LE BANCHE ITALIANE ROVINATE MOSTRANO I PERICOLI CHE SI NASCONDONO DIETRO L’EURO
vocidallestero
In un bell’articolo sul Telegraph, Hallagan sottolinea il legame tra le miserie economiche italiane e l’appartenenza all’euro. Non c’è dubbio che le attuali condizioni disastrose del nostro sistema bancario siano legate a doppio filo all’appartenenza all’UE e all’eurozona E la situazione è tale da rendere un’esplosione dell’eurozona probabile e dannosa per tutti i membri dell’UE. I cittadini britannici dovrebbero tenere conto di questi rischi quando decideranno se rimanere nell’Unione.
Di Liam Halligan,
La scorsa settimana ero a Milano per parlare di Brexit, quando si è saputo che la maggiore banca italiana aveva perso il suo CEO.
L’UniCredit è a un passo dalla crisi, le sue azioni sono crollate del 40% durante il 2016. L’intero sistema bancario italiano sembra estremamente fragile, infatti, con i valori delle azioni delle banche in calo in media di un terzo da inizio anno.
Abbiamo sentito nelle scorse settimane un sacco di discorsi terrorizzanti riguardo i “pericoli del Brexit” provenire dal Tesoro e dalla Banca d’Inghilterra, istituzioni vitali che, sfortunatamente, sembrano ormai interamente politicizzate. Ma sentiamo molto meno di frequente le istituzioni che parlano dei gravi rischi di rimanere all’interno dell’UE.
Naturalmente un grosso pericolo ben presente nelle coscienze del pubblico inglese è l’immigrazione, di ben 333.000 persone lo scorso anno, comprese un numero record pari a 184.000 dalla UE. Non sono contrario all’immigrazione – nemmeno per scherzo – ma penso sul serio che le grosse differenze salariali all’interno della UE, unite al movimento di massa generalizzato da Africa e Medio Oriente verso l’Europa, significa che la “libertà di movimento” non è solo da ingenui, ma sempre più pericolosa.
La migrazione all’interno della UE sta mettendo a dura prova il tessuto sociale, radicalizzando la politica europea a un ritmo allarmante. Chiunque non si accorga di questo e non pensi alle sue implicazioni, mostra un’incredibile mancanza di consapevolezza.
Assistiamo alla continua ascesa di partiti come i Social Democratici svedesi, i Veri Finlandesi, Alternativa per la Germania, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo in Italia, e ovviamente l’Ukip, che sono partiti relativamente moderati, tutti sostenitori di controlli all’immigrazione e tutti accumunati da un forte consenso del pubblico.
Se questi partiti non dovessero ottenere i loro obiettivi, allora organizzazioni più dure e radicali prenderanno il sopravvento, chiedendo misure più estreme e mostrando pochissima tolleranza.
Ecco una ragione per cui il Regno Unito deve lasciare la UE: per poter passare a un sistema di immigrazione controllata e selezionata – come in altra nazioni avanzate come gli USA e l’Australia – capace di preservare la nostra tradizione di accogliere i veri rifugiati.
Se la Gran Bretagna lo facesse, sospetto che ci sarebbe un’enorme pressione politica nel continente per modificare l’accordo di Schengen, che alcune nazioni hanno già sospeso. “Impossibile” sento dire ai sostenitori della UE. “I trattati lo impediscono”.
Be’, gli stessi trattati avrebbero dovuto imporre il Patto di Stabilità e Crescita – ve lo ricordat? – che doveva limitare i debiti pubblici europei al 60% del PIL. I trattati impediscono i “salvataggi”. I trattati insistono sul fatto che nessun paese potrà mai lasciare l’eurozona.
Tutte queste regole apparentemente non negoziabili, queste verità immutabili, si sono mostrate adattabili se non delle pure follie, passando dalla teoria alla pratica politica. La stessa cosa vale per Schengen, qualunque cosa dicano “i trattati”. In Francia, il movimento di estrema destra del Front National arriverà probabilmente al ballottaggio alle prossime elezioni presidenziali.
Abbiamo appena visto il partito della libertà anti immigrati arrivare a un pelo dall’aggiudicarsi la presidenza austriaca.. I ben pensanti e la classe politica possono ignorare questi sviluppi, dando degli “stupidi” agli elettori, ma questa si chiama democrazia.
Se le politiche non danno risposte, prendendosi cura di un crescente numero di persone poco pagate ed economicamente vulnerabili, la politica europea peggiorerà ancora di più.
Ma lasciamo perdere questo argomento. Perché il pericolo legato a Rimanere nell’UE che vogli sottolineare questa settimana riguarda l’Italia e, in particolare, le performance economiche del Paese all’interno della moneta unica e le possibilità di una crisi bancaria nella quarta maggior economia dell’eurozona.
Non parliamo di un “Progetto Paura”, ma di un “Progetto guarda ai fatti, anche se scomodi. L’economia italiana è andata malissimo nel periodo dell’euro, facendo meglio della sola Grecia. L’Italia è cresciuta a una media dello 0,2% all’anno dal lancio dell’euro nel 1999.
Costretta nella camicia di forza della monetona, ha perso il 30% in termini di competitività da costo del lavoro rispetto alla Germania, una perdita che sarebbe stata compensata in larga parte da un deprezzamento graduale della lira.
Il tasso di disoccupazione ufficiale in Italia è dell’11,4%, che sebbene alto (nel Regno Unito è del 5,1%) viene in genere ignorato e sottostimato. In Campania il valore è del 53%. In Calabria del 65%. La disoccupazione giovanile, che era la 23% nel primo decennio di euro, è ora a un livello da infarto del 37%
Questa è una delle ragioni per cui i sondaggi mostrano come circa il 50% degli italiani vogliono lasciare la UE, mentre molti partiti tradizionali discutono apertamente la prospettiva dell’abbandono dell’euro. La perdurante mancanza di crescita in Italia ha aggravato pesantemente la crisi debitoria, il debito pubblico vale ora 2.170 miliardi di euro, ossia il 134% del PIL.
L’unica ragione per cui i titoli di stato non hanno rendimenti altissimi è che la BCE sta pompando 80 miliardi di euro al mese di QE. Tuttavia il problema più immediato, che pone il vero pericolo reale di collasso del sistema, sono le banche italiane. La montagna pari a 80 miliardi di euro di crediti in sofferenza di Unicredit è solo una parte della montagna di 360 miliardi di crediti a sofferenza complessivi.
Le banche italiane hanno crediti deteriorati nei loro bilanci per un controvalore di circa il 18% di tutti i prestiti in scadenza, e questo numero è in crescita – mentre in Germania questo valore è del 3% e in Francia del 4%. Mentre le azioni delle banche sono scese in tutta la UE quest’anno, in Italia sono scese più di una volta e mezza rispetto alla media.
Tardivamente – molto tardivamente, e sotto un’immensa pressione diplomatica – l’Italia sta cercando di ripulire il proprio settore bancario. Non c’è molta fiducia a riguardo. Lo scorso anno, il salvataggio di 4 piccole banche è andato storto, e alcuni clienti hanno perso tutti i loro risparmi, scatenando suicidi e indignazione nazionale.
Mentre lo Stato rischia l’insolvenza, le banche stanno cercando di imporre uno schema guidato dal settore privato secondo il quale, anziché tagliare il valore nominale dei crediti deteriorati e imporre di conseguenza perdite ai detentori di azioni e obbligazioni, come dovrebbe accadere, le banche grandi in difficoltà si appoggiano alle piccole banche in difficoltà.
Si tratta essenzialmente di un tentativo di salvare la faccia che potrebbe facilmente andare storto – se non altro perché la perdurante assenza di crescita in Italia all’interno dell’eurozona causerà a far aumentare i crediti deteriorati e il debito pubblico in percentuale al PIL. Sono rimasto scioccato dalla mancanza di un serio dibattito economico nel corso della campagna per il referendum (sul Brexit NdVdE).
Per esempio, chiunque interviene nel dibattito dà per assodato che la sterlina “crollerà” se ci dovesse vincere il Brexit, dato che lo dice la Banca Centrale di Inghilterra. Davvero? Allora perché nelle scorse settimane, mentre i sondaggi dicevano che l’esito del referendum è oggi imprevedibile, la sterlina si è apprezzata significativamente rispetto all’euro, registrando il massimo degli ultimi 4 mesi?
Analogamente, parlando della moneta unica, ormai quasi tutti accettano quello che gente come me dice da 25 anni, ossia che essa potrà sopravvivere solo se si creasse una significativa mutualizzazione di una grossa parte del budget dei governi nonché un’unione bancaria. Ma niente di tutto ciò accadrà a breve.
Si tratta infatti di tabù politici, non di soluzioni politiche realizzabili. Quindi, prima che si realizzi questa enorme diluizione della sovranità nazionale – e io umilmente sostengo che non si realizzerà mai – uno o più paesi finiranno fuori dall’euro, provocando una confusione enorme, il cui conto da pagare dovrà essere saldato dalle economie più forti della UE.
La moneta unica è una polveriera pronta a esplodere. Rappresenta probabilmente il più grande rischio sistemico per i mercati finanziari globali. E, a prescindere da quale dovesse essere la miccia che la farà esplodere, che sia il collasso del sistema bancario italiano o i disordini continui in Grecia, il Regno Unito, in quanto membro della UE, verrà esposto alle relative conseguenze se l’euro dovesse implodere. Tenetelo in considerazione quando valutate l’opportunità di rimanere nella UE.
In un bell’articolo sul Telegraph, Hallagan sottolinea il legame tra le miserie economiche italiane e l’appartenenza all’euro. Non c’è dubbio che le attuali condizioni disastrose del nostro sistema bancario siano legate a doppio filo all’appartenenza all’UE e all’eurozona E la situazione è tale da rendere un’esplosione dell’eurozona probabile e dannosa per tutti i membri dell’UE. I cittadini britannici dovrebbero tenere conto di questi rischi quando decideranno se rimanere nell’Unione.
Di Liam Halligan,
La scorsa settimana ero a Milano per parlare di Brexit, quando si è saputo che la maggiore banca italiana aveva perso il suo CEO.
L’UniCredit è a un passo dalla crisi, le sue azioni sono crollate del 40% durante il 2016. L’intero sistema bancario italiano sembra estremamente fragile, infatti, con i valori delle azioni delle banche in calo in media di un terzo da inizio anno.
Abbiamo sentito nelle scorse settimane un sacco di discorsi terrorizzanti riguardo i “pericoli del Brexit” provenire dal Tesoro e dalla Banca d’Inghilterra, istituzioni vitali che, sfortunatamente, sembrano ormai interamente politicizzate. Ma sentiamo molto meno di frequente le istituzioni che parlano dei gravi rischi di rimanere all’interno dell’UE.
Naturalmente un grosso pericolo ben presente nelle coscienze del pubblico inglese è l’immigrazione, di ben 333.000 persone lo scorso anno, comprese un numero record pari a 184.000 dalla UE. Non sono contrario all’immigrazione – nemmeno per scherzo – ma penso sul serio che le grosse differenze salariali all’interno della UE, unite al movimento di massa generalizzato da Africa e Medio Oriente verso l’Europa, significa che la “libertà di movimento” non è solo da ingenui, ma sempre più pericolosa.
La migrazione all’interno della UE sta mettendo a dura prova il tessuto sociale, radicalizzando la politica europea a un ritmo allarmante. Chiunque non si accorga di questo e non pensi alle sue implicazioni, mostra un’incredibile mancanza di consapevolezza.
Assistiamo alla continua ascesa di partiti come i Social Democratici svedesi, i Veri Finlandesi, Alternativa per la Germania, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo in Italia, e ovviamente l’Ukip, che sono partiti relativamente moderati, tutti sostenitori di controlli all’immigrazione e tutti accumunati da un forte consenso del pubblico.
Se questi partiti non dovessero ottenere i loro obiettivi, allora organizzazioni più dure e radicali prenderanno il sopravvento, chiedendo misure più estreme e mostrando pochissima tolleranza.
Ecco una ragione per cui il Regno Unito deve lasciare la UE: per poter passare a un sistema di immigrazione controllata e selezionata – come in altra nazioni avanzate come gli USA e l’Australia – capace di preservare la nostra tradizione di accogliere i veri rifugiati.
Se la Gran Bretagna lo facesse, sospetto che ci sarebbe un’enorme pressione politica nel continente per modificare l’accordo di Schengen, che alcune nazioni hanno già sospeso. “Impossibile” sento dire ai sostenitori della UE. “I trattati lo impediscono”.
Be’, gli stessi trattati avrebbero dovuto imporre il Patto di Stabilità e Crescita – ve lo ricordat? – che doveva limitare i debiti pubblici europei al 60% del PIL. I trattati impediscono i “salvataggi”. I trattati insistono sul fatto che nessun paese potrà mai lasciare l’eurozona.
Tutte queste regole apparentemente non negoziabili, queste verità immutabili, si sono mostrate adattabili se non delle pure follie, passando dalla teoria alla pratica politica. La stessa cosa vale per Schengen, qualunque cosa dicano “i trattati”. In Francia, il movimento di estrema destra del Front National arriverà probabilmente al ballottaggio alle prossime elezioni presidenziali.
Abbiamo appena visto il partito della libertà anti immigrati arrivare a un pelo dall’aggiudicarsi la presidenza austriaca.. I ben pensanti e la classe politica possono ignorare questi sviluppi, dando degli “stupidi” agli elettori, ma questa si chiama democrazia.
Se le politiche non danno risposte, prendendosi cura di un crescente numero di persone poco pagate ed economicamente vulnerabili, la politica europea peggiorerà ancora di più.
Ma lasciamo perdere questo argomento. Perché il pericolo legato a Rimanere nell’UE che vogli sottolineare questa settimana riguarda l’Italia e, in particolare, le performance economiche del Paese all’interno della moneta unica e le possibilità di una crisi bancaria nella quarta maggior economia dell’eurozona.
Non parliamo di un “Progetto Paura”, ma di un “Progetto guarda ai fatti, anche se scomodi. L’economia italiana è andata malissimo nel periodo dell’euro, facendo meglio della sola Grecia. L’Italia è cresciuta a una media dello 0,2% all’anno dal lancio dell’euro nel 1999.
Costretta nella camicia di forza della monetona, ha perso il 30% in termini di competitività da costo del lavoro rispetto alla Germania, una perdita che sarebbe stata compensata in larga parte da un deprezzamento graduale della lira.
Il tasso di disoccupazione ufficiale in Italia è dell’11,4%, che sebbene alto (nel Regno Unito è del 5,1%) viene in genere ignorato e sottostimato. In Campania il valore è del 53%. In Calabria del 65%. La disoccupazione giovanile, che era la 23% nel primo decennio di euro, è ora a un livello da infarto del 37%
Questa è una delle ragioni per cui i sondaggi mostrano come circa il 50% degli italiani vogliono lasciare la UE, mentre molti partiti tradizionali discutono apertamente la prospettiva dell’abbandono dell’euro. La perdurante mancanza di crescita in Italia ha aggravato pesantemente la crisi debitoria, il debito pubblico vale ora 2.170 miliardi di euro, ossia il 134% del PIL.
L’unica ragione per cui i titoli di stato non hanno rendimenti altissimi è che la BCE sta pompando 80 miliardi di euro al mese di QE. Tuttavia il problema più immediato, che pone il vero pericolo reale di collasso del sistema, sono le banche italiane. La montagna pari a 80 miliardi di euro di crediti in sofferenza di Unicredit è solo una parte della montagna di 360 miliardi di crediti a sofferenza complessivi.
Le banche italiane hanno crediti deteriorati nei loro bilanci per un controvalore di circa il 18% di tutti i prestiti in scadenza, e questo numero è in crescita – mentre in Germania questo valore è del 3% e in Francia del 4%. Mentre le azioni delle banche sono scese in tutta la UE quest’anno, in Italia sono scese più di una volta e mezza rispetto alla media.
Tardivamente – molto tardivamente, e sotto un’immensa pressione diplomatica – l’Italia sta cercando di ripulire il proprio settore bancario. Non c’è molta fiducia a riguardo. Lo scorso anno, il salvataggio di 4 piccole banche è andato storto, e alcuni clienti hanno perso tutti i loro risparmi, scatenando suicidi e indignazione nazionale.
Mentre lo Stato rischia l’insolvenza, le banche stanno cercando di imporre uno schema guidato dal settore privato secondo il quale, anziché tagliare il valore nominale dei crediti deteriorati e imporre di conseguenza perdite ai detentori di azioni e obbligazioni, come dovrebbe accadere, le banche grandi in difficoltà si appoggiano alle piccole banche in difficoltà.
Si tratta essenzialmente di un tentativo di salvare la faccia che potrebbe facilmente andare storto – se non altro perché la perdurante assenza di crescita in Italia all’interno dell’eurozona causerà a far aumentare i crediti deteriorati e il debito pubblico in percentuale al PIL. Sono rimasto scioccato dalla mancanza di un serio dibattito economico nel corso della campagna per il referendum (sul Brexit NdVdE).
Per esempio, chiunque interviene nel dibattito dà per assodato che la sterlina “crollerà” se ci dovesse vincere il Brexit, dato che lo dice la Banca Centrale di Inghilterra. Davvero? Allora perché nelle scorse settimane, mentre i sondaggi dicevano che l’esito del referendum è oggi imprevedibile, la sterlina si è apprezzata significativamente rispetto all’euro, registrando il massimo degli ultimi 4 mesi?
Analogamente, parlando della moneta unica, ormai quasi tutti accettano quello che gente come me dice da 25 anni, ossia che essa potrà sopravvivere solo se si creasse una significativa mutualizzazione di una grossa parte del budget dei governi nonché un’unione bancaria. Ma niente di tutto ciò accadrà a breve.
Si tratta infatti di tabù politici, non di soluzioni politiche realizzabili. Quindi, prima che si realizzi questa enorme diluizione della sovranità nazionale – e io umilmente sostengo che non si realizzerà mai – uno o più paesi finiranno fuori dall’euro, provocando una confusione enorme, il cui conto da pagare dovrà essere saldato dalle economie più forti della UE.
La moneta unica è una polveriera pronta a esplodere. Rappresenta probabilmente il più grande rischio sistemico per i mercati finanziari globali. E, a prescindere da quale dovesse essere la miccia che la farà esplodere, che sia il collasso del sistema bancario italiano o i disordini continui in Grecia, il Regno Unito, in quanto membro della UE, verrà esposto alle relative conseguenze se l’euro dovesse implodere. Tenetelo in considerazione quando valutate l’opportunità di rimanere nella UE.
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