Vladimir Putin (Getty Images) |
Un lettore, di cui non faccio il nome perché non mi ha dato l’autorizzazione, mi accusa di essere filo putiniano. La mia colpa? Durante la puntata di Dritto e rovescio di giovedì scorso ho detto di essere rimasto colpito dalle immagini di Putin in mezzo alla folla.
Non che le foto mi abbiano convinto che il presidente russo goda di grande popolarità, semplicemente quegli scatti e quei filmati hanno confermato che lo zar gode di buona salute. Negli ultimi due anni lo hanno dato per morto più volte e quando non ne è stato annunciato il decesso lo si immaginava più di là che di qua, ossia gravemente malato, affetto da patologie che non gli avrebbero lasciato scampo. In realtà, Putin è vivo e vegeto e minaccia l’Occidente, oltre che l’Ucraina.
Ai miei occhi tutto ciò non lo fa sembrare diverso da quel che ho sempre creduto che sia, ovvero un uomo che con ogni mezzo, anche il più abietto e criminale, è determinato a conservare il proprio potere. Ma a prescindere da quel che penso del presidente russo e che ho espresso più volte, le immagini di lui sorridente ai concerti o fra la gente in fila al mercato mi inducono a ritenere che insieme a uomini, donne e bambini la guerra abbia ucciso anche l’informazione.
Ecco, dopo due anni di bombardamenti e atrocità, il risultato non è solo che la Russia non è battuta, come si credeva e si sperava, ma è l’Ucraina che rischia di essere sconfitta e con essa i Paesi occidentali, con tutte le certezze che fino a oggi hanno coltivato. E le convinzioni che ci hanno raccontato e con cui ci siamo illusi.
L’Europa e gli Stati democratici, essendo convinti di rappresentare il bene, sono sicuri che il bene non possa e non debba perdere contro il male. Ma purtroppo la questione non è filosofica, perché la guerra non è una disquisizione morale. Qui siamo nel mondo reale, dove le persone sono massacrate a colpi di cannone e la gente muore mentre fa la coda per un pezzo di pane o dorme nel proprio letto. Senza parlare delle centinaia di migliaia di soldati spirati dentro una trincea.
L’Europa e gli Stati democratici, essendo convinti di rappresentare il bene, sono sicuri che il bene non possa e non debba perdere contro il male. Ma purtroppo la questione non è filosofica, perché la guerra non è una disquisizione morale. Qui siamo nel mondo reale, dove le persone sono massacrate a colpi di cannone e la gente muore mentre fa la coda per un pezzo di pane o dorme nel proprio letto. Senza parlare delle centinaia di migliaia di soldati spirati dentro una trincea.
Nonostante la tecnologia, i satelliti, i droni, i missili ipersonici, alla fine gli eserciti affondano nel fango e non si può liquidare la faccenda semplicemente dicendo che Putin non può vincere, perché non si tratta di una questione di principio, ma di una faccenda dove troppe persone con indosso una divisa sono considerate carne da cannone, dall’una e dall’altra parte. Il lettore mi rimprovera dicendo che «la storia fin dai tempi di Pericle e di Demostene ci dice che la difesa della libertà è sempre stata pagata cara. Non da ultimo il Risorgimento italiano». E aggiunge: «Lei mi dirà: è disposto a pagare con la sua vita la libertà dell’Ucraina? Le rispondo sì, anche se con sofferenza, dovrei essere disposto».
Non conosco l’età del lettore, ma a colpirmi nella sua mail è l’uso del condizionale. Non dice sì, sono pronto a immolarmi per l’Ucraina: scrive «sì dovrei essere disposto». La questione è tutta qui. Neanche a parole, scrivendo a un giornale mentre è in ufficio o seduto nel salotto di casa, riesce a dire sì, sono pronto a combattere e anche a morire. Mi scrive che la sua è una posizione «intellettuale» o se preferisco «morale» e conclude che «la vita non è solamente soldi e vantaggi personali».
Non conosco l’età del lettore, ma a colpirmi nella sua mail è l’uso del condizionale. Non dice sì, sono pronto a immolarmi per l’Ucraina: scrive «sì dovrei essere disposto». La questione è tutta qui. Neanche a parole, scrivendo a un giornale mentre è in ufficio o seduto nel salotto di casa, riesce a dire sì, sono pronto a combattere e anche a morire. Mi scrive che la sua è una posizione «intellettuale» o se preferisco «morale» e conclude che «la vita non è solamente soldi e vantaggi personali».
Ma qui non stiamo parlando di che cosa sia giusto, di cosa sia sbagliato. Stiamo discutendo di un conflitto e lo facciamo avendo di fronte un nemico che minaccia ogni giorno di sganciare ordigni nucleari e scatenare la terza guerra mondiale. Non una questione morale e nemmeno una lezione di filosofia. Dunque, quando dico che, insieme con centinaia di migliaia di vittime, sta morendo anche la verità, non difendo Putin, ma solo il buon senso.
All’ipocrisia oppongo la realtà. Che può piacere o non piacere, ma far finta di non vederla non aiuterà né noi né gli ucraini. Putin doveva morire di cancro e non è morto. Poi doveva essere destituito da un colpo di Stato e l’unico colpo che si è sentito è quello che ha abbattuto l’aereo di chi aveva organizzato il golpe. Doveva essere messo al bando e invece è ricevuto e riceve con tutti gli onori altri satrapi del suo calibro. La Russia doveva dichiarare bancarotta due anni fa e invece ad andare in malora è l’economia dei Paesi europei.
L’esercito di Mosca doveva essere in rotta, con i generali cacciati a calci nel sedere, e purtroppo a battere in ritirata sono le truppe ucraine e a essere destituito è il comandante in capo di Kiev. I supermercati russi dovevano essere desolatamente vuoti, gli oligarchi in bolletta e i commerci internazionali di Putin azzerati e invece niente di tutto ciò è accaduto. In pratica, per due anni ci siamo raccontati ciò che volevamo sentirci dire, ma la realtà è il contrario di tutto quello che sognavamo e speravamo.
Sostenere tutto ciò non significa fare il tifo per Putin, ma non essere conformista, libero di parlare e descrivere anche ciò che qualcuno non vuole sentirsi dire. Lei scrive che per difendere la libertà «dovrebbe» o «potrebbe» essere disposto anche a pagare con la vita. Io invece, per difendere la libertà, non sono disposto a raccontare una realtà che non esiste, abbellendo la storia affinché abbia un finale rosa invece che rosso sangue.
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