de Fabio manca
«Viviamo una crisi pazzesca in tutti i settori della società: per i sardi è un'occasione storica, la più proficua del dopoguerra»Giacomo Sanna
Che cos'è l'indipendentismo. E soprattutto, come si concretizza?
Giacomo Sanna fa un sospiro, sorride sornione, guarda dritti negli occhi gli interlocutori e risponde non da filosofo utopista ma, da uomo pragmatico, con gli esempi. «Spiegarlo alla gente è difficile, bisogna evitare astrattismi, parlare la lingua giusta con chi ha perso il lavoro, con chi dispera di trovarlo, con chi ha perso la dignità».
Dunque?«Indipendentismo, cito tre casi, è affrontare la questione dell'energia, del costo del denaro e dei trasporti tenendo conto che siamo un'isola e non Milano, che i nostri costi sono nettamente superiori».
Ma per questo basta l'autonomia?«Evidentemente no. L'autonomia ha i suoi limiti ed i Governi sono sempre più arroganti, egoisti. Non distinguono, fanno due conti ed emettono provvedimenti che penalizzano i più deboli».
Il sistema fiscale, ad esempio.«Esatto. Il nostro è uguale per ricchi e poveri. Inaccettabile. Problemi diversi non si possono affrontare con gli stessi strumenti».
Lei che cosa farebbe?«Ad esempio voglio poter decidere che le nostre imprese o quelle che investono e assumono in Sardegna paghino un'aliquota Irpef all'otto o al dieci per cento».
La crisi economica, la crescita dell'avversione ai partiti come simbolo della degenerazione morale ed economica rendono la gente più sensibile all'indipendentismo?«Abbiamo, lo dico paradossalmente, la fortuna di vivere una crisi pazzesca in tutti i settori della società e abbiamo un problema morale gigantesco. Questo rende la gente disperata, la fa riflettere. Se hai la pancia piena, i vantaggi dell'indipendenza non ti toccano. Se sei disperato sì. È un'occasione storica, la migliore del dopoguerra».
Perché?«Sa qual è la differenza rispetto ad allora? Che la gente prima della guerra non aveva niente o aveva poco e doveva costruire tutto. Era tutto difficile ma c'erano stimoli, persino entusiasmo. Ora è diverso: gli italiani stanno passando da un consumismo sfrenato al precipizio. Tra non avere e dover conquistare ed avere molto e perdere tutto c'è un abisso. Per questo dico che è un'occasione storica».
Non a caso la stanno cavalcando molti partiti italiani di maggioranza e opposizione. Che recentemente in Consiglio regionale hanno approvato il vostro ordine del giorno che propone di verificare «il fondamento della permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana«È una ulteriore dimostrazione che il sentimento cresce assieme al risentimento verso un Governo che ci schiaffeggia ogni giorno, incapace perfino di rispettare gli impegni che assume e le leggi che emana. Ecco perché molti stanno entrando nel recinto dell'indipendentismo».
Oggi qualcuno parla di secessione al contrario, cioè è lo Stato che ci allontana, come una zavorra.«No gli do torto. Però è un paradosso».
Un popolo litigioso come il nostro è capace di autodeterminarsi? Continuiamo ad essere mal unidos e i primi a dividersi sono i promotori dell'indipendenza.«Ha ragione. Nella galassia c'è un difetto di democrazia, c'è chi fatica ad accettare regole condivise e fatica a stare assieme. L'indipendenza non può diventare una dittatura».
Anche il suo partito si è diviso mille volte.«Vero, ma ha avuto scissioni momentanee e chi si è allontanato ha avuto vita politicamente breve».
Come il suo amico Efisio Serrenti?«Eravamo amici, lo invitai a non strappare, ma lui decise di sostenere la Giunta Floris e ci dividemmo. Soffrii molto per la sua scelta. Ma alla lunga non pagò. I Sardistas si sono estinti dopo pochi anni».
Si sono scisse anche Sardigna Natzione e Irs, è nata Progres.«In un movimento le discussioni sono fisiologiche come le battaglie, anche dure. Bisogna credere nella propria missione ed essere capaci di superare le difficoltà. Con Bustianu e Gavino ho fatto molte battaglie, sono miei amici, non si può non andare d'accordo con loro. Abbiamo fatto Sardegna libera, una creatura che ho voluto, ma la gente non era matura. Arriverà il giorno in cui lo sarà».
C'è la possibilità che voi e i Rossomori vi riuniate?«Le racconto un aneddoto. Molti anni fa, a Sassari, ero assessore provinciale e facevo vita di sezione. Ci furono divergenze nel partito ed io per nove mesi non presi la tessera, ma rimasi dentro. Né io né nessuno dei miei compagni di partito pensammo di andar via anche se c'erano difficoltà. Non si va via dalla squadra se si perde la partita. Ecco perché non voglio riportare dentro chi ha creato divisioni e lacerazioni».
Anche di recente il tavolo della convergenza indipendentista ha lavorato a lungo per costruire un documento sui valori condivisi poi si è spaccato.«Ho visto».
Una delle cause sembra essere stata il referendum sull'indipendenza promosso da Malu Entu: secondo alcuni suoi commensali ha fatto una imperdonabile fuga in avanti solitaria.«Concordo. Doddore lo conosco dal congresso dell'81, è simpatico ed ha carisma. Ma deve capire che non ci si può imbarcare in una battaglia come questa anticipando i tempi, per fare il primo della classe. O magari per recuperare finanziamenti».
Ma ha appena detto che i tempi sono maturi.«Per battersi per l'indipendenza sì, ma proprio per questo occorre ragionare, pianificare, convergere, non fare fughe in avanti. Bisogna trovare il modo giusto per fare le cose».
E qual è il modo giusto?«Faccio l'esempio del referendum sulle scorie. Bustianu lo promosse, noi gli demmo una mano. Fummo aiutati da tutti i media, che garantirono informazione dettagliata e costante e, dunque, un traino straordinario, l'iniziativa fu sposata dal presidente della Regione Cappellacci che si schierò apertamente con noi e ci fu un colpo di fortuna».
L'incidente in Giappone.«Esatto. Tutto questo ci consentì di conquistare una vittoria straordinaria contro il Governo».
Qual è la controindicazione dell'indipendentismo?«Non ce ne sono. Se invece mi chiede qual è il limite attuale ribadisco: la democrazia. C'è ancora qualcuno che la mette in discussione, che non la accetta che non la applica, che ha difficoltà a stare assieme».
Potreste imparare dai baschi o dai catalani. O anche da Malta e Cipro.«Hanno concretizzato ciò che noi riusciamo solo a postulare, hanno un'altra statura».
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