Dalla poca protezione degli impianti di fronte a possibili attentati, agli orari di lavoro del personale impiegato nelle centrali, fino al meccanismo dei subappalti nella manutenzione. La poca attenzione alla sicurezza delle autorità di Parigi sta incrinando anche il fronte pro-atomo d'Oltralpe
Mentre l’Italia per la seconda volta in meno di 25 anni dice No all’energia prodotta dall’atomo, sul fronte della sicurezza nucleare francese arrivano notizie inquietanti. Soprattutto alla luce del disastro di Fukushima.
La prima. A La Hague, ridente paesino sulla costa della Normandia, esiste il più grosso impianto francese di smaltimento dei residui atomici, gestito da Areva, uno dei colossi (pubblici) del nucleare made in France. Lì arrivano, anche le scorie italiane. Ebbene, quel sito è a rischio.
A rompere il tabù che avvolge la brumosa (di nome e di fatto) La Hague c’è voluto un intraprendente pensionato, Guislain Quetel, 35 anni trascorsi lì dentro come tecnico responsabile della prevenzione contro le irradiazioni. Quetel, nei giorni scorsi, una volta lasciata l’azienda, ha convocato giornalisti, sindacalisti, politici locali per compiere una sorta di “outing”. Criticando “l’insufficiente sicurezza” del sito. Secondo lui, Areva dovrebbe costruire intorno all’impianto “una cattedrale di cemento” a difesa di eventuali atti terroristici e non limitarsi alla protezione metallica attuale. “Se solo venisse lanciato un proiettile esplosivo contro certe sezioni interne del centro, che contengono gli scarti di almeno un centinaio di reattori – ha sottolineato l’ex tecnico -, si provocherebbe una tragedia peggiore di quella di Fukushima”. Da sottolineare: Quetel resta un pro nucleare, niente di più.
Le polemiche non finiscono qui. Passiamo a Edf, l’altro colosso pubblico energetico, che gestisce i 58 reattori nucleari attivi del Paese (e che avrebbe voluto costruirne altri quattro con l’Enel in Italia). Sta pianificando di allungare i turni dei propri operai e tecnici per ridurre le fasi di blocco operativo delle sue centrali, a scapito della sicurezza. La novità sta scatenando un putiferio. E non solo da parte dei soliti “esagerati” militanti ecologisti, ma perfino di esperti del settore e dipendenti di Edf, assolutamente pro nucleare.
E’ stato il quotidiano Le Parisien a scovare una lettera in cui Philippe Druelle, vicedirettore della produzione atomica di Edf, chiede agli ispettori dell’Autorità di sicurezza nucleare delle “deroghe sulla durata massima del lavoro dei nostri dipendenti”. In sostanza l’obiettivo è di portare i turni fino a 12 ore al giorno e il numero di quelle complessivamente lavorate in una settimana a 78 (in Francia ci si ferma, secondo la legge, a 35). Edf vuole ricorrere a questa possibilità nelle fasi in cui i reattori restano fermi per poter svuotarli dal combustibile utilizzato e per compiere i necessari lavori di manutenzione. Insomma, si vogliono restringere i periodi di inattività, nei quali l’azienda non guadagna soldi.
Questo tipo di interventi viene ormai realizzato da imprese subfornitrici. E su questo punto già esistono timori e polemiche. “E’ dalla fine degli anni 80 che si è iniziato progressivamente a coinvolgere le società esterne a Edf, per ridurre i costi – sottolinea Anne Salmon, sociologa, autrice di “Le travail sous haute tension” e specialista del settore energetico – Tutto questo comporta grossi rischi perché ormai siamo alla subfornitura ‘a catena’. Edf stipula un contratto con un’impresa, che sua volta si accorda con un’altra per una parte dei lavori e così via. E per attività estremamente delicate. Ebbene, alla fine Edf non sa neanche chi entra nelle sue centrali”.
Ora, però, a questo problema se ne aggiunge un altro. I dipendenti del gruppo pubblico devono comunque controllare il lavoro dei subfornitori. Ma, spesso, con i turni normali i tempi si allungano (i blocchi durano fra uno e tre mesi). Con la nuova deroga richiesta, invece, estendendo i turni, Edf potrebbe restringere la durata dell’inattività. Va detto che sabato, i vertici di Edf hanno smentito le rivelazioni del Parisien, sottolineando che “in merito è in corso una trattativa con i sindacati”. Che, però, si sono fatti subito sentire (polemicamente) sull’argomento. “Edf si sta organizzando per legalizzare delle derive orarie inaccettabili e pericolose per i dipendenti. E dunque per la sicurezza nucleare”, si legge in un documento della Cgt, la forza più rappresentata all’interno di Edf, equivalente in Francia della Cgil.
Fabrice Guyon, tecnico nucleare del gruppo da 17 anni, spiega che “dal 2004 l’azienda ha cercato di cambiare i ritmi del lavoro. E la nozione del profitto a ogni costo ha iniziato a inserirsi nello spirito dell’impresa. Bisogna ormai garantire la redditività a ogni prezzo”. “Farci lavorare dodici ore di fila – continua – è aberrante. Perché oltre un certo limite di tempo non si ha più il livello d’attenzione necessario”. Guyon crede ancora nel nucleare civile, “ma la migliore garanzia della sicurezza è un personale motivato e che lavori nelle migliori condizioni. Il discorso vale pure per i subfornitori”.
Ultimo aggiornamento dal fronte nucleare francese. A pochi chilometri di La Hague, Edf possiede la più grossa centrale di Francia. E lì sta costruendo, assieme all’italiana Enel, un Epr, reattore potentissimo di terza generazione, del tipo di quelli previsti, e poi bocciati dagli italiani, da Berlusconi in Italia. Sabato scorso, in quel cantiere, è morto un lavoratore di 32 anni, precipitato giù da alcune decine di metri di altezza. Era, ovviamente, il dipendente di un’impresa sufornitrice, la Endel. Un altro, di 37 anni, era deceduto il 24 gennaio scorso, in condizioni simili. Un operaio della Normétal. Altro sufornitore di Edf.
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