Di Mauro Pili
L'Unione Sarda
Il Governo amplia anche il numero dei porti del Mezzogiorno per ospitare poli strategici per impianti eolici offshore
Ora è legge: i poligoni militari, il 65% di quelli italiani sono dislocati in Sardegna, potranno essere “candidati” dal Ministero della Difesa ad “ospitare” il deposito unico di scorie nucleari. Il sigillo finale sul “golpe bianco” lo ha apposto mercoledì sera il Senato della Repubblica. Voto di fiducia, per non perdere tempo e per blindare il risultato. Niente ulteriori emendamenti, nessuna possibilità di modifica rispetto a quanto già approvato il 26 gennaio scorso dalla Camera dei Deputati. Mercoledì notte, ultimo giorno di gennaio, il provvedimento trasformato in legge con il voto parlamentare viaggiava già verso la Zecca dello Stato. Entro le prossime ore dovrebbe finire nella Gazzetta Ufficiale.
Countdown scattato
Il countdown, però, è già scattato, con tanto di calendario alla mano. L’unica sostanziale modifica al testo di legge era stata approvata alla Camera spostando l’orologio delle scorie a dopo le elezioni sarde. In pratica, il Ministero della Difesa, cancellando ogni competenza statutaria e costituzionale della Regione sarda, potrebbe entro il 13 marzo candidare uno dei poligoni militari dell’Isola allo “scempio” nucleare, dopo quello già di per sè devastante di bombe e missili contro la costa e l’ambiente della Sardegna.
Blitz delle date
Un vero e proprio blitz anche sul piano delle scadenze visto che la possibile candidatura di un poligono militare dell’Isola ad ospitare quel nefasto deposito unico di scorie atomiche verrà rivelata solo dopo il 25 febbraio prossimo, data fissata per il rinnovo del Consiglio Regionale e l’elezione del Presidente della Regione. Dunque, elezioni regionali al buio, senza che il Governo abbia preventivamente e in maniera trasparente comunicato se intenda o meno candidare siti militari sardi per quella sciagurata ipotesi.
Silenzio pericoloso
È evidente che Palazzo Chigi, e soprattutto il Ministero della Difesa, hanno già la decisione in mano visto che nel decreto originario, prima delle modifiche della Camera, era stato indicato il termine utile di trenta giorni dalla ripubblicazione della mappa dei siti idonei ad ospitare il deposito unico avvenuta il 13 dicembre scorso. Il Ministero degli “armamenti”, dunque, se fosse rimasto in vigore il precedente termine, ora spostato a novanta giorni, avrebbe dovuto trasmettere la candidatura del sito militare entro lo scorso 13 gennaio. Una data che, se rispettata, avrebbe scoperto le carte prima delle elezioni regionali sarde, un vulnus temporale pericolosissimo, soprattutto se tra quei siti militari destinati ad accogliere le scorie radioattive fosse stata candidata un’area militare sarda, magari dislocata tra Teulada, Quirra, La Maddalena, Capo Frasca o Poglina.
Calendario elettorale
Un’operazione da “calendario strategico” studiata a tavolino per salvaguardare il “silenzio” preelettorale sulle questioni radioattive, senza scoprire le carte prima del voto del 25 febbraio. Il meccanismo di selezione del sito per il deposito unico di scorie, infatti, è stato radicalmente modificato dal decreto del Governo Meloni visto che è stata introdotta di punto in bianco una disciplina relativa alle “autocandidature” ad ospitare il deposito. Una possibilità in realtà già contenuta nella precedente normativa, ma che non aveva sortito nessun effetto. Ora, però, riaprendo i termini per i “volontari del nucleare”, è stato deciso di andare oltre gli enti territoriali. Nel testo del decreto, appena convertito in legge, infatti, potranno avanzare candidature i Comuni e le Regioni che volessero “sistemare” le scorie sotto casa, ma non solo. Con una sorta di “commissariamento militare” della procedura di scelta dei siti è stata introdotta una variabile pesantissima, sia sul piano sostanziale che costituzionale: anche il Ministero della Difesa, in totale autonomia impositiva, può avanzare la candidatura di poligoni militari. Una scelta che verrebbe completamente e gravemente sottratta alla “governance” democratica di Comuni e Regioni, con la piena autonomia decisionale del Ministero della Difesa. Aver deciso di spostare avanti le lancette del “contagiorni” rispetto alle elezioni sarde costituisce anche per questo un vero e proprio agguato alla “trasparenza”. Sarebbe stato non solo doveroso, ma anche intellettualmente onesto, escludere la Sardegna sia dalle aree già indicate in Marmilla e nell'Alto Oristanese, mappe “autorizzate” prima dal Governo Conte II e poi da quello Meloni, oltre che dai poligoni militari dislocati nell’Isola.
Lealtà negata
La clausola di fatto impositiva che mette in mani militari la scelta del sito costituisce un precedente gravissimo. La Costituzione e lo Statuto autonomo della Sardegna hanno, infatti, riservato in maniera esclusiva alla Regione il “Governo del Territorio” che ora, invece, passa, per quanto riguarda la dislocazione dei deposito nucleare, nelle disponibilità del Ministero della Difesa. Con questo blitz legislativo viene meno quel principio di «lealtà istituzionale» che avrebbe dovuto imporre in sede parlamentare una clausola di salvaguardia e tutela del ruolo della Regione a Statuto Speciale. È fin troppo evidente che il Governo, con la scelta del Ministero della Difesa come unico referente nella indicazione volontaria e autonoma del sito militare potenziale, intende agire senza consultare altri soggetti istituzionali.
Prima, non dopo
Il fatto ancor più grave è che questa possibile scelta viene spostata temporalmente oltre le elezioni regionali impedendo ai sardi una valutazione puntuale e trasparente su questa vicenda. Onestà intellettuale e correttezza istituzionale vorrebbero che prima del voto di febbraio il Governo rivelasse se intende o meno individuare un sito militare sardo per realizzare il deposito unico. Una scelta ufficiale, in un senso o nell’altro. Insomma, un atto vincolante del Ministero della Difesa che escluda la scelta della Sardegna oppure la espliciti con una dichiarata volontà di scegliere l’Isola come area militare da candidare per la realizzazione del deposito unico di scorie radioattive. Il silenzio, evidentemente, sarebbe foriero di una campagna elettorale «avvelenata» ancor più da quel sospetto “nucleare” di per sè gravissimo, capace di pesare e non poco nelle urne.
Eolico a mare
La Sardegna, però, nel decreto Energia appena trasformato in legge dal Senato, potrebbe subire altre pesantissime decisioni sul suo “Paesaggio”. Nel decreto originario, infatti, erano previsti due poli strategici per lo sviluppo dell’eolico a mare. Lungo l’iter parlamentare è stata aggiunta la parola “almeno” davanti all’iniziale previsione di “due”. Una decisione che amplia il campo d’azione con il rischio di piazzare nei porti sardi l’ennesima servitù destinata ad incentivare un’aggressione eolica sul mare dell’Isola. In ballo ci sono almeno tre porti: quello di Cagliari, con l’insediamento contestato di una società che dichiara di voler realizzare un polo offshore, quello di Arbatax dove opera la Saipem e una società pugliese senza alcuna esperienza che ha dichiarato di volersi occupare di pale eoliche a mare, e, infine, Oristano, dichiarato come scalo per l’invasione eolica da diverse multinazionali. Sardegna, dunque, circondata. Da una parte le scorie potenzialmente destinate ai poligoni militari e dall’altra i nuovi potenziali speculatori del vento offshore.
Per la Sardegna non c'e' altra via per spezzare le catene della sudditanza militare e ambientale che l'indipendenza dallo stato coloniale italiano. Del resto l'Italia ha firmato il Patto di New York del 1977 sull'indipendenza dei popoli e l'art. 10 della cost. dichiara che l'Italia si conforma al diritto internazionale riconosciuto. Il riconoscimento dell'indipendenza andrebbe chiesto non allo stato, che la negherebbe, ma agli organi internazionali dell'Onu. Non con un referendum, a cui lo stato si opporrebbe, ma con una raccolta regolare di firme della maggioranza dei sardi. La richiesta all'Onu va accompagnata dalla documentazione comprovante la condizione secolare coloniale della Sardegna e gli enormi danni ambientali e sanitari provocati dallo stato.
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