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giovedì 18 giugno 2015

Maurizio Blondet: Il dubbio coglie Sion, e se la Cina scende a fianco di Assad?


Dubbio a Sion: e se la Cina scende a fianco di Assad?







Il dubbio, anzi, è ancora più inquietante per Israele: “Stiamo assistendo alla nascita di un blocco militare eurasiatico per battere l’Armata di Conquista in Siria?”. Tale è il titolo che fregia un’analisi di Christina Lin, metà taiwanese metà neocon, ricercatrice alla John Hopkins per le relazioni transatlantiche, apparso sul Times of Israel, versione online. La Lin è una studiosa già nota, autrice di un saggio su La Nuova via della Seta: la strategia della Cina nel Medio Oriente. Che la indica come una osservatrice, per conto dei sionisti, della politica cinese nel Mediterraneo. L’apparizione di navi da guerra di Pechino insieme a quelle russe davanti alle coste della Siria – un evento senza precedenti nella storia – deve aver fatto suonare parecchi campanelli d’allarme.  timesofisrael.com

Già in un precedente saggio, il 15 maggio, la Lin aveva illustrato l’interesse diretto che Pechino ha a difendere il regime di Assad contro i jihadisti e wahabiti pagati dai sauditi e addestrati da turchi e americani, che lei chiama con affetto “l’Armata di Conquista” della Siria.

Per i cinesi la Turchia è un vecchio nemico: ne ebbe contro le feroci truppe durante la guerra di Corea, che i turchi combatterono per conto degli americani (1950-53) .





Oggi, in quanto istigatrice [la Turchia] e massima complice dell’aggressione takfira contro il regime di Assad, e che non nasconde le sue ambizioni espansioniste neo-ottomane, è un nemico pericoloso per un motivo ben fondato: può istigare una simile rivolta, e peggio, fra gli Uiguri, che abitano lo Xinjang, parlano turco e sono una minoranza musulmana (per modo di dire: di 150 milioni) che Pechino tiene sotto il tallone. Attraverso il “partito islamico del Turkestan” che è clandestino, ma che Ankara controlla. Nel 1995 Erdogan, allora sindaco di Istanbul, ha dedicato una parte del parco della Moschea Blu a Isa Yusuf Alptekin, storico capo del movimento indipendentista dei musulmani in Cina. Poi, dopo la morte di Alpetkin in esilio in Turchia, sempre Erdogan, ha eretto un memoriale ai Sehitlerinin del Turkestan orientale, ossia ai martiri caduti nella “lotta per l’indipendenza”. Nel 2009, Erdogan ha chiamato “genocidio” la repressione della rivolta in Xinjang.

Adesso Pechino ha ragione di temere che – caduto Assad – torme di combattenti wahabiti si liberino, pronte per la nuova missione: una primavera araba nel cortile di casa. Tanto più che combattenti uighuri sono già operativi in Siria a farsi le ossa come guerriglieri: il 25 aprile scorso, la forza che ha sconfitto il piccolo esercito di Assad a Jisr al-Shughur era composta da affiliati di Al Nusra, da gente del Partito Islamico del Turkestan, oltre che del gruppo uzbeko Imam Bujhari Jamaat.

Da qui il naturale convergere con stati che hanno lo stesso problema: i Russi (che temono l’arrivo di wahabisti liberi in Cecenia, magari armati attraverso l’Ucraina), l’India (stesso timore in Kashmir), l’Egitto del generale Al Sisi ( che ha contro i Fratelli Musulmani) e l’Iran. Da qui una decisione quasi improvvisa di Pechino di trasformare organizzazioni alquanto lasche di cui fa’ parte – dallo SCO (Organizzazione di Cooperazione di Shanghai) allo CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, che raduna le repubbliche asiatiche dell’ex URSS) e ai BRICS – in una formazione più coesa, e pronunciatamente militare. Con l’ammissione accelerata in tali organizzazioni di Iran, India ed Egitto

Mosca, Pechino e Delhi, abbandonate le loro rivalità”, segnala la Lin, “hanno annunciato in maggio che condurranno la loro prima esercitazione anti-terrorismo, unite dalla minaccia comune dell’ISIS. Lo stesso mese, Cina e Russia hanno condotto l’esercitazione navale Joint Sea 2015 davanti alla costa della Siria, immediatamente seguita in giugno dall’esercitazione congiunta russo-egiziana “Friendship Bridge 2015” presso il porto di Alessandria, dove Mosca valuta di stabilire una nuova base navale”.

Non basta. “Egitto e Siria hanno espresso l’aspirazione ad unirsi allo SCO per combattere gli islamisti. (…) Nel luglio 2014, al summit di Tashkent, lo SCO (che è sotto direzione cinese) ha valutato la fusione con la CSTO, l’alleanza militare dominata dalla Russia. Iran, Egitto ed India hanno avuto negoziati per entrare nello CSTO come osservatori, mentre l’Iran ha oggi lo status di paese candidato. Lo SCO già compie esercitazioni militari simili a quella NATO. Nell’agosto scorso, con ben poca attenzione occidentale, i membri dello SCO hanno condotto una war game che simulava “il respingimento di separatisti appoggiati da stranieri”, nella Mongolia Interna, con 7 mila uomini.

Quindi la domanda inquieta: “Se SCO e CSTO si fondessero per trasformarsi in un’alleanza militare eurasiatica anti-terrorismo, fornirebbero truppe di terra alla Siria e all’Irak? Nel 2012 si disse che Cina, Russia, Iran e Siria progettassero una grande manovra militare che avrebbe impegnato 90 mila uomini, 400 aerei, mille carri armati…”.

Potremmo vedere anche questo: il dragone giallo che azzanna il lupo turco in una guerra eurasiatica di vasti spazi.

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