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giovedì 18 agosto 2016

LA DEMENZA DIGITALE


LA DEMENZA DIGITALE

nogeoingegneria 





Il  Dott. Manfred Spitzer, un Neuroscienziato tedesco, ha scoperto una nuova patologia: la demenza digitale.
Sul dizionario (Sabatini Coletti) scopriamo che la demenza ha 2 significati:

– Processo regressivo caratterizzato da perdita delle capacità intellettive dovuta a lesioni della corteccia cerebrale o ad atrofia delle cellule
– Mancanza di saggezza, di equilibrio, di buon senso


Manfred Spitzer: “Così troppa Rete ha danneggiato il fisico e la mente”

Lo psichiatra tedesco: «L’amicizia virtuale è fatta solo di solitudine»

GIUSEPPE BOTTERO

Siti, social network e smartphone sempre connessi hanno trasformato la nostra vita. La domanda è: come? In meglio o in peggio? L’abbiamo chiesto a Howard Rheingold, Manuel Castells e Manfred Spitzer, tre tra i più noti studiosi della Rete, che hanno pubblicato alcuni saggi in cui analizzano i riflessi del Web sulla realtà collettiva e individuale

«Senza computer, smartphone e Internet oggi ci sentiamo perduti. Questo vuol dire che l’uso massiccio delle tecnologie di consumo sta mandando il nostro cervello all’ammasso». È spietata l’analisi di Manfred Spitzer, autore di Demenza digitale, già visiting professor a Harvard e attualmente direttore della Clinica psichiatrica e del Centro per le neuroscienze e l’apprendimento dell’Università di Ulm.

Professore, in che modo, secondo lei, l’uso dei media digitali indebolisce la mente e il corpo?

«Per quel che riguarda il corpo, gli effetti sono ben dimostrati: stiamo diventando più sedentari e inattivi, ingrassiamo. Inoltre, ci stiamo trasformando in insonni e questo favorisce l’insorgenza del diabete. Allo stesso modo, le piccole connessioni tra i neuroni del nostro cervello vengono indebolite, se “esternalizziamo” qualsiasi tipo di attività mentale».

Come dovremmo approcciare la tecnologia?

«Con la consapevolezza che ogni attività presenta rischi ed effetti collaterali. Se ci limitiamo a chattare, twittare, postare e navigare su Google finiamo per parcheggiare il nostro cervello, ormai incapace di riflettere e concentrarsi».

Ma ha senso ipotizzare un ritorno al passato? Non teme di passare per anacronistico?

«Non sto dicendo che dovremmo tornare al passato. Ma dobbiamo valutare rischi ed effetti collaterali con attenzione. Come per le auto, l’energia nucleare o i raggi X, ogni nuova tecnologia porta rischi che spesso vengono ignorati. Naturalmente, la società moderna si basa sulla tecnologia, ma nessuno consiglierebbe l’auto piuttosto che una palestra per mantenersi in forma. Allo stesso modo, i computer non possono trasformarsi in dispositivi di apprendimento, perché diminuiscono le sforzo mentale, l’equivalente, per il cervello, di quello che lo sforzo fisico è per i muscoli».

Davvero ci sono rischi per i bambini? «Sì. Il loro cervello ha bisogno di input costanti per svilupparsi. Se una madre non parla a suo figlio, questo non imparerà mai la lingua. Schermi e altoparlanti non possono sostituire il contatto diretto. Molte persone sono orgogliose nel vedere i loro bimbi maneggiare un iPad e li ammirano, mentre sfiorano lo schermo per girare le pagine. Pensano che questa sia una grande conquista intellettuale. In realtà non c’è niente di più stupido che far scorrere una mano su una superficie piatta: il tablet non può che danneggiare lo sviluppo mentale».

È vero che l’uso intensivo del pc ha un effetto negativo sulle prestazioni scolastiche ? «Certo, e lo dicono i dati dell’Ocse. I quindicenni che hanno un computer in camera da letto sono studenti meno brillanti rispetto a chi non ce l’ha. Siamo d’accordo che l’utilizzo di motori di ricerca è grandioso per ottenere rapidamente le informazioni. Ma che cosa è necessario sapere per usarli? Molti parlano di “media literacy”, ma è una sciocchezza. Per poter sfruttare al meglio Google è necessaria la conoscenza. Più si conosce , meglio si può valutare ciò che i motori di ricerca offrono».

Può farci un esempio?

«In un articolo pubblicato sulla rivista “Science”, circa due anni fa, gli scienziati di Harvard e della Columbia University hanno dimostrato in diversi studi che le probabilità di ricordare nuove informazioni sono inferiori, se l’informazione è stata appresa dalla Rete rispetto ai libri, alle riviste e ai giornali. Se volete che i vostri figli escano da scuola sapendo usare al meglio Google, c’è una sola cosa che non devono fare durante i loro studi: usare Google».

Come cambia un rapporto fondamentale come l’amicizia nell’era dei social network?

«La parola ha assunto un nuovo significato: un amico è chiunque il cui nome sia apparso sul mio schermo e su cui io abbia cliccato. Presto ci ritroveremo con una società di analfabeti sociali, zombie incapaci di provare empatia per nessuno, nemmeno per se stessi. Dove si impara nei social network l’autoregolamentazione, il controllo delle situazioni, la gestione del contatto umano?».

Eppure studiosi importanti, Howard in testa, hanno opinioni molto diverse dalla sua. Che cosa si sente di replicare?

«Nulla. È sufficiente guardare i fatti». FONTE

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