Mario Carboni
comitaduprosalimbasarda/
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE LA PARIFICAZIONE DELLA LINGUA SARDA CON LA LINGUA ITALIANA:
Il PSdAz ha presentato nel Consiglio regionale una proposta di legge che costituzionalizza la lingua sarda, modificando lo Statuto sardo introducendo nel testo la lingua sarda e le lingue di minoranza interna Gallurese, Tabarchino, Sassarese ed una serie di semplici norme per renderla ufficiale, equiparata all’italiana e quindi allineare la minoranza linguistica sarda alle minoranze linguistiche più tutelate come la Sud tirolese e Valdostana.
Viene così colmato un vuoto dello Statuto sardo vigente e lanciato un messaggio politico chiaro rivolto a chi si candida a governare la Sardegna nella prossima legislatura affinche la lingua sarda sia parte fondamentale e portante dei loro programmi.
La proposta aggiunge all’Art. 1 dello Statuto vigente quattro semplici commi ed è preceduta da una ampia relazione che illustra i motivi dell’iniziativa legislativa e ne spiega i contenuti e i vantaggi conseguenti alla sua applicazione.
Articolo di legge
Art. 1
Modifica dell’articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna)
1. All’articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:
“Nel territorio della Regione autonoma la lingua sarda è lingua propria, ufficiale e parificata alla lingua italiana, gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
Nel territorio d’Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento. Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
Sulla base di apposite leggi la Repubblica e la Regione garantiscono l’uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel territorio regionale e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
La Storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie d’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell’Isola.”.
***************
RELAZIONE DEI PROPONENTI
Recentemente il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge che istituisce e regola il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali.
L'iter parlamentare prevede una successiva approvazione della Camera dei deputati.
La Commissione, in sede referente dovrebbe prendere in esame i disegni di legge per le modifiche degli articoli di cui ai titoli I, II, III e V della parte seconda della Costituzione, afferenti alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo, nonché i coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali» ..” assicurando in ogni caso la presenza di...un rappresentante delle minoranze linguistiche.”.
E' evidente l'interesse della Sardegna, che non sarà rappresentata in quanto minoranza linguistica pur essendolo ai sensi della legge costituzionale n.482 del 1999 in attuazione dell'art.6 della Costituzione, alle modifiche necessarie per la riforma della Costituzione. Sopratutto a quelle riguardanti l'Autonomia speciale della Sardegna, per scongiurare che non vadano lesi i diritti politici acquisiti e affinché la riforma dello Statuto sardo conseguente sia un deciso passo in avanti come frutto di autodecisione con l'obiettivo di ampliarne al massimo grado le competenze di rango statuale e federalista e non imposta e su sua proposta dal centralismo. E' giusto ricordare pur succintamente, da parte sardista e per motivi noti a tutti, come lo Statuto vigente sia nato seguendo un virtuoso processo di formazione e avviato con l'istituzione della Consulta regionale, riconosciuta competente a formulare le proposte dei sardi per il futuro ordinamento regionale.
Oggi manca un analogo organismo di proposta e garanzia autonomistica, che sancisca come originaria l'iniziativa sarda a proporre riforme statutarie in questa importante fase di riforma costituzionale, rendendo ineguale e discriminatorio un rapporto fra lo Stato e la nostra Regione a Statuto speciale che invece esigerebbe parità e diritto di proposta.
Agli albori dell'Autonomia la Consulta Regionale, con le prime decisioni istituì una Commissione per lo studio del futuro ordinamento regionale, con il compito di esitare un progetto di Statuto che fosse organico per quantità e qualità rappresentando l'aspirazione autonomista della Sardegna.
I componenti di tutte le forze politiche autonomiste diedero incarico al PSdAz di stendere il progetto di Statuto e con quest'atto venne riconosciuta la particolare competenza del PSdAz che già nel 1946 presentò la sua proposta.
Sono noti i fatti e le lentezze che seguirono in attesa delle elezioni del 2 giugno 1946 che avrebbero superato l'iniziale pariteticità fra le componenti della Consulta e permesso quindi nella Consulta ricreata proporzionalmente ai voti elettorali delle successive elezioni un avvio sollecito dei lavori tesi a proporre uno Statuto per la Sardegna.
Venne intanto, con un grave errore dei Consultori, rifiutata la concessione alla Sardegna dello Statuto siciliano e la discussione in seguito proseguì annacquando sia la proposta del PSdAz che quella resa nota a titolo personale dal consultore Castaldi, più limitata nelle previsioni di Autonomia se confrontata con quella sardista e fatta propria in seguito dalla DC.
La proposta che la Consulta approvò il 29 aprile 1947 e inviò alla Costituente fu ulteriormente depotenziata sul piano dei poteri autonomistici e del rapporto federale con lo Stato centrale,dopo gli ultimi ritocchi al ribasso da parte della Commissione dei 75 incaricata nella Costituente di riscriverla e un frettoloso dibattito in aula il 31 gennaio 1948 venne approvato il testo dello Statuto vigente, nell'ultimo giorno utile dei lavori della Costituente.
Da allora pur registrando un enorme passo in avanti rispetto alla situazione della Sardegna dello Statuto Albertino, con l'adozione di uno Statuto sardo e l'operatività di una Assemblea legislativa, il Psdaz da subito e in seguito altre forza politiche hanno considerato il nostro Statuto nato male, insufficiente, non corrispondente alle aspirazioni profonde di autogoverno e libertà dei sardi e quindi bisognoso di modifica più o meno radicale se non di totale riscrittura..
La critica più radicale e con la proposta più innovativa, tale da ribaltare la prospettiva di un migliore autogoverno e più corrispondente a criteri giusti di autodeterminazione è venuta dal popolo sardo con l'uso di uno strumento di democrazia diretta previsto statutariamente. Per iniziativa degli intellettuali e militanti “sardisti “ presenti anche se in minoranza in ogni schieramento politico di allora da parte de Su comitadu pro sa limba sarda, fu presentata la proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento del bilinguismo perfetto in Sardegna
A seguito di tante battaglie e contro sorde opposizioni che ancora purtroppo sono presenti nella società sarda e non accettano la nuova realtà, fu approvata a seguito di discussioni accesissime, di un iter legislativo molto travagliato, caratterizzato da bocciature in aula, rinvii governativi, impugnazioni davanti alla Corte costituzionale a 49 anni dall'emanazione dello Statuto la legge regionale ordinaria n.26 del 15 ottobre 1997 di tutela del sardo e delle lingue alloglotte, Catalano di Alghero, Gallurese, Sassarese e Tabarchino, quali lingue di minoranza interna da tutelare in egual misura del sardo nei territori nei quali sono parlate.
In seguito la legge statale e costituzionale n.482 del 15 dicembre 1999 riconobbe in ritardo di cinquanta anni la lingua sarda come lingua propria della Sardegna in attuazione dell'Art.6 della Costituzione sulla tutela delle minoranze linguistiche.
Oggigiorno, anche il più tenace avversario o critico dell'Identità dei sardi e della sua specificità si troverebbe in difficoltà nell'approvare i concetti che la Consulta inserì nella relazione al progetto di Statuto inviato a Roma, rivendicando “ una unità etnico-sociale derivante dalla comunità di razza, tradizione, di storia, di lingua, di religione, di cultura”.
In effetti i Consultori e l'intera classe dirigente di allora non presero in nessuna considerazione la lingua e la cultura dei sardi come un fattore degno di caratterizzare la nostra Carta dell'autogoverno, commettendo un clamoroso errore politico e culturale che avrebbe segnato tutto il percorso dell'Autonomia sino ad oggi, intriso di economicismo, subalternità e autocolonialismo.
Solo Emilio Lussu, ancora sardista, nella seduta del 30 dicembre 1946, sostenne la necessità di “sancire” l'obbligo dell'insegnamento della lingua sarda, in quanto essa è “ un patrimonio millenario che occorre conservare”.
Lussu, che in seguito non fece più propria questa battaglia con l'uscita dal PSdAz, si faceva allora portavoce di una convinzione sempre presente fra la base sardista e che in seguito dagli ultimi trent'anni del secolo scorso divenne maggioritaria nel partito sardo sino a formare parte integrante e fondamentale della linea politica ufficiale del sardismo contemporaneo.
Leggendo il vigente Statuto della Sardegna risalta l'assenza pressoché totale di una norma che richiami la lingua e la cultura isolana che pure hanno un valore primario e fondante nel sostenere il nostro speciale diritto all'autogoverno.
Tale assenza sorprende negativamente quando si considera che previsioni di principio e di tutela sono invece contenute nella Costituzione ( artt.3 e 6 ) e negli Statuti della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige, emanati nello stesso periodo, nel quale la stragrande maggioranza dei sardi si esprimeva abitualmente in lingua sarda o in una delle alloglotte.
Ancor'oggi i sardi sono il gruppo linguistico di gran lunga più numeroso presente nella Repubblica italiana pur discriminato e il meno tutelato.
La critica di quell'errore di valutazione, di quel deficit culturale e politico, frutto dei tempi e quasi incomprensibile e difficilmente giustificabile con la consapevolezza attuale della questione linguistica e della sua importanza fondamentale per disegnare un futuro di autogoverno senza ricadere nell'economicismo che tanti guai ha inflitto alla Sardegna, fu esercitata da non molti ma decisi intellettuali e politici identitari e nazionalitari.
Ecco come il Prof. Giovanni Lilliu, sempre in prima fila nel movimento identitario, denunciava la scelta dei Consultori e Costituenti sardi:
“Is consultoris sardus hiant stimau chi s’istruzioni e sa cultura, in cussu momentu de recuberamentu materiali de sa Regioni fessint de interessu segundariu e hiant lassau a su Stadu de nci pessai issu esclusivamenti.
E poita is Consultoris no hiant bofiu sa cumpetenzia primaria in sa istruzioni, sa scola e sa cultura sarda no figurant in sa lei de su 23 de friaxiu n.3.
Aici est nasciu unu statutu sardu tzoppu, fundau sceti apitzus de s’economia reali in sa cali, po s’effettu de operai in sa politica de su renascimentu, s’est scaresciu propriu de is valoris idealis e de is concettus po ponniri in movimentu su renascimentu, eus a nai cussu chi est sa basi de sa venganza autonomistica.
Valoris is calis, in prus, donant arrexonis e fundamentus perennis a sa spetzialidadi de sa Regioni sarda, ch’est verdaderamenti una Regioni-Natzioni: unu populu cun sinnus proprius de limba, etnia, storia, cultura, maneras de si cumportai, de gestus, de pensai is calis calant a fundu in sa vida de dognia dì e balint e operant a totus is livellus de sa sociedadi….
Sa repulsa de sa cultura hat tentu effettus negativus no sceti cun sa crisi de s’autonomia.
Issa hat impediu su cresciri de una classi dirigenti forti e libera sa cali hiat a essiri agatau ideas e stimulus po operai in politica, creativamenti, cun s’aggiudu de sa cultura de su logu impari a sa cultura in generali.
Sa cultura de s’Autonomia fundada apitzus de sa cultura sarda, cultura de sa diversidadi, de disturbu, de resistenzia hiat a essiri indulliu is politicus sardus a si liberai de sa dependenzia, a non essiri maschera de su stadu”.
Le riflessioni di Giovanni Lilliu, sintetizzano una consapevolezza ormai generalizzata che richiede risposte politiche condivise perché è una battaglia che interessa tutti i sardi e che non può essere rimandata oltre perché è lo Stato centrale che vuole dettarne l'agenda e le soluzioni non tenendo conto dei sardi e approfittando del nostro attendismo o scarsa attenzione alla questione. Rischiamo ancora una volta di subire una riforma costituzionale octroyée, imposta da un potere esterno.
Completare il quadro teorico della Specialità della Sardegna, rispetto al continente italiano, con la soggettività della Nazione sarda che è emersa meglio con la Questione linguistica, ha permesso di elaborare da parte di tutte le forze politiche sarde pur con differenze dovute a propri particolari riferimenti culturali, ideologici e di programma, una visione comune di nuova Autonomia politica, frutto di recupero di sovranità originaria, di esercizio di autodecisione nazionale da costituzionalizzare con un nuovo Statuto di sovranità per la Sardegna e una Assemblea legislativa con poteri statuali attraverso un percorso riformista ma autonomo e deciso.
Non si tratta di perdersi in nominalismi ma di andare dritti all'obiettivo di un superamento dell'attuale Statuto autonomistico.
Il valore della tutela delle minoranze linguistiche rappresenta un valore essenziale e indefettibile nelle società civili e democratiche come è ben testimoniato dall'Art. 14 della Convenzione europea sui Diritti dell'uomo, dalla Convenzione quadro sule minoranze nazionali del Consiglio d'Europa, dall'Art.13 dell'originario Trattato CE, dalla Carta Europea delle lingue regionali e di minoranza che purtroppo non è ancora stata ratificata dal Parlamento,
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea adottata nel 2000 e divenuta vincolante con il trattato di Lisbona, obbliga l'Unione al rispetto della diversità linguistica (articolo 22) e vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla lingua (articolo 21). Il rispetto della diversità linguistica è uno dei valori fondamentali dell'UE al pari del rispetto per la persona e dell'apertura nei confronti delle altre culture.
Dobbiamo purtroppo registrare che permangono in Sardegna forti discriminazioni in ragione della nostra lingua, messe in rilievo dall'ultimo l'episodio della studentessa alla quale è stato impedito di sostenere il suo esame in lingua sarda malgrado la Costituzione sancisca un generale divieto di discriminazione in ragione della lingua ( artt. 3 e 6 ) dalle leggi e norme già citate e rispetto alla quale le reazioni sono state tiepide e assenti di richieste di sanzioni per chi le ha attuate.
Periodicamente si ripetono incursioni di oscuri funzionari dello Stato che pretendono di cancellare i nomi in lingua sarda dei nostri paesi e città che ignorano i nostri diritti, le leggi fondamentali dello Stato ed Europee in materia di toponomastica in regime di bilinguismo e paritetici di diritti linguistici.
Anche nelle passate Convenzioni fra lo Stato e la RAI, con la prossima in via di definizione, la lingua sarda e la nostra comunità in quanto minoranza linguistica storica è discriminata e relegata in seconda categoria a confronto delle lingue minoritarie dell'arco alpino.
Sulla bruciante discriminazione linguistica nelle scuole di ogni ordine e grado è palese la responsabilità dello Stato e del Governo centrale nell'insistere in un'opera di snazionalizzazione dei nostri giovani e di assimilazione forzata che ha come unico risultato la cancellazione della nostra identità attraverso l'annichilimento della lingua e cultura del popolo sardo.
Non è determinante che i sardi siano definiti Minoranza linguistica dalla Costituzione e non Nazionalità come pensano si sardisti e dal Consiglio d'Europa la cui Carta è stata ratificata dallo Stato italiano e non applicata, che la nostra lingua propria sia definita lingua minoritaria storica dalla legge 482 del 1999 che attua l'art. 6 della Costituzione mentre la Carta europea delle lingue la definisce lingua regionale e quindi di rango diverso e superiore a quello di lingua minoritaria.
Qualunque sia la definizione accettata le misure politiche, organizzative, amministrative, economiche e culturali per rispondere a questa realtà, che deve essere rispettata, protetta e posta in grado di svilupparsi liberamente, sono le stesse e inderogabili.
Le principali sono l'abbandono di ogni azione di discriminazione, di ogni barriera linguistica, il risanamento a spese dello Stato che ne è responsabile dei danni di oltre 200 anni di discriminazione, di colonizzazione culturale e di assimilazione forzata con adeguate risorse anche Europee, l'insegnamento della e nella lingua sarda e alloglotte nelle scuole di ogni ordine e grado e nell'Università, l'uso della lingua sarda nei media e nelle Istituzioni che operano in Sardegna, la sua radiotelediffusione normale e non folklorica, insomma l'uso ufficiale e normale della lingua di minoranza/nazionale dei sardi in un regime di bilinguismo in pariteticità con l'italiana lingua ufficiale dello Stato.
Che sia un processo graduale e per tappe è coscienza comune, come è consapevolezza comune che i diritti linguistici e culturali richiamano altri diritti quali quelli fiscali, come la zona franca e la riscossione in Sardegna delle imposte, di uso non di rapina del territorio, di risanamento del nostro ecosistema avvelenato da industrializzazioni coloniali fallite, di libertà nei trasporti con una vera continuità territoriale che significa viaggiare come se il mare non esistesse, di legiferare in maniera esclusiva nel massimo delle competenze possibili, di recuperare la competenza esclusiva sull'istruzione di ogni ordine e grado, di essere una statualità isolana col suo Parlamento che si autogoverna nella prospettiva degli Stati Uniti d'Europa già obiettivo dei sardisti come indicato da Camillo Bellieni nel Congresso di Oristano del 1922.
Per iniziare questo processo ed allinearsi alle maggiori nazionalità senza stato europee o alle regioni ad Autonomia speciale ed in particolare alla Val d'Aosta e al Trentino Alto Adige, è necessario che la lingua sarda venga inserita nello Statuto, vengano quindi costituzionalizzati diritti ormai patrimonio di tutti i sardi e riconosciuti anche dalla Costituzione e da conseguenti leggi dello Stato, da trattati internazionali sottoscritti e ratificati dalla Repubblica italiana.
Basti ricordare che per assenza della lingua sarda nel nostro Statuto vigente, oltre a non vedere applicati i diritti linguistici nelle scuole con i nostri figli che ogni anno dalle materne sono sottoposti ad una crudele amputazione della loro lingua, la Sardegna è penalizzata per l'insegnamento, per gli impieghi e per quanto riguarda le leggi elettorali parlamentari statali ed europee ad iniziare dalla circoscrizione elettorale europea che ci vede assurdamente accorpati alla Sicilia e fin nelle proposte di ratifica della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, che invece favoriscono la Val d'Aosta e il Trentino Alto Adige che al contrario dei sardi menzionano le loro lingue nei rispettivi statuti, e per tanti altri fattori che sarebbe troppo lungo in questa sede enumerare.
Per questi motivi, in presenza di una riforma della Costituzione che interessa la Sardegna, in assenza di un organismo analogo alla Consulta degli albori dell'Autonomia e che oggi avrebbe potuto essere l'interlocutore del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, in assenza di un'organica e condivisa proposta di nuovo Statuto della Sardegna da parte del Consiglio regionale e nella fondata convinzione che nelle ultime fasi di questa legislatura non possa esserne presentata una organica e condivisa alle Camere, si propone una modifica ponte dello Statuto sardo che introduca almeno la lingua sarda al suo interno quale architrave, oggi assente, di una prossima proposta di nuovo Statuto che si spera venga alla luce nella prossima legislatura..
L'auspicio dei presentatori di questa proposta di legge, nel miglior spirito sardista e del tradizionale riferimento non ad un egoistico interesse di parte ma a quello più generale della Nazione sarda è che venga approvata con convinzione, se non in maniera unanime almeno a stragrande maggioranza anche da forze politiche che si apprestano a scontrarsi per il Governo dell'Isola nelle prossime elezioni regionali, mostrando ai sardi oltre alle legittime differenze indispensabili all'alternanza nel gioco democratico anche un patrimonio comune al quale fare riferimento sia nell'attività di governo che di opposizione alle quali la volontà popolare le avrà destinate col voto.
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TESTO DEI PROPONENTI
Art. 1
Modifica dell'articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna)
1. All'articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:
“ Nel territorio della Regione autonoma la lingua sarda è lingua propria, ufficiale e parificata alla lingua italiana, gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
Nel territorio d'Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento.
Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
Sulla base di apposite leggi la Repubblica e la Regione garantiscono l'uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel territorio regionale e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
La Storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie d'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell'Isola.”.
comitaduprosalimbasarda/
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE LA PARIFICAZIONE DELLA LINGUA SARDA CON LA LINGUA ITALIANA:
Il PSdAz ha presentato nel Consiglio regionale una proposta di legge che costituzionalizza la lingua sarda, modificando lo Statuto sardo introducendo nel testo la lingua sarda e le lingue di minoranza interna Gallurese, Tabarchino, Sassarese ed una serie di semplici norme per renderla ufficiale, equiparata all’italiana e quindi allineare la minoranza linguistica sarda alle minoranze linguistiche più tutelate come la Sud tirolese e Valdostana.
Viene così colmato un vuoto dello Statuto sardo vigente e lanciato un messaggio politico chiaro rivolto a chi si candida a governare la Sardegna nella prossima legislatura affinche la lingua sarda sia parte fondamentale e portante dei loro programmi.
La proposta aggiunge all’Art. 1 dello Statuto vigente quattro semplici commi ed è preceduta da una ampia relazione che illustra i motivi dell’iniziativa legislativa e ne spiega i contenuti e i vantaggi conseguenti alla sua applicazione.
Articolo di legge
Art. 1
Modifica dell’articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna)
1. All’articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:
“Nel territorio della Regione autonoma la lingua sarda è lingua propria, ufficiale e parificata alla lingua italiana, gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
Nel territorio d’Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento. Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
Sulla base di apposite leggi la Repubblica e la Regione garantiscono l’uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel territorio regionale e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
La Storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie d’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell’Isola.”.
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RELAZIONE DEI PROPONENTI
Recentemente il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge che istituisce e regola il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali.
L'iter parlamentare prevede una successiva approvazione della Camera dei deputati.
La Commissione, in sede referente dovrebbe prendere in esame i disegni di legge per le modifiche degli articoli di cui ai titoli I, II, III e V della parte seconda della Costituzione, afferenti alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo, nonché i coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali» ..” assicurando in ogni caso la presenza di...un rappresentante delle minoranze linguistiche.”.
E' evidente l'interesse della Sardegna, che non sarà rappresentata in quanto minoranza linguistica pur essendolo ai sensi della legge costituzionale n.482 del 1999 in attuazione dell'art.6 della Costituzione, alle modifiche necessarie per la riforma della Costituzione. Sopratutto a quelle riguardanti l'Autonomia speciale della Sardegna, per scongiurare che non vadano lesi i diritti politici acquisiti e affinché la riforma dello Statuto sardo conseguente sia un deciso passo in avanti come frutto di autodecisione con l'obiettivo di ampliarne al massimo grado le competenze di rango statuale e federalista e non imposta e su sua proposta dal centralismo. E' giusto ricordare pur succintamente, da parte sardista e per motivi noti a tutti, come lo Statuto vigente sia nato seguendo un virtuoso processo di formazione e avviato con l'istituzione della Consulta regionale, riconosciuta competente a formulare le proposte dei sardi per il futuro ordinamento regionale.
Oggi manca un analogo organismo di proposta e garanzia autonomistica, che sancisca come originaria l'iniziativa sarda a proporre riforme statutarie in questa importante fase di riforma costituzionale, rendendo ineguale e discriminatorio un rapporto fra lo Stato e la nostra Regione a Statuto speciale che invece esigerebbe parità e diritto di proposta.
Agli albori dell'Autonomia la Consulta Regionale, con le prime decisioni istituì una Commissione per lo studio del futuro ordinamento regionale, con il compito di esitare un progetto di Statuto che fosse organico per quantità e qualità rappresentando l'aspirazione autonomista della Sardegna.
I componenti di tutte le forze politiche autonomiste diedero incarico al PSdAz di stendere il progetto di Statuto e con quest'atto venne riconosciuta la particolare competenza del PSdAz che già nel 1946 presentò la sua proposta.
Sono noti i fatti e le lentezze che seguirono in attesa delle elezioni del 2 giugno 1946 che avrebbero superato l'iniziale pariteticità fra le componenti della Consulta e permesso quindi nella Consulta ricreata proporzionalmente ai voti elettorali delle successive elezioni un avvio sollecito dei lavori tesi a proporre uno Statuto per la Sardegna.
Venne intanto, con un grave errore dei Consultori, rifiutata la concessione alla Sardegna dello Statuto siciliano e la discussione in seguito proseguì annacquando sia la proposta del PSdAz che quella resa nota a titolo personale dal consultore Castaldi, più limitata nelle previsioni di Autonomia se confrontata con quella sardista e fatta propria in seguito dalla DC.
La proposta che la Consulta approvò il 29 aprile 1947 e inviò alla Costituente fu ulteriormente depotenziata sul piano dei poteri autonomistici e del rapporto federale con lo Stato centrale,dopo gli ultimi ritocchi al ribasso da parte della Commissione dei 75 incaricata nella Costituente di riscriverla e un frettoloso dibattito in aula il 31 gennaio 1948 venne approvato il testo dello Statuto vigente, nell'ultimo giorno utile dei lavori della Costituente.
Da allora pur registrando un enorme passo in avanti rispetto alla situazione della Sardegna dello Statuto Albertino, con l'adozione di uno Statuto sardo e l'operatività di una Assemblea legislativa, il Psdaz da subito e in seguito altre forza politiche hanno considerato il nostro Statuto nato male, insufficiente, non corrispondente alle aspirazioni profonde di autogoverno e libertà dei sardi e quindi bisognoso di modifica più o meno radicale se non di totale riscrittura..
La critica più radicale e con la proposta più innovativa, tale da ribaltare la prospettiva di un migliore autogoverno e più corrispondente a criteri giusti di autodeterminazione è venuta dal popolo sardo con l'uso di uno strumento di democrazia diretta previsto statutariamente. Per iniziativa degli intellettuali e militanti “sardisti “ presenti anche se in minoranza in ogni schieramento politico di allora da parte de Su comitadu pro sa limba sarda, fu presentata la proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento del bilinguismo perfetto in Sardegna
A seguito di tante battaglie e contro sorde opposizioni che ancora purtroppo sono presenti nella società sarda e non accettano la nuova realtà, fu approvata a seguito di discussioni accesissime, di un iter legislativo molto travagliato, caratterizzato da bocciature in aula, rinvii governativi, impugnazioni davanti alla Corte costituzionale a 49 anni dall'emanazione dello Statuto la legge regionale ordinaria n.26 del 15 ottobre 1997 di tutela del sardo e delle lingue alloglotte, Catalano di Alghero, Gallurese, Sassarese e Tabarchino, quali lingue di minoranza interna da tutelare in egual misura del sardo nei territori nei quali sono parlate.
In seguito la legge statale e costituzionale n.482 del 15 dicembre 1999 riconobbe in ritardo di cinquanta anni la lingua sarda come lingua propria della Sardegna in attuazione dell'Art.6 della Costituzione sulla tutela delle minoranze linguistiche.
Oggigiorno, anche il più tenace avversario o critico dell'Identità dei sardi e della sua specificità si troverebbe in difficoltà nell'approvare i concetti che la Consulta inserì nella relazione al progetto di Statuto inviato a Roma, rivendicando “ una unità etnico-sociale derivante dalla comunità di razza, tradizione, di storia, di lingua, di religione, di cultura”.
In effetti i Consultori e l'intera classe dirigente di allora non presero in nessuna considerazione la lingua e la cultura dei sardi come un fattore degno di caratterizzare la nostra Carta dell'autogoverno, commettendo un clamoroso errore politico e culturale che avrebbe segnato tutto il percorso dell'Autonomia sino ad oggi, intriso di economicismo, subalternità e autocolonialismo.
Solo Emilio Lussu, ancora sardista, nella seduta del 30 dicembre 1946, sostenne la necessità di “sancire” l'obbligo dell'insegnamento della lingua sarda, in quanto essa è “ un patrimonio millenario che occorre conservare”.
Lussu, che in seguito non fece più propria questa battaglia con l'uscita dal PSdAz, si faceva allora portavoce di una convinzione sempre presente fra la base sardista e che in seguito dagli ultimi trent'anni del secolo scorso divenne maggioritaria nel partito sardo sino a formare parte integrante e fondamentale della linea politica ufficiale del sardismo contemporaneo.
Leggendo il vigente Statuto della Sardegna risalta l'assenza pressoché totale di una norma che richiami la lingua e la cultura isolana che pure hanno un valore primario e fondante nel sostenere il nostro speciale diritto all'autogoverno.
Tale assenza sorprende negativamente quando si considera che previsioni di principio e di tutela sono invece contenute nella Costituzione ( artt.3 e 6 ) e negli Statuti della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige, emanati nello stesso periodo, nel quale la stragrande maggioranza dei sardi si esprimeva abitualmente in lingua sarda o in una delle alloglotte.
Ancor'oggi i sardi sono il gruppo linguistico di gran lunga più numeroso presente nella Repubblica italiana pur discriminato e il meno tutelato.
La critica di quell'errore di valutazione, di quel deficit culturale e politico, frutto dei tempi e quasi incomprensibile e difficilmente giustificabile con la consapevolezza attuale della questione linguistica e della sua importanza fondamentale per disegnare un futuro di autogoverno senza ricadere nell'economicismo che tanti guai ha inflitto alla Sardegna, fu esercitata da non molti ma decisi intellettuali e politici identitari e nazionalitari.
Ecco come il Prof. Giovanni Lilliu, sempre in prima fila nel movimento identitario, denunciava la scelta dei Consultori e Costituenti sardi:
“Is consultoris sardus hiant stimau chi s’istruzioni e sa cultura, in cussu momentu de recuberamentu materiali de sa Regioni fessint de interessu segundariu e hiant lassau a su Stadu de nci pessai issu esclusivamenti.
E poita is Consultoris no hiant bofiu sa cumpetenzia primaria in sa istruzioni, sa scola e sa cultura sarda no figurant in sa lei de su 23 de friaxiu n.3.
Aici est nasciu unu statutu sardu tzoppu, fundau sceti apitzus de s’economia reali in sa cali, po s’effettu de operai in sa politica de su renascimentu, s’est scaresciu propriu de is valoris idealis e de is concettus po ponniri in movimentu su renascimentu, eus a nai cussu chi est sa basi de sa venganza autonomistica.
Valoris is calis, in prus, donant arrexonis e fundamentus perennis a sa spetzialidadi de sa Regioni sarda, ch’est verdaderamenti una Regioni-Natzioni: unu populu cun sinnus proprius de limba, etnia, storia, cultura, maneras de si cumportai, de gestus, de pensai is calis calant a fundu in sa vida de dognia dì e balint e operant a totus is livellus de sa sociedadi….
Sa repulsa de sa cultura hat tentu effettus negativus no sceti cun sa crisi de s’autonomia.
Issa hat impediu su cresciri de una classi dirigenti forti e libera sa cali hiat a essiri agatau ideas e stimulus po operai in politica, creativamenti, cun s’aggiudu de sa cultura de su logu impari a sa cultura in generali.
Sa cultura de s’Autonomia fundada apitzus de sa cultura sarda, cultura de sa diversidadi, de disturbu, de resistenzia hiat a essiri indulliu is politicus sardus a si liberai de sa dependenzia, a non essiri maschera de su stadu”.
Le riflessioni di Giovanni Lilliu, sintetizzano una consapevolezza ormai generalizzata che richiede risposte politiche condivise perché è una battaglia che interessa tutti i sardi e che non può essere rimandata oltre perché è lo Stato centrale che vuole dettarne l'agenda e le soluzioni non tenendo conto dei sardi e approfittando del nostro attendismo o scarsa attenzione alla questione. Rischiamo ancora una volta di subire una riforma costituzionale octroyée, imposta da un potere esterno.
Completare il quadro teorico della Specialità della Sardegna, rispetto al continente italiano, con la soggettività della Nazione sarda che è emersa meglio con la Questione linguistica, ha permesso di elaborare da parte di tutte le forze politiche sarde pur con differenze dovute a propri particolari riferimenti culturali, ideologici e di programma, una visione comune di nuova Autonomia politica, frutto di recupero di sovranità originaria, di esercizio di autodecisione nazionale da costituzionalizzare con un nuovo Statuto di sovranità per la Sardegna e una Assemblea legislativa con poteri statuali attraverso un percorso riformista ma autonomo e deciso.
Non si tratta di perdersi in nominalismi ma di andare dritti all'obiettivo di un superamento dell'attuale Statuto autonomistico.
Il valore della tutela delle minoranze linguistiche rappresenta un valore essenziale e indefettibile nelle società civili e democratiche come è ben testimoniato dall'Art. 14 della Convenzione europea sui Diritti dell'uomo, dalla Convenzione quadro sule minoranze nazionali del Consiglio d'Europa, dall'Art.13 dell'originario Trattato CE, dalla Carta Europea delle lingue regionali e di minoranza che purtroppo non è ancora stata ratificata dal Parlamento,
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea adottata nel 2000 e divenuta vincolante con il trattato di Lisbona, obbliga l'Unione al rispetto della diversità linguistica (articolo 22) e vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla lingua (articolo 21). Il rispetto della diversità linguistica è uno dei valori fondamentali dell'UE al pari del rispetto per la persona e dell'apertura nei confronti delle altre culture.
Dobbiamo purtroppo registrare che permangono in Sardegna forti discriminazioni in ragione della nostra lingua, messe in rilievo dall'ultimo l'episodio della studentessa alla quale è stato impedito di sostenere il suo esame in lingua sarda malgrado la Costituzione sancisca un generale divieto di discriminazione in ragione della lingua ( artt. 3 e 6 ) dalle leggi e norme già citate e rispetto alla quale le reazioni sono state tiepide e assenti di richieste di sanzioni per chi le ha attuate.
Periodicamente si ripetono incursioni di oscuri funzionari dello Stato che pretendono di cancellare i nomi in lingua sarda dei nostri paesi e città che ignorano i nostri diritti, le leggi fondamentali dello Stato ed Europee in materia di toponomastica in regime di bilinguismo e paritetici di diritti linguistici.
Anche nelle passate Convenzioni fra lo Stato e la RAI, con la prossima in via di definizione, la lingua sarda e la nostra comunità in quanto minoranza linguistica storica è discriminata e relegata in seconda categoria a confronto delle lingue minoritarie dell'arco alpino.
Sulla bruciante discriminazione linguistica nelle scuole di ogni ordine e grado è palese la responsabilità dello Stato e del Governo centrale nell'insistere in un'opera di snazionalizzazione dei nostri giovani e di assimilazione forzata che ha come unico risultato la cancellazione della nostra identità attraverso l'annichilimento della lingua e cultura del popolo sardo.
Non è determinante che i sardi siano definiti Minoranza linguistica dalla Costituzione e non Nazionalità come pensano si sardisti e dal Consiglio d'Europa la cui Carta è stata ratificata dallo Stato italiano e non applicata, che la nostra lingua propria sia definita lingua minoritaria storica dalla legge 482 del 1999 che attua l'art. 6 della Costituzione mentre la Carta europea delle lingue la definisce lingua regionale e quindi di rango diverso e superiore a quello di lingua minoritaria.
Qualunque sia la definizione accettata le misure politiche, organizzative, amministrative, economiche e culturali per rispondere a questa realtà, che deve essere rispettata, protetta e posta in grado di svilupparsi liberamente, sono le stesse e inderogabili.
Le principali sono l'abbandono di ogni azione di discriminazione, di ogni barriera linguistica, il risanamento a spese dello Stato che ne è responsabile dei danni di oltre 200 anni di discriminazione, di colonizzazione culturale e di assimilazione forzata con adeguate risorse anche Europee, l'insegnamento della e nella lingua sarda e alloglotte nelle scuole di ogni ordine e grado e nell'Università, l'uso della lingua sarda nei media e nelle Istituzioni che operano in Sardegna, la sua radiotelediffusione normale e non folklorica, insomma l'uso ufficiale e normale della lingua di minoranza/nazionale dei sardi in un regime di bilinguismo in pariteticità con l'italiana lingua ufficiale dello Stato.
Che sia un processo graduale e per tappe è coscienza comune, come è consapevolezza comune che i diritti linguistici e culturali richiamano altri diritti quali quelli fiscali, come la zona franca e la riscossione in Sardegna delle imposte, di uso non di rapina del territorio, di risanamento del nostro ecosistema avvelenato da industrializzazioni coloniali fallite, di libertà nei trasporti con una vera continuità territoriale che significa viaggiare come se il mare non esistesse, di legiferare in maniera esclusiva nel massimo delle competenze possibili, di recuperare la competenza esclusiva sull'istruzione di ogni ordine e grado, di essere una statualità isolana col suo Parlamento che si autogoverna nella prospettiva degli Stati Uniti d'Europa già obiettivo dei sardisti come indicato da Camillo Bellieni nel Congresso di Oristano del 1922.
Per iniziare questo processo ed allinearsi alle maggiori nazionalità senza stato europee o alle regioni ad Autonomia speciale ed in particolare alla Val d'Aosta e al Trentino Alto Adige, è necessario che la lingua sarda venga inserita nello Statuto, vengano quindi costituzionalizzati diritti ormai patrimonio di tutti i sardi e riconosciuti anche dalla Costituzione e da conseguenti leggi dello Stato, da trattati internazionali sottoscritti e ratificati dalla Repubblica italiana.
Basti ricordare che per assenza della lingua sarda nel nostro Statuto vigente, oltre a non vedere applicati i diritti linguistici nelle scuole con i nostri figli che ogni anno dalle materne sono sottoposti ad una crudele amputazione della loro lingua, la Sardegna è penalizzata per l'insegnamento, per gli impieghi e per quanto riguarda le leggi elettorali parlamentari statali ed europee ad iniziare dalla circoscrizione elettorale europea che ci vede assurdamente accorpati alla Sicilia e fin nelle proposte di ratifica della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, che invece favoriscono la Val d'Aosta e il Trentino Alto Adige che al contrario dei sardi menzionano le loro lingue nei rispettivi statuti, e per tanti altri fattori che sarebbe troppo lungo in questa sede enumerare.
Per questi motivi, in presenza di una riforma della Costituzione che interessa la Sardegna, in assenza di un organismo analogo alla Consulta degli albori dell'Autonomia e che oggi avrebbe potuto essere l'interlocutore del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, in assenza di un'organica e condivisa proposta di nuovo Statuto della Sardegna da parte del Consiglio regionale e nella fondata convinzione che nelle ultime fasi di questa legislatura non possa esserne presentata una organica e condivisa alle Camere, si propone una modifica ponte dello Statuto sardo che introduca almeno la lingua sarda al suo interno quale architrave, oggi assente, di una prossima proposta di nuovo Statuto che si spera venga alla luce nella prossima legislatura..
L'auspicio dei presentatori di questa proposta di legge, nel miglior spirito sardista e del tradizionale riferimento non ad un egoistico interesse di parte ma a quello più generale della Nazione sarda è che venga approvata con convinzione, se non in maniera unanime almeno a stragrande maggioranza anche da forze politiche che si apprestano a scontrarsi per il Governo dell'Isola nelle prossime elezioni regionali, mostrando ai sardi oltre alle legittime differenze indispensabili all'alternanza nel gioco democratico anche un patrimonio comune al quale fare riferimento sia nell'attività di governo che di opposizione alle quali la volontà popolare le avrà destinate col voto.
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TESTO DEI PROPONENTI
Art. 1
Modifica dell'articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna)
1. All'articolo 1 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti:
“ Nel territorio della Regione autonoma la lingua sarda è lingua propria, ufficiale e parificata alla lingua italiana, gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
Nel territorio d'Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento.
Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
Sulla base di apposite leggi la Repubblica e la Regione garantiscono l'uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel territorio regionale e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
La Storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie d'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell'Isola.”.
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