QUANDO CICCIOFORMAGGIO PERSE L’ONORE
Gavino Sanna
Sa Defenza
NON FARTI FREGARE DAI SENTIMENTI O SARANNO QUELLI AD UCCIDERTI
DI TUTTI I PRESIDENTI CHE NON HANNO FATTO NIENTE, LUI LO FARÀ MEGLIO
Alghero. Mercoledì 14 novembre 2018. Squilla il telefono “Gavino, vieni a Porto Torres, vieni a vedere un cantiere nautico. C’è una barca bellissima, tutta di legno. È una vecchia imbarcazione. La sta restaurando Antonio Polese, un mago del legno, ultimo discendente della vecchia dinastia dei Polese turritani, tutti maestri d’ascia”. Io amo il mio paese, Porto Torres. Mi fa felice tornarci. Dopo qualche giorno vidi perciò quel barcone: bello, imponente, quasi pronto per essere inaugurato. Mi accompagnò un amico giornalista. Nel cantiere c’era un cameraman della Rai, il padrone del cantiere stesso (figlio di un caro amico d’infanzia) ed altri conoscenti. Ma quello che mi colpì del gruppo fu un signore piccoletto, che si muoveva come un cagnetto, come quei bastardini che vogliono essere accarezzati perché tu possa volergli bene. Questa maniera goffa di comportarsi nei miei confronti, non usuale nei sardi, destò la mia curiosità. Alla fine della visita quel signore mi domandò, con fare circospetto “Lei è disposto ad incontrare il futuro Presidente della Sardegna?”. Io risposi “Volentieri!”. Il piccoletto si riferiva a Christian Solinas, che avevo anche incontrato in altre occasioni. Invitai tutti a casa mia ad Alghero e venerdì 16 novembre avvenne l’incontro, a cui parteciparono il mio amico giornalista, il cameraman della Rai, il piccoletto ed il futuro Presidente, che entrò nell’atrio del mio appartamento con tutta la sua stazza. Io sarei stato contento di fare l’ennesima campagna pubblicitaria per un presidente della Sardegna. Christian Solinas parlò cordiale, non molto a dir la verità. Chi parlo di più, sperticandosi in lodi ed iperboli verso il Presidente fu proprio il cagnolino, “Il Presidente Solinas è una persona di primo piano, un grande stratega, sarà il presidente migliore”. Dopo la discussione facemmo le foto di rito, alle quali il mio amico giornalista, notoriamente di sinistra, sembrava restio a partecipare. Con un poco di imbarazzo, dopo mie varie sollecitazioni, anche lui si fece una foto ricordo con Solinas. Una foto insomma non si nega a nessuno! E che diamine! Poi ce ne andammo tutti a pranzo al Pavone, noto ristorante d’Alghero, dove chiacchierammo del più e del meno, non molto di politica. Il giorno dopo al telefono chiesi un parere su Solinas al giornalista mio amico, che mi rispose solo con una frase “Mi sembra una brava persona”. Nulla più. La sua risposta in realtà nascondeva un giudizio politico ben più articolato e forse più severo, ma io allora non ci feci molto caso, poiché preso dall’entusiasmo di aiutare un nuovo presidente, per di più di un partito a me molto caro, un partito che tra le sue fila aveva annoverato un gigante, un mio grande amico: Mario Melis.
NON HO MAI SAPUTO DISTINGUERE SE ERA UN COGLIONE GRANDE O UN GRANDE COGLIONE
L’unica cosa concreta di cui si parlò in quel pranzo fu il prossimo appuntamento a Milano, dove avremmo approfondito l’argomento. Dopo pochissimi giorni mi raggiunse a Milano il cagnolino e il futuro Presidente della Sardegna. Venne col suo piccolo scudiero turritano, che appena mi vide cominciò a saltarmi addosso e a farmi le feste “Devi avere fiducia Gavino, il nuovo Presidente è una persona seria. Io sono di Porto Torres e ti offro tutte le assicurazioni possibili. Devi fare una campagna elettorale per noi, devi avere fiducia” mi disse. Io risposi che avrei accettato, ma solo se mi avessero lasciato fare una campagna poco politica, ma di grande amore per la Sardegna. Il futuro Presidente mi rassicurò “E’ proprio quello che voglio fare. Vorrei circondarmi delle menti di maggior valore della Sardegna. Le chiedo se Lei accetterà il fatto di lavorare con me in questa campagna elettorale e poi diventare l’ambasciatore della Sardegna nel mondo”. Io risposi di sì in maniera naturale e ci salutammo cordialmente. Non l’avrei più visto, ma questo allora non potevo saperlo. Dopo due giorni ricevetti una telefonata dal suo cagnolino, in cui mi si pregava di fare in fretta, che la campagna sarebbe entrata nel vivo a giorni. Lo rassicurai e mi misi al lavoro. Pensavo ad un lavoro diverso rispetto a quello fatto con altri presidenti della Sardegna, come Renato Soru e Ugo Cappellacci, a cui molto modestamente avevo contribuito all’elezione. In pochi giorni scrissi tutto di getto, come sempre mi accade per le cose che amo fare. Come mi capitò per la Barilla, la birra Miller o Giovanni Rana. Mandai personalmente a Solinas, ed anche al suo cagnolino, 27 annunci più 5 per quelli che io chiamo “I vengo anch’io”, cioè le liste che accompagnano ogni Presidente, ma che avrebbero appoggiato qualsiasi altro, purché lo avessero ritenuto vincente. Non mi aspettavo una risposta immediata. Poi finalmente la risposta arrivò, di sera. Dall’altra parte della cornetta il piccoletto turritano “Gavino, abbiamo proposto la tua campagna alla direzione del partito: è stata bocciata, considerata banale, inoltre simile a qualche tua campagna precedente. Ma soprattutto è stata giudicata troppo semplice. Questa sera ti chiamerà Solinas”. Già, troppo semplice: a me, che vengo apprezzato da tutti per la semplicità con la quale ho costruito i miei successi di pubblicitario. Rimasi di stucco, meravigliato. Bocciato da un branco di incompetenti, bocciato uno che ha fatto migliaia di campagne tra cui una a Richard Nixon. Avrei voluto sapere chi fossero questi professori della comunicazione. Aspettando la risposta sono quasi invecchiato. Non ricevetti più nessuna telefonata. Scapparono tutti, Presidente e cagnolino compreso. A Milano avevamo anche parlato del mio compenso. Mi avevano accennato che avrebbero procurato degli sponsor e rispettato gli accordi. Con l’invio degli esecutivi, come da loro richiesto, il mio lavoro era finito, pertanto avrei dovuto ricevere il compenso stabilito, che in realtà era la questione che mi interessava di meno, visto che tra l’altro si trattava di una miseria. Con la loro fuga persi soprattutto il sogno di una Sardegna nuova che mi ero immaginato grazie al nuovo Presidente. Mi rimase solo l’emozione dell’incontro con Mario Melis di tanti anni prima. Sempre a Milano, senza nessun cagnolino. Mario mi regalò il suo distintivo, voleva che lo indossassi. Per me fu un onore e mi commossi tanto. Attraverso quei piccoli moretti del distintivo io pensavo che la Sardegna potesse essere la più bella terra del mondo.
LA DIGNITÀ VALE PIÙ DELLA VITA
La Sardegna bisogna accudirla con amore, raccontarla con garbo, prenderla per mano. Ma tutte le volte che io rientravo nell’isola la trovavo sempre peggio. E allora mi veniva in mente una frase dell’ex presidente della Francia Charles De Gaulle di ritorno da un viaggio, quando gli chiesero un giudizio su una delle sue terre preferite: il Brasile. “Generale com’è il Brasile?” e lui rispondeva “Fantastico. È la terra del domani, peccato che rimarrà sempre cosi!”. Ecco, queste frasi mi facevano pensare alla Sardegna: la terra dell’eterno domani che non arriva mai. E lo dico da ottimista, anche se può apparire paradossale. Il sardo ce la mette tutta, ma poi per un motivo o per l’altro si ritorna al punto iniziale. Sembra la nostra condanna.
QUAQUARAQUA SI NASCE E SI DIVENTA
Un giorno di tanti anni fa venni invitato a Cagliari per una conferenza importante e proprio Mario Melis mi chiese “Gavino, cos’è la Sardegna per te?” io replicai senza pensarci sopra “Una bellissima cartolina illustrata poggiata su un bidone di spazzatura”. Gelo in sala e fine della trasmissione. Tutte queste cose in realtà mi vennero in mente a Milano, dopo che ci lasciammo col futuro Presidente Solinas. Perciò il giorno dopo mi misi in pista, molto concentrato e cercando di trovare le frasi giuste, che ben rappresentassero l’essenza della nostra meravigliosa isola e le indicassero per lo meno una via d’uscita, che poi deve essere applicata. Specialmente dai politici. L’esito delle mie idee invece fu il siluramento da parte di quella specie di politburo sardista. Venni quasi assalito dalla paura e dall’incertezza: forse sarei dovuto tornare a scuola. Per una sorta di curiosità telefonai ad alcuni amici, legati al partito o vecchi militanti. Chiamai per primo un amico carissimo: Giacomino Sanna. Lo conoscevo dai tempi di Sassari Sera. Per tanti anni era stato segretario politico regionale del Psd’Az. Raccontai ciò che era successo e lui mi chiese chi fossero i garanti di quella specie d’imbroglio. Appena gli feci i nomi, specie del cagnolino, disse solo “per carità”. Non aggiunse altro. La sua era una sentenza, la mia una dabbenaggine per essermi fidato di quella gente. La seconda persona a cui telefonai fu un altro giornalista, ora Presidente dei Quattro Mori: Antonio Moro, quasi uno scherzo del destino. Saputa la cosa Moro replicò “Non è possibile, vedrai che Solinas ti chiamerà, tutto si sistemerà”. Le ultime parole famose. Quasi beffarde. Tuttavia speravo che Antonio Moro fosse sincero. Mi venne in mente anche di pensare male, ossia che Salvini se ne infischiasse altamente di Solinas e che la campagna elettorale la conducesse direttamente lui, in sostituzione del Presidente. Avevo ragione. Infatti per un periodo a Cagliari si vedevano solo le “vele” di Salvini. Il suo faccione che troneggiava ovunque, assieme al simbolo della Lega. In piccolo, quasi con vergogna, la scritta: vota Christian Solinas Presidente. Io però mi rodevo dentro, quante storie avrei voluto raccontare: il turismo, la cultura, gli artisti, il mare, il pecorino, il viso antico degli anziani. Tutto soffocato da Salvini, che sotterrava la nostra cultura mettendoci sopra la sua faccia. E i sardi gli hanno pure creduto. Solinas ha vinto infatti scomparendo e con lui è scomparso un gran pezzo della nostra cultura, fagocitata dai leghisti, anche sardi, che nell’adesione al Carroccio vedevano una possibilità di sistemarsi senza lavorare. Già da quei giorni infatti era cominciato l’assalto alla diligenza, tutti a voler ricoprire una carica. Io immaginavo l’improvvisa apparizione del vaso di Pandora, che ha una storia affascinante. Pandora era la figlia di un adoratore di Zeus, che per il suo matrimonio regalò a lei ed alla famiglia uno stupendo vaso. Quel vaso doveva però rimanere intatto, poiché conteneva le meraviglie del mondo. In caso contrario, se si fosse rotto, sarebbero uscite dal suo interno delle sciagure, delle cose tremende. A me questa caccia alle poltrone dette l’impressione che il vaso di Pandora si stesse per rompere. Dentro c’erano indagati, disonesti e corrotti. Gente di ogni risma. Nel frattempo volevo capire chi fosse in realtà il Presidente, perché con me, in sua presenza, aveva quasi sempre parlato il suo cagnolino. Mi capitò di leggere, era gennaio, un articolo su Solinas di Gian Antonio Stella, famoso giornalista del Corriere della Sera, in cui era scritto che la Sardegna avrebbe avuto un nuovo Presidente: si sarebbe chiamato Ciccioformaggio. Stella immaginava Solinas da bambino con i suoi amichetti che lo prendevano in giro per la sua corpulenza e soprattutto per la sua faciloneria. Uno così, da grande, di quali personaggi si sarebbe potuto circondare
I SOGNI CHE NON DIVENTANO REALTÀ NON SERVONO A NIENTE
Alla corte dei re si è sempre trovato di tutto, ma nel passato Re e Papi si sono spesso circondati di personaggi geniali, di grandi artisti e consiglieri. E poi c’erano i paggi ed i giullari, coloro che facevano ridere, ma che non godevano di alcuna considerazione e si accontentavano di qualche mancia e pasto a scrocco. Ora le cose si sono capovolte. Alla corte dei politici sono scomparsi gli artisti e i consiglieri illuminati: i paggi, i cagnolini, sono quelli che mangiano di più e soprattutto (ancora peggio) sono tenuti in grande considerazione. Il loro piatto preferito si chiama appalto, la loro arma si chiama lusinga. E pazienza se dell’isola non hanno la ben che minima idea di sviluppo, basta solo qualche slogan in campagna elettorale, poi tutti insieme nella mangiatoia, pronti ad accaparrarsi pure le briciole. Io invece non ho bisogno di appalti, ma avrei nel mio piccolo un’idea precisa della Sardegna, magari sarà sbagliata, ma ce l’ho, specie sui borghi: la nostra anima. Avevo appuntato dei piccoli pensieri. Per me i borghi sono i luoghi dimenticati, dove bisogna ricollegare il proprio legame con gli antenati ed i posteri. Ma per me la Sardegna è anche un sasso liscio e rotondo raccolto sulla spiaggia, che lanciato in mare si riempie di vita e comincia a saltellare con grandissima gioia. Per me dare vita a qualcosa inanimata, farla morire in mare, che non è un cimitero delle emozioni, ma un luogo sacro che raccoglie tutto il nostro essere, è una cosa straordinaria. Io volevo raccontare questa Sardegna, farla rinascere e fondere col mare che la circonda. Potrebbe essere un’immagine poetica, un sogno. Forse lo è. Quando affermiamo che i sogni sono solo fantasie commettiamo un grave errore, è proprio il contrario: i sogni sono obbiettivi da realizzare. Per questo, da sardo, volevo stuzzicare la sardità che è dentro ognuno di noi. Ce l’abbiamo tutti e molti non lo sanno. Volevo trasmetterlo questo concetto, glielo detto a Christian Solinas: “Voglio fare una campagna elettorale sulle emozioni, che è decisamente più bella e stimolante, soprattutto più utile”. Uno spunto me lo avrebbe dato la rivoluzione dei pastori, che mi ha profondamente colpito. Gettando il latte per terra i pastori hanno sprecato il sangue delle loro vene, che è bianco. Non tutti hanno colto questa provocazione e l’hanno ridotta ad un prezzo per litro. Ma il sangue bianco ed i pastori per la Sardegna sono molto di più. Salvini disse che avrebbe risolto tutto lui in pochi giorni: un euro al litro. Un ordine per gli industriali, un numero semplice da ricordare. Il dramma è che i sardi gli hanno creduto e non m’interessa se poi non è stato così. Questo era scontato. Sono amareggiato perché, a parte l’elemosina che hanno dato ai pastori, ben inferiore ad un euro, i problemi del latte, del formaggio e della pastorizia sono rimasti intatti, irrisolti. Rimane sempre la Sardegna dove il tempo si è fermato, un’Africa alla deriva e nessuno che la riporti a terra. Ripenso quindi a quella frase di De Gaulle sul Brasile, ma fatta apposta per la nostra isola: la terra del domani che non arriverà mai. Salvini però la sa lunga, ha capito la frustrazione dei sardi ed ha giocato d’anticipo. Ha avuto il coraggio di dettare una campagna politica dove l’elettore è stato ridotto ad un poveraccio, che ha bisogno di tutti gli aiuti per cambiare la sua vita. Peccato che la Sardegna, per i nuovi padroni, rimarrà sempre quella terra ricordata nei due mesi in estate, perché ha il mare bello e ad Alghero si mangiano le aragoste migliori. Ma a molti sardi non è importato. Se qualcuno vuole cambiare l’isola al loro posto, ecco che in Sardegna viene idolatrato. Salvini ha fatto una corsa straordinaria in questo, a perdifiato per entrare nel vaso di Pandora senza romperlo (illuso!), promettendo l’impossibile. È stata la sua arma vincente, questa è la verità. Matteo Salvini ha trionfato nascondendo il Presidente. E con lui tutti i sardi. Nel vaso di Pandora sono entrati anche i mascalzoni, i Cetto la Qualunque, gente di ogni risma, la feccia popolare, che in queste elezioni si è fatta conoscere ed è diventata protagonista. Ma a comandare sinora è stato uno che con Noi non c’entra nulla.
MI SONO LASCIATO ESSERE
L’italiano va sempre in soccorso del vincitore? Cosa vera purtroppo. E poi diventano tutti amici quando ti devono porre domande particolari. Ad esempio a me chiedono come abbia fatto a condurre campagne pubblicitarie per un esponente politico di centro, di sinistra e di destra. Io ho sempre risposto che non ho mai votato in vita mia e che non sono mai stato un uomo di partito. Scelgo di collaborare con chi penso che abbia voglia di aiutare la nostra isola a migliorarsi. Spesso sugli uomini mi sono sbagliato, anche con quelli profondamente diversi tra loro come Soru, Berlusconi, o addirittura Cappellacci. Io ho sempre eseguito il mio lavoro con grande passione, perché credo che l’Italia e la Sardegna debbano e possano migliorare con uomini capaci. Che lo faccia uno di destra, sinistra o centro a me poco interessa. Per cui se qualche fannullone mi critica per questo, non me ne importa assolutamente nulla. Ma ora voglio tornare al vaso di Pandora e di tutte le altre cose brutte che sono andate dentro, comprese quelle che riguardano il Presidente Solinas. Prendo spunto da alcune frasi che ha detto su di lui Mario Guerrini, uno dei più valenti giornalisti sardi “Massone, curriculum personale pari a zero, praticamente non ha mai lavorato. Ha usato una laurea fasulla acquisita in Usa”. Sono rimasto allibito, anche per la mia ingenuità nel non essermi informato prima. Di queste vicende si è occupata la Magistratura, ma senza alcuna conseguenza per Solinas. In campagna elettorale è successo pure di peggio. In una foto, accanto a Salvini e Solinas, in conferenza stampa importante, c’erano personaggi che definire poco raccomandabili è un eufemismo. Il vaso di Pandora stava per esplodere. All’interno però, bisogna dirlo, c’era una cosa buona: l’abolizione delle accise. Ma non quelle sulla benzina, come il leader del Carroccio aveva azzardatamente promesso in tv, bensì quelle sulla birra, straordinario regalo alla Sardegna contenuto in un Decreto di questo Governo. I sardi in questo modo potranno ubriacarsi meglio e a buon mercato.
IL SIGNORE È ASSERVITO
Finalmente arrivò il giorno fatidico delle elezioni: il 24 Febbraio. In Sardegna se al posto di Solinas c’era Salvini, al posto di quest’ultimo pareva ci fosse Trump, o il suo sosia. Allo stesso modo in cui il presidente americano si è presentato all’elettorato del profondo sud del proprio paese, il suo emulo Matteo Salvini ha esportato in Sardegna questa tecnica efficace, perfetta per i nostri tempi: venire incontro al desiderio attuale delle parti più deboli e numerose delle classi sociali, che hanno bisogno di sentirsi protetti. È stata infatti “protezione” l’arma e la parola vincente delle ultime elezioni sarde. Inoltre la gente ha bisogno di sentirsi dire frasi aggressive, di immedesimarsi in un progetto, di avere una scusa per dire alla fine “ho vinto”. Esattamente come un tifoso dopo la vittoria della squadra del cuore. Questo Salvini, come Trump, lo ha capito benissimo. Sarà banale e non sarà nemmeno giusto, ma oggi nel mondo le cose funzionano così.
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Dopo la chiusura delle urne uno dei fatti più esilaranti fu la profezia dell’exit pool, che dava i due concorrenti più accreditati, Massimo Zedda del centro-sinistra e Christian Solinas del centrodestra alla pari. L’indomani mattina Salvini (ripeto non Solinas) ha spazzolato qualsiasi cosa che c’era davanti a lui. Tutti erano contenti? Si, tutti contenti. Tutti hanno vinto, ma nessuno ha ottenuto nulla: sulla cultura sarda, sul lavoro, sui trasporti. Vediamo che succederà, la cosa certa è che la Sardegna sarà l’isola privata di Salvini e di qualche suo amico. Ciccioformaggio, lo straordinario uomo delle navi, colui che non si taglia mai la barba per non scoprire cosa c’è sotto, l’uomo corpulento e invisibile, non conterà nulla. I suoi cagnolini mangeranno solo le briciole, la torta se la divoreranno i lombardi.
NÈ COGLIONI NÈ CON GLI ALTRI
Bastano le promesse di Salvini, il senso di “protezione”, le frasi ad effetto ad avere convinto l’elettorato a voltare pagina? La risposta ovviamente è no. Cinque anni di governo di Centrosinistra in Sardegna hanno deluso chiunque. Fortemente. Sanità a pezzi, tanti ospedali chiusi e riduzioni posti letto. Trasporti nel caos, la Sassari-Olbia peggio dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, l’aeroporto di Alghero senza aerei. Sul fronte lavoro anche peggio: precariato e nessuna vertenza industriale risolta, dal polo del Sulcis a quello della Chimica Verde di Porto Torres. Insomma, un disastro, con qualche cosa buona, che non sono riusciti nemmeno a comunicare. Eppure l’ex Presidente Francesco Pigliaru è una persona di qualità, ma è capitato in un posto sbagliato nel momento sbagliato. Il massimo. Il Professore è uomo di riflessione, titubante per carattere, restio a prendere decisioni rapide per questioni difficili, come questo periodo purtroppo impone. Una parola inglese lo definirebbe bene in politica: unfit, inadatto a questo ruolo, con competenze magari per mille altri. Alcuni suoi assessori si sono dimostrati una frana. Arru e Deiana verranno ricordati tra i più scarsi della storia sarda. Massimo Deiana, dopo i danni ai trasporti, è stato addirittura premiato: ora è a capo dell’Authority portuale sarda. È chiaro che i sardi si sono scocciati, votando pure di peggio. Ma in Sardegna (e anche in Italia) non ci sono solo gli aspetti amministrativi a fare incazzare gli elettori, che pur di non votare a sinistra, si farebbero tagliare la mano. Ci sono quegli pseudo dirigenti, nazionali e locali (per fortuna non tutti), che francamente sono insopportabili e rendono la sinistra invisa. Essi hanno spinto milioni di persone (giovani, disoccupati, precari, ceto medio, fasce deboli) verso l’astensione o tra le braccia di Grillo o Salvini. La sinistra di oggi è invece amata dai capitani d’azienda e dalla ricca borghesia. In pratica un mondo che gira a rovescio. Ecco chi sono gli pseudo dirigenti del variegato mondo della sinistra, osteggiati come il demonio. I buoni dirigenti piangono anche per loro e per colpe che non hanno. I Professori. Sono spesso ex sessantottini, da giovani grandi critici del PCI, giudicato troppo di destra. I loro idoli erano Che Guevara o Fidel Castro, ma non sono mai stati nella Sierra Maestra, bensì annidati in posti di prestigio delle Pubbliche Amministrazioni, dai quali pulpiti pontificano. Dividono la società in caste. Chiaramente a guidarla devono essere loro, come certi filosofi per gli ateniesi. Si candidano solo se sicuri di elezione e accettano volentieri cariche, naturalmente ben retribuite. Quando sono a secco di poltrone, propongono tagli a tutti. Meno che a loro. I ma anche. Il loro leader riconosciuto è Valter Veltroni, quello che stava con gli operai ma anche con gli industriali, con Fellini ma anche con Pasolini. I “ma anche” infatti stanno con tutti: con la moglie ma anche con l’amante, con gli spaghetti ma anche con le pennette, con i cacciatori ma anche con gli uccelli. Sono sempre in mezzo e da lì non possono essere schiodati. Gli ambientalisti alle vongole. Soffrono di prurito cronico quando sentono la parola industria. Hanno in genere un lauto stipendio fisso, temono l’inquinamento, ma si fumano due pacchetti di Marlboro al giorno. Viaggiano in SUV e sono i professionisti dei flash mob. Non si mettono neanche il problema che la loro macchina vada a benzina, distillato del petrolio. Le raffinerie per costoro devono stare nel deserto o nei paesi del terzo mondo. In quei posti, senza tutele e diritti, gli operai possono morire come mosche, lontano da occhi indiscreti. La loro parola d’ordine è sviluppo eco-compatibile, una cosa che non vuol dire assolutamente niente. Gli ambientalisti alle vongole sono spesso dirigenti di sezione, contribuendo alla causa. Delle sonore batoste. Lo faccia lei. Quando sono al governo i “Lo faccia lei “ non vogliono essere criticati. E soprattutto disturbati. Il loro leader storico è Piero Fassino, che a Grillo quando lo incalzava rispose “Lo faccia Lei un partito, vediamo quanto è bravo”. Detto. Fatto. Il Movimento Cinque Stelle dopo pochi mesi diventò uno dei maggiori partiti italiani. I salottieri. Ogni paese che vai salottieri che trovi. D’ ideologia di sinistra estrema, svengono alla vista di un meccanico con le mani sporche. Sono bene accolti dalla borghesia, che se li coccolano bene e li votano pure. Visto che sono inoffensivi. Leader assoluto Fausto Bertinotti, parolaio e ora campione di Comunione e Liberazione. Gli analisti. Parola equivoca, ma sono quelli che in TV si sono specializzati nel riuscire a far perdere alla sinistra 2 mila voti al secondo. Prendono per coglione qualsiasi interlocutore con il loro sorrisino di disprezzo. Vivono infatti di certezze e i conduttori televisivi lo sanno, invitandoli in continuazione per fare danni. Leader emergente della categoria Matteo Orfini. I banchieri. Dopo la vicenda del Monte Paschi di Siena (forse anche prima) sono diventati di sinistra. Ricevono aiuti insperati e sono benvoluti da tanti dirigenti rossi, che non hanno nulla da eccepire quando producono disastri e vengono premiati da liquidazioni da nababbo. I banchieri ricambiano e quando vedono tipi come Renzi si commuovono, divorati dalla nostalgia. Gli internazionalisti. Alla disperata ricerca di un leader, appena ne intravvedono uno si buttano a capofitto, prendendo topiche colossali. Hanno amato la Boschi (perché?) e ora Greta, una bravissima ragazzina, ma che ha solo 16 anni. Senza speranza, in fondo rimarranno anch’essi bambini. Gli smentisco. Categoria diffusissima anche a sinistra. Smentiscono cose dette alcuni minuti prima. Smentiscono i loro stessi atti. Smentiscono tutto quello che gli capita a tiro. La loro guida spirituale è stato sindaco di Firenze. E a quanto pare Presidente del Consiglio. A meno di una smentita. Gli avevo detto. Sono perfetti nel commentare e criticare le cose quando sono già avvenute. “L’avevo detto!”. In realtà non avevano detto nulla, perché non gli cavi un pronostico neanche con la pinza. Non si sa mai. Spesso sono giornalisti figli di papà, sovente in TV a commentare i fatti con la loro prosopopea da intellettuali. Criticano tutti, hanno la barbetta e non usano la cravatta: solo una camicia leggermente sbottonata sotto una giacca triste, per incoraggiamento. Come vedete in questo modesto elenco, che potrebbe continuare, mancano elettricisti, infermieri, operai, più milioni di persone. Loro devono sudarsi la pagnotta, perché a sinistra nessuno li rappresenta.
ERAVAMO UN POPOLO, SIAMO DIVENTATI GENTE
Durante lo spoglio delle schede si assistette a scene tipo Mundial: urla, grida, scene di giubilo. Specie da parte dell’esercito di vassalli, valvassori e valvassini, molti dei quali diventati all’improvviso leghisti. Salvini li aveva protetti e convinti, ma era Christian Solinas l’uomo invisibile, che ufficialmente stava stracciando Massimo Zedda, l’ultimo martire mandato al patibolo dal centro-sinistra, in piena crisi di nervi, di uomini e soprattutto di idee. Ciccioformaggio dopo poche ore sarebbe diventato il nuovo Presidente della Sardegna: l’erede di Mario Melis. Non è una bestemmia: i sardi hanno voluto questo, i sardi hanno voluto Ciccioformaggio. O forse non hanno voluto gli altri. Ma in fondo che differenza fa? Il disprezzo per cinque anni di delusioni ha preso il sopravvento sull’ignoto. Salvini, sempre lui, aveva dichiarato che in un quarto d’ora si sarebbe composta la Giunta. Ci vollero invece tre mesi: record sardo battuto. Dopo la vittoria arrivò infatti il silenzio: Ciccioformaggio si era volatilizzato, Salvini invece lo si vedeva in TV a tutte le ore, intento a fare campagna elettorale da altre parti, sempre e comunque in tutti pagnotta, perché a sinistra nessuno li rappresenta. i posti meno in quello dove sarebbe dovuto essere: al Viminale. Per fortuna. Poi comparve un tale, sempre leghista, il ministro Centinaio, che forse si chiama cosi per confondersi con quel centinaio di ministri giunti sull’isola a promettere e non mantenere. Ebbene, questo Ministro aveva condotto (anche lui) la trattativa con i pastori, che aveva definito sontuosamente “chiusa”. Nella realtà quell’accordo non è altro che un coperchio appoggiato su una pentola ribollente di rabbia, infuocata da decenni di soprusi. Le assemblee dei pastori scontenti di questi ultimi mesi lo dimostrarono. Il problema del latte e della pastorizia ancora incombe, pesante come un macigno, nella disastrata economia sarda. Il ministro Centinaio è scomparso dalla Sardegna. Come Ciccioformaggio, dicevamo. Che zitto, zitto continuava a occupare due scranni (e due stipendi): quello di Deputato e di Presidente della Regione. Tengo famiglia, non si sa mai. Ci vollero sentenze e cannonate per schiodarlo dal doppio incarico, che annunciò due mesi dopo la sua elezione, con la stessa addolorata enfasi di Madre Teresa di Calcutta in visita ai lebbrosi. Finalmente a maggio è stata varata la nuova Giunta, anzi una mini Giunta, perché per gli altri nomi le forze della coalizione si stavano ancora scannando. Ciccioformaggio decretò Assessore al Turismo un suo fedelissimo, un certo Gianni Chessa, anche lui del Psd’Az, un uomo buono e caritatevole, in perenne litigio col vocabolario italiano, che subito mostrò il suo valore di statista assoluto. Ad una affollata conferenza annunciò la creazione di nuovi 5.000 posti di lavoro per tutta la Sardegna. Come? Con la costruzione di decine e decine di campi da golf disseminati in tutta l’isola. Questa sì che sarebbe stata la valorizzazione della nostra cultura. Tutti infatti sanno quanto i nuragici, punici, romani e pastori giocassero a golf ed amassero le mazze. Ma c’era di peggio, per lo meno politicamente. Al Bilancio Solinas ha posto un certo Fasolino da Golfo Aranci, uno che, come narravano i giornali sardi, aveva con l’esattoria un debito di 425.000 euro. Quasi una provocazione. Pare comunque che il buon Fasolino stia risolvendo la sua questione personale e mentre tutti gli chiedevano conto della sua restituzione al fisco, lui vuole che lo Stato restituisca alla Sardegna 285 milioni di euro. Auguri.
NON ESISTONO INNOCENTI, MA COLPEVOLI CHE NON ABBIAMO ANCORA SCOPERTO
Quando Salvini nell’isola non c’è (sparito in pratica dopo la campagna elettorale), ha lasciato per vario tempo un suo amico a comandare: Eugenio Zoffili, 40 anni, proclamato capo della Lega in Sardegna, Deputato e vice burattinaio di Ciccioformaggio è riuscito persino a piazzare tre lombardi come primi funzionari di vari assessorati regionali. Inoltre, dopo avere dettato legge nella formazione della Giunta ha imposto un suo uomo alla guida del Consiglio Regionale: Michele Pais, di Alghero, leghista perché come tanti aveva fiutato il vento giusto. Ma Zoffili da Erba, provincia di Como, si è intromesso in qualsiasi vicenda locale, suggerendo assessori ed uomini a lui legati. Proibito dissentire, chi lo fa è perduto, praticamente espulso. Il bello è che i sindaci gli danno pure retta e si genuflettono alle sue brame. Nel frattempo, giusto per non farsi mancare nulla, l’esponente del Carroccio, nel suo paese natale, Erba, appunto, ha proposto che una piazza venga intitolata ad un gerarca fascista. Bene, uno come lui non solo ci governa, ma ci comanda. E stiamo pure zitti. Ad agosto Zoffili ha lasciato l’isola, verso nuovi incarichi. Non sentiremo la sua mancanza. Il vaso di Pandora nel frattempo si è davvero rotto, ha retto sino che ha potuto, ma la pressione interna era troppo forte. Dal vaso sono usciti tutti: approfittatori, imbroglioni, ignavi, cambia bandiera. Tutti a muoversi come delle trottole, a millantare nei territori amicizie per incassare consensi e prebende. Nessuna idea, nessuna programmazione, nessun progetto. Ognuno si alza la mattina e può spararla grossa: il dramma è che viene pure ascoltato. Dove finirà la mia povera Sardegna? Che cosa diranno dai cieli Enrico Berlinguer, Mario Melis o Francesco Cossiga? Che cosa penseranno di una terra profanata dai peggiori lombardi, per giunta acclamati dal popolo? Non lo sapremo mai. Io in questa vicenda sono stato imbrogliato, fidandomi di gente che non sa cosa sia la parola data od una stretta di mano. Ma questo è il minimo, un piccolo dettaglio in un oceano di guai. Quello che mi dispiace è vedere ancora la nostra terra senza prospettive. Abbiamo un cuore capace di ribellarsi, ma dobbiamo ritrovare lo spirito giusto. Questo è il problema, ma anche la soluzione. Forse.
LA DIGNITÀ VALE PIÙ DELLA VITA
Qualche tempo fa sono stato a Bonarcado, un piccolo paese sardo, di quelli che amo. Nella chiesa ho scoperto una cosa estremamente interessante, una tavola in cui era scritta una preghiera a S. Michele. Un ruggito lontano di quelli che fanno tremare le vene: “S. Michele Arcangelo, difendici nella lotta: sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo domini e Tu, principe della Milizia Celeste, con il potere che ti viene da Dio incatena nell’inferno Satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per il mondo per far perdere le anime. Amen”. Lasciai la Chiesa sperando nell’aiuto di San Michele
SIAMO FOTTUTI DA QUELLO CHE SIAMO: MAI TECCIU
Mai Tecciu è un sibilo. Fu un mio amico ristoratore a farmelo ascoltare la prima volta, appioppandolo ad un politico locale intrallazzone. Mai Tecciu, due parole che valgono più di un capitolo: significano mai sazio, uno che mangia, mangia ancora, non si accontenta mai e vuole mangiare di più. Provate ad immaginare nella vita quanti Mai Tecciu avete incontrato: nella politica, nel lavoro, tra gli amici. Mai Tecciu è vecchio quanto l’uomo e non si estinguerà mai. Ce ne sono diverse razze, ma ognuno di noi ne potrà scoprire delle nuove. Ad ogni modo è sempre lui il protagonista di ogni campagna elettorale. Mai Tecciu della cultura. Sono quelli che parlano sempre dal pulpito. Dispensano consigli eruditi e poi si perdono in un bicchiere d’acqua. Famosi in questo molti professori sinistroidi, che nella vita non fanno altro che leggere. Senza capire. Il loro gusto della lettura è proprio far sapere che hanno letto. Così possono avere ragione su tutto, mentre il popolo li spernacchia e vota a destra. E loro neanche si chiedono il perché. Mai Tecciu delle cariche. È proprio una malattia, comunissima: a destra, sinistra e centro. Colpisce tutti, dalla metropoli all’ultimo villaggio. Ancora non si è scoperto l’antidoto e le cause che spingono un povero cristiano a candidarsi per 30 anni di seguito in un Consiglio Comunale, a recarsi dallo psicanalista qualora non venisse nominato Assessore, ad effettuare quattro salti in padella (carpiati) appena cambia il vento della politica. Anche per una poltroncina da cento euro al mese. Mai Tecciu delle trattative. Splendida razza. Sono quei politici che scrivono magnifici articoli e comunicati in cui dicono, come suore carmelitane, di non volere niente, nessun posto, nessun assessorato. Nelle trattative sono invece i peggiori ricattatori: minacciano fine di legislature, mancati appoggi e temporali vari se non verranno accolte le loro richieste. I più infidi sono quelli che prendono il 4 o il 5% dei voti e sanno di essere decisivi. Se non sono accontentati alla riunione con gli alleati finiscono con la frase di rito “te lo facciamo vedere Noi”. Nel comunicato finale, con discreta dose d’ipocrisia, affermeranno invece di votare secondo coscienza o ancora peggio secondo i programmi. Per il Presidente o Sindaco di turno è finita. Mai Tecciu per il Popolo. Sono i peggiori. Dicono di scendere in mezzo alla gente (che vuol dire?) e che la politica deve partire dal basso. Il popolo comanda, specie quando li vota, è bue quando vota gli altri. Confondono il benessere collettivo con il proprio. In genere questi Mai Tecciu annoverano tra le proprie file, trasversalmente, una masnada di opportunisti ed approfittatori, pronti per il bene comune a cambiare casacca in un secondo. Al potere rubano più degli altri. Sempre in nome del popolo sovrano. Mai Tecciu quindi non è un soprannome, ma un modo di essere, un modello di vita. A quanto pare contagioso.
L’ULTIMA META. IL CAMMINO DI SANTIAGO DI COMPOSTELA
Questa lunga e disgustosa storia mi aveva tolto il sonno. Una notte, però, mi venne in aiuto un ricordo straordinario della mia vita professionale. Sognai quando, molto tempo fa andai a trovare Walter Molino, l’uomo che disegnava quelle meravigliose tavole della Domenica del Corriere. Gli chiesi quale fosse la sua pagina preferita. Lui mi guardò negli occhi e mi rispose “Ce l’ha di fronte”. Io alzai lo sguardo e vidi Papa Giovanni XXIII che prendeva per mano John Kennedy e da soli s’incamminavano verso un domani che si sperava fosse migliore. Un’immagine poetica, l’icona di due culture che s’incontravano. Paragonai, con un po’ di ribrezzo, questa scena al Presidente Solinas che prende per mano il suo amato cagnolino, di nome Bastianino. Questi due, lontanissimi da quelli disegnati da Molino, ho immaginato che andassero via, da soli, in un viaggio politicamente senza ritorno e senza alcun rimpianto. Invece i cagnolini avevano vinto. Non è vero quindi che la vita da cani sia così penosa
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Gavino Sanna è il più famoso e premiato pubblicitario italiano. Ha studiato architettura all’Istituto d’Arte di Sassari ed ha avuto come maestri: Filippo Figari, Stanis Dessy, Eugenio Tavolara, Vico Mossa, Mauro Manca e Salvatore Fara. Per un paio d’anni Gavino a Sassari ha avuto la cattedra all’Università dove insegnava “comunicazione” e all’Accademia di Belle Arti dove insegnava “design”. Ha fatto parte del Comitato Scientifico della Scuola Sperimentale del Cinema dove è stato anche membro del consiglio di amministrazione con: Francesco Alberoni, Dante Ferretti, Giancarlo Giannini e Carlo Rambaldi. In America ha conseguito un diploma alla New York University. Gavino da solo ha vinto più premi che tutte le agenzie italiane insieme. Tanto per ricordare: sette Clio, l’Oscar Mondiale della pubblicità; sette Leoni al Festival Internazionale di Cannes; l’unico Telegatto vinto da un pubblicitario italiano; quattro sono i Golden Pencil dell’Art Directors Club Italiano; due i riconoscimenti dell’International Film Festival di New York; sei Max Award; un Grand Prix italiano; sette Agorà. Gli sono stati assegnati: il Gran Premio Pio Manzù e il Premio Gianbattista Bodoni. Ha vinto due Gold Award all’Art Directors Club di New York e il Golden Pencil all’One Show in America. Sette sono stati gli Andy Award e quattro i Moebius Award di eccellenza. Sassari città lo ha gratificato con il Candeliere d’Oro per aver portato alto nel mondo il nome della Sardegna. Il Comitato Scientifico della Fondazione Lucio Colletti gli ha assegnato il “Temo d’Oro” per la comunicazione. Gavino ha ricevuto: il premio città di Trento, città di Bolsena, città di Nuoro, di Banari, di Oristano, di Cagliari, di Suvereto e di Orani. Il Pericle d’Oro, il premio Internazionale di Houston e quello internazionale Zenias. Le città di Sant’Anna Arresi, Varese, Busachi, Oristano gli hanno conferito la cittadinanza onoraria. La città di Arzana gli ha conferito il premio Porcino d’Oro oscar della gastronomia. Nel 1999 il gruppo sardo di giornalisti sportivi gli assegna il premio “Ussi” per il contributo al mondo dello sport come presidente onorario dell’Amatori Rugby Alghero e per il progetto “Ospedale Gaslini” di Genova con la squadra della Juventus. Nel 2001 gli è stato assegnato il premio “La Maschera Punica”. Nel 2003 lo premiano “Sardo dell’Anno”, la consulta provinciale del volontariato di Sassari gli assegna il premio “il Nuraghe” e Oristano il premio “Maschera della Sartiglia”. Nell’aprile del 2009 la Fondazione Rotary International ha attribuito a Gavino il Paul Harris Fellow. Nel 2017 gli è stato assegnato in Sardegna il premio “Filippo Figari”. Nel 1998 gli viene conferita dall’Università di Sassari la laurea “Honoris Causa” in sociologia della comunicazione di massa e scienze della comunicazione. Nel 1999 Gavino è chiamato dal Presidente Ciampi per realizzare la campagna per il lancio dell’Euro in Italia. Nel 2010 l’Università degli Studi di Ferrara gli ha assegnato la laurea “Honoris Causa” in neuroestetica. Dopo 10 anni trascorsi in America torna in Italia per fondare la Benton & Bowles. In seguito diventa presidente e direttore creativo della Young & Rubicam, l’agenzia più grande del mondo. Nel 1988 Gavino Sanna viene nominato dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga “Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Nel 2009 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale all’Ordine e al Merito della Repubblica Italiana. Gavino Sanna ha pubblicato 34 libri. Nel 2000 lascia definitivamente l’attività di pubblicitario e dal 2008 si dedica alla sua azienda vitivinicola, Mesa, fondata nel sud Sardegna a Sant’Anna Arresi, oggi partner del Gruppo Santa Margherita.
Il volume non è in vendita
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Gavino Sanna
Sa Defenza
"Abbiamo ricevuto da un'amico questo pdf di Gavino Sanna, un tomo leggero ma denso, da leggere e ridere assieme per non piangere; con la sua ilarità e schiettezza l'autore ha colpito nel segno del racconto e ci ha convinto decisamente a pubblicarlo sulla nostra modesta pagina, affinché gli amici di Sardinya possano leggerlo come e quanto vogliono; da dire anche che ci si fa una certa cultura su eventi a noi sconosciuti e benché non si conoscano tutti i soggetti citati in campo come Ciccioformaggio (per noi di Sa Defenza già Sergente Garcia) e molti altri, è per noi come il caccio sui maccheroni per la grazia discorsiva e avvincente, dobbiamo ringraziare sinceramente e con grande calore "il pubblicista" Gavino Sanna, un sardo vero, (oggigiorno rari e difficili a trovarsi ) dicevamo che gli siamo veramente grati per averci svelato questi retroscena a tratti buffi benché drammatici per la mancanza di serietà di questi politicanti, altra pasta dei Mario Melis o statisti d'altri giorni; fatti incontestabili e molto molto esplicativi sul carattere, lealtà, signorilità e dignità mostrata da Ciccioformaggio e company, veramente una classe politica indegna di alcuna fiducia popolare, oggi come ieri al governo della RAS, a Cagliari "
Sa Defenza
NON FARTI FREGARE DAI SENTIMENTI O SARANNO QUELLI AD UCCIDERTI
DI TUTTI I PRESIDENTI CHE NON HANNO FATTO NIENTE, LUI LO FARÀ MEGLIO
Alghero. Mercoledì 14 novembre 2018. Squilla il telefono “Gavino, vieni a Porto Torres, vieni a vedere un cantiere nautico. C’è una barca bellissima, tutta di legno. È una vecchia imbarcazione. La sta restaurando Antonio Polese, un mago del legno, ultimo discendente della vecchia dinastia dei Polese turritani, tutti maestri d’ascia”. Io amo il mio paese, Porto Torres. Mi fa felice tornarci. Dopo qualche giorno vidi perciò quel barcone: bello, imponente, quasi pronto per essere inaugurato. Mi accompagnò un amico giornalista. Nel cantiere c’era un cameraman della Rai, il padrone del cantiere stesso (figlio di un caro amico d’infanzia) ed altri conoscenti. Ma quello che mi colpì del gruppo fu un signore piccoletto, che si muoveva come un cagnetto, come quei bastardini che vogliono essere accarezzati perché tu possa volergli bene. Questa maniera goffa di comportarsi nei miei confronti, non usuale nei sardi, destò la mia curiosità. Alla fine della visita quel signore mi domandò, con fare circospetto “Lei è disposto ad incontrare il futuro Presidente della Sardegna?”. Io risposi “Volentieri!”. Il piccoletto si riferiva a Christian Solinas, che avevo anche incontrato in altre occasioni. Invitai tutti a casa mia ad Alghero e venerdì 16 novembre avvenne l’incontro, a cui parteciparono il mio amico giornalista, il cameraman della Rai, il piccoletto ed il futuro Presidente, che entrò nell’atrio del mio appartamento con tutta la sua stazza. Io sarei stato contento di fare l’ennesima campagna pubblicitaria per un presidente della Sardegna. Christian Solinas parlò cordiale, non molto a dir la verità. Chi parlo di più, sperticandosi in lodi ed iperboli verso il Presidente fu proprio il cagnolino, “Il Presidente Solinas è una persona di primo piano, un grande stratega, sarà il presidente migliore”. Dopo la discussione facemmo le foto di rito, alle quali il mio amico giornalista, notoriamente di sinistra, sembrava restio a partecipare. Con un poco di imbarazzo, dopo mie varie sollecitazioni, anche lui si fece una foto ricordo con Solinas. Una foto insomma non si nega a nessuno! E che diamine! Poi ce ne andammo tutti a pranzo al Pavone, noto ristorante d’Alghero, dove chiacchierammo del più e del meno, non molto di politica. Il giorno dopo al telefono chiesi un parere su Solinas al giornalista mio amico, che mi rispose solo con una frase “Mi sembra una brava persona”. Nulla più. La sua risposta in realtà nascondeva un giudizio politico ben più articolato e forse più severo, ma io allora non ci feci molto caso, poiché preso dall’entusiasmo di aiutare un nuovo presidente, per di più di un partito a me molto caro, un partito che tra le sue fila aveva annoverato un gigante, un mio grande amico: Mario Melis.
NON HO MAI SAPUTO DISTINGUERE SE ERA UN COGLIONE GRANDE O UN GRANDE COGLIONE
L’unica cosa concreta di cui si parlò in quel pranzo fu il prossimo appuntamento a Milano, dove avremmo approfondito l’argomento. Dopo pochissimi giorni mi raggiunse a Milano il cagnolino e il futuro Presidente della Sardegna. Venne col suo piccolo scudiero turritano, che appena mi vide cominciò a saltarmi addosso e a farmi le feste “Devi avere fiducia Gavino, il nuovo Presidente è una persona seria. Io sono di Porto Torres e ti offro tutte le assicurazioni possibili. Devi fare una campagna elettorale per noi, devi avere fiducia” mi disse. Io risposi che avrei accettato, ma solo se mi avessero lasciato fare una campagna poco politica, ma di grande amore per la Sardegna. Il futuro Presidente mi rassicurò “E’ proprio quello che voglio fare. Vorrei circondarmi delle menti di maggior valore della Sardegna. Le chiedo se Lei accetterà il fatto di lavorare con me in questa campagna elettorale e poi diventare l’ambasciatore della Sardegna nel mondo”. Io risposi di sì in maniera naturale e ci salutammo cordialmente. Non l’avrei più visto, ma questo allora non potevo saperlo. Dopo due giorni ricevetti una telefonata dal suo cagnolino, in cui mi si pregava di fare in fretta, che la campagna sarebbe entrata nel vivo a giorni. Lo rassicurai e mi misi al lavoro. Pensavo ad un lavoro diverso rispetto a quello fatto con altri presidenti della Sardegna, come Renato Soru e Ugo Cappellacci, a cui molto modestamente avevo contribuito all’elezione. In pochi giorni scrissi tutto di getto, come sempre mi accade per le cose che amo fare. Come mi capitò per la Barilla, la birra Miller o Giovanni Rana. Mandai personalmente a Solinas, ed anche al suo cagnolino, 27 annunci più 5 per quelli che io chiamo “I vengo anch’io”, cioè le liste che accompagnano ogni Presidente, ma che avrebbero appoggiato qualsiasi altro, purché lo avessero ritenuto vincente. Non mi aspettavo una risposta immediata. Poi finalmente la risposta arrivò, di sera. Dall’altra parte della cornetta il piccoletto turritano “Gavino, abbiamo proposto la tua campagna alla direzione del partito: è stata bocciata, considerata banale, inoltre simile a qualche tua campagna precedente. Ma soprattutto è stata giudicata troppo semplice. Questa sera ti chiamerà Solinas”. Già, troppo semplice: a me, che vengo apprezzato da tutti per la semplicità con la quale ho costruito i miei successi di pubblicitario. Rimasi di stucco, meravigliato. Bocciato da un branco di incompetenti, bocciato uno che ha fatto migliaia di campagne tra cui una a Richard Nixon. Avrei voluto sapere chi fossero questi professori della comunicazione. Aspettando la risposta sono quasi invecchiato. Non ricevetti più nessuna telefonata. Scapparono tutti, Presidente e cagnolino compreso. A Milano avevamo anche parlato del mio compenso. Mi avevano accennato che avrebbero procurato degli sponsor e rispettato gli accordi. Con l’invio degli esecutivi, come da loro richiesto, il mio lavoro era finito, pertanto avrei dovuto ricevere il compenso stabilito, che in realtà era la questione che mi interessava di meno, visto che tra l’altro si trattava di una miseria. Con la loro fuga persi soprattutto il sogno di una Sardegna nuova che mi ero immaginato grazie al nuovo Presidente. Mi rimase solo l’emozione dell’incontro con Mario Melis di tanti anni prima. Sempre a Milano, senza nessun cagnolino. Mario mi regalò il suo distintivo, voleva che lo indossassi. Per me fu un onore e mi commossi tanto. Attraverso quei piccoli moretti del distintivo io pensavo che la Sardegna potesse essere la più bella terra del mondo.
LA DIGNITÀ VALE PIÙ DELLA VITA
La Sardegna bisogna accudirla con amore, raccontarla con garbo, prenderla per mano. Ma tutte le volte che io rientravo nell’isola la trovavo sempre peggio. E allora mi veniva in mente una frase dell’ex presidente della Francia Charles De Gaulle di ritorno da un viaggio, quando gli chiesero un giudizio su una delle sue terre preferite: il Brasile. “Generale com’è il Brasile?” e lui rispondeva “Fantastico. È la terra del domani, peccato che rimarrà sempre cosi!”. Ecco, queste frasi mi facevano pensare alla Sardegna: la terra dell’eterno domani che non arriva mai. E lo dico da ottimista, anche se può apparire paradossale. Il sardo ce la mette tutta, ma poi per un motivo o per l’altro si ritorna al punto iniziale. Sembra la nostra condanna.
QUAQUARAQUA SI NASCE E SI DIVENTA
Un giorno di tanti anni fa venni invitato a Cagliari per una conferenza importante e proprio Mario Melis mi chiese “Gavino, cos’è la Sardegna per te?” io replicai senza pensarci sopra “Una bellissima cartolina illustrata poggiata su un bidone di spazzatura”. Gelo in sala e fine della trasmissione. Tutte queste cose in realtà mi vennero in mente a Milano, dopo che ci lasciammo col futuro Presidente Solinas. Perciò il giorno dopo mi misi in pista, molto concentrato e cercando di trovare le frasi giuste, che ben rappresentassero l’essenza della nostra meravigliosa isola e le indicassero per lo meno una via d’uscita, che poi deve essere applicata. Specialmente dai politici. L’esito delle mie idee invece fu il siluramento da parte di quella specie di politburo sardista. Venni quasi assalito dalla paura e dall’incertezza: forse sarei dovuto tornare a scuola. Per una sorta di curiosità telefonai ad alcuni amici, legati al partito o vecchi militanti. Chiamai per primo un amico carissimo: Giacomino Sanna. Lo conoscevo dai tempi di Sassari Sera. Per tanti anni era stato segretario politico regionale del Psd’Az. Raccontai ciò che era successo e lui mi chiese chi fossero i garanti di quella specie d’imbroglio. Appena gli feci i nomi, specie del cagnolino, disse solo “per carità”. Non aggiunse altro. La sua era una sentenza, la mia una dabbenaggine per essermi fidato di quella gente. La seconda persona a cui telefonai fu un altro giornalista, ora Presidente dei Quattro Mori: Antonio Moro, quasi uno scherzo del destino. Saputa la cosa Moro replicò “Non è possibile, vedrai che Solinas ti chiamerà, tutto si sistemerà”. Le ultime parole famose. Quasi beffarde. Tuttavia speravo che Antonio Moro fosse sincero. Mi venne in mente anche di pensare male, ossia che Salvini se ne infischiasse altamente di Solinas e che la campagna elettorale la conducesse direttamente lui, in sostituzione del Presidente. Avevo ragione. Infatti per un periodo a Cagliari si vedevano solo le “vele” di Salvini. Il suo faccione che troneggiava ovunque, assieme al simbolo della Lega. In piccolo, quasi con vergogna, la scritta: vota Christian Solinas Presidente. Io però mi rodevo dentro, quante storie avrei voluto raccontare: il turismo, la cultura, gli artisti, il mare, il pecorino, il viso antico degli anziani. Tutto soffocato da Salvini, che sotterrava la nostra cultura mettendoci sopra la sua faccia. E i sardi gli hanno pure creduto. Solinas ha vinto infatti scomparendo e con lui è scomparso un gran pezzo della nostra cultura, fagocitata dai leghisti, anche sardi, che nell’adesione al Carroccio vedevano una possibilità di sistemarsi senza lavorare. Già da quei giorni infatti era cominciato l’assalto alla diligenza, tutti a voler ricoprire una carica. Io immaginavo l’improvvisa apparizione del vaso di Pandora, che ha una storia affascinante. Pandora era la figlia di un adoratore di Zeus, che per il suo matrimonio regalò a lei ed alla famiglia uno stupendo vaso. Quel vaso doveva però rimanere intatto, poiché conteneva le meraviglie del mondo. In caso contrario, se si fosse rotto, sarebbero uscite dal suo interno delle sciagure, delle cose tremende. A me questa caccia alle poltrone dette l’impressione che il vaso di Pandora si stesse per rompere. Dentro c’erano indagati, disonesti e corrotti. Gente di ogni risma. Nel frattempo volevo capire chi fosse in realtà il Presidente, perché con me, in sua presenza, aveva quasi sempre parlato il suo cagnolino. Mi capitò di leggere, era gennaio, un articolo su Solinas di Gian Antonio Stella, famoso giornalista del Corriere della Sera, in cui era scritto che la Sardegna avrebbe avuto un nuovo Presidente: si sarebbe chiamato Ciccioformaggio. Stella immaginava Solinas da bambino con i suoi amichetti che lo prendevano in giro per la sua corpulenza e soprattutto per la sua faciloneria. Uno così, da grande, di quali personaggi si sarebbe potuto circondare
I SOGNI CHE NON DIVENTANO REALTÀ NON SERVONO A NIENTE
Alla corte dei re si è sempre trovato di tutto, ma nel passato Re e Papi si sono spesso circondati di personaggi geniali, di grandi artisti e consiglieri. E poi c’erano i paggi ed i giullari, coloro che facevano ridere, ma che non godevano di alcuna considerazione e si accontentavano di qualche mancia e pasto a scrocco. Ora le cose si sono capovolte. Alla corte dei politici sono scomparsi gli artisti e i consiglieri illuminati: i paggi, i cagnolini, sono quelli che mangiano di più e soprattutto (ancora peggio) sono tenuti in grande considerazione. Il loro piatto preferito si chiama appalto, la loro arma si chiama lusinga. E pazienza se dell’isola non hanno la ben che minima idea di sviluppo, basta solo qualche slogan in campagna elettorale, poi tutti insieme nella mangiatoia, pronti ad accaparrarsi pure le briciole. Io invece non ho bisogno di appalti, ma avrei nel mio piccolo un’idea precisa della Sardegna, magari sarà sbagliata, ma ce l’ho, specie sui borghi: la nostra anima. Avevo appuntato dei piccoli pensieri. Per me i borghi sono i luoghi dimenticati, dove bisogna ricollegare il proprio legame con gli antenati ed i posteri. Ma per me la Sardegna è anche un sasso liscio e rotondo raccolto sulla spiaggia, che lanciato in mare si riempie di vita e comincia a saltellare con grandissima gioia. Per me dare vita a qualcosa inanimata, farla morire in mare, che non è un cimitero delle emozioni, ma un luogo sacro che raccoglie tutto il nostro essere, è una cosa straordinaria. Io volevo raccontare questa Sardegna, farla rinascere e fondere col mare che la circonda. Potrebbe essere un’immagine poetica, un sogno. Forse lo è. Quando affermiamo che i sogni sono solo fantasie commettiamo un grave errore, è proprio il contrario: i sogni sono obbiettivi da realizzare. Per questo, da sardo, volevo stuzzicare la sardità che è dentro ognuno di noi. Ce l’abbiamo tutti e molti non lo sanno. Volevo trasmetterlo questo concetto, glielo detto a Christian Solinas: “Voglio fare una campagna elettorale sulle emozioni, che è decisamente più bella e stimolante, soprattutto più utile”. Uno spunto me lo avrebbe dato la rivoluzione dei pastori, che mi ha profondamente colpito. Gettando il latte per terra i pastori hanno sprecato il sangue delle loro vene, che è bianco. Non tutti hanno colto questa provocazione e l’hanno ridotta ad un prezzo per litro. Ma il sangue bianco ed i pastori per la Sardegna sono molto di più. Salvini disse che avrebbe risolto tutto lui in pochi giorni: un euro al litro. Un ordine per gli industriali, un numero semplice da ricordare. Il dramma è che i sardi gli hanno creduto e non m’interessa se poi non è stato così. Questo era scontato. Sono amareggiato perché, a parte l’elemosina che hanno dato ai pastori, ben inferiore ad un euro, i problemi del latte, del formaggio e della pastorizia sono rimasti intatti, irrisolti. Rimane sempre la Sardegna dove il tempo si è fermato, un’Africa alla deriva e nessuno che la riporti a terra. Ripenso quindi a quella frase di De Gaulle sul Brasile, ma fatta apposta per la nostra isola: la terra del domani che non arriverà mai. Salvini però la sa lunga, ha capito la frustrazione dei sardi ed ha giocato d’anticipo. Ha avuto il coraggio di dettare una campagna politica dove l’elettore è stato ridotto ad un poveraccio, che ha bisogno di tutti gli aiuti per cambiare la sua vita. Peccato che la Sardegna, per i nuovi padroni, rimarrà sempre quella terra ricordata nei due mesi in estate, perché ha il mare bello e ad Alghero si mangiano le aragoste migliori. Ma a molti sardi non è importato. Se qualcuno vuole cambiare l’isola al loro posto, ecco che in Sardegna viene idolatrato. Salvini ha fatto una corsa straordinaria in questo, a perdifiato per entrare nel vaso di Pandora senza romperlo (illuso!), promettendo l’impossibile. È stata la sua arma vincente, questa è la verità. Matteo Salvini ha trionfato nascondendo il Presidente. E con lui tutti i sardi. Nel vaso di Pandora sono entrati anche i mascalzoni, i Cetto la Qualunque, gente di ogni risma, la feccia popolare, che in queste elezioni si è fatta conoscere ed è diventata protagonista. Ma a comandare sinora è stato uno che con Noi non c’entra nulla.
MI SONO LASCIATO ESSERE
L’italiano va sempre in soccorso del vincitore? Cosa vera purtroppo. E poi diventano tutti amici quando ti devono porre domande particolari. Ad esempio a me chiedono come abbia fatto a condurre campagne pubblicitarie per un esponente politico di centro, di sinistra e di destra. Io ho sempre risposto che non ho mai votato in vita mia e che non sono mai stato un uomo di partito. Scelgo di collaborare con chi penso che abbia voglia di aiutare la nostra isola a migliorarsi. Spesso sugli uomini mi sono sbagliato, anche con quelli profondamente diversi tra loro come Soru, Berlusconi, o addirittura Cappellacci. Io ho sempre eseguito il mio lavoro con grande passione, perché credo che l’Italia e la Sardegna debbano e possano migliorare con uomini capaci. Che lo faccia uno di destra, sinistra o centro a me poco interessa. Per cui se qualche fannullone mi critica per questo, non me ne importa assolutamente nulla. Ma ora voglio tornare al vaso di Pandora e di tutte le altre cose brutte che sono andate dentro, comprese quelle che riguardano il Presidente Solinas. Prendo spunto da alcune frasi che ha detto su di lui Mario Guerrini, uno dei più valenti giornalisti sardi “Massone, curriculum personale pari a zero, praticamente non ha mai lavorato. Ha usato una laurea fasulla acquisita in Usa”. Sono rimasto allibito, anche per la mia ingenuità nel non essermi informato prima. Di queste vicende si è occupata la Magistratura, ma senza alcuna conseguenza per Solinas. In campagna elettorale è successo pure di peggio. In una foto, accanto a Salvini e Solinas, in conferenza stampa importante, c’erano personaggi che definire poco raccomandabili è un eufemismo. Il vaso di Pandora stava per esplodere. All’interno però, bisogna dirlo, c’era una cosa buona: l’abolizione delle accise. Ma non quelle sulla benzina, come il leader del Carroccio aveva azzardatamente promesso in tv, bensì quelle sulla birra, straordinario regalo alla Sardegna contenuto in un Decreto di questo Governo. I sardi in questo modo potranno ubriacarsi meglio e a buon mercato.
IL SIGNORE È ASSERVITO
Finalmente arrivò il giorno fatidico delle elezioni: il 24 Febbraio. In Sardegna se al posto di Solinas c’era Salvini, al posto di quest’ultimo pareva ci fosse Trump, o il suo sosia. Allo stesso modo in cui il presidente americano si è presentato all’elettorato del profondo sud del proprio paese, il suo emulo Matteo Salvini ha esportato in Sardegna questa tecnica efficace, perfetta per i nostri tempi: venire incontro al desiderio attuale delle parti più deboli e numerose delle classi sociali, che hanno bisogno di sentirsi protetti. È stata infatti “protezione” l’arma e la parola vincente delle ultime elezioni sarde. Inoltre la gente ha bisogno di sentirsi dire frasi aggressive, di immedesimarsi in un progetto, di avere una scusa per dire alla fine “ho vinto”. Esattamente come un tifoso dopo la vittoria della squadra del cuore. Questo Salvini, come Trump, lo ha capito benissimo. Sarà banale e non sarà nemmeno giusto, ma oggi nel mondo le cose funzionano così.
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Dopo la chiusura delle urne uno dei fatti più esilaranti fu la profezia dell’exit pool, che dava i due concorrenti più accreditati, Massimo Zedda del centro-sinistra e Christian Solinas del centrodestra alla pari. L’indomani mattina Salvini (ripeto non Solinas) ha spazzolato qualsiasi cosa che c’era davanti a lui. Tutti erano contenti? Si, tutti contenti. Tutti hanno vinto, ma nessuno ha ottenuto nulla: sulla cultura sarda, sul lavoro, sui trasporti. Vediamo che succederà, la cosa certa è che la Sardegna sarà l’isola privata di Salvini e di qualche suo amico. Ciccioformaggio, lo straordinario uomo delle navi, colui che non si taglia mai la barba per non scoprire cosa c’è sotto, l’uomo corpulento e invisibile, non conterà nulla. I suoi cagnolini mangeranno solo le briciole, la torta se la divoreranno i lombardi.
NÈ COGLIONI NÈ CON GLI ALTRI
Bastano le promesse di Salvini, il senso di “protezione”, le frasi ad effetto ad avere convinto l’elettorato a voltare pagina? La risposta ovviamente è no. Cinque anni di governo di Centrosinistra in Sardegna hanno deluso chiunque. Fortemente. Sanità a pezzi, tanti ospedali chiusi e riduzioni posti letto. Trasporti nel caos, la Sassari-Olbia peggio dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, l’aeroporto di Alghero senza aerei. Sul fronte lavoro anche peggio: precariato e nessuna vertenza industriale risolta, dal polo del Sulcis a quello della Chimica Verde di Porto Torres. Insomma, un disastro, con qualche cosa buona, che non sono riusciti nemmeno a comunicare. Eppure l’ex Presidente Francesco Pigliaru è una persona di qualità, ma è capitato in un posto sbagliato nel momento sbagliato. Il massimo. Il Professore è uomo di riflessione, titubante per carattere, restio a prendere decisioni rapide per questioni difficili, come questo periodo purtroppo impone. Una parola inglese lo definirebbe bene in politica: unfit, inadatto a questo ruolo, con competenze magari per mille altri. Alcuni suoi assessori si sono dimostrati una frana. Arru e Deiana verranno ricordati tra i più scarsi della storia sarda. Massimo Deiana, dopo i danni ai trasporti, è stato addirittura premiato: ora è a capo dell’Authority portuale sarda. È chiaro che i sardi si sono scocciati, votando pure di peggio. Ma in Sardegna (e anche in Italia) non ci sono solo gli aspetti amministrativi a fare incazzare gli elettori, che pur di non votare a sinistra, si farebbero tagliare la mano. Ci sono quegli pseudo dirigenti, nazionali e locali (per fortuna non tutti), che francamente sono insopportabili e rendono la sinistra invisa. Essi hanno spinto milioni di persone (giovani, disoccupati, precari, ceto medio, fasce deboli) verso l’astensione o tra le braccia di Grillo o Salvini. La sinistra di oggi è invece amata dai capitani d’azienda e dalla ricca borghesia. In pratica un mondo che gira a rovescio. Ecco chi sono gli pseudo dirigenti del variegato mondo della sinistra, osteggiati come il demonio. I buoni dirigenti piangono anche per loro e per colpe che non hanno. I Professori. Sono spesso ex sessantottini, da giovani grandi critici del PCI, giudicato troppo di destra. I loro idoli erano Che Guevara o Fidel Castro, ma non sono mai stati nella Sierra Maestra, bensì annidati in posti di prestigio delle Pubbliche Amministrazioni, dai quali pulpiti pontificano. Dividono la società in caste. Chiaramente a guidarla devono essere loro, come certi filosofi per gli ateniesi. Si candidano solo se sicuri di elezione e accettano volentieri cariche, naturalmente ben retribuite. Quando sono a secco di poltrone, propongono tagli a tutti. Meno che a loro. I ma anche. Il loro leader riconosciuto è Valter Veltroni, quello che stava con gli operai ma anche con gli industriali, con Fellini ma anche con Pasolini. I “ma anche” infatti stanno con tutti: con la moglie ma anche con l’amante, con gli spaghetti ma anche con le pennette, con i cacciatori ma anche con gli uccelli. Sono sempre in mezzo e da lì non possono essere schiodati. Gli ambientalisti alle vongole. Soffrono di prurito cronico quando sentono la parola industria. Hanno in genere un lauto stipendio fisso, temono l’inquinamento, ma si fumano due pacchetti di Marlboro al giorno. Viaggiano in SUV e sono i professionisti dei flash mob. Non si mettono neanche il problema che la loro macchina vada a benzina, distillato del petrolio. Le raffinerie per costoro devono stare nel deserto o nei paesi del terzo mondo. In quei posti, senza tutele e diritti, gli operai possono morire come mosche, lontano da occhi indiscreti. La loro parola d’ordine è sviluppo eco-compatibile, una cosa che non vuol dire assolutamente niente. Gli ambientalisti alle vongole sono spesso dirigenti di sezione, contribuendo alla causa. Delle sonore batoste. Lo faccia lei. Quando sono al governo i “Lo faccia lei “ non vogliono essere criticati. E soprattutto disturbati. Il loro leader storico è Piero Fassino, che a Grillo quando lo incalzava rispose “Lo faccia Lei un partito, vediamo quanto è bravo”. Detto. Fatto. Il Movimento Cinque Stelle dopo pochi mesi diventò uno dei maggiori partiti italiani. I salottieri. Ogni paese che vai salottieri che trovi. D’ ideologia di sinistra estrema, svengono alla vista di un meccanico con le mani sporche. Sono bene accolti dalla borghesia, che se li coccolano bene e li votano pure. Visto che sono inoffensivi. Leader assoluto Fausto Bertinotti, parolaio e ora campione di Comunione e Liberazione. Gli analisti. Parola equivoca, ma sono quelli che in TV si sono specializzati nel riuscire a far perdere alla sinistra 2 mila voti al secondo. Prendono per coglione qualsiasi interlocutore con il loro sorrisino di disprezzo. Vivono infatti di certezze e i conduttori televisivi lo sanno, invitandoli in continuazione per fare danni. Leader emergente della categoria Matteo Orfini. I banchieri. Dopo la vicenda del Monte Paschi di Siena (forse anche prima) sono diventati di sinistra. Ricevono aiuti insperati e sono benvoluti da tanti dirigenti rossi, che non hanno nulla da eccepire quando producono disastri e vengono premiati da liquidazioni da nababbo. I banchieri ricambiano e quando vedono tipi come Renzi si commuovono, divorati dalla nostalgia. Gli internazionalisti. Alla disperata ricerca di un leader, appena ne intravvedono uno si buttano a capofitto, prendendo topiche colossali. Hanno amato la Boschi (perché?) e ora Greta, una bravissima ragazzina, ma che ha solo 16 anni. Senza speranza, in fondo rimarranno anch’essi bambini. Gli smentisco. Categoria diffusissima anche a sinistra. Smentiscono cose dette alcuni minuti prima. Smentiscono i loro stessi atti. Smentiscono tutto quello che gli capita a tiro. La loro guida spirituale è stato sindaco di Firenze. E a quanto pare Presidente del Consiglio. A meno di una smentita. Gli avevo detto. Sono perfetti nel commentare e criticare le cose quando sono già avvenute. “L’avevo detto!”. In realtà non avevano detto nulla, perché non gli cavi un pronostico neanche con la pinza. Non si sa mai. Spesso sono giornalisti figli di papà, sovente in TV a commentare i fatti con la loro prosopopea da intellettuali. Criticano tutti, hanno la barbetta e non usano la cravatta: solo una camicia leggermente sbottonata sotto una giacca triste, per incoraggiamento. Come vedete in questo modesto elenco, che potrebbe continuare, mancano elettricisti, infermieri, operai, più milioni di persone. Loro devono sudarsi la pagnotta, perché a sinistra nessuno li rappresenta.
ERAVAMO UN POPOLO, SIAMO DIVENTATI GENTE
Durante lo spoglio delle schede si assistette a scene tipo Mundial: urla, grida, scene di giubilo. Specie da parte dell’esercito di vassalli, valvassori e valvassini, molti dei quali diventati all’improvviso leghisti. Salvini li aveva protetti e convinti, ma era Christian Solinas l’uomo invisibile, che ufficialmente stava stracciando Massimo Zedda, l’ultimo martire mandato al patibolo dal centro-sinistra, in piena crisi di nervi, di uomini e soprattutto di idee. Ciccioformaggio dopo poche ore sarebbe diventato il nuovo Presidente della Sardegna: l’erede di Mario Melis. Non è una bestemmia: i sardi hanno voluto questo, i sardi hanno voluto Ciccioformaggio. O forse non hanno voluto gli altri. Ma in fondo che differenza fa? Il disprezzo per cinque anni di delusioni ha preso il sopravvento sull’ignoto. Salvini, sempre lui, aveva dichiarato che in un quarto d’ora si sarebbe composta la Giunta. Ci vollero invece tre mesi: record sardo battuto. Dopo la vittoria arrivò infatti il silenzio: Ciccioformaggio si era volatilizzato, Salvini invece lo si vedeva in TV a tutte le ore, intento a fare campagna elettorale da altre parti, sempre e comunque in tutti pagnotta, perché a sinistra nessuno li rappresenta. i posti meno in quello dove sarebbe dovuto essere: al Viminale. Per fortuna. Poi comparve un tale, sempre leghista, il ministro Centinaio, che forse si chiama cosi per confondersi con quel centinaio di ministri giunti sull’isola a promettere e non mantenere. Ebbene, questo Ministro aveva condotto (anche lui) la trattativa con i pastori, che aveva definito sontuosamente “chiusa”. Nella realtà quell’accordo non è altro che un coperchio appoggiato su una pentola ribollente di rabbia, infuocata da decenni di soprusi. Le assemblee dei pastori scontenti di questi ultimi mesi lo dimostrarono. Il problema del latte e della pastorizia ancora incombe, pesante come un macigno, nella disastrata economia sarda. Il ministro Centinaio è scomparso dalla Sardegna. Come Ciccioformaggio, dicevamo. Che zitto, zitto continuava a occupare due scranni (e due stipendi): quello di Deputato e di Presidente della Regione. Tengo famiglia, non si sa mai. Ci vollero sentenze e cannonate per schiodarlo dal doppio incarico, che annunciò due mesi dopo la sua elezione, con la stessa addolorata enfasi di Madre Teresa di Calcutta in visita ai lebbrosi. Finalmente a maggio è stata varata la nuova Giunta, anzi una mini Giunta, perché per gli altri nomi le forze della coalizione si stavano ancora scannando. Ciccioformaggio decretò Assessore al Turismo un suo fedelissimo, un certo Gianni Chessa, anche lui del Psd’Az, un uomo buono e caritatevole, in perenne litigio col vocabolario italiano, che subito mostrò il suo valore di statista assoluto. Ad una affollata conferenza annunciò la creazione di nuovi 5.000 posti di lavoro per tutta la Sardegna. Come? Con la costruzione di decine e decine di campi da golf disseminati in tutta l’isola. Questa sì che sarebbe stata la valorizzazione della nostra cultura. Tutti infatti sanno quanto i nuragici, punici, romani e pastori giocassero a golf ed amassero le mazze. Ma c’era di peggio, per lo meno politicamente. Al Bilancio Solinas ha posto un certo Fasolino da Golfo Aranci, uno che, come narravano i giornali sardi, aveva con l’esattoria un debito di 425.000 euro. Quasi una provocazione. Pare comunque che il buon Fasolino stia risolvendo la sua questione personale e mentre tutti gli chiedevano conto della sua restituzione al fisco, lui vuole che lo Stato restituisca alla Sardegna 285 milioni di euro. Auguri.
NON ESISTONO INNOCENTI, MA COLPEVOLI CHE NON ABBIAMO ANCORA SCOPERTO
Quando Salvini nell’isola non c’è (sparito in pratica dopo la campagna elettorale), ha lasciato per vario tempo un suo amico a comandare: Eugenio Zoffili, 40 anni, proclamato capo della Lega in Sardegna, Deputato e vice burattinaio di Ciccioformaggio è riuscito persino a piazzare tre lombardi come primi funzionari di vari assessorati regionali. Inoltre, dopo avere dettato legge nella formazione della Giunta ha imposto un suo uomo alla guida del Consiglio Regionale: Michele Pais, di Alghero, leghista perché come tanti aveva fiutato il vento giusto. Ma Zoffili da Erba, provincia di Como, si è intromesso in qualsiasi vicenda locale, suggerendo assessori ed uomini a lui legati. Proibito dissentire, chi lo fa è perduto, praticamente espulso. Il bello è che i sindaci gli danno pure retta e si genuflettono alle sue brame. Nel frattempo, giusto per non farsi mancare nulla, l’esponente del Carroccio, nel suo paese natale, Erba, appunto, ha proposto che una piazza venga intitolata ad un gerarca fascista. Bene, uno come lui non solo ci governa, ma ci comanda. E stiamo pure zitti. Ad agosto Zoffili ha lasciato l’isola, verso nuovi incarichi. Non sentiremo la sua mancanza. Il vaso di Pandora nel frattempo si è davvero rotto, ha retto sino che ha potuto, ma la pressione interna era troppo forte. Dal vaso sono usciti tutti: approfittatori, imbroglioni, ignavi, cambia bandiera. Tutti a muoversi come delle trottole, a millantare nei territori amicizie per incassare consensi e prebende. Nessuna idea, nessuna programmazione, nessun progetto. Ognuno si alza la mattina e può spararla grossa: il dramma è che viene pure ascoltato. Dove finirà la mia povera Sardegna? Che cosa diranno dai cieli Enrico Berlinguer, Mario Melis o Francesco Cossiga? Che cosa penseranno di una terra profanata dai peggiori lombardi, per giunta acclamati dal popolo? Non lo sapremo mai. Io in questa vicenda sono stato imbrogliato, fidandomi di gente che non sa cosa sia la parola data od una stretta di mano. Ma questo è il minimo, un piccolo dettaglio in un oceano di guai. Quello che mi dispiace è vedere ancora la nostra terra senza prospettive. Abbiamo un cuore capace di ribellarsi, ma dobbiamo ritrovare lo spirito giusto. Questo è il problema, ma anche la soluzione. Forse.
LA DIGNITÀ VALE PIÙ DELLA VITA
Qualche tempo fa sono stato a Bonarcado, un piccolo paese sardo, di quelli che amo. Nella chiesa ho scoperto una cosa estremamente interessante, una tavola in cui era scritta una preghiera a S. Michele. Un ruggito lontano di quelli che fanno tremare le vene: “S. Michele Arcangelo, difendici nella lotta: sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo domini e Tu, principe della Milizia Celeste, con il potere che ti viene da Dio incatena nell’inferno Satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per il mondo per far perdere le anime. Amen”. Lasciai la Chiesa sperando nell’aiuto di San Michele
SIAMO FOTTUTI DA QUELLO CHE SIAMO: MAI TECCIU
Mai Tecciu è un sibilo. Fu un mio amico ristoratore a farmelo ascoltare la prima volta, appioppandolo ad un politico locale intrallazzone. Mai Tecciu, due parole che valgono più di un capitolo: significano mai sazio, uno che mangia, mangia ancora, non si accontenta mai e vuole mangiare di più. Provate ad immaginare nella vita quanti Mai Tecciu avete incontrato: nella politica, nel lavoro, tra gli amici. Mai Tecciu è vecchio quanto l’uomo e non si estinguerà mai. Ce ne sono diverse razze, ma ognuno di noi ne potrà scoprire delle nuove. Ad ogni modo è sempre lui il protagonista di ogni campagna elettorale. Mai Tecciu della cultura. Sono quelli che parlano sempre dal pulpito. Dispensano consigli eruditi e poi si perdono in un bicchiere d’acqua. Famosi in questo molti professori sinistroidi, che nella vita non fanno altro che leggere. Senza capire. Il loro gusto della lettura è proprio far sapere che hanno letto. Così possono avere ragione su tutto, mentre il popolo li spernacchia e vota a destra. E loro neanche si chiedono il perché. Mai Tecciu delle cariche. È proprio una malattia, comunissima: a destra, sinistra e centro. Colpisce tutti, dalla metropoli all’ultimo villaggio. Ancora non si è scoperto l’antidoto e le cause che spingono un povero cristiano a candidarsi per 30 anni di seguito in un Consiglio Comunale, a recarsi dallo psicanalista qualora non venisse nominato Assessore, ad effettuare quattro salti in padella (carpiati) appena cambia il vento della politica. Anche per una poltroncina da cento euro al mese. Mai Tecciu delle trattative. Splendida razza. Sono quei politici che scrivono magnifici articoli e comunicati in cui dicono, come suore carmelitane, di non volere niente, nessun posto, nessun assessorato. Nelle trattative sono invece i peggiori ricattatori: minacciano fine di legislature, mancati appoggi e temporali vari se non verranno accolte le loro richieste. I più infidi sono quelli che prendono il 4 o il 5% dei voti e sanno di essere decisivi. Se non sono accontentati alla riunione con gli alleati finiscono con la frase di rito “te lo facciamo vedere Noi”. Nel comunicato finale, con discreta dose d’ipocrisia, affermeranno invece di votare secondo coscienza o ancora peggio secondo i programmi. Per il Presidente o Sindaco di turno è finita. Mai Tecciu per il Popolo. Sono i peggiori. Dicono di scendere in mezzo alla gente (che vuol dire?) e che la politica deve partire dal basso. Il popolo comanda, specie quando li vota, è bue quando vota gli altri. Confondono il benessere collettivo con il proprio. In genere questi Mai Tecciu annoverano tra le proprie file, trasversalmente, una masnada di opportunisti ed approfittatori, pronti per il bene comune a cambiare casacca in un secondo. Al potere rubano più degli altri. Sempre in nome del popolo sovrano. Mai Tecciu quindi non è un soprannome, ma un modo di essere, un modello di vita. A quanto pare contagioso.
L’ULTIMA META. IL CAMMINO DI SANTIAGO DI COMPOSTELA
Questa lunga e disgustosa storia mi aveva tolto il sonno. Una notte, però, mi venne in aiuto un ricordo straordinario della mia vita professionale. Sognai quando, molto tempo fa andai a trovare Walter Molino, l’uomo che disegnava quelle meravigliose tavole della Domenica del Corriere. Gli chiesi quale fosse la sua pagina preferita. Lui mi guardò negli occhi e mi rispose “Ce l’ha di fronte”. Io alzai lo sguardo e vidi Papa Giovanni XXIII che prendeva per mano John Kennedy e da soli s’incamminavano verso un domani che si sperava fosse migliore. Un’immagine poetica, l’icona di due culture che s’incontravano. Paragonai, con un po’ di ribrezzo, questa scena al Presidente Solinas che prende per mano il suo amato cagnolino, di nome Bastianino. Questi due, lontanissimi da quelli disegnati da Molino, ho immaginato che andassero via, da soli, in un viaggio politicamente senza ritorno e senza alcun rimpianto. Invece i cagnolini avevano vinto. Non è vero quindi che la vita da cani sia così penosa
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Gavino Sanna è il più famoso e premiato pubblicitario italiano. Ha studiato architettura all’Istituto d’Arte di Sassari ed ha avuto come maestri: Filippo Figari, Stanis Dessy, Eugenio Tavolara, Vico Mossa, Mauro Manca e Salvatore Fara. Per un paio d’anni Gavino a Sassari ha avuto la cattedra all’Università dove insegnava “comunicazione” e all’Accademia di Belle Arti dove insegnava “design”. Ha fatto parte del Comitato Scientifico della Scuola Sperimentale del Cinema dove è stato anche membro del consiglio di amministrazione con: Francesco Alberoni, Dante Ferretti, Giancarlo Giannini e Carlo Rambaldi. In America ha conseguito un diploma alla New York University. Gavino da solo ha vinto più premi che tutte le agenzie italiane insieme. Tanto per ricordare: sette Clio, l’Oscar Mondiale della pubblicità; sette Leoni al Festival Internazionale di Cannes; l’unico Telegatto vinto da un pubblicitario italiano; quattro sono i Golden Pencil dell’Art Directors Club Italiano; due i riconoscimenti dell’International Film Festival di New York; sei Max Award; un Grand Prix italiano; sette Agorà. Gli sono stati assegnati: il Gran Premio Pio Manzù e il Premio Gianbattista Bodoni. Ha vinto due Gold Award all’Art Directors Club di New York e il Golden Pencil all’One Show in America. Sette sono stati gli Andy Award e quattro i Moebius Award di eccellenza. Sassari città lo ha gratificato con il Candeliere d’Oro per aver portato alto nel mondo il nome della Sardegna. Il Comitato Scientifico della Fondazione Lucio Colletti gli ha assegnato il “Temo d’Oro” per la comunicazione. Gavino ha ricevuto: il premio città di Trento, città di Bolsena, città di Nuoro, di Banari, di Oristano, di Cagliari, di Suvereto e di Orani. Il Pericle d’Oro, il premio Internazionale di Houston e quello internazionale Zenias. Le città di Sant’Anna Arresi, Varese, Busachi, Oristano gli hanno conferito la cittadinanza onoraria. La città di Arzana gli ha conferito il premio Porcino d’Oro oscar della gastronomia. Nel 1999 il gruppo sardo di giornalisti sportivi gli assegna il premio “Ussi” per il contributo al mondo dello sport come presidente onorario dell’Amatori Rugby Alghero e per il progetto “Ospedale Gaslini” di Genova con la squadra della Juventus. Nel 2001 gli è stato assegnato il premio “La Maschera Punica”. Nel 2003 lo premiano “Sardo dell’Anno”, la consulta provinciale del volontariato di Sassari gli assegna il premio “il Nuraghe” e Oristano il premio “Maschera della Sartiglia”. Nell’aprile del 2009 la Fondazione Rotary International ha attribuito a Gavino il Paul Harris Fellow. Nel 2017 gli è stato assegnato in Sardegna il premio “Filippo Figari”. Nel 1998 gli viene conferita dall’Università di Sassari la laurea “Honoris Causa” in sociologia della comunicazione di massa e scienze della comunicazione. Nel 1999 Gavino è chiamato dal Presidente Ciampi per realizzare la campagna per il lancio dell’Euro in Italia. Nel 2010 l’Università degli Studi di Ferrara gli ha assegnato la laurea “Honoris Causa” in neuroestetica. Dopo 10 anni trascorsi in America torna in Italia per fondare la Benton & Bowles. In seguito diventa presidente e direttore creativo della Young & Rubicam, l’agenzia più grande del mondo. Nel 1988 Gavino Sanna viene nominato dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga “Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Nel 2009 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale all’Ordine e al Merito della Repubblica Italiana. Gavino Sanna ha pubblicato 34 libri. Nel 2000 lascia definitivamente l’attività di pubblicitario e dal 2008 si dedica alla sua azienda vitivinicola, Mesa, fondata nel sud Sardegna a Sant’Anna Arresi, oggi partner del Gruppo Santa Margherita.
Il volume non è in vendita
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