Eliseo Spiga: sesso, felicità la ricetta arriva dai nuragici
comunitarius
de sa defenza
Le confessioni d'un sardo nato in Val d'Aosta iniziano col passo lieve e un tantino malinconico, dell'autobiografia.
Ma si frantumano subito per diventare altro:saggio antropologico, manifesto politico, pamphlet eretico.
Nulla di nuovo sotto il sole: Eliseo Spiga è sempre stato un irregolare e neppure adesso che viaggia in età di saggezza e distacco riesce ad essere saggio e distaccato.
La Sardegna come utopia (Cuec editore, 332 pagine, 16 euro) è un grido che va ascoltato. Grido ideale che partendo dai nuragici, sogna e spera un'isola che ne coltivi l'eredità cogliendo dal passato il senso di una esistenza radicalmente da quella nevrotica-competitiva-invidiosa di oggi.
Da qui la proposta di una Costituente neo-nuragica che metta insiemeuomini e donne di buona volontà , cancelli le storture dell'imperialismo (che oggi si chiama globalizzazione), azzeri la politica del precariato , la logica dello sfruttamento e della svendita: di uomini, merci, paesaggio e forza lavoro.Fosse un prete, Spiga potrebbe fare questo discorso , riveduto e corretto, in un'omelia domenicale.
Pescando dall'inferno quotidiano senza salvare nessuno, propone la vita come sogno: di libertà e giustizia, rispetto e fratellanza. Quanto al passato, ci vuole poco a scoprire chi è il vero mandante delle cose che vanno male: Chi comanda realmente in sardegna, chi manomette è senz'altro l'oligarchia mondiale dominante.
Senza fisionomia definita. Sen'anima, sopratutto. Un Caligola moderno ma come l'antico, posseduto dall'incubo. Unica legge, il dominio. Unico dio, il denaro. Unica lingua l'Inglese. E' l'umanità con unica testa, offerta alla scure.
Spiga è intellettuale che viene da lontano. Il primo quarto d'ora di celebrità gliel'ha regalato, nel 1968, un libricino intitolato Sardegna, rivolta contro la colonizzazione. Il prezzo era politico: cinquanta lire, la copertina naturalmente rossa , l'autore mascherato dietro uno pseudonimo (Giuliano Cabitza), l'editore nume rivoluzionario d'allora: Giangiacomo Feltrinelli.
Da quell'incontro è nata un'amicizia col timer: in meno di due anni è passata da un rapporto stretto nella comune visione di una sardegna nuova (e posssibilmente felice) alla rottura. Clamorosa: Feltrinelli stava nascosto in Carinzia nel timore di essere assassinato e Spiga, che era andato a trovarlo, gli rammentava i doveri del buon militante: vivere sempre in mezzo alle masse. Devi stare in Piazza Duomo, in mezzo alla gente, ventiquattr'ore su ventiquattro.
Il libro ha un sottotitolo: note di un cospiratore. Che non vuol dire complottista e nemmeno frustrato da una politica fallimentare a tempo pieno. Il segreto sta nel superare la muraglia cinese delle ideologie e vedere con occhi finalmente limpidi la realtà.
Eliseo Spiga ci è arrivato dopo mille esperienze: i circoli Città campagna, il partito comunista, le frange di un progetto epico che cercava la via per dimostrare che un'altro mondo è possibile. Basta volerlo.
In questo cammino, laicamente quaresimalista, non mancano i grandi incontri e, di conseguenza, i ritratti di autentici protagonisti della storia sarda recente: da Mario Melis (fumantino presidente sardista della giunta regionale) a Francesco Masala (poeta arrabbiato con molto anticipo e altrettanto seguito rispetto alla angry generation).
Ora che sona avanti negli anni, Spiga e Francesco Masala continuano a condividere l'idea distruttiva della società consumistica e una curiosa passione per le donne. I loro occhi, le loro fattezze, il timbro della voce mi hanno sempre trasmesso, anche a distanza, sentimenti di tenerezza e affetto, di creatività e creazione.
Masala invece ha confessato in un'intervista di addormentarsi contando gli amori della sua vita. Tutto questo, anche se non sembra, fa il paio col popolo dei nuraghi e dunque col revival di una cultura che si vorrebbe risorta e riportata in Sardegna.
Che c'entra l'amore? Per trovare una giustificazione, un'alibi, al nuovo mondo possibile (una via di mezzo tra gli hippy e il socialismo) Spiga cita a mani piene Giovanni Lilliu.
Non è stato lui a raccontare che la civiltà nuragica viveva di una sessualità insistita, che a quei tempi le donne erano libere perchè non esisteva il matriarcato? Nei tempi successivi, si annota amaramente, l'amore ha cominciato ad essere malamente frainteso tanto che ai giorni nostri è diventato difficile comprendere cosa veramente sia.
C'è malinconia per quella primordiale stagione:... la felicità dei sardi poggiava su una umana e mondana moralità da cui fluiva una concezione della vita sostanzialmente laica, libertaria, egalitaria, edonistica.
I nostri antenati, a quanto pare, la vita se la godevano tutta . Come sottile piacere etico-culturale e come godimento corporale. Senza scialacquare e ssenza afflizioni metafisiche.
Su queste parole getta le fondamenta l'Utopia del terzo millennio, insomma la sardegna da far risorgere. I tempi sono stretti (tant'è che non manca un appello-ultimatum a Renato Soru) per abbandonare un modello di società che produce sardi tristi e sarditudine cupa oltrechè servile.
Per dare scheletro e forza al discorso, Spiga si lancia in un oceano di citazioni, non risparmia Bush e la Russia di Putin , svela impietosamente il fallimento degli imperi, sintetizza opinioni di economisti e filosofi, rovescia a valanga le teorie che hanno caratterizzato il secolo archiviato. Orizzonte felicemente visionario.
Con la consapevolezza di inseguire l'utopia e sapendo bene che questo zibaldone politico-letterario difficilmente sortirà effetti magici.
I Sardi continueranno in saecula saeculorum ad essere, a seconda dei casi, camerieri o fanti, banditi o carabinieri.
Con l'eccezione ogni tanto, rincuorante e liberatoria, di un martire gloriosu a
che il paradiso c'è . Lontanissimo e per pochi.
Le confessioni d'un sardo nato in Val d'Aosta iniziano col passo lieve e un tantino malinconico, dell'autobiografia.
Ma si frantumano subito per diventare altro:saggio antropologico, manifesto politico, pamphlet eretico.
Nulla di nuovo sotto il sole: Eliseo Spiga è sempre stato un irregolare e neppure adesso che viaggia in età di saggezza e distacco riesce ad essere saggio e distaccato.
La Sardegna come utopia (Cuec editore, 332 pagine, 16 euro) è un grido che va ascoltato. Grido ideale che partendo dai nuragici, sogna e spera un'isola che ne coltivi l'eredità cogliendo dal passato il senso di una esistenza radicalmente da quella nevrotica-competitiva-invidiosa di oggi.
Da qui la proposta di una Costituente neo-nuragica che metta insiemeuomini e donne di buona volontà , cancelli le storture dell'imperialismo (che oggi si chiama globalizzazione), azzeri la politica del precariato , la logica dello sfruttamento e della svendita: di uomini, merci, paesaggio e forza lavoro.Fosse un prete, Spiga potrebbe fare questo discorso , riveduto e corretto, in un'omelia domenicale.
Pescando dall'inferno quotidiano senza salvare nessuno, propone la vita come sogno: di libertà e giustizia, rispetto e fratellanza. Quanto al passato, ci vuole poco a scoprire chi è il vero mandante delle cose che vanno male: Chi comanda realmente in sardegna, chi manomette è senz'altro l'oligarchia mondiale dominante.
Senza fisionomia definita. Sen'anima, sopratutto. Un Caligola moderno ma come l'antico, posseduto dall'incubo. Unica legge, il dominio. Unico dio, il denaro. Unica lingua l'Inglese. E' l'umanità con unica testa, offerta alla scure.
Spiga è intellettuale che viene da lontano. Il primo quarto d'ora di celebrità gliel'ha regalato, nel 1968, un libricino intitolato Sardegna, rivolta contro la colonizzazione. Il prezzo era politico: cinquanta lire, la copertina naturalmente rossa , l'autore mascherato dietro uno pseudonimo (Giuliano Cabitza), l'editore nume rivoluzionario d'allora: Giangiacomo Feltrinelli.
Da quell'incontro è nata un'amicizia col timer: in meno di due anni è passata da un rapporto stretto nella comune visione di una sardegna nuova (e posssibilmente felice) alla rottura. Clamorosa: Feltrinelli stava nascosto in Carinzia nel timore di essere assassinato e Spiga, che era andato a trovarlo, gli rammentava i doveri del buon militante: vivere sempre in mezzo alle masse. Devi stare in Piazza Duomo, in mezzo alla gente, ventiquattr'ore su ventiquattro.
Il libro ha un sottotitolo: note di un cospiratore. Che non vuol dire complottista e nemmeno frustrato da una politica fallimentare a tempo pieno. Il segreto sta nel superare la muraglia cinese delle ideologie e vedere con occhi finalmente limpidi la realtà.
Eliseo Spiga ci è arrivato dopo mille esperienze: i circoli Città campagna, il partito comunista, le frange di un progetto epico che cercava la via per dimostrare che un'altro mondo è possibile. Basta volerlo.
In questo cammino, laicamente quaresimalista, non mancano i grandi incontri e, di conseguenza, i ritratti di autentici protagonisti della storia sarda recente: da Mario Melis (fumantino presidente sardista della giunta regionale) a Francesco Masala (poeta arrabbiato con molto anticipo e altrettanto seguito rispetto alla angry generation).
Ora che sona avanti negli anni, Spiga e Francesco Masala continuano a condividere l'idea distruttiva della società consumistica e una curiosa passione per le donne. I loro occhi, le loro fattezze, il timbro della voce mi hanno sempre trasmesso, anche a distanza, sentimenti di tenerezza e affetto, di creatività e creazione.
Masala invece ha confessato in un'intervista di addormentarsi contando gli amori della sua vita. Tutto questo, anche se non sembra, fa il paio col popolo dei nuraghi e dunque col revival di una cultura che si vorrebbe risorta e riportata in Sardegna.
Che c'entra l'amore? Per trovare una giustificazione, un'alibi, al nuovo mondo possibile (una via di mezzo tra gli hippy e il socialismo) Spiga cita a mani piene Giovanni Lilliu.
Non è stato lui a raccontare che la civiltà nuragica viveva di una sessualità insistita, che a quei tempi le donne erano libere perchè non esisteva il matriarcato? Nei tempi successivi, si annota amaramente, l'amore ha cominciato ad essere malamente frainteso tanto che ai giorni nostri è diventato difficile comprendere cosa veramente sia.
C'è malinconia per quella primordiale stagione:... la felicità dei sardi poggiava su una umana e mondana moralità da cui fluiva una concezione della vita sostanzialmente laica, libertaria, egalitaria, edonistica.
I nostri antenati, a quanto pare, la vita se la godevano tutta . Come sottile piacere etico-culturale e come godimento corporale. Senza scialacquare e ssenza afflizioni metafisiche.
Su queste parole getta le fondamenta l'Utopia del terzo millennio, insomma la sardegna da far risorgere. I tempi sono stretti (tant'è che non manca un appello-ultimatum a Renato Soru) per abbandonare un modello di società che produce sardi tristi e sarditudine cupa oltrechè servile.
Per dare scheletro e forza al discorso, Spiga si lancia in un oceano di citazioni, non risparmia Bush e la Russia di Putin , svela impietosamente il fallimento degli imperi, sintetizza opinioni di economisti e filosofi, rovescia a valanga le teorie che hanno caratterizzato il secolo archiviato. Orizzonte felicemente visionario.
Con la consapevolezza di inseguire l'utopia e sapendo bene che questo zibaldone politico-letterario difficilmente sortirà effetti magici.
I Sardi continueranno in saecula saeculorum ad essere, a seconda dei casi, camerieri o fanti, banditi o carabinieri.
Con l'eccezione ogni tanto, rincuorante e liberatoria, di un martire gloriosu a
che il paradiso c'è . Lontanissimo e per pochi.
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