Le mie strategie per riuscire a estorcere qualche notizia si rivelano infruttuose, per il momento; ripartirò alla carica più in là. Trascorriamo tutta la notte in viaggio, le strade sono abbastanza disagevoli, ma la macchina è comoda e ben ammortizzata, nonostante ho sonno mi riprometto di non cedere, e carpire qualche notizia. Quando insisto troppo, il più antipatico, quello dal sorrisetto sarcastico, mi intima di star zitto, altrimenti mi avrebbe imbavagliato con sua grande soddisfazione. Mi rassegno all’evidenza di dover fare il viaggio in compagnia di brutti ceffi, per di più poco espansivi, e neanche troppo accondiscendenti, tra me penso che, seppure il clima politico non sia proprio rassicurante, siamo pur sempre in un regime che, a fatica, si potrebbe, con una certa dose di elasticità, definire democratico, con le dovute cautele, però privarmi della libertà personale come stanno facendo, mi dà immenso fastidio.
All’alba arriviamo a roma, con la falsa gentilezza che dimostrano, mi invitano a salire le scale di un sontuoso palazzo, uno di loro mi afferra con forza un braccio, e mi spinge su per le scale, verso un grande e robusto portone presidiato da due brutti ceffi, anche loro quasi irriconoscibili, due personaggi molto simili nella corporatura e nell’abbigliamento ai miei due “amici” compagni di viaggio, cerco di scoprire se all’entrata ci sia una qualche indicazione o cartello che espliciti la funzione di quel palazzo e quella dei suoi occupanti, ma, seppure da fuori sembra che abbia l’aspetto di una serie di uffici, che sembrerebbero di rappresentanza, non trovo alcuna indicazione utile; essendo molto presto penso che la mia curiosità resterà tale ancora per un po’ di tempo. Vengo accompagnato al piano di sopra, noto che la costruzione è massiccia in modo eccessivo, grossi marmi pregiati dappertutto, la scala è di una larghezza spropositata, per niente ripida, grosse colonne la affiancano, qua e là altri uomini dall’abbigliamento simile a quello dei miei accompagnatori, sono intenti a presidiare le varie porte, massicce e altissime, chi ha costruito quel palazzo aveva sicuramente l’ordine di abbondare nei materiali, e dare l’impressione a chi sarebbe entrato, di aver a che fare con personaggi di grande rilevanza. Tutto qui mette soggezione, a cominciare dai guardiani dei vari ambienti, robusti, molto alti e con posture poco rassicuranti. Ho l’impressione di trovarmi in una fortezza discreta, ma presidiatissima, tra me penso che sia una struttura collegata con il ministero degli interni, occupata da personaggi di grande rilevanza, non si spiegherebbe altrimenti la presenza ingombrante di così tanti guardiani. Vengo introdotto immediatamente in una di quelle stanze presidiate, noto che non c’è nessun contrassegno che la identifichi, e con mia grande sorpresa, data l’ora, vedo che mi attende un tizio che confrontato con i suoi coinquilini sembra un nano, viso e fisico striminzito, occhialini praticamente senza montatura, almeno questa è la mia impressione, dato che alle sue spalle filtrano i primi raggi del sole, che mi investono in faccia rendendo la vista del tizio accomodato di fronte a me, non troppo nitida; appena mi vede entrare si scomoda dalla poltrona, dispone di fronte al grande tavolo, gentilmente, una comoda sedia imbottita, e dotata di braccioli, una via di mezzo tra una sedia e una poltrona, e mi invita ad accomodarmi. I suoi modi vogliono essere gentili, si relaziona con me con grande riguardo, mi chiede se, vista l’ora, gradisca un caffè. Rifiuto e assumo atteggiamenti nettamente antitetici al suo modo di relazionarsi con me.
“Mi chiamo Gavino, sono un insegnante elementare Sardo che ha una cattedra nelle marche, là ho una fidanzata che mi aspetta, e una classe da seguire, quindi vorrei sapere in tutta fretta perché mi avete condotto qui con la forza, e soprattutto con chi ho il “piacere” di parlare, e sapere a che titolo lei occupa quella poltrona, dopo di che, voglia essere così cortese di farmi riaccompagnare a casa”.
All’alba arriviamo a roma, con la falsa gentilezza che dimostrano, mi invitano a salire le scale di un sontuoso palazzo, uno di loro mi afferra con forza un braccio, e mi spinge su per le scale, verso un grande e robusto portone presidiato da due brutti ceffi, anche loro quasi irriconoscibili, due personaggi molto simili nella corporatura e nell’abbigliamento ai miei due “amici” compagni di viaggio, cerco di scoprire se all’entrata ci sia una qualche indicazione o cartello che espliciti la funzione di quel palazzo e quella dei suoi occupanti, ma, seppure da fuori sembra che abbia l’aspetto di una serie di uffici, che sembrerebbero di rappresentanza, non trovo alcuna indicazione utile; essendo molto presto penso che la mia curiosità resterà tale ancora per un po’ di tempo. Vengo accompagnato al piano di sopra, noto che la costruzione è massiccia in modo eccessivo, grossi marmi pregiati dappertutto, la scala è di una larghezza spropositata, per niente ripida, grosse colonne la affiancano, qua e là altri uomini dall’abbigliamento simile a quello dei miei accompagnatori, sono intenti a presidiare le varie porte, massicce e altissime, chi ha costruito quel palazzo aveva sicuramente l’ordine di abbondare nei materiali, e dare l’impressione a chi sarebbe entrato, di aver a che fare con personaggi di grande rilevanza. Tutto qui mette soggezione, a cominciare dai guardiani dei vari ambienti, robusti, molto alti e con posture poco rassicuranti. Ho l’impressione di trovarmi in una fortezza discreta, ma presidiatissima, tra me penso che sia una struttura collegata con il ministero degli interni, occupata da personaggi di grande rilevanza, non si spiegherebbe altrimenti la presenza ingombrante di così tanti guardiani. Vengo introdotto immediatamente in una di quelle stanze presidiate, noto che non c’è nessun contrassegno che la identifichi, e con mia grande sorpresa, data l’ora, vedo che mi attende un tizio che confrontato con i suoi coinquilini sembra un nano, viso e fisico striminzito, occhialini praticamente senza montatura, almeno questa è la mia impressione, dato che alle sue spalle filtrano i primi raggi del sole, che mi investono in faccia rendendo la vista del tizio accomodato di fronte a me, non troppo nitida; appena mi vede entrare si scomoda dalla poltrona, dispone di fronte al grande tavolo, gentilmente, una comoda sedia imbottita, e dotata di braccioli, una via di mezzo tra una sedia e una poltrona, e mi invita ad accomodarmi. I suoi modi vogliono essere gentili, si relaziona con me con grande riguardo, mi chiede se, vista l’ora, gradisca un caffè. Rifiuto e assumo atteggiamenti nettamente antitetici al suo modo di relazionarsi con me.
“Mi chiamo Gavino, sono un insegnante elementare Sardo che ha una cattedra nelle marche, là ho una fidanzata che mi aspetta, e una classe da seguire, quindi vorrei sapere in tutta fretta perché mi avete condotto qui con la forza, e soprattutto con chi ho il “piacere” di parlare, e sapere a che titolo lei occupa quella poltrona, dopo di che, voglia essere così cortese di farmi riaccompagnare a casa”.
Mi dice solo il suo nome di battesimo, Duilio, ed evita altre spiegazioni, sembrerebbe che non ho nessun diritto, devo subire e basta.
“E mi potrebbe dire, di grazia, quali sarebbero le mie fantomatiche competenze?”
“Tra un paio di giorni conoscerai il lavoro che svolgerai qui, per ora sei in vacanza, visita la capitale, fai quello che vuoi, ti posso solo dire che sarà un lavoro delicatissimo e di grande importanza, sarai retribuito profumatamente, e verrai a contatto con persone molto potenti, ti faccio una raccomandazione: prima abbandonerai il pensiero che la vita che hai vissuto finora è stata gratificante, meglio sarà per te, dovrai imparare in fretta a fare cose di grande responsabilità, vivere una vita a contatto con persone ben più importanti di quelle a cui la tua scialba vita ti ha abituato, abiterai in questo palazzo, avrai qualunque comodità desideri, e avrai a disposizione una guardia del corpo”.
“Non va bene niente di tutto quello che ha detto, e l’ultima frase men che meno, non ho bisogno di gente appresso, e rivoglio la mia libertà”.
“Forse non hai capito, sei qui per un periodo della tua vita, non ti so dire quanto sarà lungo, in seguito tornerai finalmente, forse, a trascinare la tua vita fatta di cose insignificanti, ti stiamo offrendo di vivere alla grande per un periodo della tua vita, o per sempre, chi può saperlo? Per te è venuto il momento di fare finalmente grandi cose”.
Mi alzo dalla sedia, dimostro di essere risentito:
“Sarò libero di decidere da me stesso la vita che voglio? Questo è un sopruso!”
Vengo affiancato da un omone alto almeno dieci centimetri più di me, dalla corporatura massiccia, vestito in abiti borghesi, ma molto simili all’abbigliamento dei miei due accompagnatori, sa già cosa deve fare, infatti mi accompagna forzosamente al secondo piano, apre una pesante porta, e mi introduce in un ampio ambiente che denota raffinatezze sia negli arredi, che nell’aspetto generale, una stanza dalle dimensioni importanti, muri molto grossi, tre doppie finestre e una robusta persiana nella parete che dà alla strada sottostante, cinque quadri classicheggianti dalla raffinata fattura, e dalle cornici spudoratamente pompose, complementi d’arredo scelti con cura, un pavimento in marmo, parzialmente intarsiato, brillante, uno splendido lampadario artisticamente lavorato, un letto sontuoso e mobili spuduratamente massicci, la stanza linda e lustra all’eccesso, come se avrebbe dovuto accogliere una personalità di grande rilevanza. Nella parte più luminosa della stanza è sistemato un grande scrittoio, affiancato da due mobili che sembrerebbero delle librerie, ma vuoti. L’omone mi dice che dovremo andare d’accordo, perché trascorreremo molto tempo fianco a fianco, specie quando avrò l’esigenza di uscire.
“Bene bene”, penso tra me, “potrò quindi uscire … anche dopo l’ipotetico periodo di vacanza, anche se non da solo, tanto vale creare una sorta di relazione con il mio interlocutore”.
“Come ti chiami?”
“Romano, e voi?”
“Mi chiamo Gavino, mi puoi dire perché quest’edificio è così accuratamente presidiato?”
Il suo viso denota imbarazzo alla mia domanda, ma mi dice che, dato che non passerà molto tempo fino a quando scoprirò tutto quel mistero, e forse per stabilire un certo contatto non troppo turbolento con me, mi spiega le funzioni dei personaggi che occupano i vari ambienti, mi chiede però, con un’aria di complicità, di non far sapere a nessuno che mi ha rivelato i prossimi segreti che ha intenzione di confidarmi.
L’edificio e il personale sono un’emanazione diretta della presidenza del consiglio, e si occupa di mille faccende: informazioni su personaggi di qualunque tipo, avversari politici o persone vicine al partito, organizzazioni anarchiche e comuniste, esiste persino una sezione che raccoglie informazioni sulla casa regnante, in una grande stanza sono custoditi documenti che potrebbero essere usati contro qualcuno, perché compromettenti, ancora un’altra stanza è dedicata alla custodia di informazioni scientifiche d’avanguardia, un’altra ancora ha la funzione di conservare risultati statistici nei campi più disparati, ognuna di quelle stanze accoglie due, tre funzionari di alto livello, e la sala più grande è occupata da una miriade di burocrati e funzionari, che hanno il compito di coordinare i vari settori e smistare i vari compiti. Mi dice che l’organizzazione creatasi è di altissimo livello, ma estranea alla vita politica così come viene intesa di solito, e nessuno divulgherà informazioni correlate alle attività che si sviluppano in questo palazzo, in quanto, se questo accadesse, sarebbe a rischio persino la vita del dipendente infedele. Hanno mille modi per ricattare chi non si adeguasse, e passerebbero guai persino i familiari di chi volesse contravvenire alle disposizioni. Penso tra me che tutto questo è quanto di più lontano dal concetto di democrazia, e quando esprimo il parere Romano mi dice che sono in preparazione, coordinate da questa struttura, grandi trasformazioni della nazione e del suo popolo, trasformazioni che mirano a far diventare il popolo italiano rispettato e temuto in tutto il mondo, azioni che hanno intenzione di emulare i fasti dell’antica roma.
E’ questo un argomento che lo appassiona, infatti la sua spiegazione, iniziata in modo tranquillo, si è evoluta pian piano verso un’enfasi quasi incontrollabile, come una scrittura inizialmente portata avanti con un certo stile, e trasformatasi verso la fine del ragionamento in maniera convulsa. Mi accorgo che sono di fronte ad un convinto sostenitore del governo, che probabilmente sa molto di più sulle prossime strategie che verranno messe in atto. E’ questo un ambiente, evidentemente, di direzione strategica, nascosto alla vista della gente, e dalle funzioni così importanti che necessitano di segretezza, controllo e verifica delle informazioni in uscita. Un ambiente sotto il diretto controllo della presidenza del consiglio, ma con finalità che mi sfuggono nella loro indiscutibile complessità. Ma non lo chiamerei un ambiente da agenti segreti, mi sembra piuttosto un centro direzionale che raccoglie la totalità delle informazioni sulla vita generale della nazione, il regno dei burocrati, forse. Gli esprimo il desiderio di visitare roma, oggi mi va di fare una camminata lungo il tevere, ma soprattutto, in cuor mio, stabilire un forte legame con lui, che si mette subito a disposizione, poi mi consegna un incredibilmente grande mazzo di banconote, dicendomi che posso disporre di denaro per ogni mia necessità, qualunque sia, tiene per se, solo qualche banconota. Lo guardo con aria stupefatta. Abbiamo anche a disposizione una macchina, che oggi resterà parcheggiata nello spazio ricavato all’interno del palazzo.
Una volta usciti dalla grande costruzione, ci avviamo verso il grande fiume, entriamo nella prima cartolibreria che incontriamo, acquisto delle buste postali, e dei libri, ho intenzione di scrivere a Dalida, in fondo, pure senza che io abbia nessuna colpa, sono obbligato a scusarmi con lei e comunicarle gli ultimi avvenimenti; quando ci fermiamo in un’osteria, mi metto a scriverle, subito Romano mi avverte che dovrò stare attento a non divulgare alcuna informazione sulla struttura che mi ospita, e mi dice che dovrò consegnare aperta a lui la lettera, l’avrebbe imbucata lui stesso, ma solo dopo il controllo da parte di un funzionario, mi consiglia inoltre di comunicare alla mia ragazza che sono dovuto partire all’improvviso, e che dovrò svolgere un compito per le istituzioni scolastiche. Prendo per buono il consiglio di Romano, non sapendo esattamente quale sia la funzione, che dovrò svolgere nella struttura, per ora è un metodo per tranquillizzare la mia ragazza. In ogni caso non ho alcuna competenza in fatto di scuole o insegnamento, e men che meno di organizzazioni di eventi scolastici, o quant’altro, il mistero non vuole saperne di svanire, e chiedo al mio accompagnatore, quali compiti dovrei svolgere.
“Non vi posso dare alcuna delucidazione, perché non ne sono al corrente, la risposta la dovrebbe individuare tra le sue competenze”.
All’ora di pranzo capitiamo in una caratteristica zona non troppo lontano dal fiume, e mangiamo in un’osteria dall’aspetto un po’ trasandato, ma dall’ottimo servizio e da cibi ancora migliori. Durante il pranzo, e dopo qualche bicchiere di vino, cerco di carpire altre informazioni al mio accompagnatore, mi preme ipotizzare con lui quale potrebbe essere il mio futuro lavoro in seno a quell’enigmatico ambiente in cui sono costretto a vivere, lui mi chiede di elencargli le mie competenze, e dopo ciò, pensa di aver scoperto l’arcano: avrei dovuto, molto probabilmente, analizzare una montagna di grafie, mi chiede di instaurare una sorta di reciproca collaborazione, ciò farà comodo a entrambi, gli dico che di me si potrà fidare sempre, a patto che si instauri un certo tipo di sinergia e collaborazione tra noi. Ho in mano dei libri che trattano proprio l’argomento che mi preme conoscere, e che mi saranno utili per il mio prossimo lavoro, sempre che sia quello ipotizzato da Romano.
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