«Un litro di latte è pagato meno di un litro d'acqua». Gli allevatori sardi sul piede di guerra contro gli industriali e i politici. Oggi minacciano di bloccare porto e aeroporto, mentre migliaia di turisti sbarcano sull'isola per il Ferragosto
Pietro Calvisi
ilmanifesto.it
Era dai primi anni novanta che i pastori sardi non scendevano così massicciamente in piazza per far valere i propri diritti. Allora si protestava contro gli industriali del formaggio che nel giro di pochi mesi avevano tagliato pesantemente il prezzo del latte. Oggi la battaglia è a tutto campo con politici e imprenditori chiamati a rispondere di anni di mala gestione. Il prezzo del latte è ai minimi storici con dati che sull'isola variano dagli 0,50 centesimi di euro agli 0,65 al litro, mentre nel resto del paese è fra gli 0,80 e 1 euro. Una condizione ormai insostenibile per le centinaia di allevamenti ovini.
La lunga marcia di protesta che negli ultimi due mesi ha toccato diversi centri, dal nord al sud della regione, oggi scenderà per le strade di Olbia cercando di bloccarne alcune arterie principali. Con migliai di turisti in arrivo, nel porto e nell'aeroporto per il fine settimana di ferragosto, i rallentamenti sembrerebbero assicurati. «Comprendiamo bene il disagio che possiamo creare - hanno spiegato alcuni pastori - ma solo con questo genere di azioni possiamo attirare l'attenzione sulla nostra situazione. Per oggi chiediamo solo un po' di solidarietà e di pazienza per i disagi che si potranno creare».
Il comparto ovino, in alcune zone della Sardegna, è ancora l'economia trainante. Si comprende quindi come mai, in piena crisi economica e con un isola messa all'angolo nelle politiche di sviluppo industriale, dove le poche realtà esitenti serrano i cancelli quotidianamente, l'attenzione di un'intera regione si indirizzi verso questa categoria.
«Negli anni scorsi, prima l'Unione europea (Ue) ci ha chiesto di investire nella modernizzazine delle nostre aziende - spiega Felice Floris, pastore di Desulo e leader del Movimento dei pastori sardi (Mps)- poi però ci ha lasciati soli, con le cantine dei produttori caseari colme di formaggio invenduto e un prezzo del latte da fame». La crisi dei paesi nord americani ha messo in ginocchio le esportazioni, con Roma e Cagliari rimaste a guardare. «Il parmiggiano e il grana per esempio - continua Floris - sono stati aiutati con oltre 200milioni di euro in sovvenzioni varie per conservare il loro mercato nei paesi extra europei, per noi invece no è stato mosso un dito». Gli allevatori hanno presentato all'assessore all'agricoltura della regione Sardegna, Andrea Prato, una piattaforma di dodici punti dove riportano le loro proposte.
Il movimento dei pastori, che si dichiara apartitito, opera anche in contrapposizione ai sindacati e alle associazioni di categoria, accusate di immobilismo visto che la loro ultima manifestazione risale al 2005.
«Abbiamo una classe politica inadeguata ad affrontare questa crisi - ha detto Fortunato Ladu, pastore di Desulo e fra i primi organizzatori della protesta - ma a settembre tireremo le somme con la manifestazione finale di Cagliari, dove vogliamo portare migliaia di persone».
Parlando di numeri, il movimento chiede la rimodulazione del piano di intervento rurale, circa un miliardo e 800milioni di euro destinati agli interventi di risanamento delle strutture nelle aziende, che venga indirizzato verso gli aiuti per le greggi. «Che mi importa di avere il capannone nuovo - ha attaccato Floris - se poi non posso dare da mangiare al mio bestiame?».
La regione intanto a preso tempo fino al prossimo mese, quando risponderà ufficialmente alle richieste dei pastori. Sotto accusa finiscono anche gli industriali caseari accusati di importare latte stabilizzato dall'estero, in particolare dalla Francia, per poi rivendere i formaggi con marchio di produzione sarda.
«Sono affezionato al mio lavoro - ha detto Ladu - e da alcuni mesi ho lasciato famiglia e azienda per lavorare al fianco di tanti miei colleghi. La forza che mi spinge ad andare viene dal sostegno che quotidianamente giunge dalla gente che incontriamo, in particolare dai giovani».
IL PASTORE
In questa terra il mio presente e il mio futuro
Felice Floris, classe 1954, è il leader del Movimento dei pastori sardi, che da alcuni mesi guida la protesta degli allevatori dell'isola. Nessuna appartenenza politica, un outsider, che fin da giovane si è battuto per il riconoscimento dei diritti degli allevatori ovini, tanto da prendere anche alcune manganellate nel 1990.
Perché avete iniziato a radicalizzare la protesta arrivando a chiudere anche le strade di accesso agli aeroporti?
Riconosco che sono azioni estreme, ma non ci stava ad ascoltare nessuno. Ormai il prezzo del latte è ai minimi storici. Costa più un litro d'acqua che non uno di latte. Questo è inaccettabile.
Che cosa vuol dire fare il pastore oggi in queste condizioni?
È difficile da spiegare, ma posso dire che oltre ad essere tutto il mio presente, rappresenta anche il mio futuro. Un mio figlio già lavora con me e appena si diploma il secondo anche lui verrà a darci una mano».
Nella proposta dei dodici punti, che avete presentato in regione, si parla anche di utilizzare le energie rinnovabili per portare l'energia nelle aziende agricole.
È vero, purtroppo diverse zone non hanno ancora l'energia e quindi ci viene difficile stare al passo con il mercato nella produzione. Ma bisogna puntare anche sulle energie rinnovabili perché noi pastori siamo i primi custodi dell'ambiente.
A volte vi accusano di essere una categoria assistita, voi cosa rispondete?
Vogliamo lavorare e a limite ricevere degli aiuti per incentivare la nostra produzione. Oggi invece i contributi vengono dati più per tenere le terre incolte che non per sfruttarle.
L'ANTROPOLOGO
Senza tradizione sindacale, ma ora si organizzano
Bachisio Bandinu, antropologo sardo, è originario di Bitti (Nu) uno dei centri più importanti della tradizione pastorale dell'isola. Figlio di allevatori ha trattato in diversi libri l'impatto della modernizzazione nelle società pastorali, soprattutto del centro Sardegna.
Per la prima volta dopo tanti anni i pastori, superando la loro storica diffidenza nell'associarsi, si sono uniti per protestare.
Il mondo pastorale, non avendo una tradizione sindacale trova e ha sempre trovato difficoltà nell'associarsi. In fabbrica per esempio ci si organizza perché altrimenti si è sconfitti. L'uomo di campagna invece viene da una tradizione diversa dove manca ancora la presa di coscienza della propria condizione.
Oggi i pastori si trovano di fronte ad un bivio: o si cambia velocemente rotta o si rischia di scomparire.
Molte aziende, che hanno investito ingenti capitali per rimodernare tutte le strutture e i mezzi, hanno chiesto i finanziamenti alle banche che non accettano rinvii nella date di scadenza dei pagamenti. Con la crisi del prezzo del latte e con i costi di produzione che fra mangimi e medicinali si portano via oltre il 30% dei ricavi, oggi tirare avanti è diventato sempre più difficile.
Cosa pensa dei finanziamenti che percepiscono gli allevatori?
Spesso si dice che i pastori sono aiutati economicamente dall'Unione europea. E questo è vero. Ma quanti soldi vengono dati all'industria? Quanti a tanti altri settori produttivi del paese? Nella sola Sardegna sono state costruite intere realtà industriali che si sapeva benissimo sarebbero andate a chiudere. Però per anni lo stato a speso tanto per tenerle in vita.
Su cosa dovrebbe puntare il pastore sardo per sopravvivere?
Bisogna puntare sulla specificità del prodotto e sul ruolo che il pastore continua ad avere nelle nostre società. Il pastore non è solo un mestiere ma è il primo guardiano dell'ambiente, è uno stile di vita.
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