Mauro Pili
Ecco il contratto “condizionato” di vendita ad una società del Lussemburgo: da 10mila euro a 20 milioni di guadagno
Terra di nessuno. Come se quelle pendici a ridosso dell’Oasi del Cervo, dominate dal Monte Arcosu, fossero diventate di colpo zona franca, dove tutto è consentito, dove le leggi dello Stato e della Regione si sono fatte in un attimo carta straccia. I Palazzi di Roma questa volta sono stati solerti come non mai, pronti a chiudere occhi e ignorare vincoli e divieti. Un blitz, si potrebbe dire. Questa storia, però, fatta di prugne annientate e paradisi fiscali che incombono, è molto di più. È l’ultima prova di forza di uno Stato “padrone” che non guarda in faccia a nessuno, che ignora la storia, calpesta le norme, cancella senza colpo ferire le più elementari regole della “leale” collaborazione tra Regione e Comuni, se ne infischia di natura, patrimonio ambientale e paesaggio.
Carovona di bulldozer
Più che un colpo di mano, una carovana di bulldozer pronti a sradicare piante e pascoli, radere al suolo ogni valore naturalistico, incuranti di pareri contrari e pericoli incombenti. Sfogliare le carte del procedimento ministeriale di questo ennesimo ciclopico assalto alle porte di Cagliari è come metter mano ad un fascicolo processuale, con tanto di “ardite” affermazioni messe nero su bianco dai novelli “pannellatori” seriali della Sardegna, tutte smentite da “sentenze” circostanziate, dure e inappellabili, degli uffici regionali e comunali. Il progetto di pannelli di silicio da piazzare su più di 200 campi di calcio, uno a fianco all’altro, ha dimensioni senza precedenti, tali da renderlo il più grande campo fotovoltaico mai “imposto” sul suolo nazionale. Quasi 200 ettari di terre agricole da trasformare in una distesa di specchi, posizionati in aree vietate e interdette da norme regionali e statali, in barba alle oasi naturalistiche imposte dalle disposizioni europee.
La fine delle terre agricole
Quando il progetto sbarca in Sardegna è il 31 agosto del 2021. A quel tempo la società che lo presenta negli uffici di viale Trento ha un nome sconosciuto: «Leta srl», società a responsabilità limitata, dislocata niente meno che nella frazione di Sambuceto, nel comune di San Giovanni Teatino, provincia di Chieti in Abruzzo. Cosa c’entri la Sardegna, Macchiareddu, l’Oasi del Cervo, con San Giovanni Teatino è mistero assoluto. Fatto sta, però, che gli uffici amministrativi della Regione non ci stanno. Il rosario di divieti che sottopongono alla Giunta regionale per rispedire al mittente quell’occupazione selvaggia di una distesa infinita di terre agricole è un’enciclopedia di violazioni. La sequenza è un fuoco incrociato: l'impianto determina una rilevante occupazione di suolo agrario (circa 179 ha), già infrastrutturato anche per scopi irrigui, il sito interessa, quasi esclusivamente, secondo il P.U.C. di Uta, aree a destinazione d'uso agricola “E”, caratterizzate da produzione agricola tipica e specializzata. Negli atti la Regione rileva “notizie infondate” quando nella relazione agronomica allegata al progetto si afferma che l'intervento «si pone l'obiettivo di riqualificare un'area ex agricola marginale, ubicata in contiguità del polo industriale di Macchiareddu e in un'area fortemente inquinata». Tutte affermazioni destituite di ogni fondamento. I proponenti, infatti, scrive la Regione, non forniscono «alcun riscontro in merito all'entità e alla natura dell'inquinamento». C’è di più nell’affermazione campata per aria sul degrado della zona:
Smascherati i piani
Nel parere della Regione, però, c’è di più: il Piano Paesaggistico Regionale classifica la superficie occupata dall'impianto come area ad utilizzazione agro-forestale per cui vigono le prescrizioni che vietano «trasformazioni per destinazioni e utilizzazioni diverse da quelle agricole di cui non sia dimostrata la rilevanza pubblica economica e sociale e l'impossibilità di localizzazione alternativa». Il tentativo di far passare qualche fazzoletto di terra come destinata ad attività agricola, pur di avere una parvenza di agri-voltaico, frana senza rimedio con l’incedere del parere degli uffici regionali: «Al fine di determinare le varietà colturali da mettere a dimora, non è stata svolta alcuna analisi della domanda, e le scelte sono dettate dalla prevalente vocazione elettrica dell'iniziativa». I passaggi del giudizio regionale sono dirompenti: «Non esiste alcuna sinergia tra la parte elettrica e agricola anzi, la componente agricola, appare succedanea e residuale e la sua programmazione sembra orientata a non interferire con l'esercizio dell'impianto fotovoltaico». In sintesi, smascherati, senza pudore.
Roma docet
Non si perdono d’animo i signori della «Leta srl». Cambiano nome, diventano «IPC Agrivolt srl». Iniziano la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, direttamente nei palazzi del Ministero. Giro facile. A Roma rilevano tutto quanto c’è di negativo e vietato, ma poco importa. L’invasione solare in terra sarda s’ha da fare, ad ogni costo. E c’è pure da fare in fretta. I signori di «IPC Agrivolt», in un sol colpo, hanno venduto per oltre 20 milioni di euro la loro società, capitale sociale diecimila euro, ad una società “criptata” nei paradisi fiscali del Lussemburgo. Nel contratto di vendita, però, c’è un’audace clausola sospensiva: il pagamento avverrà solo se il progetto verrà approvato nei palazzi di Stato. Detto, fatto. Roma approva, fregandosene dei pareri contrari di Regione e Comune. Quella “condizione sospensiva” ora, però, apre scenari senza precedenti. Un nuovo capitolo di questa storia, dalle prugne ai «paradisi fiscali».
(1.continua)
© Riproduzione riservata
Terra di nessuno. Come se quelle pendici a ridosso dell’Oasi del Cervo, dominate dal Monte Arcosu, fossero diventate di colpo zona franca, dove tutto è consentito, dove le leggi dello Stato e della Regione si sono fatte in un attimo carta straccia. I Palazzi di Roma questa volta sono stati solerti come non mai, pronti a chiudere occhi e ignorare vincoli e divieti. Un blitz, si potrebbe dire. Questa storia, però, fatta di prugne annientate e paradisi fiscali che incombono, è molto di più. È l’ultima prova di forza di uno Stato “padrone” che non guarda in faccia a nessuno, che ignora la storia, calpesta le norme, cancella senza colpo ferire le più elementari regole della “leale” collaborazione tra Regione e Comuni, se ne infischia di natura, patrimonio ambientale e paesaggio.
Carovona di bulldozer
Più che un colpo di mano, una carovana di bulldozer pronti a sradicare piante e pascoli, radere al suolo ogni valore naturalistico, incuranti di pareri contrari e pericoli incombenti. Sfogliare le carte del procedimento ministeriale di questo ennesimo ciclopico assalto alle porte di Cagliari è come metter mano ad un fascicolo processuale, con tanto di “ardite” affermazioni messe nero su bianco dai novelli “pannellatori” seriali della Sardegna, tutte smentite da “sentenze” circostanziate, dure e inappellabili, degli uffici regionali e comunali. Il progetto di pannelli di silicio da piazzare su più di 200 campi di calcio, uno a fianco all’altro, ha dimensioni senza precedenti, tali da renderlo il più grande campo fotovoltaico mai “imposto” sul suolo nazionale. Quasi 200 ettari di terre agricole da trasformare in una distesa di specchi, posizionati in aree vietate e interdette da norme regionali e statali, in barba alle oasi naturalistiche imposte dalle disposizioni europee.
La fine delle terre agricole
Quando il progetto sbarca in Sardegna è il 31 agosto del 2021. A quel tempo la società che lo presenta negli uffici di viale Trento ha un nome sconosciuto: «Leta srl», società a responsabilità limitata, dislocata niente meno che nella frazione di Sambuceto, nel comune di San Giovanni Teatino, provincia di Chieti in Abruzzo. Cosa c’entri la Sardegna, Macchiareddu, l’Oasi del Cervo, con San Giovanni Teatino è mistero assoluto. Fatto sta, però, che gli uffici amministrativi della Regione non ci stanno. Il rosario di divieti che sottopongono alla Giunta regionale per rispedire al mittente quell’occupazione selvaggia di una distesa infinita di terre agricole è un’enciclopedia di violazioni. La sequenza è un fuoco incrociato: l'impianto determina una rilevante occupazione di suolo agrario (circa 179 ha), già infrastrutturato anche per scopi irrigui, il sito interessa, quasi esclusivamente, secondo il P.U.C. di Uta, aree a destinazione d'uso agricola “E”, caratterizzate da produzione agricola tipica e specializzata. Negli atti la Regione rileva “notizie infondate” quando nella relazione agronomica allegata al progetto si afferma che l'intervento «si pone l'obiettivo di riqualificare un'area ex agricola marginale, ubicata in contiguità del polo industriale di Macchiareddu e in un'area fortemente inquinata». Tutte affermazioni destituite di ogni fondamento. I proponenti, infatti, scrive la Regione, non forniscono «alcun riscontro in merito all'entità e alla natura dell'inquinamento». C’è di più nell’affermazione campata per aria sul degrado della zona:
«L'area, infatti, storicamente, - è scritto nel verdetto della Regione - è sempre stata interessata da attività agricole, e non risulta degradata da attività antropiche pregresse o in atto, dunque non è riconducibile alla categoria di “aree da privilegiare per l'insediamento di impianti di energia rinnovabili». Sarebbe bastato questo rilievo per spedire tutti gli atti in uffici diversi da quelli amministrativi, giusto per segnalare che negli atti progettuali, sottoscritti da tecnici di fatto pubblici ufficiali, veniva rappresentata una realtà totalmente diversa da quella effettivamente riscontrabile, senza troppi fronzoli, con un sopralluogo su quell’area a ridosso delle pendici di Monte Arcosu. Che quel progetto fosse un pugno in faccia a paesaggio e natura lo poteva capire anche un neofita di pianificazione ambientale. Scrive la Regione: «La costruzione dell'impianto in esame nell'area prevista, determinerebbe, di fatto, un'estensione della medesima area industriale, alterando significativamente, il paesaggio agrario che ancora caratterizza l'area vasta». Sarebbe bastato arrivare a ridosso di quell’area per incrociare l’ingresso maestoso di quella che fu la “Agricola Mediterranea”, un’intrapresa agraria che aveva tentato di far concorrenza, senza riuscirci, ai grandi “prugneti” californiani. Una coltivazione intensiva di prugne su scala industriale finita male non certo per la qualità dei terreni, ma per l’azzardo colturale-commerciale.
Smascherati i piani
Nel parere della Regione, però, c’è di più: il Piano Paesaggistico Regionale classifica la superficie occupata dall'impianto come area ad utilizzazione agro-forestale per cui vigono le prescrizioni che vietano «trasformazioni per destinazioni e utilizzazioni diverse da quelle agricole di cui non sia dimostrata la rilevanza pubblica economica e sociale e l'impossibilità di localizzazione alternativa». Il tentativo di far passare qualche fazzoletto di terra come destinata ad attività agricola, pur di avere una parvenza di agri-voltaico, frana senza rimedio con l’incedere del parere degli uffici regionali: «Al fine di determinare le varietà colturali da mettere a dimora, non è stata svolta alcuna analisi della domanda, e le scelte sono dettate dalla prevalente vocazione elettrica dell'iniziativa». I passaggi del giudizio regionale sono dirompenti: «Non esiste alcuna sinergia tra la parte elettrica e agricola anzi, la componente agricola, appare succedanea e residuale e la sua programmazione sembra orientata a non interferire con l'esercizio dell'impianto fotovoltaico». In sintesi, smascherati, senza pudore.
Roma docet
Non si perdono d’animo i signori della «Leta srl». Cambiano nome, diventano «IPC Agrivolt srl». Iniziano la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, direttamente nei palazzi del Ministero. Giro facile. A Roma rilevano tutto quanto c’è di negativo e vietato, ma poco importa. L’invasione solare in terra sarda s’ha da fare, ad ogni costo. E c’è pure da fare in fretta. I signori di «IPC Agrivolt», in un sol colpo, hanno venduto per oltre 20 milioni di euro la loro società, capitale sociale diecimila euro, ad una società “criptata” nei paradisi fiscali del Lussemburgo. Nel contratto di vendita, però, c’è un’audace clausola sospensiva: il pagamento avverrà solo se il progetto verrà approvato nei palazzi di Stato. Detto, fatto. Roma approva, fregandosene dei pareri contrari di Regione e Comune. Quella “condizione sospensiva” ora, però, apre scenari senza precedenti. Un nuovo capitolo di questa storia, dalle prugne ai «paradisi fiscali».
(1.continua)
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