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venerdì 6 giugno 2014

“La finanza è un gioco di potere” Intervista di Nomi Prins, autrice di Tutti i banchieri dei Presidenti


“La finanza è un gioco di potere”

Intervista di Nomi Prins, autrice di Tutti i banchieri dei Presidenti

Lars Schall 
Tradotto da  Francesco Giannatiempo
Editato da  Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي

Per conto della Matterhorn Asset Management (Gestione Patrimoni)/ GoldSwitzerland, Lars Schall ha discusso con Nomi Prins - ex-banchiera esperta di Wall Street - del suo ultimo libro, “Tutti i banchieri dei Presidenti”.  Prins fa notare come un gruppo d’elite di uomini hanno trasformato l’economia e il governo usamericano attraverso tutto il Novecento, dettando la politica interna ed estera, e abbiano determinato la storia mondiale. La discussione abbraccia un periodo che va dal panico del 1907 e la creazione della Federal Reserve attraverso le due guerre mondiali, lo sganciamento dell’usdollaro dall’oro nel 1971 e la questione se il potere finanziario usamericano oggi sia in declino. 


Nomi Prins, cresciuta nello stato di New York-USA, dopo i suoi studi in matematica e statistica ha lavorato per la Chase Manhattan, per la Lehman Brothers, per la Bear Stearns di Londra e, in qualità di direttore generale, per la Goldman Sachs a Wall Street. Nel 2001/02, dopo aver lasciato il settore finanziario, è diventata una preminente giornalista che scrive di finanza. Finora, ha scritto cinque libri, tra cui “Serve un saccheggio: dietro il salvataggio, i bonus e le trattative segrete da Washington a Wall Street”, pubblicato nel settembre 2009 da Wiley. Inoltre, è ricercatrice al centro studi “Demos” a New York City; ha dato numerose interviste a organi di stampa internazionali come BBC World, BBC, Russia Today, CNN, CNBC, CSPAN e Fox; e i suoi articoli vengono pubblicati sul New York Times, Fortune, The Nation, The American Prospect e The Guardian in Gran Bretagna. Il sito web di Nomi Prins lo trovate qui. Vive a Los Angeles, USA.
Il suo ultimo libro,  “All the Presidents’ Bankers: The Hidden Alliances that Drive American Power“ (Tutti i banchieri dei presidenti: le alleanze nascoste che guidano il potere americano) è stato pubblicato nell’aprile 2014 da Nation Books

Lars Schall: Salve Nomi, parliamo del suo nuovo libro. Qual è stato il motivo che l’ha spinta a scrivere il libro e qual è l’idea principale che si cela dietro?
Nomi Prins: La mia motivazione viene da un romanzo che ho scritto prima di questo libro, il cui titolo
Quel giorno, c’erano sei banchieri, i grandi sei banchieri dell’epoca riunitisi nella sede della Morgan dietro richiesta di una persona di nome Tom Lamont, che era il presidente ad interim di Morgan. Jack Morgan, il presidente in carica, era in viaggio in Europa. Lamont chiamò i cinque principali banchieri della città e, dopo una riunione di 20 minuti, ognuno di loro decise di contribuire con 25 milioni di usdollari per salvare i mercati azionari. Tutti loro avevano dei segreti che stavano nascondendo in quella stanza, a parte il fatto che il mercato stesse sfuggendo al loro controllo. Uno di questi uomini era Al Wiggin, capo di Chase; costui stava svendendo le azioni della Chase, mentre stava dicendo di volerle comperare per salvare i mercati. Charles Mitchell era un altro dei sodali in quella stanza; lui amministrava la National City Bank, che ora fa parte di Citigroup. C’era questa trattativa che voleva portare avanti – sarebbe avvenuta la più grande fusione dell’epoca, se avesse conservato le sue azioni destinate al pagamento della fusione. Perciò, lui aveva davvero altre ragioni per salvare i mercati, oltre ad aiutare la popolazione in genere dal riversarsi in mezzo alla strada o dalle ricadute economiche.è “Black Tuesday” (Martedì nero), un lavoro di narrativa storica sul crac del 1929. Nel fare la ricerca per quel libro, non così sostanziale come la carica impiegata per “Tutti i banchieri del presidente”, ho scoperto di un incontro avvenuto il 24 ottobre del 1929 alla Morgan Bank di Wall Street  23 – proprio a pochi passi alle spalle della Borsa di New York. È avvenuto quando il mercato azionario stava iniziando la sua caduta, dopo di che è risalito e risceso per qualche tempo, perdendo alla fine il 90% o quasi del proprio valore per gli anni a venire.


L’intera riunione e il teatro della scena, il modo in cui quei sei grandi banchieri decisero cosa fare e il modo in cui vennero sostenuti dal presidente Herbet Hoover risultava affascinante. Dopo la loro decisione, vennero pubblicizzati dalla stampa – sul New York Times e così via – dato che avevano salvato ancora una volta i mercati e, per questo, ricevettero molti complimenti. Tutta questa storia mi è rimasta dentro. E quindi per il libro “Tutti i banchieri del presidente” ho seguito quest’idea dei grandi sei, cioè che oggi abbiamo di nuovo sei grandi banche, così come accadde prima del crac del 1929. Sei banche negli USA controllavano buona parte dei mercati finanziari, e non solo da una prospettiva di ricchezza e potere, dato che allora, come oggi,  esisteva una linea politico-finanziaria che poteva essere disegnata attorno ai banchieri e ai presidenti.

Ho iniziato a esaminare tutto questo attraverso la prospettiva dei presidenti: con quali banchieri intrattenevano rapporti, di quali si fidavano per sistemare il paese, con quali si frequentavano in società, con quali andavano in barca a vela, con quali erano soci nei circoli, quali erano le università della Ivy League che avevano frequentato insieme e così via. Questo è il modo in cui mi si sono ulteriormente formate l’idea e la ricerca per questo libro, che mi ha portato a tutti gli archivi dei presidenti in tutto il paese: da Teddy Roosevelt, presidente durante il panico del 1907 – da dove ho iniziato il libro – fino a Barack Obama, che ancora non possiede un archivio - perché ancora in carica -, attraverso tutti i documenti che ho potuto trovare.

Ha citato il 1907, e il banchiere dominante allora era John Pierpont Morgan. In sostanza, era lui il rappresentante della City (Londra) e dell’attività bancaria britannica a Wall Street?
Era quello che aveva i legami più stretti, sia da un punto di vista personale che per il fatto che la Morgan Bank aveva legami con la City così come con Parigi. A quell’epoca, avevano aziende con cui erano associate in entrambe le città. Per ciò che riguarda i retroscena del panico del 1907, per gli USA si trattò di un enorme panico bancario: in particolare a New York, la gente correva in banca per riprendersi i depositi, perché stava fermentando un problema di fiducia e di una più grande crisi bancaria. Teddy Roosevelt temeva che tutto questo si sarebbe riversato in una più larga crisi economica per il paese. Invitò J. P. Morgan per sistemare la situazione: questo accadeva nel 1907, 22 anni prima del crac del 1929 quando anche la sua banca venne colpita. Morgan certamente rappresentava gli interessi internazionali rispetto ai finanzieri usamericani; era il più potente, il più internazionale dei finanzieri usamericani, sebbene fosse anche parecchio preoccupato della crescita del proprio prestigio negli USA. Da quel momento, si è verificata una grande crescita per la banca Morgan dopo la due guerre mondiali.

Uno degli altri grandi temi del mio libro verte sul fatto che non fossero dei singoli individui a controllare le alleanze politiche e finanziarie e la politica stessa degli USA interna ed estera, bensì esistesse un ristretto gruppo di famiglie che hanno mantenuto il potere per decenni lungo oltre un secolo, i cui legami continuano a mantenere quell’influenza e quel potere. Anche prima del panico del 1907, nell’ultimo decennio del 1800, la famiglia Morgan fu certamente una di quel ristretto gruppo di famiglie. Alla soglia del 900, uno dei Morgan - J.S. Morgan – ha contribuito a salvare finanziariamente la City, quando la Banca d’Inghilterra non poteva farlo. Perciò, l’idea che un banchiere privato che salvi altri banchieri privati – sia in patria che fuori – è nata un po’ prima del mio libro. Ma certamente è continuata per tutto il 20mo secolo.

Se le chiedessi chi ha beneficiato del panico del 1907, cosa risponderebbe?
Il vero benefattore del panico del 1907, ovviamente, fu J. P. Morgan, che all’epoca amministrava la Morgan Bank ed era la persona di maggior influenza e confidente economico del presidente Teddy Roosevelt, il quale gli concesse potere e capacità decisionali spalleggiato dalla Casa Bianca e dal Dipartimento del Tesoro per decidere quali banche dovessero morire durante il periodo di panico del 1907. Cosa che Morgan fece: scelse di sostenere le banche a lui connesse in qualche maniera, sia se amministrate da amici suoi o associati o in rapporti o in cui semplicemente riponesse degli interessi. Dopo il panico del 1907, furono davvero le famiglie dei Morgan e degli Stillman ad amministrare la National City Bank, e dei Bakers, che amministravano la First National City Bank, (quelle due banche, infine, sono diventate ciò che oggi conosciamo come Citigroup, ovvero una delle sei grandi banche odierne, visto che Morgan ancora esiste sotto forma di J.P. Morgan Chase, un’altra delle sei grandi banche). Il beneficio fu tutto di Morgan, fatto che lo rese più sicuro alla testa del timone della classe dirigente che sarebbe diventata poi la Federal Reserve, a sua volta LA banca per le grandi banche.

Come è stato usato il panico del 1907 dagli interessi di Morgan e Rockefeller per  creare la Federal Reserve?
È una domanda molto interessante. Ciò che avvenne – anche prima del panico – fu che questi finanzieri, la nuova classe di potere negli USA, volevano trovare un modo per spingere in avanti ciò che io chiamo l’età del capitalismo finanziario – benché loro non lo chiamassero cosi. L’idea era che si potesse generare denaro dal denaro, in opposizione al denaro legato agli interessi industriali come acciaio e petrolio – benché i Rockefeller ne avessero creato un bel po’ e intendessero continuare a farlo con la Standard Oil Company e altri interessi. Ma questi, in particolare William Rockefeller, cercavano un modo di creare denaro per il gusto di farlo, diventando parte di uno dei “cartelli monetari” nei primi anni del 900.

Dopo il panico del 1907, J. P. Morgan, e in misura minore Rockefeller, agirono per evitare il ripetersi di una crisi più grande. I Rockefeller non vennero coinvolti nella riunione che ebbe luogo a Jekyll Island, nonostante all’epoca dei fatti William Rockefeller fosse un membro del Jekyll Island Club. Lì, in una riunione tenutasi nel 1910, sei uomini si incontrarono per sfornare i piani che riguardavano la Federal Reserve. A questa riunione partecipò un sodale che apparteneva al governo degli USA – il senatore Nelson Aldrich – che era un senatore di Rhode Island e strettamente connesso alla comunità bancaria. Questi conosceva Morgan, i Rockefeller e gli altri. Lui, insieme a uno dei suoi segretari assistenti  al Tesoro si incontrò con quattro banchieri - Frank Vanderlip, Henry Davison, Paul Warburg e Benjamin Strong, tutti connessi a Morgan. Come riporto nel libro, fu l’appartenenza come socio del club di J. P. Morgan a permettere loro di incontrarsi addirittura a Jekyll Island. Era un club molto esclusivo all’epoca per il cui accesso bisognava essere un socio. E nessuna di queste persone lo era. Inoltre, J. P. Morgan non fu presente a quell’incontro.

In realtà, ed è grosso modo dove entra in gioco la casualità di Rockefeller al di fuori di quella riunione, Nelson Aldrich non aveva neanche intenzione di andarci o di chiedere di andare a Jekyll Island: voleva che queste riunioni si svolgessero nella sua proprietà di Rhode Island per stare fuori da occhi indiscreti, ma anche per rimanere nella sua proprietà che era a nord di New York e certamente a nord della Georgia, che è effettivamente dove si trova Jekyll Island. Ma si ferì a causa dell’urto con un tram a Manhattan - New York City – mentre si trovava laggiù in visita per parlare con Morgan e alcune altre persone di quest’idea nel suo complesso. Perciò era convalescente e non era sicuro di potersi muovere; fu allora che J. P. Morgan gli suggerì di andare a Jekyll Island per la riunione, dandogli l’invito al circolo. A Jekyll Island, si rese necessaria parecchia organizzazione per poter ricevere queste persone, visto che era ancora novembre, ovvero fuori stagione. Infatti a Jekyll Island l’alta stagione era a dicembre e gennaio, periodo in cui tutte le famiglie ricche arrivavano per le vacanze, gli uomini si riunivano e parlavano e le donne e i bambini si rilassavano e giocavano.

Ma questa riunione si fece grazie a J. P. Morgan e anche a Nelson Aldrich, il cui figlio - Winthrop Aldrich – sarebbe diventato poi un direttore di Chase Bank per due decenni, e il cui pronipote - David Rockefeller -  anche lui futuro direttore di Chase per due decenni, e il cui altro pronipote - Nelson Rockefeller – sarebbe diventato governatore di New York per quattro volte. Quindi, questa linea familiare partita dal periodo della Federal Reserve è è stata evidente più recentemente.

Gli interessi dei banchieri erano di assicurarsi che, in una situazione di panico, ci sarebbe stata una Federal Reserve ad appoggiare le banche, in maniera tale che non si sarebbe verificata una crisi più grande; inoltre, che loro non avrebbero dovuto tirare fuori il proprio denaro o scroccarne in giro per riuscire a capire come salvare loro stessi o salvare il loro sistema. Questo fu l’impulso per la Fed: avere un’entità consolidata che potesse anche creare valuta, e che questa, a sua volta, potesse sostenerli in momenti di panico. Dal punto di vista del governo usamericano, William Taft – presidente dopo Teddy Roosevelt -  e Woodrow Wilson – presidente dopo di lui–  credevano entrambi che una Federal Reserve fosse necessaria fondamentalmente per promuovere il potere usamericano nel nuovo secolo – questo non è argomento storico oggetto di grandi discussioni, ma è presente nel mio libro. L’idea di poter avere una banca centrale competitiva che fosse schierata con le banche private era qualcosa di molto importante per i presidenti di entrambi i partiti; presidenti, ciascuno dei quali in possesso di forti legami personali con i Morgan, gli Aldrich e i Rockefeller e con le altre famiglie che allora dirigevano i cartelli monetari del tempo.

La creazione della Fed è stata una cospirazione?
Non si tratta di una cospirazione, ma è un fatto che Wall Street fosse dietro la Fed: queste erano persone reali di una reale Wall Street che si incontrarono veramente e che lavorarono con Nelson Aldrich, il direttore del Comitato Finanza del Senato per due anni, raccogliendo informazioni insieme e viaggiando in Europa per stabilire come la costituzione delle banche, in Inghilterra e in Francia in particolare, potesse essere usata per i piani destinati alla Federal Reserve. James Stillman, uno dei capi del cartello monetario e amico di Morgan e dei Rockefeller,  amministratore della National City Bank – allora una delle più grandi banche del paese (oggi Citigroup) – viaggiò per mesi con Nelson Aldrich in Europa lungo un arco di due anni, prima di quella riunione a Jekyll Island. Perciò, non è una cospirazione: sono fatti documentati.

Anche il fatto stesso che ci fossero quattro banchieri e due uomini di Washington alla riunione di Jekyll Island, non risulta una cospirazione: è un fatto reale. Ed è anche un fatto, dato che ho citato l’incidente di Nelson Aldrich ferito da un tram  e che non fosse nelle migliori condizioni di salute dopo la riunione di Jekyll Island, dopo la quale doveva presentare la relazione a Washington, questa venne presentata da due banchieri: Frank Vanderlip – il numero due alla National City Bank che lavorava per James Stillman - ed Henry Davison – un socio anziano alla Morgan Bank. Non si tratta di una cospirazione: è proprio quanto accaduto.

Sì, ma queste persone presenti alla riunione di Jekyll Island cospirarono tra di loro per la creazione della Federal Reserve?
Non c’era nulla da cospirare. In pratica fu tutto molto semplice. Questi uomini lavorarono insieme per creare la Federal Reserve, perché la volevano: Washington la voleva, e la volevano anche i capi di Wall Street. Condividevano lo stesso punto di vista, pertanto non si rese necessaria alcuna cospirazione. Semplicemente, collaborarono.

Ma non permisero che l’opinione pubblica lo sapesse, giusto? E furono molto cauti nell’evitare che si venisse a sapere qualcosa.
Certo, assolutamente sì! Però credo che quando il termine cospirazione prende piede, sai, assume un profilo più oscuro tipo: è accaduto così?; non è accaduto così?; hanno cercato di tenere qualcosa fuori dalla portata pubblica? No, non lo fecero: stavano semplicemente cercando di proteggere i propri interessi dato che potevano farlo. Dal punto di vista politico, l’opinione pubblica non venne coinvolta in alcun modo che potesse portarla al progetto della Fed, sebbene l’opinione pubblica generalmente non ha accesso alle decisioni di Washington o di Wall Street o di qualsiasi cosa collegata a questi rapporti di potere.

Ciò che scrivo nel libro è che ci furono molti confronti durante l’amministrazione Taft, tra il 1910 e il 1913, periodi in cui la Federal Reserve venne approvata e autorizzata nel dicembre del 1913. Durante gli ultimi anni sotto l’amministrazione di Woodrow Wilson, ci furono molti confronti sulla costituzione della Fed avvenuti a Washington così come fanno oggi senatori, banchieri e presidenti quando si confrontano, quando fanno riunioni notturne, decidono come le strutture debbano essere applicate e cosa dovrà essere firmato, e come bisognerà girare il tutto all’opinione pubblica. Perciò, se pensi a questo come a una cospirazione, ogni azione del governo lo è.

Ma la realtà è che questo è come quegli uomini hanno agito dato che era nelle loro possibilità farlo. L’idea era principalmente come riuscirci e sotto quale forma. Nel momento successivo all’autorizzazione del Federal Reserve Act da parte di Woodrow Wilson, lui se l’è venduta all’opinione pubblica come una Reserve Bank che avrebbe aiutato nel fornire credito a tutti: ai piccoli agricoltori, alle piccole banche; una banca che avrebbe aiutato gli USA in generale, fornendo credito al sistema nel momento in cui si verificano situazioni finanziarie negative.

Ma la realtà è che sin dal suo esordio la Fed fu foggiata per proteggere le istituzioni USA più grandi, che poi risultarono essere anche le più potenti dal punto di vista politico, sociale e dei legami personali. Ed è questo il motivo per cui ha continuato a operare; perché ha difeso tutte le fusioni avvenute nell’arco di un secolo fin da allora; è perché ha fornito liquidità a beneficio delle banche più importanti; è perché oggi le sei grandi banche sono le più grandi – non sono tutte e sei le stesse di allora, ma in gran parte derivano da quelle sei – e risultano essere più importanti di quanto fossero state prima ad ora, ricevendo più sovvenzioni dalla Federal Reserve di quante ne avessero mai avute prima; infine, la Federal Reserve ha i libri contabili più grandi di quanto mai accaduto in passato. Tutto questo al culmine di un secolo di avvenimenti, alcuni dei quali si possono vedere i risultati.

Gli USA hanno bisogno della Fed?
Il sistema bancario usamericano necessita della Fed, perché senza le sue sovvenzioni probabilmente sarebbe fallito molte volte durante gli ultimi anni. Ma, ripeto che è importante sapere che questo è solo uno dei temi principali del libro che… dagli esordi della Fed, loro avevano bisogno della Fed. Perciò, la Fed è sia una banca per le banche che uno strumento politico del potere finanziario del governo. Il governo crede di aver bisogno della Fed per sovvenzionare e salvare le istituzioni più importanti che sono integrate in tanti e diversi modi con il governo stesso. Queste banche trattano con il pubblico; noi concediamo loro i nostri depositi; i contribuenti sovvenzionano i loro fallimenti e i loro salvataggi. E allo stesso tempo, i concetti filosofici dei membri dell’elite politica e finanziaria degli USA sono schierati dietro la Fed.

Dunque, mi chiedi se abbiamo bisogno della Fed? La gente non ha bisogno della Fed. Le attività che la Fed eroga in relazione al pubblico come le manovre sui tassi di interesse o simili possono essere eseguite dal Dipartimento del Tesoro, nonostante il Dipartimento del Tesoro eroghi ugualmente sovvenzioni e abbia pure supportato i grandi istituti bancari dal punto di vista politico, personale, sociale e finanziario. Già, è utile avere un’entità come la Fed per mantenere i tassi, sebbene questa non sia la sua attività principale; ciò che fa e ha fatto è stato sovvenzionare un sistema bancario fallimentare invece di regolare quel sistema bancario e proteggere la totale disponibilità di credito del paese che, su questo, effettivamente non ha avuto alcun potere. Questa è una delle menzogne su cui la Fed è stata creata 100 anni fa.

E la Fed non è diventata una banca di salvataggio internazionale?
Beh sì, grazie all’intera globalizzazione della finanza, in modi diversi, durante il secolo scorso. Le banche usamericane non sono le uniche esposte al rischio delle crisi finanziarie. Queste crisi stanno aumentando a livello globale e non si prevede un’inversione di tendenza per il futuro. Pertanto, quando la Fed decide di proteggere le grandi banche USA, deve proteggere la maggior parte delle loro controparti a causa della natura globale della finanza che include le banche europee, che a loro volta includono le banche asiatiche, che a loro volta includono la maggior parte delle controparti delle sei grandi banche. Ma non sono solo le politiche della stessa Fed: a parte le sovvenzioni, è anche l’idea della sovvenzione e della filosofia che la sottende a essersi globalizzata.

La Fed ha spinto le proprie politiche in Europa, come si è potuto vedere negli ultimi anni. Ora, in tutta Europa si registra effettivamente una politica degli “interessi zero” insieme con la sovvenzione e il salvataggio e la fortificazione artificiale dei paesi e degli istituti più importanti a spese di quelli piccoli. È una politica istituzionalizzata che la Fed sta promuovendo insieme al Dipartimento del Tesoro e al governo degli USA. Si capisce che è una promozione collaborativa che è diventata anche globale.

Siccome ricorrono i 100 anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, cosa si può dire delle grandi banche di Wall Street e del macello avvenuto in Europa?
Ripeto: si ricollega alla Morgan Bank e alla famiglia Morgan. Quando all’inizio Woodrow Wilson rifletteva sul non intervento degli USA nella Guerra, fece una riunione alla Casa Bianca; fu una riunione molto interessante, perché lui aveva portato avanti una campagna elettorale sulla base della separazione dagli interessi del settore bancario, chiamati all’epoca Cartello Monetario (Money Trust). Ma lui era molto amico dei Morgan: la famiglia lo aveva sostenuto prima che divenisse presidente come pure durante la sua presidenza.

Questa riunione a cui partecipò nel luglio del 1914 alla Casa Bianca venne criticata dalla stampa, perché risultava strano che Morgan fosse in visita alla Casa Bianca dopo che Wilson aveva pubblicamente fatto una campagna contro gli interessi del settore bancario. Si scoprì che Morgan parlava con Wilson del finanziamento di una guerra. E in effetti, quando la guerra scoppiò, gli USA finanziarono da subito francesi e britannici: questo accadde grazie alla spinta della Morgan Bank. Durante il corso della guerra, la Morgan Bank ha finanziato o diretto il finanziamento del 75% di tutto il denaro privato e degli investimenti che confluirono nell’impegno bellico usamericano e di quello dei loro alleati. A quel punto, esisteva una collaborazione molto forte tra la Morgan Bank che organizzava le altre banche e Woodrow Wilson impegnato in guerra. Com’è noto, senza denaro nessuna nazione può ritenersi capace di partecipare a una guerra.

Il Trattato di Versailles è stato  vantaggioso per i grandi banchieri di Wall Street?
C’era un socio di Morgan attivo con Woodrow Wilson quando il trattato stava per essere negoziato e siglato. Quest’uomo si chiamava Tom Lamont, e venne coinvolto nella Morgan Bank per i decenni  a seguire. Nel 1919, lui fu un valido aiuto nella negoziazione dei risarcimenti di guerra che avrebbero fatto parte del Trattato di Versailles. Uno dei motivi dell’importanza del trattato per le banche – le grandi banche in particolare – è che dava loro una qualche stabilità in Europa, in maniera tale che avrebbero potuto essere coinvolte negli investimenti e nella ricostruzione delle infrastrutture europee. Le grandi banche avrebbero finanziato le infrastrutture e la ricostruzione per conto di tutti i partecipanti alla Guerra Mondiale.

Quindi, ne hanno beneficiato perché furono capaci di espandere la loro portata e i loro affari in Europa in una maniera impossibile da praticare prima della guerra; perciò, il trattato stesso alla fine della guerra fu di grande aiuto. Naturalmente, in definitiva il trattato non fu sufficiente, perché si è avuta una seconda guerra mondiale, dopo il grande crac del 1929 e dopo la Grande Depressione, momenti attraverso cui i banchieri continuarono a spingere il governo usamericano a stanziare fondi per alcune delle nazioni a cui loro stessi stavano erogando finanziamenti privati: il motivo era semplicemente quello di poter continuare con i loro finanziamenti privati. Ci fu una serie di accordi dopo il Trattato di Versailles in cui vennero coinvolti i banchieri, dato che il trattato stesso non risultò sufficientemente valido; durante questi accordi, i banchieri furono ancora abili  a spingere il governo usamericano a finanziare certe ristrutturazioni in Europa, in maniera che potessero usare quelle operazioni come da salvadanaio e ancora una volta aumentare la propria portata finanziaria in Europa.

La Federal Reserve è stata un fattore cruciale nella creazione del grande crac del 1929?
La Fed non è stata un fattore importante allora come non lo è stata oggi nell’iniezione di denaro a basso costo a Wall Street. Ma costituì un fattore. Uno dei dirigenti delle sei grandi banche - Charles Mitchell – era anche un direttore di primo livello della Fed a New York e presidente della National City Bank. Mentre i mercati stavano iniziando a vacillare agli inizi del 1929, lui fece pressioni sull’intera Fed affinché si riducessero i tassi di interesse, permettendo l’iniezione di denaro a basso costo e di liquidità nel sistema, perché lui, analizzando i propri libri contabili e basandosi sui rapporti d’affari che intratteneva, sapeva che la situazione era molto più problematica.
Quindi, in un certo qual modo, i movimenti della Fed potrebbero aver esacerbato l’intensità del crac. In realtà, furono le manovre delle banche più importanti la causa principale. Queste erano state coinvolte in ogni sorta di speculazione dopo la Prima Guerra Mondiale, grazie a tre presidenti degli USA - Warren Harding, Calvin Coolidge, ed Herbert Hoover - che attuarono una politica di non intervento nei confronti dei generi di speculazione che questi banchieri potevano compiere – e che poi in definitiva hanno compiuto a iosa. Il Segretario del Tesoro allora era Andrew Mellon. Un truffatore, un milionario, un industriale e anche amministratore di banca. Alla fine, caduto in disgrazia, lasciò l’amministrazione Hoover, a causa di accuse di vario genere su evasione fiscale e sull’uso delle politiche fiscali create per aiutare se stesso nella bolla speculativa. Perciò chiunque era coinvolto.

Le politiche della Fed hanno prodotto qualche beneficio durante la Grande Depressione?
Non esattamente. La misura politica principale che fu d’aiuto durante la Grande Depressione fu il Glass-Steagall Act, e la fiducia che instillò a favore del sistema bancario. Infatti, quella legge separava le attività speculative dai depositi monetari, così come le risorse potenziali per le persone nel paese, per i contribuenti, di dover sostenere rischi addizionali riguardo a ciò che il settore bancario stava facendo.

La Federal Reserve oggi parla della Fed di allora come coinvolta nel rimedio alla Grande Depressione (sebbene Ben Bernanke asserisca che sarebbe dovuta intervenire più rapidamente). Ma la realtà è che la Fed non era così evoluta come lo è oggigiorno: la Fed non era abbastanza matura. Quindi, molto di ciò che stava accadendo doveva venire dalla legislazione, dalla dirigenza, anche dalla polvere; e un dirigente bancario in particolare, il presidente di Chase - Winthrop Aldrich-, sotto Franklyn Delano Roosevelt, di cui era amico, lavorò con lui per spingere e promuovere e appoggiare il Glass-Steagall Act, perché credeva che fosse importante per il paese e per la fiducia nel settore bancario in generale riuscire ad avere un sistema più sicuro e stabile.

Perché si è avuto un trasferimento di poteri da Morgan a Rockefeller durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale?
Come ho detto prima, la Morgan Bank era stata il finanziatore preminente, ordinando e disponendo del 75% dei finanziamenti privati durante la Prima Guerra Mondiale, ed essendo strettamente legata a Woodrow Wilson e al Segretario del Tesoro di allora. Venne particolarmente coinvolta nelle decisioni che Washington prese per finanziare lo sforzo obbligazionario per la guerra a raccogliere fondi attraverso tutti gli USA, etc. Ma, quando intervenne la Seconda Guerra Mondiale - Chase (che era più una banca di Rockefeller), tramite il suo presidente Winthrop Aldrich, che era amico di F. D. Roosevelt, fece pressioni per un trasferimento del finanziamento della guerra dalla Morgan Bank.

Quindi lo sforzo obbligazionario detto Liberty Bond o War Bond per la Seconda Guerra Mondiale negli USA, venne davvero portato avanti da Aldrich, così come dalla National City Bank, l’altro grande istituto bancario guidato da James Perkins e, dopo la sua morte, da un  altro paio di esecutivi, incluso Randolph Burgess – direttore della Fed a New York prima di diventare vicepresidente alla National City Bank  - che aveva un legame molto stretto con Morgenthau, Segretario del Tesoro di F. D. Roosevelt.

Queste relazioni tanto forti con l’amministrazione di F. D. Roosevelt, di Truman e di Eisenhower iniziarono a pendere verso Chase e National City. Inoltre, queste banche avevano un differente modello rispetto alla Morgan Bank: loro usavano il denaro delle persone nella campagna bellica e avrebbero chiesto alla gente di aprire conti correnti presso di loro e al contempo di comperare le azioni emesse durante il periodo bellico. Perciò, durante tutto il periodo bellico questi guadagnavano clienti, che avvantaggiarono la loro forza avendo dato loro più capitale per il futuro, oltre a essere intrecciati con Washington, e gestire le azioni emesse durante quel periodo e lo sforzo nel finanziamento privato. Quindi l’equilibrio si spostava da un semplice rapporto a un altro dovuto anche alla filosofia del coinvolgimento maggiore dei singoli alla partecipazione.

In che modo il potere finanziario ha modellato l’ordine mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale?
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il presidente era Truman e la Banca Mondiale era appena stata creata attraverso gli accordi di Bretton Woods insieme con il FMI, etc, c’era una persona di nome John McCloy. Questi era stato Assistente Segretario alla Guerra sotto  F. D. Roosevelt, avvocato e aveva lavorato a stretto contatto con la famiglia Rockefeller, con Nelson Rockefeller e, più tardi, con David Rockefeller. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, a questa persona venne chiesto di essere il secondo presidente della Banca Mondiale. Nell’accettare la nomina, pose una condizione – cioè che Wall Street fosse il centro di distribuzione delle azioni che dovevano finanziare molte delle iniziative della Banca Mondiale. La sua era una richiesta al di fuori della legislazione, ottenuta grazie al confronto con il Segretario del Tesoro di Truman, in cui stabilirono che Wall Street fosse il centro da cui si sarebbe deciso quali nazioni la Banca Mondiale avrebbe sostenuto.

Questi paesi erano capitalisti e durante la Guerra Fredda ottennero un trattamento migliore. L’amministrazione di Eisenhower avrebbe finanziato i paesi maggiormente allineati agli ideali di John McCloy, il quale più tardi  divenne presidente di Chase, e di altri banchieri del tempo. Quindi, molto di ciò che avvenne, sia dal punto di vista militare che finanziario in termini di espansionismo usamericano dopo la Seconda Guerra Mondiale e attraverso la Guerra Fredda, fu questo schieramento e allineamento di finanzieri che avevano il supporto militare degli USA e il supporto ideologico nel governo usamericano che voleva l’espansione degli interessi dei banchieri nei paesi che avevano e usavano come punto d’appoggio. C’era questo allineamento reciproco mentre gli USA accrescevano il proprio status di superpotenza politica e finanziaria dopo la guerra. La Banca Mondiale e il FMI erano solo componenti o strumenti di quella crescita.

Il modello di Bretton Woods pose sullo stesso piano l’usdollaro con l’oro. Perché molti banchieri di primo piano si fecero fautori della cessazione del gold standardalla fine degli anni 60-inizio 70? Può essere che il gold standard servisse come efficace freno all’eccessiva crescita finanziaria e all’abuso di pratiche bancarie?
Certo, l’oro era uno tra i più efficaci freni all’eccessiva crescita finanziaria e contro gli abusi. L’oro serviva effettivamente come regola in qualche modo. Frenava l’espansione dei banchieri, perché dovevano avere un dato quantitativo di riserva da parte, un patrimonio reale alla stessa stregua di tutti gli altri partecipanti coinvolti nel mondo. Grazie a ciò, i banchieri usamericani persero il controllo del movimenti dell’oro in entrata e uscita dalle loro aziende. Sono tornati a un nuovo livello di espansione, solo una volta che hanno convinto il governo usamericano a eliminare ilgold standard e a rifuggire la richiesta che l’oro dovesse supportare le transazioni o le speculazioni o le espansioni.

Ecco perché oggi preferiscono molto di più avere denaro a zero interessi, denaro a basso costo, in modo tale da avere meno barriere alle proprie attività. Questo fa parte dello stesso schema e della stessa logica dell’evitare la pratica del gold standard: preferiscono avere la strada verso la speculazione con meno limitazioni possibili. C’è stata un’incredibile espansione globale degli interessi bancari usamericani, già iniziata dopo le guerre, ma che è aumentata dopo che la pratica del gold standard venisse eliminata, perché era la maniera più semplice di agire, concedendo solo meno barriere ai banchieri. Si resero fautori in pubblico affinché il   gold standard venisse eliminato; difatti, quando Nixon finalmente lo annunciò  nel ’71, non si presentò con l’idea da solo; fu qualcosa che Walter Wriston, presidente di National City Bank, e David Rockefeller, presidente di Chase,  richiesero con forza attraverso lettere e corrispondenza e altri generi di confronti personali di cui parlo nel mio libro.

Crede che l’oro possa avere un futuro nel sistema monetario?
Credo esista certamente un terreno pieno di persone che vogliono l’oro nei paesi al di fuori degli USA a causa di come il sistema finanziario si è evoluto in maniera globale. Le banche usamericane in particolare hanno un grande potere, politico e finanziario. Politico, grazie alle loro alleanze con il governo usamericano; e finanziario, grazie a come hanno usato a proprio vantaggio il capitale a basso costo senza riserve di oro a garanzia.

Ma penso che sia anche la ragione per cui stia per avvenire un più grande trasferimento di poteri, politici e finanziari; più che avere davvero l’oro… avere quel tipo di futuro – perché questi banchieri stanno per intraprendere una lotta con i denti e le unghia. Le istituzioni, le relazioni che intrattengono con i dirigenti di Washington, con la Federal Reserve, rivelano quale incredibile quantità di forza c’è nel non avere l’oro per le transazioni e le espansioni in tutto  il mondo.
Quindi, credo che ci sarà una dura battaglia per un ritorno all’oro come reale richiesta per sostenere la speculazione. Sarà un lungo percorso per quanto possibile, data l’opposizione di un’alleanza fortemente concentrata e potente dal punto di vista politico e finanziario negli USA.

Ciò che ha tenuto in vita l’usdollaro dopo i primi anni 70 è stato il fatto che il petrolio fosse venduto solamente in quella valuta. In che modo il petrodollaro ha cambiato negli anni 70 i rapporti tra Wall Street e Washington?
Ottima domanda. La storia che ho ricondotto dai primi del 900 attraverso gli anni 70 è una storia di rapporti molto stretti, di legami familiari e di collegamenti sociali tra i banchieri di Wall Street e i capi di Washington che condividevano soprattutto la stessa visione del modo di fare politica. Ma, dal momento in cui i banchieri scoprirono di potersi impegnare nel riciclaggio dei petrodollari – denaro in usdollari al di fuori dei profitti del petrolio in Medio Oriente – iniziarono a frammentarsi, evitando di avere persino la pretesa di essere allineati con le politiche USA a sostegno della propria popolazione o delle persone a livello globale.

All’improvviso, si sono trovati con questa fonte esterna di incredibile redditività; un capitale che si andava a sommare a quello che riciclavano nel debito dei paesi dell’America Latina dove si erano volute espandere. Iniziarono a staccarsi dall’alleanza con il governo, tranne quando questi poteva convenire esclusivamente ai loro interessi, anche se oggi continuano ad avere legami stretti con i membri d’elite del governo usamericano per spingere i propri interessi. Per di più, la responsabilità di azione precedente agli anni 70 ha subito una flessione nel momento in cui la sconsideratezza è aumentata tra i banchieri e le banche più potenti di Wall Street.

Già. Un esempio potrebbe essere questo: nel suo libro scrive della rivoluzione in Iran del 1979 e di come fosse stata in parte causata da un’azione solitaria intrapresa da David Rockefeller. Ci può dire qualcosa in merito, per favore?
Sì, per il mio libro ho speso parecchio tempo nelle biblioteche relative ai presidenti. Negli archivi di Jimmy Carter, ad Atlanta (Georgia), hanno un sistema chiamato RAC che ha molti file, in particolare file sulla sicurezza nazionale che di recente sono stati desecretati. Tracciandoli insieme, risulta evidente che ci fosse molta tensione a Washington circa i rapporti che David Rockefeller aveva intrattenuto con lo Scià prima della crisi iraniana, durante la crisi degli ostaggi in Iran, ma anche dopo, quando Chase in maniera unilaterale scelse di fare qualcosa di molto sfrontato, al testamento di David Rockefeller, consistente nel non accettare un pagamento di interessi dalla Banca Centrale dell’Iran. Chase prese questa decisione senza consultare un gruppo dei finanziatori di questo prestito, sia quelli europei che gli usamericani. Dopo la sua decisione di rifiutare il pagamento degli interessi, questi dichiararono insolvente la banca.

Fu la prima insolvenza mai occorsa alla Banca Centrale iraniana: questo intensificò le tensioni su ciò che stava capitando con la crisi degli ostaggi e, in generale, sui rapporti tra gli USA e l’Iran. L’accordo per il rilascio degli ostaggi alla fine della crisi giunse quando gli iraniani ricevettero la restituzione di molto del denaro che Chase e altre banche avevano sequestrato. Tutto ciò è andato avanti fino agli ultimi momenti prima del rilascio degli ostaggi, fatto avvenuto sotto l’amministrazione di Ronald Reagan e non di Carter. Ci fu parecchia attività tra le banche coinvolte nel cambiamento delle cifre e nella mancanza di fiducia negli stessi numeri da parte degli USA nei confronti dell’Iran.
È una storia molto intricata, ma essenzialmente dimostra che i rapporti di David Rockefeller con lo Scià fossero una parte del motivo scatenante della crisi degli ostaggi e del fatto che sia durata tanto a lungo - in particolare, le negoziazioni proprio alla fine quando arrivò il denaro. Questi furono problemi causati da Chase e da altre banche che ritardarono l’intera operazione.

Andiamo avanti più velocemente. Vede il potere finanziario degli USA in declino nel mondo?
No. A differenza di quanto sostengono molti miei contemporanei – esiste questo potere di alleanze, grazie alla rigidità e ai legami storici tra la Casa Bianca e i protagonisti, le istituzioni e i retaggi più potenti di Wall Street. C’è così tanto in gioco per tutti loro: si buttano sovvenzioni di dimensioni epiche a fondo perduto affinché si mantenga il sistema finanziario così com’è, perché rafforzi il potere del governo di Washington e viceversa.

Ed è il motivo per cui il governo consente a questi importanti banchieri e istituti di passarla liscia su quello che combinano e li sovvenziona così come continua a fare. Queste banche vengono puntellate e artificialmente sostenute grazie alle sovvenzioni, e non certo per la propria redditività. La situazione in cui versano è una posizione molto pericolosa: il problema è che coinvolgono anche noi. La Fed mantiene 4.200 miliardi di usdollari di titoli nella sua contabilità, dovuti a un acquisto di obbligazioni di livello epico, in aggiunta al fatto di poter proseguire l’attività con una politica a zero interessi da circa sei anni fino a oggi sulla scia della crisi del 2008.

Questo è solo un altro segno di quanta forza e potere, di quante sciocche sebbene reali decisioni vengano prese a Washington per mantenere quest’alleanza di potere. Non credo che oggi esista al mondo altra nazione che abbia un legame talmente forte tra le sue politiche e il suo sistema bancario. Ed è lo stesso motivo per cui gli USA continuano a perseverare in ciò che fanno, prendendo decisioni e consentendo impunità per quegli individui in questo gioco di potere. Credo che finché durerà questa enorme portata di sovvenzioni unita a una risibile responsabilità da parte del sistema bancario, il potere finanziario degli USA verrà mantenuto. È certamente il modo peggiore di mantenere il potere, ma credo che sia ciò che stiamo vivendo ora e che vivremo in futuro.

Una domanda spontanea. Crede che le agenzie di intelligence usamericane siano coinvolte in questo gioco di potere e sostengano il sistema finanziario degli USA?
Devo dire che non ho fatto ricerche specifiche per il mio libro su quest’argomento, anche perché costituisce e riguarda tutta un’altra serie di problemi. Il sistema di sicurezza e controspionaggio usamericano fa parte del collante – da un punto di vista tecnico – tra la finanza e il governo. Le politiche di sicurezza nazionale in genere si sono allineate con le politiche di espansione delle banche per decenni. Nell’analizzare gli anni 70, ho usato i registri della sicurezza nazionale, non quelli del Tesoro, al fine di comprendere cosa realmente avvenne durante la crisi degli ostaggi in Iran. Quindi, sono certa del fatto che, più andiamo avanti, più riusciremo a leggere documenti che dimostrano un forte allineamento delle più recenti iniziative della sicurezza nazionale con le elite politiche e finanziarie.

Come giudica la fine del gioco della crisi finanziaria in corso? E la gente come può prepararsi a ciò?
Questa è un’altra ottima domanda. Stiamo adesso alla fine della partita. I più importanti protagonisti della finanza, sulla scia della crisi del 2008, sono stati sovvenzionati dai governi in maniera assolutamente ridicola, specialmente negli USA, ma anche in Europa, dove la BCE ha fatto registrare delle decisioni per mantenere e aiutare le banche europee più importanti.

Mi aspetto che questo gioco continui, e il risultato sarà una più alta concentrazione e consolidamento mai avuti sinora nelle mani delle banche più grandi e dei loro dirigenti. Negli USA, per esempio, le sei banche più grandi oggi posseggono più patrimoni, più depositi e controllano più derivati di quanto sia mai accaduto nella storia nazionale. Il gioco continuerà, visto che un piccolo gruppo di persone e di istituzioni controlla così tanto capitale e, implicitamente, anche le connessioni con le elite politiche:  questa concentrazione di enorme potere e capitale continuerà.

Dove ci porta? Voglio dire che è andata avanti per molto tempo  nella direzione sbagliata rispetto alla stabilizzazione della situazione dei singoli. Perciò, come possiamo proteggerci? Si può ridurre al minimo il denaro depositato nelle banche più importanti. Anche se abbiamo dei mutui in quelle banche; cioè possiamo cercare di ridurre al minimo l’altro ammontare di capitale a cui partecipiamo, perché, almeno, questo è un modo di essere in parte fuori da questo sistema truccato. Credo che sia importante. Bisogna rendersi conto che l’euforia del presunto recupero di cui sentiamo parlare dal 2009 sia effettivamente un recupero confezionato ad arte spalleggiato dai tassi a zero interessi, dal programma di acquisti di portata epica di titoli obbligazionari e da tutto ciò che accade dietro le quinte tra dirigenti politici e bancari che intendono mantenere un’apparente stato di salute del sistema, benché sia in realtà  manipolato.

Una domanda per chiudere. Nomi, perché ha rinunciato alla sua carriera nel settore bancario?
Quando l’ho fatto più di dodici anni fa, ne avevo avute abbastanza e mi andava bene così. È stata una decisione che andavo maturando e nel 2001 c’è stata la combinazione degli scandali della Enron, di WorldCom, l’11 settembre, come sai; sono rimasta nel settore per un pò e ho visto le cose cambiare mentre ero lì; e tutto questo ha alimentato la mia personale disillusione nei confronti del genere di persone che si stavano facendo strada nelle istituzioni. È stato profondamente ripugnante: il livello di segretezza, il solo livello di velatura – non solo di avidità – ma la negazione della trasparenza nei confronti dei correntisti, dei clienti o degli investitori sulle transazioni e sui titoli che venivano creati e quali erano i lati negativi delle transazioni. Quando ho iniziato a Wall Street, per noi era più importante mostrare ai clienti i lati negativi che avrebbe avuto ogni singolo scambio azionario, dicendo loro: se compri questo, se vendi quest’altro, se fai questa combinazione si potrebbe verificare questo scenario negativo. Ma tutto questo è diventato sempre meno interessante all’interno del settore bancario. Mentre abbandonavo il settore, il mercato dei crediti derivati si stava ovviamente gonfiando.

Quando mi sono messa a scrivere libri, ho avvertito di ciò che sarebbe successo. Nel mio primo libro -   “Other People’s Money” (I soldi degli altri”) pubblicato nel 2004, sulla scia dell’appello al ritorno della Glass-Steagall – parlo del  perché bisognava riavere la Glass-Steagall; se avessimo continuato sulla strada dei derivati e dei CDO (Collateralized Debt Obligation; titoli a reddito fisso tutelato da un portafoglio di obbligazioni, prestiti e altri strumenti, NdT) e a usare i prestiti per fiancheggiare titoli fallimentari – tutto ciò avrebbe generato una grande crisi. Ed è ciò che è successo e continuo a credere che succederà ancora. Ciò che faccio adesso è di cercare di allertare le persone su ciò che sta accadendo facendo leva sulle esperienze personali di quando c’ero dentro. Quando ho lasciato, ho provato un senso di disillusione e di critica che, tuttora, continuo a mantenere. Credo di averne pubblicamente dato prova. Ora, da scrittrice ho una vita senz’altro migliore di quando lavoravo come banchiera, perché ritengo di avere la coscienza a posto.

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