perché era ovvio, era sottinteso… La replica del settennato di Napolitano ci ha liberato del tutto perciò della sacralità della rappresentanza e, insieme a questa sacralità, ci ha liberato di un “rappresentante” tanto ligio ai comandi dell’Europa da guidarci ostinatamente fino all’angolo senza via d’uscita dal quale doveva scaturire la giusta conclusione: il governo Letta.

  Enrico Letta ha pubblicato nel 2010, insieme all’amico Lucio Caracciolo, un libro intitolato significativamente “L’Europa è finita?” (Add editore, Torino). La domanda si poneva in modo così esplicito due anni fa perché il fallimento della costruzione europea e della sua moneta appariva evidente a tutti. È sufficiente leggere qualche pagina di questo libro per sapere fino a che punto dobbiamo aver paura di Enrico Letta e delle persone che ha scelto per portare rapidamente a termine la missione devastatrice che gli è stata affidata. “L’euro è stato un successo, forse la più grande realizzazione dell’Europa” - afferma Letta- guardando con soddisfazione alle rovine che ha provocato. E continua: “Arrivo a dire che la moneta comune ha in un certo senso sostituito l’esercito: invece dell’esercito europeo, oggi abbiamo l’euro, simbolo della capacità di rappresentanza e di identificazione; un totem, appunto, attorno al quale gli europei possano sentirsi tali.” (p. 39) Come sogna bene, Enrico Letta, non è vero? Non vede nulla, non sente nulla. I popoli maledicono l’euro, tutti vorrebbero abbandonarlo, perfino i Tedeschi; la gente soffre orrendamente, gli imprenditori si uccidono, milioni di disoccupati non sanno come fare a sopravvivere, ma a Letta tutto questo non interessa perché, come per tutti i dittatori e i generali, i popoli di per sé non esistono, sono solo strumento. Letta è stato scelto, come ognuno di quelli che lavorano alla distruzione dell’Europa, proprio perché la scarsa intelligenza critica comporta l’insensibilità affettiva e la plasmabilità all’obbedienza fascinatrice del Potere assoluto. Si somigliano tutti, infatti: Trichet, Duisenberg, Barroso, Draghi, Rehn, Rompuy, Amato, Prodi, D’Alema, Monti… E adesso, con il programmato spogliarello del Partito Democratico, teso al rinnovamento delle generazioni, Enrico Letta.

  L’incarico a Emma Bonino di andare in giro per il mondo in nome dell’Italia è infine il chiaro, orrido sigillo di questo governo; ne garantisce agli occhi di tutti l’assoluta volontà e capacità di distruggere non solo il popolo ma perfino l’idea dell’Italia; la dolcezza, la bellezza che ha accompagnato nei secoli il nome, l’immagine dell’Italia. Nessuno al mondo, probabilmente, avrebbe potuto dare questa certezza quanto la donna che ha propagandato l’aborto estraendo di persona, come testimoniano le riprese fotografiche, i feti con una pompa di bicicletta.


venerdì 14 giugno 2013

Bilderberg 2013: Benvenuti nel 1984


Bilderberg 2013: Benvenuti nel 1984




Charlie Skelton 
Tradotto da  Skoncertata63

Tranquilli: grazie a Goldman Sachs e ad altri “donatori”, la conferenza di quest’anno sarà a “costo zero” per l’Hertfordshire – nonostante la costruzione della Grande Muraglia di Watford

L’auditorio si è fatto silenzioso quando ha preso la parola un anziano consigliere di Watford. Il team di polizia e sicurezza era visibilmente nervoso. Era stato precedentemente presentato ed illustrato il piano della sicurezza per questo “evento unico”: zone anti-terrorismo, blocchi di sicurezza, restrizioni alla circolazione delle autovetture in prossimità di questa “importante conferenza internazionale”. Ma ecco che ora prendeva la parola la “gente” di Watford.


Nella foto: Christine Lagarde, capo del FMI, attesa al Bilderberg 2013. Foto di: Michel Euler/AP

Che significherà per loro questa tre giorni di vertice politico internazionale, con la sua corposa lista di partecipanti tra finanzieri e miliardari, capi di partito e di gruppi d’informazione, ben protetti dalla più grande operazione di sicurezza a cui Watford abbia mai assistito finora?

"A me importa soprattutto una cosa:”ha tuonato il vecchio consigliere. “si sta o non si sta stabilendo un precedente per il parcheggio delle macchine vicino a Old Hempstead Road?"

Ed è poi iniziata una discussione di quasi un’ora/un’ora e mezza sull’argomento se le macchine e i mezzi stampa avessero o meno il permesso di parcheggiare sulla striscia di prato che corre lungo la A41, di fronte al Grove Hotel. E’ stato come un bizzarro e distopico episodio di “Manteniamo le apparenze”. Non importa se i nostri ministri si stanno incontrando di nuovo in segreto con i vertici della Shell, della BP, di Google e di Amazon – parliamo invece della striscia di prato!

C’e’ stato un sussulto quando l’Ispettore Capo Rhodes, dopo incalzanti domande, è stato costretto ad ammettere, citando un’ordinanza, che i divieti di parcheggio sulla striscia non erano legali: non c’era alcuna legge in proposito…Una donna ha inziato a sbracciarsi dalla platea “Ehi, ci sono i mezzi d’informazione qui! Questa storia verrà fuori, sapete?”. La striscia di prato non sarà mai più la stessa, grazie a Bilderberg.

La platea era piuttosto mista. Metà erano residenti preoccupati dei danni che le ruote delle macchine avrebbero inflitto alla striscia verde; l’altra metà erano giornalisti da tutto il mondo preoccupati per le implicazioni geopolitiche di una conferenza dove BAE, Stratfor e General Petraeus avrebbero discusso delle “Sfide dell’Africa”.

Tutte e due le metà erano anche preoccupate per il finanziamento della gigantesca operazione di sicurezza. La polizia ha assicurato ai residenti (scettici) che la conferenza sarebbe stata “a costo zero” per l’Hertfordshire, in parte grazie ad una “donazione” da parte degli organizzatori della conferenza stessa. Questa donazione sarebbe venuta, almeno in parte, dall’Associazione Bilderberg, un ente di beneficienza inglese che riceve donazioni dalla BP e da Goldman Sachs.

Possiamo quindi dire che, in un certo senso, la polizia dell’ Hertfordshire sta facendo beneficienza per conto della Goldman Sachs. Il che deve essere un bel sollievo per quelli della Goldman Sachs presenti all’evento: il vice-presidente, un direttore ed il presidente della Goldman Sachs International. Hanno la loro squadra di beneficienza personale che pattuglia e mantiene gli obbiettivi a debita distanza. Ad un certo punto dell’incontro, durante un vivace scambio di idee sui piani contingenti per quelli che portano a spasso i cani, Rhodes si lascia sfuggire che l’“Operazione Discussione” ( il nome in codice per l’operazione della sicurezza di Bildeberg) andava avanti da diciotto mesi ormai. Residenti e giornalisti sgranano gli occhi. “Diciotto mesi?” Il motivo di tutta questa segretezza: “Terrorismo”.


Il grande muro di Watford

Dopo 59 anni di ospiti di Bilderberg che si muovono furtivi nell’ombra, usando specchietti per le allodole ed evitando accuratamente i mezzi d’informazione, è tutto qui il motivo? Lo stesso motivo si cela presumibilmente dietro la Grande Muraglia di Watford, una recinzione di ferro e cemento che circonda l’Hotel. Brutta tanto quanto inutile. Ha l’aspetto di una di quelle cose alte dove un recluso di un campo di concentramento si getta contro e tenta inutilmente di scavalcare poco prima di venire sparato dalla vedetta sulla torre di guardia. Si potrebbe dire di sapore “fascista” , se si considera il fascismo la fusione tra il potere delle aziende e quello governativo, come la definì Mussolini.

La stessa minaccia di terrorismo è stata utilizzata per giustificare le aree precluse al passaggio e alla sosta dei pedoni nei pressi dell’evento. La polizia ha spiegato la logica delle misure: “Non abbiamo specifiche informazioni di intelligence riguardo a una minaccia terroristica”. Come nei recenti incidenti avvenuti quali Boston e Woolwich: prima degli incidenti non c’erano state alcune allerte di intelligence. Quindi, l’assenza di minacce di azioni terroristiche di solito preclude proprio ad una azione terroristica. E’ la mancanza di una minaccia ad essere una minaccia.

Benvenuti nel 1984. Rhodes ha ammesso che le zone anti-terrorismo erano flessibili e che ai residenti era permesso passare liberamente nelle strade delle loro abitazioni. L’importanza delle misure adottate, ha detto, era che se si fossero raggruppate delle persone non residenti “potevano essere fatte sgomberare facilmente” - e non perche’ fossero dei terroristi, ma semplicemente perché si stanno raggruppando in un certo posto. Ecco la grande forza della minaccia di terrorismo: è applicabile praticamente ovunque.

Detto questo, la squadra di collegamento polizia/sicurezza è stata davvero incredibile e quest’anno ha segnato davvero un punto di svolta nella storia di Bilderberg. Sotto la pressione dei giornalisti, e grazie soprattutto alla squadra di collegamento della polizia locale dell’Hertfordshire, vicino all’Hotel è stata istituita un’area “stampa”. La pressione è stata contenuta grazie all’emissione anticipata della lista dei delegati all’evento, lista fatta uscire in gran fretta dagli organizzatori della conferenza, talmente in fretta che hanno dimenticato di cambiare la data in alto alla pagina web dal 2009 al 2013. Ma la cosa più clamorosa è stata la scritta in calce alla pagina. Due parole: “Media contact”. Benvenuto nel mondo, Bilderberg! Improvvisamente, miracolosamente, siamo entrati nel nuovo e ardito mondo della normalità: un vertice di politica internazionale a cui partecipa il capo del FMI, il presidente (e vice presidente) della Commissione Europea, il Primo Ministro Holland, una dozzina di altri ministri, un numero infinito di CEO di aziende da tutto il mondo e banchieri, i presidenti della Swiss e della Dutch National Bank e il nostro stesso Cancelliere, finalmente entra in un rapporto di lavoro normale con i mezzi di stampa. Incredibile, un fatto storico!

E poi, solo qualche ora dopo, l’indirizzo email del “media contact” è misteriosamente scomparso dal sito internet. Come un fauno nervoso, Bilderberg è spuntato fuori da un angolo, ha annusato l’aria, ha avvertito il pericolo e si è ricacciato nella sua tana. Eppure, c’è stato un primo passo coraggioso, e sicuramente non sarà l’ultimo. Girano voci che alcuni delegati sono stufi (stranamente) di tutta questa segretezza, e vorrebbero che tutto avvenisse in modo più trasparente. A questi delegati noi diciamo: continuate a insistere; continuate. Detto tra noi, un giorno ci arriveremo.

Prima che il “media contact” svanisse nel nulla, sono riuscito a stabilire un’amichevole corrispondenza via mail e dal portavoce della conferenza ho ricevuto subito delle risposte alle mie domande. Il tono delle risposte era più o meno così: nessuno dei partecipanti paga per partecipare; nessun delegato si collega via telefono o via satellite; il programma della conferenza non prevede mai “momenti di intrattenimento o spettacolo”; e per quanto riguarda il cibo “è solo a buffet, per tutti i giorni e per tutti i pasti”.

Sono un pò deluso per il buffet. Speravo nel cigno arrosto avvolto in foglia d’oro e farcito di uccelli canori. Come lo era sicuramente Ken Clarke.

martedì 11 giugno 2013

DDE SA SCRITURA NURAGICA IN SARDINYA ....A SA LIBERTADE DE SA NATZIONI SARDA!

Gigi Sanna






Ci sono degli stupidi politici e dei sociologi della domenica che dicono che queste poesie , come tutto quello che viene esaltato della Sardegna, sono 'mitopoiesi cioè fabbriche fasulle di miti. 

No, sono il canto 'realistico' della speranza storica di un popolo che non si rassegna a morire. 

Perché vuole ancora far parte della Storia, della grande Storia dell'Umanità. 

Non a rimorchio ma con tutta la sua individualità e specificità. In nessuna regione d'Italia escono fuori questi canti del passato che vuole essere anche il presente. 

Ci sarà un motivo. 

Neppure in Etruria che pure fu annientata da Roma esiste il canto epico e il continuo incitamento ad essere se stessi e a mantenere il sentimento 'nazionale' e cioè di popolo specifico. 

Gli attestati di condivisione (qui e altrove: nei blog e in facebook) per questa poesia, al di là della efficacia di essa in quanto tale, sono una testimonianza che la mitopoiesi è un'invenzione per umiliare l'orgoglio e far perdere definitivamente ogni speranza. 

La speranza di umiliare i 'tiranni minori' ed innalzare i Giganti.


SCRITTURA NURAGICA 

L'ALFABETO NURAGICO AGGIORNAMENTO (al 2011) POCHE LE SORPRESE

http://www.gianfrancopintore.net
di Gigi Sanna

Caro Gianfranco,  ti mando, dietro richiesta di alcuni amici e di alcune persone che mi hanno sollecitato a presentarlo  (soprattutto in seguito all'annuncio della 'definizione' del codice simbolico sardo, presentato con la 'griglia di Sassari),
l'aggiornamento, con alcune brevi considerazioni, dell'alfabeto nuragico. Con la presente tabella (v. fig. 1), alcuni segni si aggiungono a quelli del 2008 (1). Sono i simboli fonetici (i significanti, pittografici e non) che sono emersi in seguito alle scoperte recenti che hanno riguardato non pochi documenti.
Te lo mando anche perché è stato definito e reso noto sia il programma sia il calendario del Terzo Corso di Epigrafia nuragica che avrà inizio in Oristano, presso la Facoltà di Scienze Religiose, il giorno 8 di Marzo. Con le tabelle di questo post i corsisti avranno modo di avere aggiornati in anticipo, con minore spreco di tempo durante le lezioni, propedeutiche e non, quei dati che sono già in loro possesso (tramite gli appunti e le dispense dei due corsi precedenti) ma che risultano, per così dire, un po' invecchiati (come del resto denuncia la stessa attività informativa di questo Blog).


tabella 1
tabella 2
Tabella 2
1. Il requisito dei segni pittografici e dei segni lineari in mix. - Come si potrà vedere la documentazione scritta sarda dell'Età del Bronzo e del I Ferro, anche con gli ultimi grafemi (v. tab. 2), non mostra sorprese rilevanti. L'alfabeto quanto a tipologia non cambia e si rafforza ulteriormente la presenza dei segni consonantici, soprattutto di quelli pittografici, già noti. E si rafforza, soprattutto, una regola o requisito del sistema generale: che a segni schematici linearidevono seguire o precedere, in misura maggiore o minore (non sembrano esserci regole per questo) dei segni pittografici. Sono tutti questi dei simboli grafici che sono già stati abbondantemente registrati nel mix cosiddettoprotocananaico anche se - ripetiamo ancora per l'ennesima volta - i documenti sardi si dimostrano oggi di gran lunga più numerosi. Tanto da essere questi ultimi ormai ad illuminare un certo tipo di scrittura che per ora, a quanto sembra, non ha riscontri, per rinvenimento, se non nella Siria Palestina, nell'Egitto (2) e in Sardegna .
2. Il sistema in mix protocananaico - ugaritico - Un notevole contributo circa l'accrescimento della conoscenza sulla scrittura nuragica hanno fornito i dati del coccio di Sa Serra 'e sa Fruca di Mogoro (fig. 2), frammento di ceramica di un recipiente cultuale già esaminato ed identificato (sia pur parzialmente)  più di trenta anni fa, quanto a tipologia di scrittura, dal prof. Giovanni Pettinato (3). Coccio questo che, tra l'altro, ha confermato i dati di tutte e quattro le tavolette bronzee di Tzricotu di Cabras (4) . Cioè quello del mix non solo di segni protocananaici misti a segni più arcaici di tipologia protosinaitica, ma anche di chiari segni di tipologia ugaritica misti agli altri due (v. ancora fig. 2). I segni ugaritici di Sa Serra 'e sa fruca sono solo tre (un gimel, un lamed e verosimilmente un yod) ma si aggiungono ai non pochi dei documenti di Tzricotu di Cabras  e  Pirosu Su Benatzu (5) che sono, come si sa, complessivamente  in numero di 46 (6), per un totale di 11 segni dell' intero alfabeto (v. tab. 3)

tab 3
Tab. 3                                                                          Fig. 1
fif 4
3. Le lettere più ricorrenti nel codice - Tutte i segni del codice semitico siro - palestinese a 22 lettere, come si vede (tabb. 1 e 2), sono presenti anche nel codice  sardo di ispirazione semitica. Ma quelli  più ricorrenti in esso, come si può facilmente notare, sono il 'aleph, il beth, ilhē il yod, il lamed, il nun, il resh e lo šin. Dato questo che non deve per nulla sorprendere in quanto le suddette consonanti entrano a far parte delle sequenze del lessico formulare più frequente della 'letteratura' religiosa' dei Sardi dell'età del Bronzo finale e del I Ferro: quello studiato e messo in essere dagli scribi sacerdoti  nuragici (7) in omaggio alla divinità 'El Yh.
Essendo pertanto le voci  più ricorrenti del 'nuragico' quelle di NR /NL (luce), 'AB (padre), S'AN (santo), YH/YHH/ YHW/YHWH (il nome del Dio), 'EL/IL/ILI (altro nome del Dio), 'AK (il nome del toro), il sistema registrerà ovviamente i segni (rigorosamente di tipologia semitica) corrispondenti ai suoni consonantici di quelle parole.  E non crediamo che da qui in avanti  il  rapporto di quantità possa cambiare di molto, per quanto si sia notato, nella lettura degli ultimi ed ultimissimi documenti (8), un lessico più vario e in grado di fornire più notizie sulla particolare lingua religiosa usata dagli scribi isolani. D'altro canto già i primi 17 documenti si erano mostrati  assai indicativi circa la maggiore o minore presenza di certi segni rispetto agli altri (9).

4.  Sulla tipologia e sull'orientamento delle lettere del codice protocananaico sardo - Gli ultimi documenti tendono a confermare, definitivamente, che le lettere alfabetiche del codice  nuragico, come si può vedere dalle tabelle 1 - 2 - 3 - 4 e 5, variano per tipologia e per orientamento. Si osservi ad esempio come la lettera 'nun', il pittogramma a 'serpentello', si modifichi a seconda del gusto dello scriba, comparendo ora semplice, con due spire, ora complesso,  con tre  e anche con  quattro spire.
tab 4tab 5
Tabella 4Tabella 5
Il gusto della 'variatio', ovvero della facoltà  di disegnare, mutando a proprio piacimento il significante pittografico che esprime per acrofonia la nasale, risulta chiaro laddove (come ad es. nel caso di Tzricotu di Cabras, di Pallosu di San Vero Milis, di Pitzinnu di Abbasanta e di  Alvu di Pozzomaggiore)  il serpentello, ricorrendo più volte la consonante nella sequenza lessicale, viene tracciato in modi differenti.  Ma ciò è dovuto anche e soprattutto  al fatto che lo scriba deve ottemperare ad uno dei requisiti della scrittura nuragica(10) che è quello di inserire nel testo sia segni pittografici sia lineari schematici.Cioè  simboli in mix. Solo quando il segno si schematizza, come nel caso della Stele di Nora, dove la lettera è ormai di tipologia fissa o standard (cosiddetta 'fenicia'), viene a cessare non solo la libertà della doppia o tripla o quadrupla spira ma anche la libertà dell'orientamento della lettera, con l'ipotetica testa dell'animale posta sulla sinistra e non sulla destra, come talvolta è nel segno pittografico.
Stessa cosa si può dire dell' 'aleph che registra ugualmente una notevolissima libertà di orientamento e di disegno che però vengono a cessare entrambi con i documenti più recenti (X-IX secolo a.C.).  Documenti questi, come il ciondolo di Allai, il coccio di Orani e di nuovo la Stele di Nora, che tendono ad espungere, talvolta sistematicamente, il pittografico; persino quando le lettere mostrano non (solo) un valore consonantico ma chiaramente logografico e cioè quello stesso dell'animale da cui parte l' acrofonia.  Aspetto questo che, se non si tiene ben presente la 'potenzialità' e 'virtualità' dei segni  della scrittura nuragica a rebus (che prosegue, teste la documentazione, anche nei secoli successivi al Mille), rende difficilissima l'interpretazione e la traduzione del documento.

Per esempio nel ciondolo di Allai (fig. 2) il nome 'abd (servo) non deve essere letto, come sembrerebbe a prima vista, comprendendo anche l''aleph finale: perché quest'ultimo ha valore logografico, come suggeriscono gli altri due 'tori' disegnati cripticamente nel ciondolo (11). Quindi non 'abd'a ma 'abd + 'aleph (o 'ak): servo del toro. 'Toro' che nella lettura complessiva va ripetuto tre volte in quanto il 'tre' è il surrogato  numerico del nome della divinità taurina (yh).
fig 3fig 3 bfig 4fig 4 b
Piombetto di Sant'AntiocoNuraghetto di Uras
Si deve aggiungere però che la lettera 'aleph,anche quando diviene del tutto schematica, tende a preservare nel tempo una sua maggiore possibilità di orientamento. Si veda ad es. il piombetto sigillo di S. Antioco (12), documento del VIII -VII secolo a.C., nella faccia B, con la protome taurina schematica capovolta di 180 gradi (v. fig . 3)





5. Le lettere del codice cosiddetto 'pseudogeroglifico di Biblo'. - Non mancano neanche nuove acquisizioni circa il codice  di Biblo (13) che, come sappiamo, ha in Sardegna i suoi più significativi documenti nei sigilli cerimoniali di Tzricotu (14) e nel cosiddetto 'nuraghetto' sigillo di Uras (fig. 4) rinvenuto nel lontano 1957 all'interno di una tomba di Giganti (15). Il documento recente che sembra più registrarlo è la pietra del Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta  (v. fig. 5 e la tabella 6). Ma recentissimamente è stato scoperta una scritta, in agro di Domusnovas (fig. 6), di cui in seguito si parlerà, che presenta quattro segni dei quali uno sicuramente dell'alfabeto sillabico (?) gublitico (16).
fig 5afig 5 b
Figura 5
Fig 6
Fig.6.  Il segno 'gublitico 'a palizzata' della pietra di Domusnovas





Note e riferimenti bibliografici

  1. G. Sanna 2009, La Stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo. The God, the Gift, the Saint (trad. di Aba Losi), 2.p. 70, tab. 3. idem 2010, All'inizio l'alfabeto nuragico era solo pittografico. Poi.. ; inhttp://gianfrancopintore. blogspot. com (4 marzo 2009); idem, Ecco l'alfabeto nuragico nell'albero della scrittura; in http:// gianfrancopintore. blog. spot. com  (24 Aprile).
  2. B. Sass 1988, The Genesis of the Alphabet and its Development in the Second Millennium B.C. Wiesbaden, pp. 144 -156;  M.G. Amadasi 1998, Sulla formazione e la diffusione dell' alfabeto; in Scritture Mediterranee tra il IX ed il VII secolo a.C. Atti del Seminario (a cura di G. Bagnasco Gianni e Federica Cordano) 23.24 febbraio, pp. 38 -39; E. Attardo 2007, Utilità della paleografia per lo studio,la classificazione e la trascrizione semitiche in scrittura lineare. Parte IScritture del II Millennio a.C.; in Litterae Caelestes. Center for Medieval and Reinassance Studies UC Los Angeles; eScholarship, University of California,  pp. 169 - 180.
  3. G. Sanna 2010, Mettiamo che non sia una simulazione. E non lo è; in http://gianfrancopintore.blog spot. com (15 marzo);  idem 2011, Yhwh e la scrittura nuragica: il 'log' e il recipiente biblico del rito dei Leviti per la purificazione; in http://gianfrancopintore.blogspot. com (25 novembre).
  4. G. Sanna 2004, Sardōa grammata'ag 'ab sa'an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico. S'Alvure ed.Oristano, passim. In part. 4. pp. 85 - 179, tabb. 3 - 4 -5 - 6 -7 - 8 - 9 - 10 -11 - 12 -13 - 14 -15 - 16 -17 - 18 - 19 - 20 -21 - 22 -23 - 25 -26.
  5. G. Sanna 2004, cit. 11. 1 pp. 416 - 417 e 6.7 pp. 272 - 275.
  6. Naturalmente in questo computo vanno i 36 cunei complessivi (9x4) notanti la lettera 'gimel' di tutte e quattro le tavolette di Tzricotu.
  7. Per la presenza di essi e per l'ipotesi riguardante il centro di irradiazione della scrittura nell'Isola, v. recentemente G. Sanna 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; inhttp://gianfrancopintore.blogspot.com  (9 Novembre).
  8. G. Sanna 2011, cit.
  9. G. Sanna 2004, cit. 11. pp. 480 -81 tab. 23.
  10. G. Sanna 2011, cit.
  11. G. Sanna, 2009, cit. 2.2 pp. 61 – 65.
  12. L'oggetto epigrafico si trova attualmente esposto ( Museo Nazionale di Cagliari) nella saletta della mostra 'Parole di Segni' organizzato dalla Sovrintendenza di Cagliari. Esposto male dai curatori della mostra (del reperto, con sconcerto dei visitatori, viene riportata una faccia sola e non tutte e due, essendo l'oggetto opistografo o a doppia faccia scritta), viene letto ancora peggio. Essi infatti riprendono e ripetono pedissequamente una vecchia ipotesi di interpretazione ('interpretazione' si badi e non traduzione!) del Barreca  e cioè ' quanto è vero Ba'al Addir!;  interpretazione, come si sa,  senza fondamento alcuno, per altro respinta subito dall' Amadasi Guzzo (cf. M. G. Amadasi Guzzo 1967, Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Occidente, Istituto di Studi del Vicino Oriente, Università di Roma 1967 pp. 123 -124, tav. XLVIII, 41 A e 41 B). Affidandosi esclusivamente all'autorità dello studioso, gli archeologi  responsabili  della mostra non hanno studiato personalmente l'oggetto e  badato neanche essi alla chiara natura funzionale dell'oggetto, che è un sigillo. Come tale esso va letto con le lettere riportate al contrario. Queste  offrono, in entrambe le facce, la stessa  voce 'BR'ASON', il nome cioè di uno scriba o di un capo nuragico del IX -VIII secolo a.C. Quindi nella mostra 'fenicia' curata dalla Sovrintendenza quel sigillo (così come  la Stele di Nora ed altro ancora) non ci sta a fare proprio niente. Non fosse per altro perché il cosiddetto 'fenicio' non usa mai, com'è universalmente noto, le lettere 'agglutinate'. E' il sardo - protocananaico tardo che invece le usa, anche quando quest'ultimo viene, quasi  dappertutto,  sostituito dai caratteri 'fenici' standard (G. Sanna 2004, cit. 6.16. pp. 322 - 328).
  13. M. Dunand, Byblia grammata. Documents et recherches sur le developpement de l'ecritur en Phenicie, Beyrouth 1945;  G. M. Mendenhall, The syllabic Inscriptions from Byblos, American University of Beirut 1985; Sznycer M., Les inscriptions 'pseudo-hieroglyfiques' de Byblos; in E. Acquaro -F. Mazza- S. Ribichini - G. Scandone - P. Xella (a cura di). Biblo. Una città e la sua cultura, CNR Roma 1994, pp. 167 - 178.
  14. G. Sanna 2004, cit. 4. pp. 85 - 179.
  15. G. Sanna 2004, cit,.4, pp. 250 - 255.
  16. 'Segno 'a palizzata' o 'a recinto' (Dunand 1945, cit. fig. 36, Batiments: 6) ritenuto un 'ha -yi -tu (het) dal Mendenhall (1985, cit. 4. p. 19).
Avvertiamo che in questo breve articolo sull'alfabeto e sui segni  non si tratterà ancora di una vera e propria novità nel campo dell'epigrafia (nuragica e non) riguardante alcuni documenti in geroglifico egiziano (soprattutto scarabei) rinvenuti in Sardegna e i loro rapporti con la scrittura nuragica in cosiddetto 'protocananaico' e in cosiddetto 'fenicio' (v. di recente sull'argomento gli interrogativi in A. Losi:Un'oca, il re adorante, la barca, la penna: nel nome del dio nascostohttp://gianfrancopintore.blogspot.com (30 01 2012)

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