Mio nonno, ora defunto, un uomo di robusta razza contadina norvegese-americana, che in seguito divenne direttore di giornale e attivista politico durante la Prima guerra mondiale, era solito dire: “Un uomo può abituarsi con il tempo a qualsiasi cosa, tranne morire…e anche a questo, con una certa pratica.” Bene, com’è nel destino delle cose, sembra che noi, la stragrande maggioranza del genere umano, siamo in procinto di verificare questa massima per quanto riguarda la disponibilità del nostro stesso pane quotidiano.
Il cibo è una di quelle cose singolari per cui è difficile vivere senza. Tutti noi tendiamo a dare per scontato che il nostro supermercato locale continuerà a offrire tutto ciò che vogliamo, in abbondanza, a prezzi accessibili o quasi. Eppure vivere senza cibo sufficiente, è la prospettiva che sempre più centinaia di milioni, se non miliardi, di esseri umani dovranno affrontare nei prossimi anni.
In un certo senso, questo è veramente paradossale. Il nostro pianeta ha tutto quello che serve per procurare cibo nutriente naturale per sfamare tutta la popolazione mondiale, per più volte. Questo è un dato di fatto, nonostante le devastazioni prodotte dall’agricoltura industrializzata nel corso dell’ultimo mezzo secolo e oltre.
Allora, come può essere che il nostro mondo dovrà affrontare, secondo alcune previsioni, la prospettiva di un decennio o più di carestie su scala globale?
La risposta sta nelle forze e nei gruppi d’interesse che hanno deciso di provocare artificialmente la scarsità di cibo nutriente. Il problema ha diverse importanti dimensioni.
Eliminare le riserve di emergenza
La capacità di manipolare a volontà il prezzo di alimenti essenziali in tutto il mondo - quasi senza tenere conto della reale disponibilità e della domanda di cereali al presente - è piuttosto recente. E questo si comprende anche a stento.
Fino alla crisi cerealicola della metà degli anni ‘70 non esisteva un singolo “prezzo mondiale” per il grano, parametro di riferimento per il prezzo di tutti gli alimenti e dei prodotti alimentari. I prezzi del grano erano determinati a livello locale in migliaia di borse in cui acquirenti e venditori s’incontravano. L’inizio della globalizzazione economica è stato di cambiare tutto questo radicalmente in peggio, quando una modesta percentuale di granaglie commercializzata a livello internazionale era in grado di fissare il prezzo globale per la maggior parte dei cereali coltivati.
Fin dal periodo delle prime tracce lasciate dalla civiltà dei Sumeri, circa duemila anni prima di Cristo, nella regione tra i fiumi Tigri ed Eufrate dell’Iraq di oggi, quasi tutte le civiltà hanno avuto la consuetudine di conservare uno stock di scorte dei raccolti di granaglie - fino ai tempi più recenti. La ragione erano le guerre, le siccità e le carestie. Quando correttamente conservato, il grano poteva essere tranquillamente immagazzinato per un periodo di circa sette anni, permettendo scorte di riserva nei casi di emergenza.
Dopo la Seconda guerra mondiale, Washington istituiva un Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) che doveva servire come cuneo per dare impulso al libero scambio tra le grandi nazioni industriali, in particolare nell’ambito della Comunità europea. Durante le discussioni negoziali iniziali, l’agricoltura veniva deliberatamente esclusa dal tavolo delle trattative su insistenza degli Europei, soprattutto dei Francesi, che consideravano la difesa politica europea della Politica Agricola Comunitaria (PAC) e le protezioni all’agricoltura europea come non negoziabili.
A partire dagli anni ’80, con le crociate politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, le posizioni estremiste del libero mercato sulle posizioni estremiste di Milton Friedman della scuola di Chicago divennero sempre più accettate dai principali circoli di potere europei. Passo dopo passo la resistenza all’agenda del libero commercio in agricoltura dettata da Washington andava a dissolversi.
Dopo oltre sette anni d’intenso mercanteggiamento, di pressioni e di azioni lobbistiche, nel 1993 l’Unione Europea finalmente accettava l’Accordo GATT Uruguay Round, che esigeva una forte riduzione del protezionismo delle agricolture nazionali. Al centro dell’Accordo dell’Uruguay Round vi era l’intesa su un cambiamento importante: le riserve di granaglie nazionali, come manifestazione di responsabilità dei governi, dovevano dirsi concluse.
Secondo il nuovo patto GATT del 1993, formalizzato con la creazione di un’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) delegata a vigilare sugli accordi attraverso sanzioni applicabili contro i trasgressori, il “libero commercio” di prodotti agricoli assumeva per la prima volta una priorità concordata fra le nazioni commerciali più importanti del mondo, una fatale decisione, per usare un eufemismo.
D’ora in avanti, le riserve di granaglie dovevano essere gestite secondo le regole del “libero mercato” da compagnie private, le più grandi fra queste erano rappresentate dai giganti del Cartello del Grano degli Stati Uniti, i colossi dell’affarismo agro-alimentare statunitense. Le imprese di granaglie sostenevano che sarebbero state in grado di colmare eventuali lacune di emergenza in modo più efficiente e che avrebbero difeso i governi dai costi relativi. Questa sconsiderata decisione avrebbe aperto le cateratte agli imbrogli e alle manipolazioni senza precedenti del mercato del grano.
La ADM (Archer Daniels Midland), la Continental Grain, Bunge e, prima inter pares, la Cargill— la più grande società privata per il commercio di granaglie e nel settore agro-alimentare nel mondo, sono risultate le grandi vincitrici nel processo del WTO.
L’esito delle trattative GATT sull’agricoltura risultava di sicuro gradimento alla gente della Cargill. Questo non sorprendeva gli addetti ai lavori. L’ex amministratore delegato della Cargill, Dan Amstutz, aveva svolto il ruolo chiave nella stesura della sezione commerciale per l’agricoltura del GATT Uruguay Round.[1]
Nel 1985, D. Gale Johnson dell’Università di Chicago, un collega di Milton Friedman, era co-autore di una relazione di grande rilievo per la Commissione Trilaterale di David Rockefeller, che costituiva il programma per quello che definivano come “riforma dell’agricoltura orientata al mercato”. Il gruppo Rockefeller e i suoi comitati di esperti erano gli architetti di una “riforma dell’agricoltura”, la più radicale nel nostro mondo post-1945.
Il processo di eliminare le riserve di grano governative nei principali paesi produttori è avvenuto con gradualità, ma con l’approvazione del progetto di legge “Farm Bill” del 1996, gli Stati Uniti praticamente eliminavano le loro scorte di grano. L’Unione Europea seguiva poco dopo. Oggi, tra i paesi maggiori produttori agricoli, solo Cina e India continuano a perseverare in una politica di sicurezza strategica nel conservare riserve di grano a livello nazionale. [2]
Wall Street puzza di sangue
L’eliminazione delle riserve nazionali di grano negli Stati Uniti e nell’Unione Europea e negli altri principali paesi industrializzati dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) poneva le basi per il passaggio successivo nel processo, l’eliminazione della regolamentazione sui prodotti derivati delle materie prime agricole, che permetteva manipolazioni incontrollate di una speculazione sfrenata.
Sotto la giurisdizione del Ministero del Tesoro di Clinton (1999 - 2000), la deregolamentazione dei controlli governativi sulla speculazione delle materie prime agricole veniva formalizzata dalla Commodity Futures Trading Commission (CFTC), l’ente governativo incaricato di sovrintendere il commercio dei derivati negli scambi delle materie prime, così come dalla Direzione generale del Commercio di Chicago o dalla Borsa Mercantile di New York (NYMEX) - e nella legislazione redatta da Tim Geithner e Larry Summers al Ministero del Tesoro.
Come descritto più avanti, non è stato un caso che Wall Street abbia promosso Geithner, ex presidente della New York Federal Reserve, a diventare Ministro del Tesoro di Obama nel 2008, nel bel mezzo della peggiore debacle finanziaria della storia. Qualcosa a che fare con volpi poste a guardia di pollai!
Nel 1972-1973, Henry Kissinger, come segretario di Stato, agendo in combutta con il Dipartimento di Agricoltura e le principali società nel commercio di granaglie degli Stati Uniti, orchestrava un balzo senza precedenti, il 200%, del prezzo del grano. A quel tempo, l’aumento del prezzo veniva innescato dal fatto che gli Stati Uniti avevano sottoscritto un contratto triennale con l’Unione Sovietica, che aveva appena attraversato il disastro di un fallimentare raccolto.
L’accordo USA-URSS veniva a cadere in mezzo ad una siccità globale e a raccolti gravemente ridotti in tutto il mondo, un periodo che avrebbe dovuto richiamare alla prudenza nel vendere l’intero armadio del grano degli Stati Uniti a un apparente avversario nella Guerra Fredda. La vendita avveniva nel corso di un raccolto mondiale di cereali largamente deficitario, che conduceva a un rialzo dei prezzi esplosivo. Allora, voci critiche nella stampa degli Stati Uniti molto appropriatamente ribattezzavano tutto ciò come la Grande Rapina del Grano.
Kissinger aveva anche organizzato che la gran parte dei costi delle spedizioni di grano ai Sovietici doveva essere a carico dei contribuenti statunitensi. Cargill e tutta la compagnia se la ridevano nel guadagnare molto e così facilmente. [3]
Intorno allo stesso periodo, le grandi compagnie cerealicole statunitensi - Cargill, Continental Grain, ADM, Bunge – davano inizio a quello che sarebbe stato un ventennale processo di trasformazione dei mercati mondiali dei cereali in sedi opportune a tenere sotto controllo la sostanziale nutrizione umana e animale, manipolando i prezzi delle granaglie a prescindere dalla disponibilità e dalle forniture.
Il ventennale processo da parte degli Stati Uniti per guadagnare il controllo sui mercati e sui prezzi mondiali dei cereali compiva un gigantesco balzo in avanti negli anni ‘80 con l’avvento dell’“index trading” finanziario delle materie prime e di altri derivati.
La nuova versione della rapina del grano a Wall Street da parte della “ banda Geithner-Summers”, soprattutto dopo il 2006, avrebbe fatto impallidire quella che Kissinger e soci avevano progettato negli anni ’70.
Nel 1999, sotto la spinta delle grandi banche di Wall Street come la Goldman Sachs, JP Morgan, Chase Manhattan e la Citibank, l’Amministrazione Clinton stilava uno statuto che avrebbe radicalmente alterato la storia del commercio dei cereali. Questo protocollo veniva chiamato “Commodity Futures Modernization Act”, e diventava legge nel 2000.
I due artefici chiave della nuova legge di Clinton erano l’ex consulente della Goldman Sachs e allora Ministro del Tesoro dell’amministrazione Clinton Larry Summers, e il suo assistente al Tesoro Tim Geithner, l’amico di Wall Street, e oggi Ministro del Tesoro di Obama.
Come ministro, Summers si dimostrava anche un protagonista chiave nell’ostacolare gli sforzi per regolare gli strumenti finanziari derivati riguardanti le materie prime e i prodotti finanziari.[4]
Le raccomandazioni Summers-Geithner erano contenute in un rapporto del novembre 1999 inviato al Congresso dal gruppo operativo del Presidente sui mercati finanziari, il famigerato “Plunge Protection Team”. [5]
In quel periodo, la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) proponeva anche di deregolamentare la negoziazione dei derivati tra le banche o gli istituti finanziari più importanti, inclusi i derivati del grano e di altri prodotti agricoli. [6]
La deregulation storica e senza precedenti ha aperto un enorme buco nella supervisione governativa della commercializzazione dei derivati, un buco che alla fine ha facilitato quel gioco dei derivati che ha portato al collasso finanziario del 2007. Ha anche prodotto la deregolamentazione senza limitazioni che sta dietro la gran parte della recente esplosione dei prezzi dei cereali.
Alcuni anni prima, nel 1991, la Goldman Sachs aveva lanciato sul mercato il proprio “indice” sulle materie prime, che doveva diventare il punto di riferimento mondiale per la negoziazione dei derivati di tutte le merci, compresi i prodotti alimentari e del petrolio.
Il “Goldman Sachs Commodity Index” o GSCI era un nuovo derivato che seguiva l’andamento dei prezzi di circa 24 prodotti - dal mais, ai maiali, al caffè, dal frumento ai metalli preziosi e all’energia.
Dal punto di vista di Wall Street, l’idea era geniale. Permetteva agli speculatori di scommettere sul prezzo futuro di un intera gamma di materie prime in un unico passaggio, una sorta di versione di Wall Street come centro commerciale specializzato nel gioco d’azzardo ...
Con la deregolamentazione CFTC del commercio delle materie prime nel 1999, la Goldman Sachs è stata posta nella condizione di raccogliere dolci ricompense finanziarie con i suoi GSCI.
Banchieri e “hedge funds” (fondi assicurativi) e altri speculatori di alto profilo ora erano in grado di assumere posizioni di enorme predominio o di scommettere sul prezzo futuro dei cereali, in definitiva senza alcuna necessità di fare incetta sostanziale di frumento o di mais in magazzini reali.
Ora il prezzo del grano veniva gestito dai padroni del nuovo casinò delle forniture di granaglie - da Wall Street a Londra e oltre - che commerciavano futures (contratti a termine e a premio su merci o titoli per garantirsi da future oscillazioni) e contratti di opzioni di grano a Chicago, Minneapolis, Kansas City.
Non era più il prezzo del future una forma di copertura (da rischi di fluttuazioni, con acquisti o vendite a termine) limitata ai partecipanti ben informati attivi nel settore cerealicolo, o agli agricoltori o ai mugnai o ai grandi utilizzatori finali di granaglie - ai singoli operatori economici che confidavano su contratti futures per oltre un secolo, in modo da tutelare se stessi dai rischi di raccolti fallimentari o da calamità.
Il grano era diventato un nuovo terreno speculativo per chiunque avesse voglia di rischiare il capitale degli investitori, per i giocatori d’azzardo di alte poste in gioco, come Goldman Sachs o Deutsche Bank o fondi assicurativi ad alto rischio collocati in “paradisi fiscali”.
Il frumento, come prima il petrolio, era ormai quasi completamente svincolato dall’offerta del giorno e dalla domanda nel breve termine. Il prezzo poteva venire manipolato per brevi periodi tramite voci di corridoio, dicerie piuttosto che sulla base di fatti reali. [7]
A differenza dei soggetti direttamente coinvolti, come mugnai o agricoltori o le grandi catene della ristorazione, gli speculatori non producevano né conservavano nei magazzini il mais o il frumento, con cui giocavano d’azzardo. Costoro non avrebbero potuto immagazzinare 10 tonnellate di grano duro detto “red winter”, e conservarlo. Il loro gioco consisteva in una nuova forma complessa di arbitraggio (acquistando e vendendo simultaneamente diversi beni in piazze diverse), dove l’unica regola era di comprare al ribasso e vendere al rialzo.
Le istituzioni finanziarie dei derivati e il governo degli Stati Uniti erano compiacenti nel consentire una negligenza nella regolamentazione, permettendo ai giocatori potenziali di ottenere profitti da un gioco speculativo che spesso si ripeteva per molte volte.
Ma esisteva un’altra spirale perversa: il derivato GSCI della Goldman Sachs era strutturato in modo che gli investitori potevano solo acquistare il contratto. Si trattava, secondo la definizione del settore, di un derivato “long only”.
Con ciò, nessuno avrebbe previsto (e scommesso) su un calo del prezzo dei cereali. Ci si attendeva solo di fare profitti su un costante incremento del prezzo di grano, e quello che è successo è che investitori sempre più ingenui venivano risucchiati dentro una rischiosissima speculazione delle materie prime, dando luogo a una sorta di “profezia che si auto-avvera”.[8]
Questo future “long only” era stato costruito per incoraggiare i clienti della banca a lasciare per un lungo periodo il loro denaro alle banche o in un fondo, consentendo così ai banchieri di giocare con i soldi degli altri, con la potenzialità di enormi profitti eccezionali per i banchieri - mentre le perdite si riversavano sui clienti.
L’errore fatale si rivelava quando la struttura del derivato GSCI non consentiva “vendita a breve”, che avrebbe costretto i prezzi al ribasso nei momenti di surplus di cereali. Gli investitori venivano attirati in un sistema che imponeva loro di comprare e continuare a comprare, una volta che i prezzi del grano salivano per un qualsiasi motivo.
Presto altre banche, tra cui Barclays, Deutsche Bank, Pimco, JP Morgan Chase, AIG, Bear Stearns e Lehman Brothers, lanciavano i loro “index funds” sulle materie prime.[9]
Per la prima volta, investire ad alto rischio sulle materie prime - anche sui cereali e su altri prodotti agricoli - diventava un prodotto finanziario per il “piccolo uomo” che sapeva poco o nulla di ciò in cui stava per essere coinvolto, di ciò per cui il suo banchiere o il suo consulente di investimenti gli facevano tanta urgenza a investire.
Le banche, come al solito giocano con “i soldi degli altri” - a scapito degli “altri”.
In una dettagliata analisi della bolla del prezzo del grano del 2007-2008, Olivier de Schutter, un relatore speciale dell’ONU sul diritto all’alimentazione, ha recentemente concluso che “una parte significativa degli aumenti di prezzo e la volatilità dei beni alimentari di prima necessità possono essere spiegate solo dalla comparsa di una bolla speculativa”. [10]
Il tempismo di quella bolla fu notevole per compensare convenientemente le perdite enormi di quelle stesse mega-banche che erano andate sotto acqua a causa dei loro eccessi nel cartolizzare ipoteche sulla casa e per altre follie nel casinò di Wall Street.
Schutter aggiungeva: “In particolare, vi sono ragioni per credere che un ruolo significativo è stato giocato dall’entrata nei mercati dei derivati basati sui prodotti alimentari dei grandi, potenti investitori istituzionali come i fondi assicurativi, i fondi pensione e le banche di investimento, che generalmente erano disinteressati dai fondamentali del mercato agricolo. Tale ingresso era stato reso possibile dalla deregolamentazione dei mercati dei derivati sui beni essenziali, a partire dal 2000.” [11]
A seguito dello sgonfiamento della bolla dei titoli delle dot.com nel 2000, quando Wall Street e gli altri principali attori finanziari hanno cominciato a cercare alternative, le materie prime e i derivati ad alto rischio basati su panieri di materie prime divennero per la prima volta un terreno importante degli investimenti speculativi.
Dal 2000 il complessivo dei dollari investiti nei diversi “index funds” delle materie prime – considerevoli i GSCI della Goldman Sachs - è aumentato da circa $13 miliardi nel 2003 a un sbalorditivo ammontare di $ 317 miliardi nel corso della bolla speculativa del petrolio e del grano nel 2008. Questo è stato documentato in uno studio della Lehman Brothers, poco prima che il ministro del Tesoro Henry Paulson usasse questi fondi come agnello sacrificale per salvare la sua cricca di Wall Street. [12]
Dal 2008 con qualche oscillazione, i fondi di investimento hanno continuato a riversarsi in fondi delle diverse materie prime, mantenendo i prezzi degli alimentari elevati e sempre crescenti. Dal 2005 al 2008, il prezzo mondiale del cibo è aumentato di un 80 per cento - e ha continuato ad aumentare. Nel periodo dal maggio 2010 al maggio 2011 il prezzo del grano è salito ancora circa dell’85%.
“È senza precedenti quanto capitale d’investimento è stato impegnato nei mercati delle materie prime”, ha detto Keith Kendell, presidente della National Grain and Feed Association, in una recente intervista. [13]
L’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) delle Nazioni Unite stima che dal 2004 i prezzi degli alimentari sono aumentati in media di un 240%, senza precedenti. L’offerta di prodotti alimentari come alternativa speculativa da parte delle grandi banche e fondi assicurativi è esplosa nel 2007, quando lo tsunami finanziario dei “sub-prime” negli Stati Uniti ha colpito per primo. Da allora, la speculazione sui prodotti alimentari ha raccolto più slancio, quando altri investimenti in azioni e obbligazioni si erano rivelati molto pericolosi.
Come risultato vi è stato un aumento prevedibile e rapido della privazione di cibo, della fame e della malnutrizione nelle popolazioni più povere di tutto il mondo.
La FAO calcola che i paesi con deficit alimentare saranno costretti a sborsare sicuramente il 30% in più per importare cibo - con un valore globale che si aggira sui $ 1.300 miliardi.
Tre decenni fa, questo mercato internazionale era ridotto, oggi è dominato prevalentemente da una piccola manciata di giganti statunitensi dell’agribusiness. Gli affari sull’agro-alimentare, allo stesso modo delle esportazioni militari, costituiscono un nucleo del settore strategico degli Stati Uniti, e da tanto tempo sono sostenuti attraverso misure straordinarie da Washington.
Tutto ciò fa parte di un programma più ampio, e piuttosto riservato, delineato decenni fa, sotto l’egida delle Fondazioni Rockefeller e Ford e dei sostenitori dell’eugenetica. [14]
L’importazione di cibo è oggi la regola piuttosto che l’eccezione, visto che prodotti agro-alimentari globalizzati, a volte di scarsa qualità, spesso sotto pressione del Fondo Monetario Internazionale, vengono imposti alle popolazioni del mondo in via di sviluppo, e molti di questi popoli una volta erano autosufficienti nelle loro produzioni agro-alimentari, ed ora sono stati resi dipendenti da cibo importato.
Questo viene attuato in nome del “libero mercato” o di una agricoltura che viene spesso etichettata come “orientata al mercato”. Viene passato sotto silenzio il fatto che il cosiddetto “mercato” è di una colossale inefficienza e malsano, letteralmente e finanziariamente.
La dipendenza da cibo importato, viene creata artificialmente dai grandi conglomerati multinazionali come Tyson Foods, Smithfield, Cargill o Nestlé, giganti multinazionali la cui preoccupazione ultima sembra riguardare la salute e il benessere di quelli fra noi che devono consumare i loro prodotti alimentari industriali.
Le importazioni di prodotti agro-alimentari di scadente qualità spesso colpiscono i prezzi dei raccolti coltivati localmente, inducendo milioni di persone ad abbandonare la loro terra per trasferirsi in città sovraffollate alla disperata ricerca di un posto di lavoro.
Oggi il prezzo dei derivati del grano, o “grano di carta”, determina e controlla il prezzo del frumento reale, quando speculatori come Goldman Sachs, JP Morgan Chase, HSBC, Barclays o fondi di copertura nei “paradisi fiscali” - con poco interesse per i cereali se non come fonte di profitto - ora superano quattro a uno coloro che sono impegnati in modo onesto nell’industria agro-alimentare.
Questo ha capovolto completamente la situazione che ha dominato i prezzi dei cereali negli ultimi cento anni o più. Per circa 75 anni, la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) ha imposto dei limiti sulla quantità di alcuni prodotti agricoli - tra cui frumento, cotone, soia, farina di soia, mais, e avena – che possono ora essere negoziati da protagonisti non di quel settore commerciale, che non fanno parte dell’industria alimentare.
I cosiddetti “introdotti” in questo settore commerciale, come agricoltori o produttori alimentari, in precedenza potevano commerciare una quantità limitata per gestire il loro rischio. Non così in presenza della pura speculazione.
Tali limitazioni erano state individuate per evitare la manipolazione e la distorsione insite nei mercati relativamente piccoli. Con il passaggio del Commodity Modernization Act di “Summers-Geithner” del 2000 e la famigerata “scappatoia Enron” - che permetteva l’esenzione dall’osservare il regolamento governativo - il commercio tira e molla dei derivati energetici veniva rapidamente ampliato con l’inclusione dei prodotti alimentari.
Il ghiaccio veniva rotto nel 2006, quando Deutsche Bank chiedeva ed otteneva il permesso dalla CFTC di essere esonerata da ogni limite nelle contrattazioni. Le autorità di regolamentazione assicuravano che non ci sarebbero state sanzioni per il superamento dei limiti. Altri seguirono, come gregge di pecore.[15]
Per circa due miliardi di persone nel mondo che spendono più della metà del loro reddito per cibo, gli effetti sono stati terribili. Durante l’esplosione del prezzo del grano dovuta alla speculazione nel 2008, quasi un miliardo di esseri umani divennero come l’ONU li ha definiti, dall’“alimentazione insicura”, un nuovo record. [16]
Necessariamente, questo non sarebbe mai avvenuto, se non per le diaboliche conseguenze della speculazione sul grano frutto della deregolamentazione del governo degli Stati Uniti, con il sostegno del Congresso degli Stati Uniti negli ultimi dieci anni o più.
All’inizio del 2008, oltre il 35% di tutte le terre arabili degli Stati Uniti veniva piantato a mais, per essere bruciato come biocombustibile nel quadro degli incentivi dell’Amministrazione Bush. Nel 2011 si è superato un totale del 40%.
Così, la scena è stata preparata in modo tale che una minima crisi in un mercato minore può far detonare la bolla speculativa nei mercati dei cereali.
Agribusiness come strategia di lungo termine
L’aumento record dei prezzi dei cereali e degli alimentari in anni recenti non costituisce solo un espediente per ottenere profitti, e peraltro si sono realizzati profitti in modo osceno.
Piuttosto, questo con tutta evidenza fa parte integrante di una strategia di lungo termine le cui radici bisogna far risalire agli anni subito dopo la Seconda guerra mondiale, quando Nelson Rockefeller e soci hanno tentato di organizzare la catena alimentare mondiale secondo il medesimo modello monopolistico che avevano utilizzato per il petrolio mondiale.
Da allora in avanti, il cibo sarebbe diventato un’altra materia prima, come il petrolio o lo stagno o l’argento, la cui disponibilità e il prezzo venivano in conclusione controllati da un piccolo gruppo di potenti operatori borsistici.
Allo stesso tempo, i fratelli Rockefeller stavano espandendo i loro ricchi affari globali dal petrolio all’agricoltura nel mondo in via di sviluppo mediante il paradigma post-bellico della “Verde Rivoluzione” guidata dalla tecnologia, e per questo stavano finanziando presso l’Università di Harvard un progetto, senza comunque darne pubblico rilievo. Il progetto avrebbe costituito l’infrastruttura del loro piano di globalizzare la produzione alimentare mondiale sotto il controllo centrale di una manciata di imprese private.
I creatori del progetto lo denominarono “agribusiness”, per differenziarlo dall’agricoltura tradizionale basata sulla coltivazione della terra per la produzione di raccolti destinati alla nutrizione e al sostentamento degli uomini.
La spinta a porre nelle mani dei privati le riserve cerealicole destinate alle emergenze da parte dei governi nazionali mondiali non rappresentava altro che la logica espansione dell’originale strategia dell’agribusiness di Rockefeller, come lo era la tanto falsamente decantata “Rivoluzione Verde” , che in buona sostanza semplicemente si riduceva a promuovere una enorme vendita di prodotti statunitensi per l’agricoltura, dai trattori John Deere (per cui venivano utilizzati grandi volumi di prodotti della Standard Oil Rockefeller) ai fertilizzanti chimici di altre compagnie statunitensi sempre gravitanti nell’orbita dei Rockefeller, provocando la tendenza su larga scala per milioni di agricoltori ad abbandonare la terra per le città industriali, dove andavano a costituire un bacino di lavoratori a basso prezzo per le grandi multinazionali.
Comunque, i tanto reclamizzati rendimenti dei raccolti si ribaltavano per diventare vere e proprie rovine dopo alcune stagioni di raccolto. [17]
Agribusiness e Rivoluzione Verde andavano in stretta relazione. Facevano parte di una grandiosa strategia che, pochi anni più tardi, avrebbe previsto anche il finanziamento da parte della Fondazione Rockefeller della ricerca per lo sviluppo dell’alterazione genetica di piante.
John H. Davis era stato vice-ministro all’agricoltura durante la presidenza di Dwight Eisenhower nei primi anni ’50. Nel 1955 lasciava Washington per trasferirsi alla Scuola Superiore di Economia di Harvard, a quel tempo un’insolita posizione per un esperto di agricoltura. Davis aveva una chiara strategia. Nel 1956 aveva scritto un articolo nella Rivista di Economia di Harvard in cui dichiarava, “il solo modo di risolvere il problema dell’agricoltura, ed evitare così al governo una fastidiosa programmazione, è di avanzare sulla strada che porta dall’agricoltura all’agribusiness.”
Egli sapeva precisamente quello che aveva in mente, e pochi osservatori avevano idea di tutto questo. [18]
Davis, collaborando con un altro professore della Scuola di Economia di Harvard, Ray Goldberg, formava un gruppo di lavoro ad Harvard con l’economista di origine russa Wassily Leontief, che allora stava monitorando l’intero sistema economico degli Stati Uniti in un progetto finanziato dalla Fondazione Rockefeller.
Durante la guerra, il governo degli Stati Uniti aveva incaricato Leontief di sviluppare un metodo di analisi dinamica del sistema economico nel suo complesso, a cui egli faceva riferimento come analisi ‘input-output’. Leontief operava per conto del Ministero del Lavoro degli Stati Uniti e per l’OSS, l’Ufficio per i Servizi Strategici, il predecessore della CIA. [19]
Nel 1948 Leontief ricevette un’importante assegnazione quadriennale di $100.000 dalla Fondazione Rockefeller per impostare ad Harvard il “Progetto di Ricerche Economiche sulla Struttura del Sistema Economico Americano”.
Un anno dopo, l’Aviazione Militare degli Stati Uniti entrava nel progetto di Harvard, un curioso impegno per uno dei settori principali dell’esercito degli Stati Uniti. Da considerare che proprio allora i computers a transistor ed elettronici erano stati sviluppati con i metodi della programmazione lineare, che avrebbe permesso di processare enormi quantità di dati statistici in campo economico. Presto, anche la Fondazione Ford avrebbe contribuito ai finanziamenti del progetto Harvard. [20]
Il progetto Harvard e la sua componente dell’agribusiness facevano parte del cruciale tentativo di rivoluzionare la produzione alimentare negli Stati Uniti, e più tardi nel mondo. Occorsero quattro decenni prima di assumere il dominio dell’industria alimentare.
Il professor Goldberg in seguito faceva riferimento alla rivoluzione dell’agribusiness e allo sviluppo dell’economia di una agricoltura geneticamente modificata come al “cambiamento della nostra società e del nostro sistema economico globale più drammatico rispetto ad ogni altro avvenimento nella storia dell’umanità”. [21] Ed egli era nel giusto, come noi possiamo essere testimoni sul decennio a venire.
Come Ray Goldberg si vantava in anni successivi, l’idea fondamentale che ispirava il loro progetto di agribusiness era la reintroduzione di una “integrazione verticale” nella produzione alimentare degli Stati Uniti.
Negli anni ’70, molti americani avevano dimenticato quante dure battaglie erano state combattute prima della Prima guerra mondiale e durante gli anni ’20 per far passare in Congresso leggi che proibivano l’integrazione verticale da parte di società giganti conglomerate, e che smantellavano concentrazioni di imprese (trust) come la Standard Oil, in modo da prevenire la formazione di monopoli in interi settori industriali fondamentali.
Questo, fino alla presidenza di Jimmy Carter, supportata da David Rockefeller, alla fine degli anni ’70, quando il sistema affaristico delle multinazionali statunitensi è stato in grado di dare inizio all’arretramento dopo decenni di disposizioni di leggi attentamente costruite dai governi degli Stati Uniti per regolamentare la sanità, la sicurezza alimentare e la protezione dei consumatori, e quindi spalancare le porte ad una nuova ondata di integrazioni verticali nei settori agrari. Il processo di integrazione verticale veniva spacciato ai cittadini inconsapevoli sotto la bandiera dell’“efficienza economica” e dell’“economia di scala”. [22]
Un ritorno all’integrazione verticale e al conseguente agribusiness veniva introdotto mediante una campagna pubblicitaria promossa dai più importanti mezzi di comunicazione di massa e dal sistema industriale che proclamava che il governo si era intromesso di troppo nelle esistenze quotidiane dei cittadini e doveva essere ridimensionato per ripristinare una condizione ordinaria di “libertà” per gli americani.
L’urlo di battaglia dei promotori della campagna era “deregulation”!
Naturalmente, de-regolamentazione da parte del governo voleva dire semplicemente aprire la porta al controllo privatistico – una diversa forma di regolamentazione – da parte di gruppi di imprese di grandi dimensioni e potentissime in ogni campo della produzione. Questo ha riguardato anche il campo dell’agricoltura – dagli anni ’70 ad oggi, quattro grandi compagnie del cartello cerealicolo hanno dominato i mercati mondiali delle granaglie. Queste compagnie hanno operato in combutta con i grandi giocatori nel campo dei derivati a Wall Street, come la Goldman Sachs e la JP Morgan Chase e Citigroup.
Nell’ultima parte del 2007, negoziare derivati alimentari veniva completamente deregolamentato da Washington, e le riserve di cereali dal governo degli Stati Uniti portate ad esaurimento. Era il modo più evidente per suscitare un drammatico aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.
La macchina della speculazione che si era insediata a Wall Street e i suoi amici banchieri avevano creato il potenziale per una rilevante e di lunga durata inflazione alimentare. Ma questa inflazione necessitava di un maggior “libero sfogo” per consentire alla “palla di correre veramente”. Questo doveva accadere con l’arrivo di George W. Bush.
La mazzata killer – la BP, il bioetanolo e il genocidio
Nel 2007, proprio quando una autentica crisi nel settore immobiliare degli Stati Uniti stava producendo le prime ondate sconvolgenti di uno tsunami finanziario a Wall Street, l’amministrazione Bush instaurava importanti pubbliche relazioni per cercare di convincere il mondo che gli Stati Uniti si erano trasformati nel “migliore amministratore dell’ambiente”. Troppa carne al fuoco per una montatura giornalistica truffaldina!
Il centro del programma di Bush, annunciato nel suo Messaggio sullo Stato dell’Unione del gennaio 2007, poteva essere definito come “20 in 10” – prevedendo un taglio del 20% nei consumi di carburanti a partire dal 2010. La motivazione ufficiale fornita all’opinione pubblica era quella di “ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio”, e di tagliare le emissioni di gas provocanti un indesiderato “effetto serra”.
Naturalmente, non si trattava proprio di questo, ma tutto ciò rendeva buona pubblicità. Ripetere spesso questo messaggio, forse poteva indurre tanta gente a crederci! Forse la gente non era in grado di realizzare che le tasse dei contribuenti servivano per aumentare la produzione di cereali destinati alla preparazione di etanolo invece che all’uso alimentare, e di conseguenza questo avrebbe mandato alle stelle il prezzo del pane quotidiano.
L’obiettivo primario del piano di Bush consisteva nell’enorme espansione dell’uso del bio-etanolo come carburante per il sistema dei trasporti, sfruttando la tassazione dei contribuenti.
In origine, il piano del presidente Bush prevedeva la produzione di 35 miliardi di galloni (circa 133 miliardi di litri) di etanolo all’anno dal 2017. Il Congresso aveva già dato mandato, mediante l’Energy Policy Act del 2005, che l’etanolo come carburante prodotto dal granturco doveva aumentare dai 4 miliardi di galloni del 2006 ai 7,5 miliardi di galloni nel 2012.
Per avere certezza che questo avvenisse, i produttori e i giganti dell’agribusiness, come l’ADM, ricevevano generosi contributi dall’erario per aumentare la produzione di grano per carburanti al posto del grano per alimentazione. Le aziende agricole del sistema delle imprese di David Rockefeller erano fra i maggiori destinatari dei sussidi agricoli concessi dal governo degli Stati Uniti.
Attualmente, negli Stati Uniti i produttori di etanolo ricevono una sovvenzione di 51 cents per gallone di etanolo. Il sussidio viene pagato al mescolatore, di solito una compagnia petrolifera, che miscela l’etanolo con il carburante petrolifero, per poi metterlo in vendita. Per il raccolto annuale del 2011, si valuta che il 40% di tutto il seminativo a cereali negli Stati Uniti sia destinato alla produzione di granaglie per bio-carburanti.
Come risultato di queste generose sovvenzioni da parte del governo degli Stati Uniti per la produzione di carburanti al bio-etanolo, e delle nuove disposizioni di legge, l’industria statunitense della raffinazione è stata investita al massimo livello nella costruzione di speciali nuove distillerie di etanolo, molto simili alle raffinerie di petrolio. Attualmente, il numero di questi impianti in costruzione supera il numero complessivo delle raffinerie di petrolio costruite negli Stati Uniti negli ultimi 25 anni. Quando questi impianti verranno portati a termine nei prossimi 2-3 anni, la richiesta di granturco e di altri cereali per la produzione di etanolo come carburante per autotrazione raddoppierà dagli attuali livelli.
Non consentendo di passare in secondo ordine, i burocrati dell’Unione Europea a Bruxelles – senza dubbio generosamente incoraggiati da BP, Cargill, ADM e dai più importanti gruppi di pressione favorevoli ai biocarburanti -- hanno aderito alla questione con un loro schema “10 in 20”, una disposizione normativa per cui il 10% di tutto il carburante per autotrazione nell’Unione Europea dal 2020 dovrà essere costituito da bio-carburante.
Scandalosamente, hanno legiferato così malgrado l’esistenza di un rapporto della stessa Commissione Europea sul pericoloso impatto di una tale massiccia svolta a sostenere l’uso di bio-carburanti.
Il The London Times riportava che uno studio della Commissione sulle implicazioni dell’uso di terreno agricolo per bio-carburanti, ora come fonte di un solo 5,6% del carburante per trasporto in Europa da bio-carburanti, concludeva che un significativo aumento oltre quel 5,6% avrebbe “rapidamente” accresciuto le emissioni di anidride carbonica e “avrebbe corroso la sostenibilità ambientale dei biocarburanti”…
Come per molti diktat politici, la cifra del 10% veniva imposta senza grandi riflessioni e nessuno della Commissione aveva la minima idea, nell’assumere questa decisione politica, di come l’industria dei carburanti, a prescindere da qualsiasi ordinanza, desse luogo ad un enorme aumento di piantagioni per bio-carburanti nei paesi tropicali. [23]
In breve, l’uso di terreno agricolo nel mondo per la produzione di bio-etanolo e altri bio-carburanti – viene bruciato prodotto alimentare piuttosto che usarlo per la nutrizione umana ed animale! – è stato considerato a Washington, nell’Unione Europea, in Brasile e in altri importanti centri come la più importante industria in fase di sviluppo.
Comunque, l’impatto sugli esseri umani è decisamente tutto opposto. Rapidamente sta sviluppandosi una industria di morte, la morte di milioni di esseri umani innocenti incapaci di procurare il nutrimento per se stessi e per le loro famiglie.
Attualmente, gli Stati Uniti sono di gran lunga i maggiori produttori al mondo di bio-carburante ad etanolo come carburante per trazione. Nel 2010, gli Stati Uniti hanno prodotto 13 miliardi di galloni pari a 50 miliardi di litri di carburante al bio-etanolo, una percentuale vicina al 60% di tutta la produzione mondiale. L’Unione Europea contribuisce per un 6% al totale globale, come numero tre dietro al Brasile nella macabra competizione di vedere quale paese può distruggere la maggior quantità di cibo bruciandolo come carburante tossico. [24]
L’aspetto più allarmante dell’intero imbroglio dei bio-carburanti sta nel fatto che tre anni dopo l’esplosione del prezzo del grano del 2008 veniva dimostrato che gli aumenti erano direttamente collegati alla rimozione di milioni di acri di terreno agricolo negli Stati Uniti – passando da coltivazione di granaglie per alimentazione a granaglie per carburanti – e nessun provvedimento veniva adottato dal Congresso degli Stati Uniti, né dall’Unione Europea e nemmeno da altre istituzioni per ribaltare questa politica insana.
La sbalorditiva inazione sembra testimoniare il potere politico della lobby dei bio-carburanti. Chi sono costoro?
Non fa sorpresa che questi lobbisti siano gli stessi giganti dell’agribusiness e petroliferi che sovrintendono alle politiche alimentari ed energetiche negli Stati Uniti e in Europa. Gli attori principali: BP, Shell, Exxon Mobil, Chevron, ADM, Cargill ed altri consimili. Si tratta di una lobby potente, una gallina che può letteralmente depositare tante uova d’oro nella forma di disposizioni che impongono la necessità di bio-carburanti da parte dell’Unione Europea, degli Stati Uniti ed in altri paesi.
Nel gennaio di quest’anno, l’Institute for European Environment Policy (IEEP), (Istituto per le Politiche Ambientali Europee), una organizzazione indipendente, ha pubblicato un documento sul ruolo delle bio-energie nei “piani di azione per le energie rinnovabili” dei governi dell’Unione Europea.
Recenti proclami da parte del governo della Germania che le rinnovabili sostituiranno la generazione di energia elettrica da centrali nucleari a partire dal 2020, e simili impegni di altri governi europei, tutti fanno assegnamento su una fantastica illusione che l’energia elettrica generata da grandi impianti nucleari può essere prodotta mediante il bio-diesel.
Lo studio dell’IEEP sottolinea come:
“Più di metà dell’energia rinnovabile che gli Stati Membri dell’Unione Europea si aspettano di consumare ogni anno dal 2020 consisterà di bio-energia, prodotta da bio-masse, bio-liquidi e bio-carburanti. Questo viene evidenziato in una prima valutazione della dimensione proposta dell’impiego di bio-energia da parte degli Stati Membri dell’Unione Europea nel periodo al 2020, come previsione nei loro Piani Nazionali di Azione su Energie Rinnovabili (NREAPs)...Viene anticipato un significativo aumento nel consumo totale di bio-energia.
Quindi, secondo i 23 piani esaminati, la bio-energia fornirà il principale contributo al settore delle energie rinnovabili. Complessivamente, si prevede che il contributo di bio-energia al consumo complessivo di energia diventerà più del doppio, passando dal 5,4% nel 2005 a quasi il 12% (124Mtoe, milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2020. La bio-energia avrà un ruolo quasi dominante nel settore delle energie rinnovabili dell’Unione Europea destinate al riscaldamento e al raffreddamento, e si prevede un suo contributo oltre l’80% all’obiettivo da raggiungere in questo settore. Nel settore elettrico, la quota di bio-energia sarà relativamente bassa, ma nel settore dei trasporti si prevede di raggiungere quasi il 90% del totale delle energie rinnovabili a partire dall’anno 2020.” [25]
L’Istituto IEEP ha condotto un’analisi sul terreno seminativo richiesto necessario per la coltivazione di un tale enorme aumento di cereali per bio-carburanti dal 2020. L’Istituto ha stimato, dopo la valutazione opportuna di tutti i fattori, che nell’Unione Europea sarà necessario un addizionale da “4,1 a 6,9 milioni di ettari” destinati alla produzione di bio-carburanti, un seminativo più di tre volte l’intero Stato del Kansas.
Inoltre, infrangendo il mito dell’Unione Europea che i biocarburanti contribuiscano alla riduzione di CO2 (fosse anche che la CO2 costituisca un problema, cosa che è altamente contestata da scienziati scrupolosi), lo IEEP calcola che l’enorme aumento nell’uso di bio-carburanti produrrà un quantitativo superiore di emissioni di CO2 da veicoli per autotrazione, come se venissero immessi in aggiunta sulle strade di Europa qualcosa come 26 milioni di veicoli. [26]
I bio-carburanti sono altamente indesiderabili per innumerevoli ragioni, come molte importanti organizzazioni ambientali hanno iniziato a ben comprendere. L’industria dell’etanolo da granaglie è in pieno sviluppo, e questo è largamente dovuto alle potenti lobby dei cereali e del petrolio. Parimenti la grande richiesta farà aumentare i prezzi del gas e dell’etanolo da cereali, visto che questo etanolo viene mescolato con la benzina. L’energia da etanolo ridimensiona l’economia dei carburanti per motori tradizionali. E cosa più importante, è semplicemente impossibile produrre la quantità di cereali richiesta per produrre un carburante che sia una alternativa valida al petrolio o a qualsiasi altra sorgente importante di energia. [27]
Una nuova desertificazione globale?
Quello che i propagandisti dei bio-carburanti – dalla BP ai fautori dell’agribusiness, in combinazione con le folli decisioni assunte dai governi, da Washington a Berlino e Parigi ed altri – hanno portato a compimento è l’eliminazione in tutto il mondo delle riserve cerealicole di sicurezza. Questo è stato vigorosamente mescolato con un cocktail di libere contrattazioni di derivati sulle merci senza alcuna regolamentazione, per creare gli ingredienti per la peggiore potenziale crisi alimentare nella storia dell’umanità.
Sfortunatamente, la verifica di questa ipotesi di crisi alimentare può già dirsi in fase di realizzazione a causa di forze ben lontane dalla capacità dell’uomo di essere controllate.
Al recente incontro annuale della Divisione di Fisica del Sole della Società Astronomica Americana, gli scienziati dell’Osservatorio Nazionale del Sole (NSO) e del Laboratorio di Ricerche dell’Aviazione Militare (AFRL) hanno presentato i risultati degli studi sull’attuale attività eruttiva solare, di gran lunga il fattore più importante che influenza le variazioni climatiche sulla Terra.
Le eruzioni avvengono ciclicamente secondo periodi di 11, 22 anni ed oltre. Gli studi sul Sole indicano che la Terra ora si trova all’inizio di quello che può essere un periodo di dieci anni o più di attività solare di gran lunga ridotta.
Una ridotta attività delle macchie solari significa un sole meno attivo. Il fisico olandese Gijs B. Graafland così si esprime: “Questo influenzerà in modo decisivo l’evaporazione dell’acqua degli oceani e quindi la quantità delle piogge. Questo comporta minori quantità di acqua disponibile per l’agricoltura e quindi minori raccolti e una scomparsa preoccupante di strati superficiali di terreno fertile diventati aridi. Ne deriverà un decennio di alti prezzi dei prodotti alimentari.” [28]
Per capirci più direttamente, questo potrebbe significare catastrofi climatiche, raccolti insufficienti, siccità e tempeste di polvere – come quelle che si abbatterono sul Midwest degli Stati Uniti durante la Grande Depressione degli anni ’30 – nelle regioni fertili del pianeta, e questo per una durata di tanti anni.
Se i fisici del Sole sono nel giusto, come l’eminente astrofisico russo Habibullo Abdussamatov, direttore delle ricerche spaziali dell’Osservatorio Astronomico Pulkovo di San Pietroburgo, che ha previsto similmente l’inizio di una nuova “Piccola Era Glaciale” [29] a partire dal 2014, noi possiamo già trovarci ad affrontare una crisi alimentare di una tale dimensione che il nostro pianeta mai ha dovuto assistere. [30]
Note:
[1] F. William Engdahl, Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation
(I semi della distruzione: l’agenda segreta della manipolazione genetica),
www.GlobalResearch.ca, Montreal, 2007, pp. 216-219.
[2] Sophia Murphy, Strategic Grain Reserves In an Era of Volatility (Riserve cerealicole strategiche in un’era di instabilità) , Institute for Agriculture and Trade Policy, Minneapolis, ottobre 2009.
[3] Anon., Un altro raccolto fallimentare nell’Unione Sovietica, Time, 28 novembre 1977 http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,919164,00.html#ixzz1NMsb5yQY
[4] PBS, L’avvertimento, Public Broadcasting System, 20 ottobre 2009, October 20, 2009, accessibile a http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/warning/view/#morelink.
[5] Lawrence Summers e altri, Over-the-Counter Derivatives Markets and the Commodity Exchange Act: Report of The President’s Working Group on Financial Markets (Le transazioni dei derivati su mercati ristretti e la norma sugli scambi di materie prime: relazione del gruppo di lavoro del Presidente sui mercati finanziari), Washington, D.C., novembre 1999.
[6] Cadwalader, Wickersham & Taft LLP, CFTC Releases Plan for Market Deregulation (la Commodity Futures Trading Commission rende pubblico il piano per la deregolamentazione dei mercati), 1 marzo 2000, accessibile a http://library.findlaw.com/2000/Mar/1/128962.html.
[7] Frederick Kaufman, How Goldman Sachs Created the Food Crisis (Come la Goldman Sachs ha creato la crisi alimentare), Foreign Policy, 27 aprile 2011, accessibile a http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/04/27/how_goldman_sachs_created_the_food_crisis.
[8] Amine Bouchentouf e altri, Investing in Commodities via the Futures Markets (Investire in materie prime attraverso il mercato dei futures), accessibile a
http://www.dummies.com/how-to/content/investing-in-commodities-via-the-futures-markets.html#ixzz1PdYxiCqD.
[9] Ibid.
[10] Olivier de Scheutter, Food Commodities Speculation and Food Price Crises (Speculazione su materie prime alimentari e crisi dei prezzi degli alimenti), Briefing Note 02, settembre 2010, accessibile a http://www.srfood.org/images/stories/pdf/otherdocuments/20102309_briefing_note_02_en_ok.pdf
[11] Ibid.
[12] Frederick Kaufman, The Food Bubble: How Wall Street starved millions and got away with it (Come Wall Street ha affamato milioni di persone e l’ha fatta franca), luglio 2010, Harper’s Magazine, pp. 32, 24.
[13] Frederick Kaufman, How Goldman Sachs Created the Food Crisis (Come la Goldman Sachs ha creato la crisi alimentare, Foreign Policy, 27 aprile 2011, accessibile a http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/04/27/how_goldman_sachs_created_the_food_crisis
[14] Neena Rai ed altri, High Food Prices Pose Threat to Poor Nations (Gli alti prezzi del cibo costituiscono una minaccia per le nazioni povere), The Wall Street Journal, 8 giugno 2011.
[15] Global Labour Institute, Food Crisis—Financializing Food: Deregulation, Commodity Markets and the Rising Cost of Food (La crisi alimentare – la finanziarizzazione del cibo: deregolamentazione, mercato delle materie prime e costo degli alimenti in aumento) Ginevra, 7 giugno 2008, accessibile a http://www.globallabour.info/en/2008/07/financializing_food_deregulati.html
[16] Ibid.
[17] Vedi F. William Engdahl, Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation (I semi della distruzione: l’agenda segreta della manipolazione genetica), 2007, Montreal, www.GlobalResearch.ca, pp.123-151, per un’analisi più circostanziata sull’impostura della Rivoluzione Verde e del suo “frumento meraviglioso”, così definito da Norman Borlaug, lui stesso prodotto dell’organizzazione di ricerca Rockefeller. [Norman Borlaug, statunitense, è stato agronomo ed ambientalista, vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1970, considerato il padre della Rivoluzione Verde.]
[18] Ibid.
[19] Ibid.
[20] Current Biography (Biografia più recente), 1967, Wassily Leontief; e Ray Goldberg.
[21] Ray Goldberg, The Evolution of Agribusiness (Lo sviluppo dell’agribusiness), Harvard Business School Executive Education Faculty Interviews:
W. Leontief, Studies in the Structure of the American Economy (Studi sulla struttura dell’economia Americana), 1953. International Science Press Inc., White Plains, New York.
Nella sua relazione annuale del 1956, la Fondazione Ford metteva in evidenza il contributo al “Progetto di ricerca economica ad Harvard”. Oltre a tutti gli altri programmi, veniva assegnato un contributo di 240.000 $ per appoggiare le attività del “Progetto di ricerca economica ad Harvard” per un periodo di sei anni. Questo centro, sotto la direzione del professor Wassily Leontief, era impegnato in una serie di studi quantitativi sulla struttura dell’economia usamericana, puntando l’attenzione soprattutto sulle relazioni inter-industriali e le interconnessioni fra industria e altri settori dell’economia. Veniva assegnato un identico contributo dalla Fondazione Rockefeller.
Vedere anche Ray Goldberg, The Genetic Revolution: Transforming our Industry, Its Institutions, and Its Functions, an address to The International Food and Agribusiness Management Association (IAMA) (La rivoluzione genetica: trasformare il nostro sistema industriale,le sue istituzioni e le sue funzioni, una comunicazione all’Associazione internazionale per la gestione dei prodotti alimentari e dell’agribusinness (IAMA). Chicago, 26 giugno 2000. Goldberg ha fondato e diretto lo IAMA e altri centri decisionali con riferimento ai consigli di amministrazione die gigantic dell’agribusiness Archer Daniels Midland, Smithfield Foods e Dupont Pioneer Hi-Bred. Egli ha messo in pratica ciò che è andato predicando.
[22] F. William Engdahl, op. cit.
[23] Carl Mortished, We’re on a green road to hell (Noi ci siamo incamminati su un sentiero verde verso l’inferno), The London Times, 10 aprile 2010.
[24] F.O. Lichts, Industry Statistics: 2010 World Fuel Ethanol Production (Statistiche industriali: la produzione mondiale di etanolo per carburanti nel 2010), Renewable Fuels Association, accessibile a http://www.ethanolrfa.org/pages/statistics#E.
[25] IEEP Study, The Role of Bioenergy in the National Renewable Energy Action Plans: A First Identification of Issues and Uncertainties (Il ruolo della bioenergia nei piani di azione nazionali per le energie rinnovabili: una prima identificazione delle problematiche e delle incertezze), 31 gennaio 2011, accessibile a http://www.ieep.eu/topics/climate-change-and-energy/energy/bioenergy/.
[26] IEEP Press Release, New Report Concludes that Indirect Impacts of EU Biofuel Policy will Create Major Environmental Pressure (Un recente rapporto conclude che le conseguenze indirette della politica sui bio-carburanti dell’Unione Europea produrranno una situazione di maggior sofferenza ambientale), 8 novembre 2010.
[27] P. Gosselin, German Ethanol Requirement Turns Into A Debacle (La richiesta di etanolo da parte della Germania porta al disastro), 4 marzo 2011, accessibile a notrickszone.com/2011/03/04/German-Ethanol-Requirement-Turns-Into-A-Debacle.
[28] Gijs B. Graafland, Effects of low sunspot levels on evaporation…(Effetti della bassa attività delle macchie solari sull’evaporazione…), 9 maggio 2011, e-mail privata all’autore.
[29] Jerome R. Corsi, New Ice Age to begin in 2014--Russian scientist to alarmists: 'Sun heats Earth!' (Inizio di una nuova era glaciale dal 2014 --- Uno scienziato russo agli allarmisti: “Il sole riscalda la terra!”) , 17 maggio 2010, WorldNetDaily.
[30] Solar Science Staff Writers, Major Drop In Solar Activity Predicted (Prevista una rilevante diminuzione dell’attività solare), 15giugno 2011, Boulder Colorado, accessibile a http://www.spacedaily.com/reports/Major_Drop_In_Solar_Activity_Predicted_999.html
Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=25483
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