IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Diciottesima e ultima parte
Ma la morte è ben poca cosa in confronto alle angherie che abbiamo subito per tutto il giorno, i nostri aguzzini godevano nel vederci soffrire, abbiamo sentito più volte pronunciare da loro la parola “Italiano” in termini dispregiativi, moriremo non solo perché a conoscenza di segreti ingombranti, ma anche perché Italiani. Quando arriva la notte, ci lasciano in pace, in cuor nostro avremmo preferito una morte veloce, piuttosto che le sofferenze a cui ci hanno sottoposto. Soffrire ha senso solo se si intravvede la possibilità di poter sopravvivere, ma con la certezza che questi saranno i nostri ultimi giorni, diventa tutto più atroce. Ogni giorno è la stessa storia, non possono fare a meno di infliggerci sevizie, e quando ritengono di aver annichilito la nostra volontà, qualche giorno dopo, ci presentano sul tavolo dei fogli scritti in uno stentato italiano, da ricopiare e firmare. Ci dicono che se ciò avvenisse, avremmo avuta salva la vita. Quei fogli rimangono ancora sul tavolo, alla nostra vista, messi là come una finestra che si staglia in un ambiente buio, che ci fa intravvedere un barlume di speranza, ma sappiamo benissimo che a loro interessano testimonianze favorevoli, ma non le nostre ingombranti vite, siamo certi che non saremmo sopravvissuti comunque. È atroce vedere quei fogli per giorni, a nostra disposizione, e non poterne approfittare, dopo le sevizie fisiche ora sono in atto quelle psicologiche, non so per quanto tempo avremmo potuto ancora resistere a scrivere, io personalmente proverei un grande piacere ad assecondarli, e poi salvarmi, per poi intraprendere per tutto il corso della mia vita azioni volte a smascherare questi barbari, so perfettamente che firmare significa abbreviare la sofferenza. Illusioni, penso tra me, mi devo fare forza e affrontare tutto quello che verrà, con il coraggio che i miei compagni dimostrano di possedere. Ci hanno concesso più di una settimana di vita per raggiungere il loro scopo, ma non è servito a nulla, così decidono di farci fare presumibilmente la nostra ultima passeggiata. Usciamo dal casolare con indosso una semplice maglia, insanguinata dal primo giorno del nostro sequestro, e senza scarpe dallo stesso giorno. Il tiepido sole fa soffrire gli occhi, dopo giorni di relativa oscurità, è proprio una bella giornata per abbandonare questo mondo disgraziato.
Apre la processione improvvisata Lupo, legato ai polsi, sul davanti, da fil di ferro, seguono tutti gli altri, con le stesse modalità, io sono il penultimo, ma il fil di ferro che mi lega una mano non termina sul mio polso, ma continua fino ad arrivare stretto sul collo di un cane completamente nero, giovane, e maschio, forse la sua età non arriva a due anni. Il cammino, senza scarpe, è un vero supplizio, penso a quanti miei conterranei della brigata sassari hanno lasciato le loro vite in questo terreno roccioso, durante la precedente guerra, penso a quelle vittime, allora, che hanno perso la vita per difendere questi terreni infruttiferi e a parer mio senza valore. Chi mi sta davanti mi fa sapere che il cane è di sua proprietà, il destino li ha accomunati persino in punto di morte.
Ben dopo mezzogiorno arriviamo a destinazione, di fronte ad una orrenda apertura del terreno, spaventosamente buia, tra me penso a quanto sia beffardo il destino; ho vissuto i primi anni della guerra rintanato nel sontuoso palazzo romano, lontano dai pericoli, anzi trascorrendo il mio tempo in beata serenità, poi la mia militanza nelle fila partigiane mi ha esposto a pericoli relativamente lievi, specie dopo l’appartenenza al gruppo di Lupo, che ha sempre fatto di tutto, pur con azioni di guerra pericolose, per limitare i rischi che avrebbero potuto correre i suoi uomini, paradossalmente i pericoli maggiori sono derivati dal tradimento dei nostri stessi compagni, e da questi potenziali nostri alleati. Ripenso a Eleonora con la quale ho vissuto una problematica, ma felice relazione, agli alunni che avrebbero acquisito da me elementi per poter mandare avanti la loro vita, ai compagni e in particolare al compagno Sardo ucciso, alla mia famiglia, e a Dio. Ripenso ai miei cari, in terra sarda. A Turbine e a Lupo, beffardamente insieme a me fino alla fine della mia esistenza, e a questo cane che dissiperà le colpe dei nostri aguzzini, addossandosele tutte.
Ordini perentori vengono imposti, con un lungo fil di ferro, vengono legati tutti, e il filo si dipana dai polsi di Lupo a quello del prigioniero successivo, fino ad arrivare al padrone del cane, l’operazione avviene in poco tempo, evidentemente ciò che stanno compiendo quegli uomini, è per loro, forse, abitudinario. L’organizzazione, però, per una volta, non è stata impeccabile, e hanno portato una lunghezza di fil di ferro insufficiente a legare in un’unica cordata tutti i malcapitati, e quando si apprestano a legare anche me alla comitiva, si accorgono di non avere materiale a disposizione sufficiente, morirò legato al cane, ma non ai miei amici. Ciò che segue sarebbe persino comico da sentire, se la situazione non fosse così drammatica, il capo che grida come un ossesso contro chi ha commesso una simile leggerezza, e i soldati in atteggiamenti sottomessi persino ridicoli. Ma non c’è nulla di cui essere contenti, tra poco sarà la nostra ora. Ci hanno obbligati a sistemarci a ridosso del baratro, Lupo il più vicino di tutti, gli altri poco distanti, saremmo caduti tutti in rapida successione. Rivolto a Lupo, il capo degli assassini gli intima di gettarsi nel baratro, altrimenti sarebbero partite le raffiche di mitra, Lupo, che conosce perfettamente la loro lingua, gli grida in faccia che nessuna sua pallottola lo avrebbe colpito e con un urlo agghiacciante si getta dentro. Mano a mano che gli uomini cadono nel dirupo, mi accorgo che quando tocca a me, dopo qualche secondo, non ho ancora sentito alcun suono che indichi che i miei compagni di disavventura abbiano già toccato il fondo, potrebbe essere profondo centinaia di metri, realizzo che i nostri corpi non verranno mai trovati. Quando cade chi mi precede, il padrone del cane, questi, con un balzo istintivo cerca di raggiungere il suo padrone, ultima dimostrazione di affetto che gli uomini raramente riescono ad esprimere, e trascina anche me in quella voragine.
Immediatamente, in quel buio, sento un forte dolore alle costole, ho toccato terra, troppo presto, o forse una roccia, penso tra me, poi la mia discesa continua rotolando, ma sono subito fermato da qualcosa che sembrerebbe un arbusto, in quel momento sento un forte dolore alla mano legata al cane, che abbaia disperatamente, ma entrambi siamo inspiegabilmente vivi, io avvinghiato all’arbusto, lui penzoloni dal mio polso. L’arbusto è poco distante dall’apertura della voragine, forse una ventina di metri, vedo la luce filtrare, ma io sono in una zona completamente buia, non mi possono vedere, ma sentono forte il latrare del cane. Vedo passare distintamente una bomba a mano, sembra un’eternità il tempo che passa senza alcun boato, poi esplode, fragorosissima, ma lontanissima da me, molto più in basso, sento solo un leggero spostamento d’aria, e non altro. Il cane continua a guaire, non si sente alcun altro rumore, ma il fatto che lui sia ancora vivo, e continui a lamentarsi, potrebbe significare la mia morte. Vengono lanciate altre due bombe, poi qualche raffica di mitra, ma il cane è ancora vivo. Sento delle voci, forse non sono convinti di aver ucciso tutti, la voce del capo, che ancora una volta rimprovera i suoi uomini, poi altre raffiche, che però non fanno tacere l’animale, terrorizzato in maniera estrema, non ci possono colpire dato che non li vedo, poi, liberatoria, sento una parola slovena che mi sembra melodia: “gremo, gremo" ... Andiamo…
Quando sono sicuro che se ne sono andati, isso non senza fatica e dolore l’animale sull’arbusto che mi accoglie, e dato che ho una sola mano legata a lui, riesco a liberarmi dal fil di ferro, che resta legato alla gola del povero cane, ancora vivo, però, scopro a tentoni, che non si è strozzato perché il fil di ferro che circondava il collo era stato legato ad un altro fil di ferro, e quella legatura aveva impedito lo scorrere sulla gola del filo, restato per questo largo. Assicuro poi il cane al tronco, se mi sarà possibile, col favore delle tenebre, uscirò da quest’inferno, e porterò con me, se possibile, anche lui. Le congetture su come salvarmi si sprecano, sono ancora vivo, ma non in salvo, spero di trovare terreno favorevole alla mia risalita, al buio. Sono certo che il dirupo non è verticale, in quanto cadendo ho avuto più la sensazione di scivolare, o rotolare, piuttosto che quella di precipitare, almeno nel tratto finale. E sono indeciso se affrontare la risalita di notte, a tentoni, o aspettare le prime luci del giorno, che presumo illumineranno la parte in cui mi trovo, dato che la sera la parte illuminata era quella antistante a me. Sono riuscito finalmente ad acquietare il cane, che è però malconcio almeno quanto me, a lui però è stata risparmiata la settimana infernale che hanno riservato a me e ai miei compagni.
Sembra un’eternità lo scorrere del tempo, prima di vedere che i raggi del sole si affievoliscono sempre più, trascorro il tempo avvinghiato al cane, l’ho già liberato dal fil di ferro che gli circondava la gola, e l’ho legato al livello del ventre con un capo, mentre ho assicurato l’altro ad un grosso ramo dell’arbusto, in modo che se fosse scivolato, l’avrei potuto recuperare agevolmente. Ci dobbiamo salvare entrambi, io perché ho giurato in cuor mio che avrei fatto giustizia contro questa barbarie, il cane perché se sono vivo è per opera sua, e perché non si avveri la leggenda che dice che i nostri aguzzini si sarebbero liberati dalle loro colpe tramite la morte del cane. La configurazione del terreno è favorevole alla nostra risalita, in forte pendenza, ma non verticale, e avanziamo al buio, con fatica, ma aggrappandomi ai molti spuntoni di roccia che affiorano dal terreno, e issando continuamente il cane quando incontro qualche appiglio che me lo consente. Il cane, allo scoppio delle bombe e alle raffiche di mitra era terrorizzato, ma ora, avendo trascorso la notte avvinghiato a me, si è parzialmente calmato, e dimostra grande intelligenza nell’assecondare i miei movimenti.
Ma l’ultimo, brevissimo tratto che ci separa dall’imbocco della voragine, è perfettamente verticale, io mi salverò perché posso aggrapparmi ai molti spuntoni di roccia, e a qualche arbusto, ma non ho una fune che avrei potuto utilizzare per legare il cane e issarlo in cima. Con un ultimo sforzo sono finalmente libero, ora, col favore del buio, posso dileguarmi da questo posto maledetto, ma devo cercare una lunga fune per calarmi di nuovo e recuperare il cane, che ho legato ad un arbusto. Non trovo però altre soluzioni che quella di raggiungere i miei compagni a plessiva, e organizzare una spedizione per il recupero dell’animale, e se in linea d’aria la distanza non è proibitiva, sono costretto a dirigermi verso la salvezza attraverso i boschi, di giorno, anche per poter localizzare meglio la foiba e raggiungerla il giorno dopo.
Arrivo a notte inoltrata, racconto gli ultimi, crudeli avvenimenti, e la mattina dopo ci dirigiamo verso la foiba, con delle funi che salveranno il mio amico quadrupede. Facciamo a ritroso la strada che ho percorso, quando arriviamo in zona faccio fatica a ricordare esattamente il punto preciso, ma alla fine riesco a localizzarla, mi calano con le funi, lego saldamente il cane ad una di esse, e anche lui è salvo. Sulla via del ritorno decidiamo di smantellare la nostra organizzazione, le persone che avrebbero potute dirigerla non ci sono più, ma forniamo a vicenda, ciascuno di noi, elementi sufficienti per poterci rincontrare in seguito, penso al nome che avrei potuto dare al cane, che terrò con me, e improvviso mi viene in mente il nome: Gremo …
Sono trascorsi trentatre anni da allora, la temuta guerra cruenta per il controllo del friuli e dalla venezia giulia è stata scongiurata, con discutibili risoluzioni che forse non hanno accontentato nessuno, le etnie che abitano quelle zone vivono tuttora in cordiale disaccordo, il mondo è stato diviso in zone d’influenza, stabilendo di fatto che le potenze egemoni avrebbero spadroneggiato nei territori di competenza. I processi sul tradimento dei partigiani rossi hanno decretato la colpevolezza di molti degli esecutori, condannati per lo più a trenta anni di carcere, o all’ergastolo, ma nessuno di loro, dopo le sentenze definitive, ha fatto un solo giorno di prigionia, avendo scelto di espatriare, e i mandanti sono sempre restati nell’ombra. Gremo è morto da un pezzo, ed io ho scelto di abitare in friuli, dove ho insegnato per molti anni, per far luce più agevolmente anche sulla pulizia etnica, il mio tempo è trascorso tra testimonianze ai vari processi, scrittura di libri su grafologia e infoibamenti, conservo ancora i quaderni del personaggio Sardo tradito dai sui successori di partito, e quando parlo di pulizia etnica incontro spesso difficoltà a pubblicizzare quegli avvenimenti, passati nel dimenticatoio per via della parziale occidentalizzazione degli Slavi; il mondo occidentale ha scelto, per favorire quella trasformazione, e di non creare troppi contrasti con loro.
A ben guardare, tutti i popoli, tutte le nazioni, di queste da sempre martoriate lande, sono stati costretti ad appartenere a reali dittature, o a finte democrazie, nessuno ha mai chiesto loro cosa ne volessero fare delle loro vite, se volessero appartenere a stati sempre più grandi, o trovare la loro giusta autodeterminazione. Nessuno ha mai chiesto a Giuliani, Bisiachi, Carnici, Friulani, Istriani, Dalmati, agli abitanti della valle dell'isonzo, se volessero appartenere a questo o quello stato, oppure se volessero la loro libertà. Un altro tassello contro i popoli è stato sistemato, da ora in poi, l'appartenenza ad uno dei due blocchi, quello atlantico, o quello sovietico, farà si che le decisioni vengano prese dall'alto, giammai un popolo, una nazione, avrà più voce in capitolo per decidere il suo futuro.
Dittature o democrazie fasulle, ancora una volta hanno vinto sull'autodeterminazione dei popoli, la gente non conta niente, mai ha deciso e mai deciderà se partecipare a guerre, o lavorare per la pace, come è giusto che sia, le guerre fanno comodo a banchieri, governi, e oligarchie, la guerra, ogni guerra, è sempre dichiarata contro la gente. Le popolazioni Italiane di ampie zone assegnate agli Slavi, sono state costrette ad un esodo massiccio verso l’italia, guardati con astio dai fiancheggiatori dell'internazionalismo, molti di loro, ben accolti, hanno ricostruito la loro vita nella mia isola. Eleonora ha deciso di seguirmi in friuli, ormai per entrambi, segnati dalla guerra, la priorità non è più condurre la bella vita del passato, ma vivere in maniera semplice, naturale, abbiamo messo al mondo due figli.
Stamattina ho sentito con immenso disgusto, alla radio, una notizia che mi ha sconvolto: il presidente della repubblica italiana, che è stato un dirigente partigiano, ha concesso la grazia al capo dei partigiani rossi che ha decimato a più riprese il nostro gruppo, solo in quei giorni si è macchiato dell’assassinio di oltre venti dei suoi stessi compagni di lotta.
Questo romanzo è dedicato a mio figlio Francesco.
Qualsiasi riferimento a persone esistite o esistenti, a fatti realmente accaduti, pur in un contesto storico reale, è da considerarsi puramente frutto di fantasia.
©Mariano Abis
Tutti i diritti riservati Mariano Abis
Il 10 febbraio è la giornata italiana del ricordo delle vittime delle foibe, a quando la giornata mondiale?
Le giornate dei ricordi e delle memorie dovrebbero essere tutte uguali, ma sembra che esista una giornata della memoria più uguale (o più importante) di tutte le altre.
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