MA “BELLA CIAO” E’ UNA CANZONE PATRIOTTICA E “SOVRANISTA”, NON CERTO COMUNISTA
Antonio Socci
Sa Defenza
Ma l’hanno mai ascoltata “Bella ciao” quelli che oggi la cantano dovunque, sardine, preti migrazionisti, compagni e militanti vari? È vero che la foga ideologica, la faziosità e il fanatismo – tipici della Sinistra – spesso accecano, ma – a quanto pare – possono anche rendere sordi.
Perché se avessero ascoltato bene le parole di quella canzone, anche loro avrebbero facilmente compreso che è un meraviglioso inno “sovranista”, tanto che si potrebbe consigliare a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni di adottarlo nelle loro manifestazioni pubbliche. Nessuno più di loro può riconoscersi in quelle parole.
Invece paradossalmente oggi quel canto popolare è diventato una specie di simbolo polemico della Sinistra. Lo cantano le sardine, lo canta il prete migrazionista in chiesa, lo cantano tutti in polemica con Salvini e Meloni, mentre, a destra, non pochi lo ritengono – erroneamente – un inno “comunista”.
In realtà nel testo di quella canzone non c’è nulla di comunista e non c’è una sola parola che possa rimandare alla militanza di Sinistra. Anzi, questa canzone d’amore è squisitamente patriottica (riecheggia, peraltro, i canti alpini della Grande guerra e la letteratura risorgimentale).
L’unico riferimento politico infatti è all’“invasore” e alla lotta partigiana per cacciarlo via e riconquistare “la libertà” per la nostra Patria.
Pare che sia un canto nato dopo la guerra, quindi non fu intonato dai partigiani durante la lotta di liberazione. Ma esprime effettivamente il sentimento della stragrande maggioranza di coloro che andarono in montagna e fecero la Resistenza.
Se infatti, in seguito, vi fu una politicizzazione delle formazioni partigiane e un certo numero di loro divenne comunista, così non fu all’inizio: la motivazione originaria della maggior parte – spesso soldati dell’esercito italiano – fu quella di sfuggire all’arruolamento forzato dell’occupante tedesco (infatti molti furono internati nei campi di concentramento nazista per questo e anche loro furono “resistenti”).
Per esempio il comandante Bisagno, “primo partigiano d’Italia”, era sottotenente dell’esercito e, con le sue formazioni, si concepì sempre come un soldato italiano.
Il movente dei partigiani fu combattere l’esercito straniero che aveva invaso la penisola, perciò “Bella ciao” esprime perfettamente il senso della Resistenza. Quante volte nelle lettere dei partigiani condannati a morte si trova, come riferimento ideale, proprio l’amor di Patria.
Per esempio, nella sua ultima lettera prima dell’esecuzione, il partigiano cattolico Giancarlo Puecher Passavalli scriveva:
“Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. […] Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia. […] A te papà l’imperituro grazie per ciò che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti. […] Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà”.
Dalla lettera di Puecher emergono i tre pilastri della sua vita: l’amore di Patria, la fede in Dio e la famiglia. Inoltre notevolissimo è il suo appello accorato a una nuova “unità nazionale” da ricostruire dopo la guerra civile. Un’idea che sulle labbra di un giovane di vent’anni, che si prepara a essere fucilato, è davvero toccante (commovente la totale mancanza di odio e di volontà di vendetta: Giancarlo perdona coloro che lo fucilano chiamandoli “fratelli”).
Le parole di Puecher sono la migliore spiegazione di quello che poi ha fatto per l’Italia, nel dopoguerra, un capo dei partigiani cattolici, quel gigante che fu Enrico Mattei, che in fondo è il vero simbolo del “sovranismo” per come – creando l’Eni – difese l’interesse nazionale italiano e la nostra indipendenza economica.
Oggi l’indipendenza e la libertà dell’Italia sono di nuovo minacciati e fortemente condizionati, proprio per via economica e politica, da tanti fattori, in particolare dalla desovranizzazione della UE dominata da Germania e Francia. Il caso Mes è solo l’ultimo episodio.
Ma c’è anche il recente documento con cui Francia e Germania vogliono ridisegnare una UE a loro totale arbitrio, nella più assoluta marginalità dell’Italia che appare drammaticamente inconsapevole o addirittura eterodiretta dall’estero. Bisognerebbe davvero cantare “Bella ciao” contro “l’invasor”.
Antonio Socci
Da “Libero”, 1 dicembre 2019
(nella foto: Enrico Mattei)
Antonio Socci
Sa Defenza
Perché se avessero ascoltato bene le parole di quella canzone, anche loro avrebbero facilmente compreso che è un meraviglioso inno “sovranista”, tanto che si potrebbe consigliare a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni di adottarlo nelle loro manifestazioni pubbliche. Nessuno più di loro può riconoscersi in quelle parole.
Invece paradossalmente oggi quel canto popolare è diventato una specie di simbolo polemico della Sinistra. Lo cantano le sardine, lo canta il prete migrazionista in chiesa, lo cantano tutti in polemica con Salvini e Meloni, mentre, a destra, non pochi lo ritengono – erroneamente – un inno “comunista”.
In realtà nel testo di quella canzone non c’è nulla di comunista e non c’è una sola parola che possa rimandare alla militanza di Sinistra. Anzi, questa canzone d’amore è squisitamente patriottica (riecheggia, peraltro, i canti alpini della Grande guerra e la letteratura risorgimentale).
L’unico riferimento politico infatti è all’“invasore” e alla lotta partigiana per cacciarlo via e riconquistare “la libertà” per la nostra Patria.
Pare che sia un canto nato dopo la guerra, quindi non fu intonato dai partigiani durante la lotta di liberazione. Ma esprime effettivamente il sentimento della stragrande maggioranza di coloro che andarono in montagna e fecero la Resistenza.
Se infatti, in seguito, vi fu una politicizzazione delle formazioni partigiane e un certo numero di loro divenne comunista, così non fu all’inizio: la motivazione originaria della maggior parte – spesso soldati dell’esercito italiano – fu quella di sfuggire all’arruolamento forzato dell’occupante tedesco (infatti molti furono internati nei campi di concentramento nazista per questo e anche loro furono “resistenti”).
Per esempio il comandante Bisagno, “primo partigiano d’Italia”, era sottotenente dell’esercito e, con le sue formazioni, si concepì sempre come un soldato italiano.
Il movente dei partigiani fu combattere l’esercito straniero che aveva invaso la penisola, perciò “Bella ciao” esprime perfettamente il senso della Resistenza. Quante volte nelle lettere dei partigiani condannati a morte si trova, come riferimento ideale, proprio l’amor di Patria.
Per esempio, nella sua ultima lettera prima dell’esecuzione, il partigiano cattolico Giancarlo Puecher Passavalli scriveva:
“Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. […] Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia. […] A te papà l’imperituro grazie per ciò che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti. […] Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà”.
Dalla lettera di Puecher emergono i tre pilastri della sua vita: l’amore di Patria, la fede in Dio e la famiglia. Inoltre notevolissimo è il suo appello accorato a una nuova “unità nazionale” da ricostruire dopo la guerra civile. Un’idea che sulle labbra di un giovane di vent’anni, che si prepara a essere fucilato, è davvero toccante (commovente la totale mancanza di odio e di volontà di vendetta: Giancarlo perdona coloro che lo fucilano chiamandoli “fratelli”).
Le parole di Puecher sono la migliore spiegazione di quello che poi ha fatto per l’Italia, nel dopoguerra, un capo dei partigiani cattolici, quel gigante che fu Enrico Mattei, che in fondo è il vero simbolo del “sovranismo” per come – creando l’Eni – difese l’interesse nazionale italiano e la nostra indipendenza economica.
Oggi l’indipendenza e la libertà dell’Italia sono di nuovo minacciati e fortemente condizionati, proprio per via economica e politica, da tanti fattori, in particolare dalla desovranizzazione della UE dominata da Germania e Francia. Il caso Mes è solo l’ultimo episodio.
Ma c’è anche il recente documento con cui Francia e Germania vogliono ridisegnare una UE a loro totale arbitrio, nella più assoluta marginalità dell’Italia che appare drammaticamente inconsapevole o addirittura eterodiretta dall’estero. Bisognerebbe davvero cantare “Bella ciao” contro “l’invasor”.
Antonio Socci
Da “Libero”, 1 dicembre 2019
(nella foto: Enrico Mattei)
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