Vladimir Putin |
Due anni di retorica sullo zar moribondo, l’esercito russo a pezzi, il crollo imminente. Risultato: centinaia di migliaia di morti mentre volano le importazioni alimentari da Mosca (il grano duro fa +1.164%) e, grazie alle triangolazioni, pure quelle di petrolio.
Negli ultimi due anni ci hanno raccontato che la Russia non avrebbe potuto resistere alle sanzioni internazionali, che Putin era gravemente malato e forse addirittura già morto, e quand’anche non fosse passato a miglior vita, le lotte di potere al Cremlino, comunque, lo avrebbero presto disarcionato. Non conto le analisi pubblicate dalla stampa italiana e straniera sul crollo delle importazioni di gas e petrolio, sull’esclusione dal sistema bancario di regolazione dei crediti, sui tremori delle mani e dei piedi dello zar, indicati come spia di una malattia degenerativa, sull’impreparazione delle truppe russe, sul golpe di Prigozhin e sulla controffensiva ucraina. Tutto lasciava presagire che la guerra sarebbe finita presto e, inevitabilmente, che a essere sconfitta dall’alleanza occidentale sarebbe stata Mosca.
Peccato che niente di tutto ciò si sia verificato e che ora, da giorni, la grande stampa sia piena di allarmi sulle prossime mosse di Putin, il quale non si accontenterebbe del Donbass, ma si preparerebbe tra uno, due o cinque anni ad attaccare un Paese Nato e a invadere - udite, udite - l’Europa. Dalle principali capitali del Vecchio continente e dai vertici della Nato arrivano preoccupati solleciti che invitano gli Stati che fanno parte della Ue ad armarsi. Un po’ perché se vince Trump l’America promette di disinteressarsi dei destini europei, e un po’ perché l’orso russo è diventato il nuovo babau, da agitare al momento giusto, quando c’è qualche difficoltà.
Allora, così come non ho quasi mai creduto alle previsioni ottimistiche circolate all’inizio della guerra sul collasso di Mosca, sull’assassinio di Putin, sulla rivolta degli oligarchi e degli intellettuali russi, né ho mai pensato che davvero lo zar fosse gravemente malato o addirittura passato a miglior vita e già sostituito da una controfigura o che la controffensiva avrebbe avuto alcuna possibilità di indurre l’invasore alla resa, oggi non credo che la Russia si prepari ad altre guerre dopo quella con l’Ucraina. Per Putin è già una vittoria aver tenuto le posizioni conquistate con il blitz del 24 febbraio di due anni fa e addirittura aver resistito a tutte le sanzioni occidentali, costruendo nuove alleanze con Cina, Iran, Corea del Nord, presentandosi come mediatore o catalizzatore delle istanze in Medio Oriente, dopo lo scoppio della guerra fra Israele e Hamas.
No, non credo che Mosca affili le armi per un conflitto che inevitabilmente vedrebbe coinvolti direttamente i Paesi Nato. Fino a oggi Putin ha combattuto contro l’America e l’Europa per interposta nazione. O meglio: contro un popolo che è dieci volte inferiore al suo. Centomila soldati ucraini morti non equivalgono a centomila militari russi morti. Kiev sta vedendo scomparire quasi una generazione, la stessa cosa non si può dire della Russia. Perché le guerre non si combattono solo con i droni e i cannoni, ma come abbiamo visto anche nelle trincee, e l’Occidente può spedire tutte le armi che vuole, ma poi serve qualcuno che al fronte prema il grilletto. E siccome non penso che l’opinione pubblica americana ed europea sia pronta a combattere una guerra, così come non ritengo che lo voglia fare la Russia, perché sarebbe un massacro dall’una e dall’altra parte con un’estensione del conflitto ad altri Paesi, non mi convincono affatto gli allarmi di questi giorni sulla possibilità di attacchi alla Nato.
Dunque, come mai all’improvviso tutti sembrano temere questa ipotesi? Per la semplice ragione che il consenso intorno all’Ucraina è ai minimi. Secondo un sondaggio dell’European council on foreign relations, solo il 10% degli europei pensa che l’Ucraina possa sconfiggere la Russia. Tutti gli altri o temono una vittoria russa o auspicano che dal conflitto si esca in fretta con un compromesso.
Credo che i dati spieghino meglio di tante chiacchiere perché le cancellerie europee agitino il pericolo di un attacco di Mosca a un Paese Ue. Se il rischio è una nuova invasione, fra uno, due o cinque anni, non ci si può sedere adesso a un tavolo con Putin, perché un dittatore è un dittatore e non ci si può fidare. L’unica soluzione resta la guerra a oltranza, fino alla fine, anche se la vittoria è impossibile o sempre meno credibile.
Tuttavia, il comportamento dell’Occidente e anche dell’Italia è ambiguo. Mentre lanciano allarmi su allarmi, sottobanco con Mosca continuano a trafficare. È significativo il dato delle importazioni di grano, che noi da quando c’è la guerra abbiamo decuplicato. Dai cereali ai semi e all’olio di girasole, per finire alle barbabietole, la bilancia commerciale con la Russia pende a favore di quest’ultima con cifre a doppio e qualche volta triplo zero. Per quanto riguarda poi le esportazioni, non aumentano verso la Russia, ma gli invii di merce in Paesi confinanti ed esclusi dalle sanzioni fanno pensare che le triangolazioni siano molto attive. Così come sono vivaci gli scambi con Paesi come l’India, dove si ricicla il greggio russo.
Cioè, siamo alla solita ipocrisia politica. Si lanciano allarmi, si finge di fare la guerra o lo si fa fare ad altri, ma sotto sotto gli affari continuano. Tanto a morire non sono gli occidentali, ma gli ucraini e i sudditi di Putin. Il motto armiamoci e partite dunque vale sempre. Per lo meno per l’industria degli armamenti.
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