Mainichi Shimbun
Giappone
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Gli abitanti allontanati dall’area della centrale nucleare di Fukushima 1, dove il sisma ha
danneggiato il sistema di raffreddamento, sono stati costretti a spostarsi da un rifugio all’altro.
Quando il pomeriggio dell’11 marzo c’è stato il terremoto, Tomoichi Yamada, 40 anni, stava lavorando in una stazione di servizio a Okuma, a tre chilometri di distanza dalla centrale nucleare. Nonostante la catastrofe, Yamada ha continuato a lavorare per aiutare i terremotati della zona ed è tornato a casa solo la sera. Non potendo lavorare, dato che la stazione di servizio è all’interno della zona evacuata intorno alla centrale subito dopo il terremoto, Yamada si è trasferito con la famiglia a casa della suocera.
Il 12 marzo, però, dopo l’esplosione nel reattore numero 1 della centrale, sono state allontanate le persone che si trovavano nel raggio di 20 chilometri dall’impianto: nell’area si trova la casa dei suoceri di Yamada. L’uomo e la sua famiglia si sono allora spostati a casa della sorella maggiore
di Yamada, appena fuori dalla zona evacuata. Ma dopo l’esplosione al reattore numero 3 della centrale si sono dovuti trasferire in una palestra pubblica trasformata in rifugio. In salvo, per ora.
Prima di sera nella palestra c’erano più di 200 persone, molte più della sua capacità. Come Yamada, molti abitanti della zona sono riusciti a malapena a raggiungere la palestra prima che i serbatoi delle loro auto rimanessero a secco. Il 15 marzo è arrivata la notizia che il reattore numero 2 aveva dei problemi. Yamada, che insieme alla sua famiglia ha già cambiato tre rifugi, è felice di essere in salvo, ma le fughe radioattive dalla centrale di Fukushima lo angosciano.
“Vogliamo andare a ripulire la nostra casa dai detriti, ma fino a quando il livello di radioattività non si abbasserà non potremo tornarci.
Come funziona un reattore Una serie di barre di
uranio rivestite con una lega di zirconio sono immerse
nell’acqua. Il calore generato dalla reazione nucleare
del combustibile trasforma l’acqua in vapore che
aziona le turbine per produrre elettricità. In caso di
arresto, alcune barre di controllo, posizionate tra
quelle di combustibile, possono essere sollevate e
abbassate per fermare la reazione nucleare. Nel
terremoto in Giappone le barre di controllo hanno
funzionato correttamente. Tuttavia, anche se la
reazione si ferma, le barre di combustibile continuano
a rilasciare quantità enormi di calore, per il
decadimento di elementi chimici radioattivi. Per
evitare che si surriscaldino, devono essere immerse
nell’acqua di raffreddamento.
Mancato raffreddamento In Giappone è mancata
l’elettricità necessaria ad avviare il sistema di
raffreddamento. I tecnici hanno aggiunto acqua, ma
ha cominciato a evaporare troppo rapidamente. Le
barre sono rimaste esposte all’aria, surriscaldandosi.
Mentre le temperature salivano vertiginosamente, la
lega di zirconio che riveste le capsule ha cominciato a
fondersi, rilasciando gas radioattivi e idrogeno.
Probabilmente è proprio l’idrogeno ad aver provocato
l’esplosione del 12 marzo. Non si sa, invece, se ci sia
stata fusione di parte del combustibile.
Fusione totale In una fusione totale il combustibile
precipiterebbe sul fondo del reattore, bruciando e
forse sfondando la base dell’involucro di cemento
armato che lo racchiude. Nel peggiore dei casi, c’è il
rischio che il combustibile fuso esca da tutte le
strutture e rilasci quantità enormi di materiale
radioattivo. I fisici, però, non sono sicuri che questo
possa succedere.
Basta con il nucleare
L’allarme atomico in Giappone ha riproposto il problema della sicurezza del nucleare anche in Germania. Il 12 marzo, scrive la Frankfurter Rundschau, migliaia di persone hanno formato una catena umana tra Stoccarda e la centrale di Neckarwestheim per chiedere la chiusura di tutti gli impianti del paese. Nel 2010 il governo tedesco ha prolungato i tempi per la chiusura delle 17 centrali ancora in attività nel paese. Il 14 marzo, però, Angela Merkel ha annunciato una moratoria di tre mesi sul provvedimento e la chiusura provvisoria delle centrali costruite prima del 1980 per efettuare un’analisi approfondita delle condizioni di sicurezza.
nell’acqua. Il calore generato dalla reazione nucleare
del combustibile trasforma l’acqua in vapore che
aziona le turbine per produrre elettricità. In caso di
arresto, alcune barre di controllo, posizionate tra
quelle di combustibile, possono essere sollevate e
abbassate per fermare la reazione nucleare. Nel
terremoto in Giappone le barre di controllo hanno
funzionato correttamente. Tuttavia, anche se la
reazione si ferma, le barre di combustibile continuano
a rilasciare quantità enormi di calore, per il
decadimento di elementi chimici radioattivi. Per
evitare che si surriscaldino, devono essere immerse
nell’acqua di raffreddamento.
Mancato raffreddamento In Giappone è mancata
l’elettricità necessaria ad avviare il sistema di
raffreddamento. I tecnici hanno aggiunto acqua, ma
ha cominciato a evaporare troppo rapidamente. Le
barre sono rimaste esposte all’aria, surriscaldandosi.
Mentre le temperature salivano vertiginosamente, la
lega di zirconio che riveste le capsule ha cominciato a
fondersi, rilasciando gas radioattivi e idrogeno.
Probabilmente è proprio l’idrogeno ad aver provocato
l’esplosione del 12 marzo. Non si sa, invece, se ci sia
stata fusione di parte del combustibile.
Fusione totale In una fusione totale il combustibile
precipiterebbe sul fondo del reattore, bruciando e
forse sfondando la base dell’involucro di cemento
armato che lo racchiude. Nel peggiore dei casi, c’è il
rischio che il combustibile fuso esca da tutte le
strutture e rilasci quantità enormi di materiale
radioattivo. I fisici, però, non sono sicuri che questo
possa succedere.
Basta con il nucleare
L’allarme atomico in Giappone ha riproposto il problema della sicurezza del nucleare anche in Germania. Il 12 marzo, scrive la Frankfurter Rundschau, migliaia di persone hanno formato una catena umana tra Stoccarda e la centrale di Neckarwestheim per chiedere la chiusura di tutti gli impianti del paese. Nel 2010 il governo tedesco ha prolungato i tempi per la chiusura delle 17 centrali ancora in attività nel paese. Il 14 marzo, però, Angela Merkel ha annunciato una moratoria di tre mesi sul provvedimento e la chiusura provvisoria delle centrali costruite prima del 1980 per efettuare un’analisi approfondita delle condizioni di sicurezza.
Il sole nero sopra Tokyo
Il vento gira, sale la radioattività: fuga dalla città assediata dal terrore nucleare. Negozi vuoti, aerei deviati, ambasciate e aziende iniziano i piani d'evacuazione
Scilla Alecci
ilmanifesto
OSAKA
Il vento è cambiato, e insieme al vento arriva la paura. Dalla mattina le correnti spirano verso sud, dice l'Agenzia metereologica giapponese. Carica di particelle radioattive, l'aria viene spinta verso la megalopoli di 13 milioni di abitanti. Arriva un secondo flash d'agenzia: il livello di radiazioni nella prefettura di Ibaraki (a sud di Fukushima e a circa 150 kilometri da Tokyo) è aumentato «sensibilmente». A Tokyo la radioattività «è dieci volte superiore alla norma».
Alle 6 c'è l'esplosione, poco dopo Ibaraki è in allarme... Ci vuol poco a fare i conti: qualche ora e le radiazioni saranno sulla capitale. E infatti non tardano a arrivare i comunicati ufficiali. Chi si fida del governo, e chi deve, resta. Svuotando i supermercati per affrontare l'assedio nucleare, e i marciapiedi per tapparsi in casa, mettendosi in coda per la preziosissima benzina. Nell'incertezza più assoluta, chi può prende bagagli e famiglie e salta sul primo shinkansen, il supertreno diretto a sud.
Molti sì, ma meno del previsto. Mentre i lavoratori sono andati a lavorare come ogni giorno, sono stranieri e genitori con bambini piccoli ad allontanarsi dalla capitale. «Per quanto dicano che le radiazioni non causino veri problemi di salute agli adulti, non si può mai sapere che effetto può avere su un bambino». Masako Haba, appena ha saputo del rischio radiazioni, si è messa in fuga con la figlia da Tsukuba (la prefettura cuscinetto tra Tokyo e Ibaraki). Munite di mascherina protettiva, mamma e figlia sono dirette dai nonni a Gifu. «Nessuno riesce a capire cosa succede - racconta Haba - ma perché rischiare? Chi lo sa quando la situazione ritornerà alla normalità».
Sempre più ambasciate stanno invitando le persone a rientrare nel proprio paese. Anche l'ambasciata italiana a Tokyo si è unita al coro e uno dei messaggi inviati agli italiani residenti in Giappone diceva: «Per il momento raccomandiamo di mantenere la calma e si restare possibilmente in ambienti chiusi». Il ritorno in patria viene vivamente consigliato. L'unico problema è che le compagnie di bandiera non volano più o propongono biglietti che in molti casi superano i 2.500 euro, prezzi tre volte superiori a quelli «normali». La tedesca Lufthansa ha deviato a Osaka i suoi voli da e per Tokyo, cambiando equipaggio a Seul per evitare di farlo pernottare in Giappone. Air France-Klm ha spostato tutti gli impiegati da Tokyo a Osaka. Air China e la taiwanese Eva hanno proprio cancellato i loro voli.
Molti gruppi stranieri hanno lanciato piani di evacuazione. Le aziende di tecnologia tedesche Sap e Infiniteon stanno spostando lo staff nel sud del paese, lontano dalla minaccia radioattiva. Altri giganti europei e americani si tengono pronti: banche come Ubs, Deutsche Bank, Bnp, Societe Generale, costruttori come Volvo e Peugeot (che ha offerto a 230 impiegati la possibilità di tornare a casa). Il fabbricante di pneumatici Continental ha evacuato 100 impiegati non giapponesi, e 400 giapponesi si prepara a spedirli - ironia della storia - a Hiroshima, considerata sicura.
Continue scosse di assestamento, possibile rischio radiazioni e scarsità di cibo e acqua dovuto a panico da isolamento e black out controllati: questo è quello da cui chi può si allontana.
Una volta scesi a Osaka, a sole tre ore di distanza dalla capitale, l'atmosfera è visibilmente diversa. Niente razionamento energetico, niente scaffali svuotati. A Umeda, uno dei quartieri centrali della città e centro della vita notturna, gli alberi sono illuminati come se fosse Natale. Naoki Shimada, cameriere ad un ristorante di okonomiyaki (il piatto tipico di Osaka), dice che la volontà di risparmiare corrente ci sarebbe ma «sono i padroni dei negozi della zona che non vogliono». A circa 500 chilometri dalla capitale al buio, la seconda città più ricca del Giappone si illumina a festa di neon lampeggianti.
«Quello che sta succedendo al nord è sentito come lontano, a Osaka nessuno ha mai avuto esperienza di un forte terremoto», dice Hiroshi Miki, che durante il violento terremoto di Kobe nel 1995 era incaricato di gestire la logistica dei soccorsi e che ora dirige una clinica. Al contrario, la vicina cittadina di Kobe, che fu rasa al suolo da un sisma di 7,2 gradi della scala Richter - circa due in meno rispetto a quello del Tohoku - è stata la prima a fornire aiuti e volontari per aiutare nei soccorsi.
Circa dieci minuti dopo aver incontrato il dottor Miki, una scossa di assestamento di intensità 6 ha fatto tremare anche Osaka, proprio quella che doveva essere l'area del minimo rischio.
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