LA COSTITUZIONE DELLA GIUNGLA
In edicola è appena arrivata la collezione sui geni della matematica e già risulta necessario un aggiornamento urgente dell’elenco dei geni in questione. Bisognerà infatti inserirvi i giudici della Corte Costituzionale i quali hanno rivoluzionato l’aritmetica scoprendo che il 40% è la maggioranza. Per chi crede che le Costituzioni servano a qualcosa sarà anche difficile spiegare come una Costituzione parlamentare possa giustificare i capilista bloccati, cioè un parlamento di nominati. La legge elettorale renziana così restaurata dalla sentenza della Consulta potrà perciò passare agli annali come il “cialtroncellum”.
Minniti, l’attuale ministro agli attentati islamici, si trova, per pura coincidenza, anche a gestire un periodo in cui fioccano provocazioni contro sindacalisti di base, con la confezione ad hoc di inchieste giudiziarie infamanti. Quanto alla magistratura, essa continua a preferire alle indagini le provvidenziali imbeccate dei servizi segreti.
La pieghevolezza del principio di legalità è stata riconfermata dalla “authority” dell’Antitrust, come sempre in versione pro-trust a favore delle multinazionali. Stavolta nel mirino di quella lobby delle multinazionali che si fa chiamare Antitrust, sono le cooperative dei tassisti, colpevoli di gestire a favore del lavoro autonomo un business sempre più promettente, date le crescenti limitazioni al traffico privato e lo sfascio delle aziende metropolitane e tranviarie, ridotte a non poter assumere e comprare pezzi di ricambio a causa delle limitazioni alla finanza locale.
Per illustrarci il nuovo quadro internazionale, giornali e telegiornali sono pieni delle quotidiane imprese attribuite al nuovo occupante della Casa Bianca.
CialTrump annuncia l’annullamento del trattato di libero scambio per il Pacifico e la protezione dell’industria americana dall’invadenza della globalizzazione. Theresa May dichiara a Davos che il popolo è più importante dei mercati, che la globalizzazione va corretta attraverso una redistribuzione delle ricchezze. Insomma, Trump e May sarebbero dei no-global.
Meno male che il presidente cinese Xi Jinping difende il libero mercato. Le sue metafore confuciane ricordano i tempi di Aldo Brandirali: assumere atteggiamenti protezionistici equivale a chiudersi in una stanza buia; fuori restano freddo e vento ma anche la luce e l’aria fresca. Commovente. La Cina dovrebbe fare una nuova guerra dell’oppio all’incontrario per imporre agli USA e all’Inghilterra “l’apertura dei mercati”. Peccato che le fiabe e gli apologhi morali del mercantilismo debbano sempre fare i conti con i rapporti di forza, soprattutto militare. Ed appunto l’analisi dei rapporti di forza militari spiegherebbe tante cose.
Ci si viene a raccontare che CialTrump avrebbe saputo interpretare la “pancia” dell’elettorato americano. Sta di fatto che ha preso meno voti della pur ripugnante candidata Killary Clinton e che è stato eletto per le consuete alchimie elettorali dell’establishment di cui fa parte. L’evidenza è che questo establishment negli ultimi tre anni ha dovuto metter da parte i suoi sogni di smembramento e di spartizione della Russia tra le varie multinazionali statunitensi.
Sino al 2013 la Russia aveva sopportato senza reagire provocazioni mostruose. Nel 2011 Putin e colleghi avevano lasciato al suo destino un semi-alleato come Gheddafi, mettendo nei guai anche il principale mediatore d’affari e fornitore di tecnologia della multinazionale russa Gazprom, cioè l’ENI. Si ricordano giustamente le figure di merda a raffica del Buffone di Arcore nel 2011; d’altra parte non si sottolinea il fatto che nessun aiuto è arrivato al Buffone da parte del suo “amico” Putin. Sarebbe bastato che qualche nave militare russa attraccasse a Tripoli e Bengasi per bloccare l’aggressione NATO alla Libia, togliendo così il Buffone e l’ENI d’impiccio, con sommo vantaggio della stessa Russia che avrebbe potuto usufruire del feudo gas-petrolifero libico di ENI.
La debolezza dimostrata dalla Russia nel caso libico ha aperto la strada per un’aggressione in grande stile alla Siria, che non era un alleato di serie B come la Libia, bensì un alleato storico e strategico, con tanto di base navale russa nel porto siriano di Tartus. Ma neanche questo aveva commosso più di tanto Putin e colleghi. C’è voluto il colpo di Stato della UE e della NATO in Ucraina perché le forze armate russe si svegliassero e mettessero Putin di fronte all’evidenza; la conquista dell’Ucraina da parte della NATO avrebbe aperto a Nord la strada dei carri armati NATO verso Mosca ed a Sud il controllo del Mar Nero alla US-Navy grazie alla Crimea. E forse neppure questo da solo era bastato, c’è voluto anche il crollo del prezzo del petrolio con la conseguente diminuzione del potere di corruzione di Gazprom nei confronti dei generali.
Il risveglio militare della Russia ha fatto svanire i sogni di spartirsela e quindi ha reso superflua quella creatura statunitense che è l’Unione Europea, che svolge la sua funzione anti-russa a prezzo della depressione mondiale causata dal buco nero della moneta unica. Si mettono da parte anche i trattati commerciali internazionali perché comportano un prezzo inutile in termini di deficit di bilancia commerciale, visto che la Russia non è più disposta a lasciarsi accerchiare ed usa la minaccia militare per ristabilire rapporti con Turchia e Giappone. La Russia rimane e rimarrà per gli USA il bersaglio prioritario ma, per il momento, è meglio non fare la faccia troppo feroce ad un avversario che ha ricominciato a difendersi e, in qualche caso, ad attaccare.
Si potrebbe, del tutto legittimamente, osservare che questo riequilibrio dei rapporti di forza e l’eventuale fine dell’UE aprirebbero per l’Italia una finestra di opportunità, quale che sia il giudizio su CialTrump. Ma il punto è che l’euro potrebbe continuare con altri mezzi. Gli obiettivi non cambiano: tenere alti gli spread per consentire agli “investitori” esteri di lucrare alti interessi sul debito pubblico italiano, presentando il conto ai lavoratori che devono sostenere la produzione con salari sempre più bassi, e sostenere anche i servizi finanziari indebitandosi per poter consumare. In Italia c’è un ceto medio pronto a comprarsi i titoli del debito pubblico ad interessi molto più bassi; ciononostante i titoli decennali del Tesoro vengono riservati con alti interessi ad oscuri “investitori istituzionali” stranieri. La spiegazione del mistero sta forse nelle carriere in multinazionali del credito, come JP Morgan, di ex ministri del Tesoro come Grilli. Se si considera però che oggi a fondare il “Polo Sovranista” è quel Gianni Alemanno che da ministro dell’Agricoltura e da sindaco di Roma è stato un pupazzo della Philip Morris, bisogna concludere che ci sarà anche dell’altro su cui stare bene in guardia.
Intanto il governo lancia l’ennesimo decreto “anti-furbetti” nel Pubblico Impiego. Stavolta il pretesto riguarda il presunto assenteismo del venerdì e del lunedì. Una categoria viene criminalizzata infischiandosene dei dati che indicano che nel Pubblico Impiego l’età media è molto più elevata che nel settore privato e che negli ultimi tre anni l’assenteismo è persino calato in coincidenza con un relativo svecchiamento. Il governo agisce sfacciatamente da lobbista delle privatizzazioni, usa un linguaggio da guerra civile, lancia un appello a facinorosi, malviventi e malvissuti incitandoli all’odio di categoria. Ci sarebbe un Codice Penale che sanziona l’aggiotaggio e l’istigazione all’odio tra le classi sociali, ma il tutto è a favore delle privatizzazioni e quindi nessun magistrato mostra di accorgersene.
Minniti, l’attuale ministro agli attentati islamici, si trova, per pura coincidenza, anche a gestire un periodo in cui fioccano provocazioni contro sindacalisti di base, con la confezione ad hoc di inchieste giudiziarie infamanti. Quanto alla magistratura, essa continua a preferire alle indagini le provvidenziali imbeccate dei servizi segreti.
La pieghevolezza del principio di legalità è stata riconfermata dalla “authority” dell’Antitrust, come sempre in versione pro-trust a favore delle multinazionali. Stavolta nel mirino di quella lobby delle multinazionali che si fa chiamare Antitrust, sono le cooperative dei tassisti, colpevoli di gestire a favore del lavoro autonomo un business sempre più promettente, date le crescenti limitazioni al traffico privato e lo sfascio delle aziende metropolitane e tranviarie, ridotte a non poter assumere e comprare pezzi di ricambio a causa delle limitazioni alla finanza locale.
Per illustrarci il nuovo quadro internazionale, giornali e telegiornali sono pieni delle quotidiane imprese attribuite al nuovo occupante della Casa Bianca.
CialTrump annuncia l’annullamento del trattato di libero scambio per il Pacifico e la protezione dell’industria americana dall’invadenza della globalizzazione. Theresa May dichiara a Davos che il popolo è più importante dei mercati, che la globalizzazione va corretta attraverso una redistribuzione delle ricchezze. Insomma, Trump e May sarebbero dei no-global.
Meno male che il presidente cinese Xi Jinping difende il libero mercato. Le sue metafore confuciane ricordano i tempi di Aldo Brandirali: assumere atteggiamenti protezionistici equivale a chiudersi in una stanza buia; fuori restano freddo e vento ma anche la luce e l’aria fresca. Commovente. La Cina dovrebbe fare una nuova guerra dell’oppio all’incontrario per imporre agli USA e all’Inghilterra “l’apertura dei mercati”. Peccato che le fiabe e gli apologhi morali del mercantilismo debbano sempre fare i conti con i rapporti di forza, soprattutto militare. Ed appunto l’analisi dei rapporti di forza militari spiegherebbe tante cose.
Ci si viene a raccontare che CialTrump avrebbe saputo interpretare la “pancia” dell’elettorato americano. Sta di fatto che ha preso meno voti della pur ripugnante candidata Killary Clinton e che è stato eletto per le consuete alchimie elettorali dell’establishment di cui fa parte. L’evidenza è che questo establishment negli ultimi tre anni ha dovuto metter da parte i suoi sogni di smembramento e di spartizione della Russia tra le varie multinazionali statunitensi.
Sino al 2013 la Russia aveva sopportato senza reagire provocazioni mostruose. Nel 2011 Putin e colleghi avevano lasciato al suo destino un semi-alleato come Gheddafi, mettendo nei guai anche il principale mediatore d’affari e fornitore di tecnologia della multinazionale russa Gazprom, cioè l’ENI. Si ricordano giustamente le figure di merda a raffica del Buffone di Arcore nel 2011; d’altra parte non si sottolinea il fatto che nessun aiuto è arrivato al Buffone da parte del suo “amico” Putin. Sarebbe bastato che qualche nave militare russa attraccasse a Tripoli e Bengasi per bloccare l’aggressione NATO alla Libia, togliendo così il Buffone e l’ENI d’impiccio, con sommo vantaggio della stessa Russia che avrebbe potuto usufruire del feudo gas-petrolifero libico di ENI.
La debolezza dimostrata dalla Russia nel caso libico ha aperto la strada per un’aggressione in grande stile alla Siria, che non era un alleato di serie B come la Libia, bensì un alleato storico e strategico, con tanto di base navale russa nel porto siriano di Tartus. Ma neanche questo aveva commosso più di tanto Putin e colleghi. C’è voluto il colpo di Stato della UE e della NATO in Ucraina perché le forze armate russe si svegliassero e mettessero Putin di fronte all’evidenza; la conquista dell’Ucraina da parte della NATO avrebbe aperto a Nord la strada dei carri armati NATO verso Mosca ed a Sud il controllo del Mar Nero alla US-Navy grazie alla Crimea. E forse neppure questo da solo era bastato, c’è voluto anche il crollo del prezzo del petrolio con la conseguente diminuzione del potere di corruzione di Gazprom nei confronti dei generali.
Il risveglio militare della Russia ha fatto svanire i sogni di spartirsela e quindi ha reso superflua quella creatura statunitense che è l’Unione Europea, che svolge la sua funzione anti-russa a prezzo della depressione mondiale causata dal buco nero della moneta unica. Si mettono da parte anche i trattati commerciali internazionali perché comportano un prezzo inutile in termini di deficit di bilancia commerciale, visto che la Russia non è più disposta a lasciarsi accerchiare ed usa la minaccia militare per ristabilire rapporti con Turchia e Giappone. La Russia rimane e rimarrà per gli USA il bersaglio prioritario ma, per il momento, è meglio non fare la faccia troppo feroce ad un avversario che ha ricominciato a difendersi e, in qualche caso, ad attaccare.
Si potrebbe, del tutto legittimamente, osservare che questo riequilibrio dei rapporti di forza e l’eventuale fine dell’UE aprirebbero per l’Italia una finestra di opportunità, quale che sia il giudizio su CialTrump. Ma il punto è che l’euro potrebbe continuare con altri mezzi. Gli obiettivi non cambiano: tenere alti gli spread per consentire agli “investitori” esteri di lucrare alti interessi sul debito pubblico italiano, presentando il conto ai lavoratori che devono sostenere la produzione con salari sempre più bassi, e sostenere anche i servizi finanziari indebitandosi per poter consumare. In Italia c’è un ceto medio pronto a comprarsi i titoli del debito pubblico ad interessi molto più bassi; ciononostante i titoli decennali del Tesoro vengono riservati con alti interessi ad oscuri “investitori istituzionali” stranieri. La spiegazione del mistero sta forse nelle carriere in multinazionali del credito, come JP Morgan, di ex ministri del Tesoro come Grilli. Se si considera però che oggi a fondare il “Polo Sovranista” è quel Gianni Alemanno che da ministro dell’Agricoltura e da sindaco di Roma è stato un pupazzo della Philip Morris, bisogna concludere che ci sarà anche dell’altro su cui stare bene in guardia.
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