mercoledì 22 agosto 2012

Osservazioni sulle proposte Maroni, nuovo movimento sardo federativo indipendentista Zona franca Europa dei popoli, Corsica

Sappiamo d'essere ad un bivio, il movimento indipendentista sardo ha necessità di dibattere e analizzare la situazione politico-economica generale dello stato in cui versa la nostra terra per una sua soluzione; 

Analizzare la nostra storia con tutte le sue implicazioni politiche correlate, per ragionare su nuove possibilità, se vi sono, e affrontare la nostra condizione di colonia per il suo superamento , a favore della sovranità e indipendenza sarda.

L'articolo di Mario Carboni è sicuramente un buon motivo di dibattito , sia per le idee che vengono espresse che per la riflessione risultante.
Buona lettura e discussione .

Sa Defenza

by Mario Carboni

Secondo l'On.Maroni la Sardegna dovrebbe, assieme alla Corsica indirizzarsi verso la creazione di una Zona franca comune e puntare alla creazione di una Macroregione europea nel Meditterraneo occidentale con la quale realizzare federalisticamente in gran parte le idee indipendentistiche tanto diffuse in queste due isole.

Secondo l'On.Maroni che ha parlato alla III festa della Lega Nord-Sardegna, questa strategia si sposerebbe bene con quella della Lega per la creazione di una Macroregione alpina comprendente le Regioni del Nord Italia con zone appartenenti ad altri stati europei confinanti.
Parlando agli iscritti della Lega Nord-Sardegna ha anche auspicato la creazione in Sardegna di un nuovo Movimento politico con al centro la proposta della Zona franca come motore programmatico.

L'interpretazione che da militante indipendentista senza partito e da sempre promotore della Zona franca in Sardegna mi sento di rischiare è che Maroni stia cercando di mettere assieme un nuovo tassello nella sua visione politica della Lega Nord che appunto qualcuno ha definito Lega 2.0.
Non è una revisione da poco perché intanto sembra dire chiaramente a chi vuole intendere fra gli iscritti che il loro sbarco in Sardegna, pur potendo contare su adesioni importanti nelle loro piccole teste di ponte, è stato per molti versi sbagliato e che così continuando non si va da nessuna parte.

L'intervento pianificato dopo le difficoltà di raccordo con forze locali di cultura indipendentista e sardista, è stato legittimo ma costruito sopratutto sulla credibilità della Lega di qualche anno fa, sulla forza rappresentata dai grandi numeri dell'espansione leghista, dall'essere partito di governo, dalla credibilità ormai evaporata di Bossi e di quella ancora salda di Maroni.
Questo insieme di fattori di attrattività, non più presente, ha attirato senz'altro sardi che credono che lottare “per l'indipendenza della Padania” sia in un certo qual modo lottare per l'Indipendenza o maggior Autonomia della Sardegna.
Ma ha attirato anche sardi che “meridionalisticamente” hanno pensato di accasarsi in un partito sì “padano” ma purtuttavia “nazionale” in quanto governativo, così come altri sardi fanno iscrivendosi ad altri partiti continentali solo per lucrare la possibilità di fare politica non per particolari ideali ma solo per se stessi.

Sino ad ora non si è capito quale sia stata la linea dei leghisti in Sardegna sopratutto sui temi dell'indipendenza sarda né, se ci sono, chi sarebbero i leader locali e qual'è il loro pensiero.
I successi alle amministrative come si sa si costruiscono su valori legati alle persone, alle famiglie, ai clan o giocando sulle contraddizioni degli altri schieramenti paesani.
Ma non durano molto se non c'è sostanza politica solida e radicata alle spalle o non si è portatori di rinnovamento della tradizione o addirittura di innovazioni politiche tali da suscitare forti interessi e generali.

Ora la Lega in Sardegna è commissariata da tanto tempo con un proconsole continentale che, sarà bravissimo e in buona fede, ma che ha caratterizzato la discesa in campo leghista in Sardegna più come una colonizzazione costiera fenicia che come un apporto creativo e autopropulsivo alla Questione sarda.

Ai fedelissimi circondati nei loro scali costieri, da un'area indipendentista sarda molto divisa e spesso inconcludente ma attivissima nel dibattito politico e nella ricerca di una elaborazione che possa servire da collante per un secondo vento indipendentista, Maroni ha proposto la creazione di un ( nuovo ) movimento politico autonomista ( ma perché non indipendentista ? ) federato alla Lega Nord .

Per sdrammatizzare le parole, Maroni ha proposto una alleanza fra Fenici e Nuragici come quelle che ripetutamente si realizzarono in altri e lontani tempi contro il nemico comune: Roma ladrona e il suo centralismo.
Ora i sardi di allora e sopratutto quelli di oggi, gli indipendentisti e tutta l'area sardista, sanno bene che i Fenici da alleati si possono trasformare in Cartaginesi e voler dominare tutta l'Isola.

Per questo sono diffidenti e questa diffidenza non ha mai permesso alla Lega di radicarsi nella Terra dei costruttori di torri, né di realizzare alleanze nell'area sardista.

E' operante la vulgata di sinistra che principalmente ha demonizzato la Lega oltre ogni misura, tanto che persiste nell'opinione pubblica il rifiuto a riconoscere alla Lega, ciò che è invece è permesso agli altri partiti continentali: l'agibilità politica e il diritto a fare democraticamente politica in Sardegna.
Io penso che a nessuno, qualsiasi politica voglia democraticamente praticare, si possa porre un ostracismo quale quello che è stato costruito contro la Lega Nord in Sardegna.

Evidentemente qualche responsabilità è anche della Lega e della sua politica portata avanti finora e sopratutto nei riguardi delle Nazioni senza stato, delle minoranze nazionali e linguistiche europee e all'interno della Repubblica italiana e quindi sul piano della concezione stessa di un possibile “federalismo” interno alla Repubblica.
La vecchia politica della Lega oggi è un'ipoteca anche nei riguardi della nuova proposta maroniana che potrebbe “ portare all'unica via di uscita per l'Europa: quella del superamento dell'Europa degli Stati e la nascita dell'Europa delle regioni".

E' chiaro che le ultime vicende interne alla Lega che hanno fatto scandalo e precedentemente la “ fiducia” dei ladri di Pisa parlamentari PDL e PD assieme all'UDC, da questi data al Governo Monti e alle sue politiche neocentraliste, con l'andata all'opposizione della Lega e le imminenti elezioni parlamentari hanno smantellato le poche realizzazioni del “federalismo alla padana “ .

Di più di fronte al prepotente rigurgito centralista si è posto alla Lega l'obbligo di una generale riorganizzazione assieme ad una revisione profonda delle sue politiche e sopratutto della sua strategia federalista giocata , mi si consenta di affermare, in maniera autistica e autoreferenziale nei riguardi delle Autonomie speciali, delle nazionalità e minoranze linguistiche interne alla Repubblica.

Per iniziare un dialogo dobbiamo quindi partire da lontano.
Per il sardismo, e per tale considero l'eredità storica, culturale e d'elaborazione politica ed economica indipendentista sviluppatasi almeno per tutto il secolo scorso e che oggi ha come punta di lancia ( fra tutti i gruppi, gruppetti e partiti che si dichiarano indipendentisti e anche sovranisti ) la comune aspirazione allo Stato nazionale sardo, che si possa chiamare Repubblica o in altro modo ma chiaramente come stella nuova dell'Unione Europea che si desidera come Stati Uniti d'Europa.

E' un'aspirazione antica di cento anni, espressa chiaramente da Camillo Bellieni nel 2° Congresso del PsdAz di Oristano nel 1922:

...lungo è il cammino da percorrere, ma sin d'ora guardiamo con simpatia ai movimenti autonomistici della Catalogna, della Corsica, della Provenza.
Il nostro Mediterraneo occidentale è tutto percorso dai fremiti di vita nuova. Liberismo economico noi gridiamo dalla Sardegna. Le barriere politiche devono cadere assieme a quelle doganali.
Per gli Stati uniti d'Europa noi abbiamo risollevato in faccia all'impetuoso Tirreno il vessillo dei quattro mori. In attesa della nuova civiltà mediterranea vogliamo sentire ancora palpitare il vecchio cuore della nostra Sardegna....

Allora il vero faro per i sardisti era l'Irlanda, ma poi si è aggiunta la Catalogna, l'Euskadi, la Corsica, le Fiandre, con le Faroe, la Groenlandia, la Bretagna, l'Occitania, la Galizia, Malta e tutte le piccole comunità come i Sami, i Frisoni e tanti altri popoli con i quali abbiamo sempre mantenuto i contatti, scambiato idee ed esperienze, partecipato ad organismi comuni, in quanto assieme portatori di una nostra specificità da salvaguardare e da realizzare politicamente col nostro autogoverno, ma sopratutto portatori di una Idea di Europa diversa da quella giacobina, centralista, autoritaria, mercantilista e colonialista degli stati emersi dalla seconda guerra mondiale.

Forse non siamo riusciti nel meglio, ma voglio assicurare che per noi sardi è sempre stata e sarà, anche nei momenti più bui una luce di speranza constatare come le nostre nazionalità sorelle procedevano avanti nelle conquiste politiche e culturali.

A volte, come col primo vento sardista degli anni venti e poi col secondo negli anni ottanta, siamo stati noi sardi un esempio e speranza per tanti altri, come per i catalani ed i baschi ancora sotto il tallone franchista ed anche per i leghisti agli inizi della loro avventura politica.
La Lega nò, si è sempre mantenuta isolata da questo mondo, all'inizio perché emarginata ingiustamente, salvo per qualche intemperanza impresentabile agli occhi dei parlamentari europei delle nazionalità senza stato e delle minoranze da parte di qualche parlamentare europeo leghista.
In seguito forse per orgoglio di essere in grande crescita e per la superbia di rappresentare ormai una forza di Governo, sia a Roma che nelle proprie regioni di elezione.

Ricordo di aver tentato negli anni 90, quando ero Vice Presidente dell'ALE-Alleanza libera europea, di far ammettere in quella federazione di nazioni senza stato e minoranze anche la Lega Nord.
Ricordo le tante riunioni, discussioni, la presenza a Bruxelles di Bossi e Maroni nei momenti cruciali, i documenti chiesti e scritti in risposta da Bossi per certificare l'entrata, ma non fu reso possibile all'ultimo minuto non ricordo più per quale incidente di percorso.

Sta di fatto che la Lega in questo contesto è isolata ancora senza alleati e senza condividere, fatte salve le opportune e giuste differenze, una prospettiva che vede oggi, il Partito nazionalista Scozzese ( socio fondatore dell'ALE ) il più vicino all'Indipendenza ed oggi al Governo della Scozia.
Mentre la Catalogna, l'Euskhadi, le Fiandre, le Faroe, la Groenlandia, sono quasi degli Stati nazionali e s'avviano anch'essi verso una riqualificazione europea ottenuta con metodi legali e riformistici, contribuendo alla visione concreta di una nuova ipotesi di Stati Uniti d'Europa.

E' chiaro che una presenza della Padania e del suo partito più rappresentativo in questo quadro di alleanza che conta ormai molti milioni di europei e le zone più sviluppate d'Europa gli farebbe fare un grande balzo in avanti aumentando il potenziale di contrattazione politica indispensabile per raggiungere i propri obiettivi di autodecisione.

In questi giorni Wikileaks ha diffuso i documenti segreti raccolti da una grande agenzia globale di intelligence, la Statfor americana.
In particolare è stato rilevato il monitoraggio continuo e di alta qualità informativa realizzato nell'area europea nei riguardi dei cosiddetti paesi secessionisti, dei partiti separatisti e del grado di sviluppo e realizzabilità di questi obiettivi.

Ovviamente i termini secessionismo o separatismo sottendono un valore negativo mentre gli attori di lunghe lotte di liberazione nazionale e per l'autogoverno intendono ogni loro progresso come una realizzazione positiva del principio di autodeterminazione con alto valore patriottico ed europeista.

La Statfor ha utilizzato una graduatoria che va da I a IV nel valutare la fase di avvicinamento all'autodecisione nei vari popoli e nelle diverse zone.

La Lombardia ad esempio è posta nel livello II:
Simmering - Sì, il secessionismo è più che un'idea, se non l'obiettivo apertamente dichiarato

Ecco come è la descrizione degli analisti:

Lombardia: la Regione più ricca d'Italia.


Supporto per l'indipendenza: estremamente basso. Al contrario, i Lombardi vogliono più
autonomia. Nelle elezioni del 2010 il partito regionale Lega Lombarda (che vuole aumentare l'autonomia) ha guadagnato il 26,2%, ed è il suo miglior risultato di sempre. La Lega
Nord ha praticamente abbandonato la sua idea di creare uno Stato della Padania, chiedendo invece più autonomia l'obiettivo è uno Stato federale
Il Secessionismo è più che un'idea se non l'obiettivo apertamente dichiarato ma la regione non ha i mezzi nel perseguirlo.

La Corsica come la Lombardia e posta sempre nel livello II

e così si esprime l'analista della Stratfor:


Corsica:
Popolazione: 294.118
I partiti nazionalisti stanno tornando al successo. Nel marzo del 2010, si sono svolte le elezioni regionali e i partiti nazionalisti hanno vinto con il 35,74% dei voti ( tre volte
in più rispetto alla precedente elezione):

10% per il partito indipendentista (Corsica Libera) e il 26% per gli autonomisti (Femu a Corsica).
L'indipendenza della Corsica, non avverrà presto. L'isola è auto-sufficiente e il sostegno popolare per l'indipendenza non è ancora sufficientemente alto (anche se vi è un aumento). Io metterei la Corsica nella seconda categoria.
E' sorprendente come gli analisti della Stratfor mettano assieme nel livello II due realtà così distanti per dimensione e potere economico quanto per l'uso della violenza armata che è presente ormai endemicamente in Corsica e del tutto assente il Lombardia.

Ma sorprende ancora di più che dopo una lunga e puntigliosa analisi della società basca anche Euskadi venga posta assieme a Corsica e Lombardia nella fase II, cioè ancora lontani dalla secessione ovvero indipendenza.

La sorpresa è chiarita quando gli analisti della Stratfor ci fanno capire quali sono i parametri che considerano più positivi e tali da avvicinare un popolo di più all'indipendenza o come dicono loro alla secessione e separazione.

Valutano rispetto ad altri valori politici di meno e quasi nulli i potenziali della violenza applicata, per quanto eclatante sia e valutabile come deterrente forte per imporre l'indipendenza.
Almeno in terra europea la violenza opera in conflitti non convenzionali a bassissima intensità ben contenibili dalle forze armate, di polizia e speciali e tacciabili di un terrorismo non più compatibile con la sensibilità generale e di massa anche di chi è favorevole all'indipendenza..

Per questo vengono posti nella fase III molti paesi che in questi ultimi tempi sembrano vicini all'indipendenza e hanno un grande consenso popolare ma non utilizzano la violenza.

Fase III - Active but not explosive-
il Secessionismo è valutato appunto attivo, ma non è esplosivo - La secessione è dichiarata chiaramente come obiettivo, ma non c'è pericolo perché la rivolta è molto poco violenta.

I paesi o nazionalità ancora senza stato posti nella fase III sono:

La Catalogna III
La Scozia III
Il Belgio ( Vallonia e Fiandra ) III
La Groenlandia III
le isole Faroe III

E' superfluo ricordare ( e gli analisti Stratfor si dilungano molto sullo stato di questi paesi, le loro storie politiche, le vicende statutarie o di altro tipo che hanno portato i loro partiti nazionalisti a governare con la maggioranza dei consensi e ad essere vicini all'indipendenza seguendo una via legale, democratica e non violenta ) cose a noi tutte note.

Emerge da questo quadro che esiste un'internazionale di paesi, regioni, nazionalità, minoranze nazionali europee che puntano assieme, con valori comuni, alla loro indipendenza e anche a far parte di una altra Europa, appunto l'Europa dei popoli.

L'area sardista, indipendentista, nazionalista sarda, pur divisa al suo interno fa riferimento a questa realtà mentre la Lega Nord ne è esclusa o si è autoesclusa per vari motivi che andrebbero analizzati.

Resto del parere che un ingresso o meglio una inclusione della Lega in questa area rafforzerebbe moltissimo sia questa area che la Lega Nord anche perché richiederebbe da parte di tutti ed in particolare da parte della Lega non solo una verifica delle proprie politiche estere ma anche il chiarimento su stereotipi e incomprensioni non dimenticando che presto ci saranno le elezioni europee.
Un chiarimento su questi temi sarebbe senz'altro favorevole a un dialogo delle forze sardiste con la Lega e a prospettive positive per il futuro.
Una politica nuova nei riguardi delle nazionalità e Regioni senza stato europee, elaborata dalla Lega con opportuni approcci diplomatici fra partiti ed aree geografiche spesso molto diverse come culture e storie personali, potrebbe essere anche importante per aumentare la massa critica di chi in Europa vuole la sua autodecisione e l'indipendenza che sia di nazionalità che di regioni storiche o Macroregioni che rispondano alla realtà di un'Europa ricomposta nella sua via agli Stati Uniti d'Europa.

Per ultimo, cosciente che ci sarebbero tanti altri temi da porre in discussione o risposte da dare, non voglio dimenticare una questione che non è ideologica ma politica e di prassi perché dei segnali concreti faciliterebbero il dibattito.

Tra poco sarà portata al voto della Camera la ratifica della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie.
In Sardegna si è creato un vasto movimento, culminato con un ordine del giorno voto del Consiglio regionale diretto alle Camere e al Presidente del Consiglio perché venga scongiurato il declassamento della lingua sarda a lingua di serie B rispetto alle lingue dell'Arco Alpino, rafforzato nella spending review.
Verrebbe impedito l'insegnamento del sardo nelle scuole e la possibilità di usarlo nei tribunali, di avere una radio, una TV e un quotidiano in lingua sarda.

I parlamentari della Lega nulla hanno fatto per evitare questo crimine e permesso dal Presidente leghista della Commissione esteri della Camera che ha approvato il disegno di legge del Governo Monti e poi da tutti i componenti leghisti in tutte le commissioni per il parere di conformità.
La discriminazione vale anche per il Friulano e l'Occitano.
Sarebbe cosa gradita se la Lega Nord facesse una battaglia assieme a chi intenda farla in sede di voto della ratifica con emendamenti, mozioni ed ordini del giorno.

Come gradito sarebbe un appoggio della maggior forza di opposizione in Parlamento per il recupero della nostra fiscalità e la restituzione dei moltissimi miliardi di euro di nostre tasse che lo Stato non ci vuole restituire.
Sulla Zona franca poi si sfonda una porta aperta ed ogni sostegno per l'applicazione dell'Art.12 del nostro Statuto e anche per obiettivi ancora più avanzati sarebbe cosa gradita.
La Corsica la Zona Franca ce l'ha ma vuole l'indipendenza e la lingua corsa, sarebbe bello averle assieme sia la zona franca che l'indipendenza, ma le due isole come i due popoli sono molto diversi. Non basta che fossimo sulla carta il Regno di Sardegna e Corsica o che nel nuragico fossimo abitati da popoli simili e forse lo stesso. Ma su nuove basi molto si potrebbe costruire bsandoci sulla nostra insularità e per sottrarci con un progetto comune al dominio italiano e francese.
Del resto in politica tutto è possibile e in Corsica e nel Nord Sardegna-Gallura si parla la stessa lingua.

Credo che se le parole dell'On Maroni espresse alla terza festa della Lega Nord- Sardegna saranno seguite da un approfondito dialogo e dibattito, spero anche sulle questioni che ho posto, superando ogni ideologismo o pregiudiziale, ci sia spazio per molti passi in avanti e per un reciproco avvicinamento alle nostre indipendenze e agli Stati uniti d'Europa che desideriamo.


martedì 21 agosto 2012

L'indipendentista sardo Doddore: «Sono prigioniero politico»

Lo stato italiano lancia la sua guerra al popolo sardo, con una fantomatica e strumentale accusa di evasione fiscale ad un esponente di primo piano dell'indipendentismo sardo: Doddore Meloni; 

Il governo italiota che viaggia sulla cresta dell'onda del colpevolismo "EVASIONE FISCALE", leit motiv datato e sperimentato dell'ideologia persecutoria del PD, motivo con cui intende accattivarsi strumentalmente la simpatia del popolo con l'accusa di evasione fiscale.

Doddore Meloni è un imprenditore attivo da sempre nella rivendicazione dell'indipendenza della terra sarda, accusa rigettata con l'autorità di chi ha sempre lottato per la sua libertà e quella della sua terra non essendo l'Italia la sua patria, rigetta il dovergli versare le imposte.

Doddore nel carcere coloniale,  ha già perso quattro chili, ma non rinuncia alla battaglia per la LIBERTA'.

SA DEFENZA

di Giampaolo Melonilanuovasardegna.
 «Sono prigioniero politico, questo arresto fatto il giorno in cui Monti dichiara guerra all’evasione fiscale, è un atto uguale a quello delle Brigate rosse: colpirne uno per colpirne cento». Va giù duro Salvatore Meloni, al mattino del terzo giorno nel carcere di Piazza Mannu, a Oristano, (è solo in cella) dove è stato inviato dal magistrato che lo accusa di frode fiscale. Respinge tutte le accuse maturate dall’inchiesta della Guardia di finanza e assegna a questo diciassettesimo procedimento giudiziario formulato a suo carico negli ultimi quattro anni, una spiegazione tutta politica. Parole affidate all’avvocato Cristina Puddu, che lo rappresenta e che lascia il carcere alle 13.30. Fuori ci sono anche alcuni amici di Doddore e la figlia. Un messaggio per riconfermare la sua determinazione nella battaglia indipendenstista e rivolto all’esterno a conclusione dell’interrogatorio di garanzia, al quale non ha risposto, non per opporsi alle spiegazioni che gli sono state richieste ma perchè il giudice delle indagini preliminari Annie Cecile Pinello non ha accolto la richiesta per tenere il confronto in lingua sarda, rifacendosi alla sentenza della Corte costituzionale (maggio 2012) che riconosce l’idioma dialettale ma non la lingua minoritaria.
Doddore Meloni ha confermato la scelta di proseguire con lo sciopero della fame e della sete. Irremovibile, deciso, convinto di dover mettere e di avere messo in gioco la propria vita per sostenere un’idea. Nell’incontro in carcere, a mezzogiorno, Salvatore Meloni, come ha riferito il difensore, è apparso «indebolito, affaticato» e con quattro chili di peso già persi. «L’arresto dimostra la giustezza della richiesta di indipendenza della Sardegna, da sempre umiliata e colpita. Perciò da questo carcere uscirò da libero o con i piedi in avanti», ossia morto. «È compito dello Stato – conclude – salvaguardare la mia salute e la mia vita».
Una prima risposta arriverà entro sabato, con la decisione all’istanza di revoca degli arresti che è stata presentata ieri. «Se non sarà accolta faremo ricorso al tribunale del riesame», preannuncia l’avvocato Puddu, che non prende neppure in considerazione l’idea dei domiciliari in quanto, spiega, nelle accuse formulate non c’è sussistenza (in quanto non ci sono documenti) per giustificare l’arresto. Così come «non c’è traccia della presunta arrività di beneficenza che è stata attribuita a Meloni», che avrebbe raccolto vestiti usati poi venduti a una ditta del Milanese intascandone il ricavato. «Non ci è stato possibile difenderci dalle accuse perchè non ci sono documenti», ha detto l’avvocato Puddu. Nulla di illecito, insomma. Lo ha detto anche Doddore Meloni al magistrato, al quale ha potuto tuttavia rendere una dichiarazione spontanea: «Sì, sono indipendenstista. Sì, sono ribelle. Non ho pagato tasse come Doddore Meloni (su questo non gli è stato contestato nulla, ndr) ma per le società a me riferibili sono stati assolti i pagamenti. Dove ci fossero mancanze si può rimediare». Per l’occultamento e la distruzione di fatturazioni contestate dalla Finanza, «si tratta comunque di violazioni amministrative». Sul piano personale lo ha sempre proclamato: mai unu soddu a su stadu.
La preoccupazione maggiore è per le condizioni di salute. Il giudice deve anche decidere sulla richiesta di autorizzare una visita quotidiana del medico personale di Meloni, in quanto, ha sottolineato Cristina Puddu, «la sorveglianza medica non è assidua e continua». Proseguendo lo sciopero, le sue condizioni sono destinate a peggiorare e sarà quindi necessario chiedere il trattamento sanitario obbligatorio.
Il presidente autoproclamato della Repubblica di Malu Entu ha registrato con delusione il silenzio della politica sarda, mentre ha ricevuto la solidarietà dalla Lega Nord. «Questa vicenda dovrebbe invece portare la classe politica isolana a manifestare posizioni più definite, anche sull’arresto», osserva l’avvocato Puddu, che lo considera «non ordinario ma dettato da ragioni politiche». Fino a ieri mattina «nessuna dichiarazione è arrivata da chi dovrebbe essere più vicino o dice di rifarsi ai problemi della Sardegna. Salvatore Meloni non chiede cortei o fiaccolate ma che i sardi vadano avanti nelle loro battaglie per l’indipendenza».
Questa storia non pregiudica «la determinazione a partecipare alle prossime elezioni regionali per sostenere le ragioni dell’indipendentismo». Mentre restano sospese le decisioni sulla festa all’Isola di Mal di Ventre per celebrare il 25 agosto il quarto anniversario della proclamazione della Repubblica di Malu Entu.

Il diritto alla lingua sarda in tribunale è di tutti i sardi colpevoli o innocenti che siano


Mario Carboni

Comunicato stampa

Su Comitatu pro sa limba sarda protesta vivacemente contro il rifiuto del Giudice delle indagini preliminari Annie Cecile Pinello di svolgere in lingua sarda l'interrogatorio di garanzia, come richiesto da Salvatore Meloni, recentemente arrestato con l'accusa di reati fiscali.
Ancora più sconcertante è aver giustificato tale decisione con riferimento alla famigerata sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato il sardo un dialetto ma non una lingua, in contrasto palese con quanto stabilito dalla legge d'attuazione dell'art. 6 della Costituzione: la n° 482 del 1999 a tutela delle minoranze linguistiche storiche.

La decisione del Giudice contrasta anche con i principali documenti di diritto internazionale a tutela delle lingue minoritarie, nazionalità, minoranze nazionali e linguistiche e di salvaguardia dei diritti civili ed umani universali.
In particolare l'atteggiamento contro la lingua sarda del giudice, viola la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, ratificata dal Parlamento e in vigore dal 1° marzo 1998.
La Convenzione quadro nel comma 3 dell'art. 10 prevede ciò che lo Stato italiano con i suoi tribunali è obbligato a rispettare: Salvatore Meloni, in quanto appartenente alla minoranza linguistica sarda ha diritto ad essere informato, nel più breve tempo possibile e in lingua sarda, delle ragioni del suo arresto, della natura e della causa dell'accusa portata contro di lui, nonché a a difendersi in lingua sarda, se necessario con l'assistenza gratuita di un interprete.

Su Comitadu pro sa limba sarda:

-sottolinea come questo non sia un diritto esclusivo o individuale di Salvatore Meloni ma un diritto civile collettivo di tutti i sardi in quanto secondo il lessico della Convenzione quadro fa parte della Nazione sarda e secondo la lettera della Costituzione italiana è parte della Minoranza linguistica sarda.

-non entra nel merito delle accuse formulate contro Salvatore Meloni in quanto seguendo un principio garantista ritiene l'imputato innocente sino all'ultimo livello di giudizio.

- non commenta le particolari idee o prassi politiche di Salvatore Meloni in quanto ritiene il diritto alla lingua sarda in tribunale un diritto di tutti i sardi, senza distinzione di pensiero politico.

-ritiene che il diritto di tutti i sardi ad essere giudicati nella propria lingua e a scontare anche eventuali pene venissero loro definitivamente comminate sempre nella propria lingua, sia patrimonio degli innocenti quanto dei colpevoli in quanto diritto civile ed umano collettivo del popolo sardo tutelato dalla Costituzione e dai trattati internazionali..

-coglie l'occasione per evidenziare, da parte del Tribunale di Oristano, la mancata realizzazione delle norme d'attuazione della legge 482 sulle minoranze linguistiche che prevedono l'uso orale e scritto della lingua sarda ammessa a tutela, con riferimento particolare alla mancata istituzione di uno sportello linguistico per i cittadini che utilizzano la lingua ammessa a tutela e la mancanza di indicazioni bilingui rivolte al pubblico e con parità grafica.

-rinnova l'allarme già lanciato con la denuncia delle manovre governative contro la lingua sarda portate avanti con la proposta di ratifica della Carta europea delle lingue, con la spending review e da parte di spezzoni centralisti dello Stato come evidenziato dalla famigerata sentenza della Cassazione, richiamata dal giudice di Oristano a giustificazione del suo operato contro la nostra lingua, tendente a relegare la lingua sarda in serie B fra le lingue da tutelare della Repubblica e i sardi in una riserva indiana.

Su Comitadu pro sa limba sarda, mentre respinge ogni possibile strumentalizzazione di parte della questione linguistica sarda, rinnova l'invito a tutte le forze politiche, culturali, economiche della Sardegna alla mobilitazione per la difesa della nostra lingua ( comprendendo le alloglotte ), sottoposta ad un attacco senza precedenti e che ha come fine più vicino l'esclusione dell'insegnamento della lingua sarda nelle scuole e nell'Università ormai voluto dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica.


lunedì 20 agosto 2012

I campioni mondiali della carcerazione


UN PROBLEMA ANTICO è LA DETENZIONE UMANA, LE SOCIETA' HANNO CREATO NEL TEMPO OGNI FORMA  DI APARTAID, HANNO CONFINATO, CHIUSO DENTRO QUATTRO MURA, COME FOSSE UN SIMBOLICO SEPOLCRO, LA DEVIANZA SOCIALE, L'INCOMPRESO, LA PROTESTA DELL'EMARGINATO, IL LADRO DI CARAMELLE E L'ASSASSINO EFFERATO, UNA SORTA DI SORTILEGIO CHE COLPISCE TUTTI SENZA PIETA'.

E' LA PAURA DELL'ALTRO, DEL DIVERSO, DELL'OSCENA POVERTA' CHE CONDUCE ALL'ILLEGALITA', CHE FA NASCERE QUESTI LUOGHI DI TORMENTO CHE NON HANNO FINE ESSENDONE OVUNQUE UN  CONTINUO PROLIFERARE, E L'ODIO SI DIFFONDE  LA SCHIAVITU' E L'ORRORE  DIVENTANO UN FILO SPINATO NELLA VITA CARCERARIA.


ECCO PERCHE' SA DEFENZA SI SCHIERA CONTRO LA POLITICA DELLA CARCERAZIONE E RIPRENDE UN ARTICOLO DI DENUNCIA DELLE INUMANE CARCERI, DENUNCIA CHE ENTRA NEL PROFONDO DELLE ANIME E LE FA CONTORCERE PER LA CRUDEZZA DEI FATTI.

ORA E SEMPRE SENZA GALERE!!
AMNISTIA!!


I campioni mondiali della carcerazione

La grande incarcerazione del nuovo secolo

Graduatorie, classifiche, record e medaglie nelle recenti olimpiadi ne hanno diffuse a iosa… la graduatoria dei grandi incarceratori se la sono dimenticata:

al primo postoStati Uniti d’America con 751 su 100mila abitanti (2010)

al secondo postoRussia con 627 prigionieri per ogni 100 mila abitanti. Il numero dei prigionieri in attesa di giudizio era 282 mila del 2000 è cresciuto ai 345 mila del 2003, queste prigioni sono le peggiori camere speciali in Russia

 Negli USA ci sono quindi più di 2,3 milioni di prigionieri, più dello 0,7% della popolazione. Ci sono altri 4,8 milioni di persone che sono libere su cauzione, con la condizionale, o la sospensione della pena (on parole). L’aumento è stato eccezionale a partire dal 1975. Il trend di crescita non si è ancora arrestato, continua a salire; nel 2009 – ultimo dato – l’aumento è stato dello 0,2%.

Quindi 7,2  milioni di statunitensi sono sottoposti al controllo del sistema penale: uno su 32. A questi occorre aggiungere 5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto.

Gli Stati Uniti hanno meno del 5% della popolazione mondiale e hanno circa il 25% della popolazione carceraria mondiale.

Per reati connessi al traffico di stupefacenti nelle prigioni statali ci sono il 21%, mentre il 55% sono in quelle federali (dati 2004); 

100.000 detenuti sono in isolamento128.000 sono ergastolani;100.000 i minorenni in riformatorio e 15.000 nelle prigioni per adulti.

Lo Stato del Michigan da solo ha 300 minorenni condannati all’ergastolosenza possibilità di rilascio anticipato, come l’ “ergastolo ostativo” esistente in Italia.

Dei 700.000 che si trovano nelle prigioni locali 400.000 sono in attesa di giudizio, poiché sono senza avvocato; aspettano anni prima che qualcuno si degni di trovar loro uno straccio di difensore d’ufficio; il costo dell’avvocato della Difesa va da 160.000 dollari a 386.000.

Metà dei detenuti sono afro-americani. Il tasso d’incarcerazione per i bianchi è di 393 per 100.000, per i neri è 2.531. Se si considerano solo i maschi il tasso per i bianchi sale a 717, mentre per i neri arriva a 4.919.

Le polizie statunitensi arrestano ogni anno circa 15 milioni di persone, di questi 2,2 milioni sono minorenni, mezzo milione sono al di sotto dei 15 anni120.000 fra 10 e 12 anni e addirittura sotto i 10 annibambini- sono ben 20.000

 Amnesty International riporta un caso clamoroso di parto con catene negli Usa (è accaduto diversi anni fa, ma la situazione non è migliorata, anzi…):

…una donna, condannata nella Cook County (Chicago, Illinois) per possesso di droga, descrive così il suo parto:   

“Mi hanno sempre tenuto ammanettata mani e piedi, anche durante l’anestesia epidurale. Avevo le caviglie incatenate al lettino e non mi fu permesso di andare in bagno. Nel momento in cui il bambino stava per nascere ci siamo accorti che il poliziotto con le chiavi delle manette era andato a prendere un caffè. Non potevo allargare le gambe e nemmeno era possibile abbassare la parte finale del lettino per via delle manette. Dopo dieci minuti il poliziotto fu rintracciato, mi liberarono le caviglie e il mio bambino poté nascere. Nei tre giorni di ricovero post parto sono sempre stata incatenata, con un piede e una mano, al lettino dell’ospedale.”

 Questo succede nella “più grande democrazia del mondo”. Da noi non va meglio!

AMNISTIA!

venerdì 17 agosto 2012

IL PROGETTO DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE

SI SCONTRA CON LE REALTÀ GEOPOLITICA

IMAD FAWZI SHUEIBI
voltairenet.org


È dagli ultimi quattro secoli che i leader politici stanno cercando di creare un ordine internazionale che governi i rapporti fra le nazioni e prevenga le guerre. Se il principio della sovranità dello stato ha dato dei risultati, le organizzazioni intergovernative riflettono principalmente l'equilibrio del potere in quel dato momento. Quanto all’ambizioso progetto USA di un Nuovo Ordine Mondiale, questo si sta frantumando contro le nuove realtà geopolitiche. 

LA LENTA FORMAZIONE DI UN ORDINE INTERNAZIONALE

Anche se la frase "ordine mondiale" è stata introdotta nel discorso po-litico solo di recente, l'idea di un ordine mondiale, o internazionale, è apparsa nel XVII secolo. Ma ogni volta che se ne è presentata l'occasione si è discusso di organizzare e sostenere la pace.

Fu nel 1603 che il re Enrico IV di Francia fece sviluppare dal suo mi-nistro, il duca di Sully, un primo progetto. Questo doveva consistere in una repubblica cristiana che comprendesse tutti i popoli d'Europa e che avrebbe garantito la conservazione delle nazionalità e delle religioni con il compito di risolvere i problemi tra di loro.

Questo Grand Dessein prevedeva la ridefinizione dei confini degli stati per bilanciare il loro potere, la creazione di una confederazione europea a 15, con un Consiglio sovranazionale con il potere di arbitrato, e un esercito in grado di proteggere la confederazione contro i Turchi. 

Ma quel sogno è stato interrotto dall'assassinio di Enrico IV ed è riemerso solo al termine delle guerre iniziate da Luigi XIV quando l'abate di Saint-Pierre lanciò il suo progetto volto a rendere perpetua la pace tra i governanti cristiani. Questo progetto, che venne presentato al Congresso di Utrecht (1713), consisteva nell’adozione integrale di tutte le decisioni prese in tale occasione quale base definitiva sulla questione della definizione dei confini tra i paesi belligeranti, e la creazione di una lega europea delle nazioni (una Federazione Internazionale) la cui missione fosse quella di prevenire i conflitti.

Indipendentemente da questa utopia, a quel tempo l’accordo più importante era naturalmente costituito dal trattato di pace di Vestfalia, firmata nel 1648 alla fine della Guerra dei Trent'anni, condotta sotto l’egida della religione, con un conseguente accumulo di odi e la distruzione del 40% della popolazione.

I negoziati durarono quattro anni (1644-1648). Alla fine, i negoziati consacrarono l’uguaglianza tra tutte le parti in conflitto, sia cattolica che protestante, repubblicana o monarchica.

Il Trattato di Westfalia statuisce quattro principi fondamentali:  



1. La sovranità assoluta dello stato-nazione, e il diritto fondamentale all’autodeterminazione politica.

2. L’uguaglianza giuridica tra gli stati-nazione. Lo stato più piccolo è, quindi, pari al più grande, a prescindere dal-la sua debolezza o dalla sua forza, dalla sua ricchezza o povertà.

3. Il rispetto dei trattati e l'emergere di una legge internazionale vincolante.

4. La non interferenza negli affari interni degli altri stati.


Certamente questi sono principi generali che non determinano una sovranità assoluta, e che non sono mai prima esistiti. Tuttavia questi principi delegittimano le azioni che possono abolire la sovranità. I filosofi politici avevano tutti sostenuto questi progetti. Rousseau chiese con tutte le sue forze di costituire un unico stato contrattuale che raggruppasse tutti i paesi europei. Kant aveva pubblicato nel 1875 Verso la pace perpetua. Per lui, la pace è una figura giuridica che richiede la codifica di una legge generale applicabile a tutti gli Stati. L’utilitarista inglese Bentham aveva stigmatizzato la diplomazia segreta, in quanto che essa si sottrae al diritto. Egli aveva anche auspicato la creazione di un’opinione pubblica internazionale in grado di costringere i governi a rispettare le risoluzioni internazionali e a ricorrere all'arbitrato.

LA CREAZIONE DI ISTITUZIONI DI REGOLAMENTAZIONE INTERNAZIONALI

L'idea di un ordine internazionale è andata avanti costantemente, ma sempre in base alle regole sulla sovranità adottate dalla Pace di Westfalia. Ha dato i natali alla Santa Alleanza proposta dallo zar Alessandro I nel 1815, e al progetto di Concert européen proposto dal cancelliere austriaco Metternich nel XIX secolo al fine di evitare "la rivoluzione", che nel linguaggio politico razionale significa il caos.

E' da questo momento che gli stati cominciarono a organizzare vertici per risolvere i problemi al di fuori della guerra, favorendo l'arbitrato e la diplomazia.

E' in questa prospettiva che dopo la Prima Guerra Mondiale è stata fondata la Società delle Nazioni 

(SdN). Ma questa era nulla più che il concretarsi dei rapporti di forza del momento, al servizio dei vincitori di questa guerra. I suoi valori morali erano dunque relativi. Così, nonostante l'obiettivo dichiarato di voler risolvere le controversie tra le nazioni con un arbitrato piuttosto che con la guerra, essa ha dichiarato la propria competenza nella gestione dei popoli sottosviluppati o colonizzati – politicamente, economicamente e amministrativamente – fino al momento della loro autodeterminazione. 

È questo che, naturalmente, ha portato alla legittimazione dei mandati. Nel prendere questa posizione, la Lega delle Nazioni incarnava la realtà coloniale.

L'artificiosità di questa organizzazione si è dimostrata quando si è scoperta incapace di far fronte a gravi eventi internazionali come la conquista della Manciuria da parte del Giappone, quella dell’Abissinia (Etiopia) e l'annessione di Corfù (Grecia) da parte dell’Italia, ecc.

Sebbene l'idea della Lega, concepita da Leon Bourgeois, sia stata promossa dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, Washington non vi ha mai aderito. Chiamati a parteciparvi, Giappone e Germania si sono ritira-ti. Così che l'istituzione si è rivelata priva di valore.

Il successore della Lega, le Nazioni Unite, sono state un riflesso della Carta Atlantica firmata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito il 4 agosto 1941, e della Dichiarazione di Mosca, adottata dagli Alleati il 30 ottobre 1943, quando annunciarono la creazione di "una struttura organizzativa basata sul principio di uguaglianza sovrana di tutti gli Stati amanti della pace". Il progetto è stato sviluppato in occasione della Conferenza di Dumbarton Oaks a Washington dal 21 agosto al 7 ottobre 1944. I principi della Carta Atlantica sono stati anche oggetto di approvazione nel corso della Conferenza di Yalta (4-12 febbraio 1945), prima di essere sanciti nella Conferenza di San Francisco (il 25 e 26 giugno 1945).

L'ideologia della globalizzazione viene poi sancita dall'ONU sin dalla sua creazione, quando ha affermato di prevedere un sistema collettivo di sicurezza per tutti, compresi gli Stati che non ne sono membri. In realtà, l'ONU non è molto diverso dalla SdN, non è una associazione contrattuale tra eguali, ma un riflesso dei rapporti di potere del momento a profitto dei suoi vincitori.

Detto questo, tutto il mondo si è inchinato a quella volontà.

Questa organizzazione, che si è voluta mondiale, era in pratica l'espressione del desiderio di dominio delle potenze vincitrici a scapito della volontà popolare che non venne presa in considerazione.

Questa realtà geopolitica è stata confermata al momento della creazione del Consiglio di Sicurezza che è composto dalle cinque maggiori potenze (i vincitori) come membri permanenti, e di altri membri, non permanenti, ma eletti secondo criteri geografici, con una conseguente rappresentazione subalterna dell'Africa e dell'Asia.

Il fallimento di questo sistema si è rivelato durante la Guerra Fredda. Il conflitto tra le due superpotenze è stato imposto alle potenze minori che ne hanno sopportato tutte le conseguenze a livello locale e regionale. Questa strutturazione dei ruoli è apparsa evidente nel funzionamento delle Nazioni Unite nei confronti di qualsiasi domanda di adesione per il trattamento dei conflitti, come si è visto per quanto riguarda la Palestina, la Corea, la nazionalizzazione del petrolio iraniano, la crisi del Canale di Suez, l'occupazione israeliana, il Libano ecc.

L'ONU è stata creata proclamando "la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne così come delle nazioni grandi e piccole, al fine di creare le condizioni necessarie per il mantenimento della giustizia e per il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e da altre fonti del diritto internazionale". Tuttavia, il sistema di veto ha privato le altre nazioni del diritto di essere degli attori in modo eguale.

In definitiva, le istituzioni internazionali hanno sempre mostrato gli equilibri del potere, lontano da qualsiasi idea di giustizia in senso filosofico o morale.

Il Consiglio di Sicurezza è un direttorio mondiale (in continuità di quello instaurato da Metternich) che riserva la possibilità di imporre risoluzioni solo agli alleati vincitori della seconda guerra mondiale, e non a coloro che cercano la pace.

Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, si è rivelato cruciale per cambiare il sistema internazionale.

LA RIFORMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DA PARTE DEGLI USA

In quel momento i discepoli di Leo Strauss hanno trionfato negli Stati Uniti con l'aiuto dei giornalisti neoconservatori. A loro avviso, la società è divisa in tre caste: i saggi, i signori e il popolo. I saggi, soli detentori della verità, ne rivelano una parte ai politici (i signori), mentre il popolo deve sottomettersi alle loro decisioni. Essi non hanno cessato di promuovere le loro idee e chiedono l'abrogazione dei principi del Trattato di Westfalia, ossia il rispetto della sovranità statale e la non ingerenza negli affari interni. Per imporre l'egemonia occidentale, costoro evocano un “diritto d’ingerenza umanitaria”, una “responsabilità di proteggere” che spettano ai saggi, posti in atto dai signori e imposto ai popoli. Nella revisione del vocabolario della Seconda Guerra Mondiale, si sono anche appellati a sostituire la "Resistenza" con dei negoziati. Nel 1999, gli appelli dei neoconservatori sono stati trasmessi in diversi paesi occidentali, tra cui Regno Unito e Francia. Tony Blair ha presentato l'attacco al Kosovo da parte della NATO come la prima guerra umanitaria della storia. In un discorso a Chicago, ha sostenuto che il Regno Unito non ha cercato di difendere i propri interessi, ma di promuovere valori universali. La sua dichiarazione è stata accolta molto positivamente sia da Henry Kissinger che da Javier Solana (che era allora segretario generale della NATO e anche dell'UE). Poco dopo, Bernard Kouchner è stato nominato l'amministratore ONU del Kosovo.

Non vi è alcuna differenza significativa tra la teoria straussiana e nazista. In Mein Kampf, Hitler aveva già stigmatizzato il principio della sovranità statale affermato dal Trattato di Westfalia.

In termini economici, questa visione ha già trionfato con FMI, Banca Mondiale e WTO. Fin dalla loro nascita, queste istituzioni hanno cercato di interferire nella situazione economica, finanziaria e di bilancio, in particolare sui più poveri e vulnerabili. Alcuni Stati arabi sono stati vittime della loro consulenza in materia di liberalizzazione economica, privatizzazione del settore pubblico e svendita delle risorse naturali.

Washington ha esitato sulla condotta da tenere dopo la scomparsa dell'URSS. A poco a poco gli Stati Uniti si sono affermati come unica superpotenza, come "iper-potere" nelle parole di Hubert Vedrine. Pertanto, si ritiene che il sistema delle Nazioni Unite ereditato dalla Seconda Guerra Mondiale sia stato superato. Essi non contenti di ignorare le Nazioni Unite, hanno poi cessato di adempiere ai propri obblighi finanziari(verso di loro), non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, si sono rifiutati di aderire alla Corte Penale Internazionale, e hanno ripetutamente umiliato l’Unesco.

Le idee stabilite con la Seconda Guerra Mondiale sono state spazzate via dagli attacchi dell'11 settembre 2001.

La Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d'America, enunciata dal presidente George W. Bush, il 20 settembre 2002, ha proclamato un nuovo diritto, quello della "azione militare preventiva contro gli stati canaglia".

La strategia statunitense è stata accompagnata da uno sconvolgimento concettuale. La nozione di Resistenza, dopo quella francese all'occupazione nazista, è stato delegittimata a favore di un esigenza di risoluzione dei conflitti tramite negoziazione, indipendentemente dai diritti inalienabili delle parti. Allo stesso modo, il concetto di terrorismo, mai definito nel diritto internazionale, è stato utilizzato per delegittimare qualsiasi gruppo armato in conflitto con uno Stato, qualunque siano le cause di questo conflitto.  Abrogando le convenzioni di guerra, Washington ha rinviato all’interesse del momento gli "omicidi mirati" che aveva cessaato dopo la guerra del Vietnam e che Israele ha praticato per oltre un decennio. Secondo i loro giuristi, non sarebbero a rigore un "assassinio", ma un "omicidio per legittima difesa", anche senza alcuna necessità di proteggersi, né concomitanza di minaccia e reazione, né proporzionalità della risposta. La “ingerenza umanitaria”, o la “responsabilità di proteggere” sono state collocate al di sopra della sovranità degli Stati. Infine, ha fatto la sua apparizione la nozione di Stati canaglia .

Questi Stati canaglia sono definiti tali da quattro criteri che sono rilevanti solo per supposizioni e per processi alle intenzioni:  



• I loro leader opprimono il loro popolo e saccheggiato i loro averi.

• Non rispettano il diritto internazionale e costituiscono una minaccia permanente per i loro vicini.

• Sostengono il terrorismo.

• Odiano gli Stati Uniti e i suoi principi democratici.


Con un decennio di ritardo dalla scomparsa dell'URSS gli Stati Uniti hanno lanciato il loro rimodellamento delle relazioni internazionali. Per quanto concerne il Medio Oriente, il filosofo neoconservatore Bernard Lewis. e il suo discepolo Fouad Ajami, hanno enunciato i principali obiettivi: mettere fine al nazionalismo arabo colpendo i regimi tirannici che sono il cemento del mosaico tribale, settario e religioso. La distruzione e lo smembramento degli Stati di questa regione porterà al "Caos costruttivo", una situazione incontrollabile in cui ogni coesione sociale scompare e dove l'uomo viene restituito allo stato di natura. Queste società ritorneranno allora ad uno stadio pre-nazionale, o addirittura pre-storico, dal quale sorgeranno dei micro-Stati etnicamente omogenei e, per forza di cose, dipendenti dagli Stati Uniti. Uno dei leader straussiani, Richard Perle, ha assicurato che le guerre in Iraq e in Libano sarebbero state seguite da altre in Siria, Arabia Saudita con infine l’apoteosi in Egitto.

TRE TAPPE

In ogni caso, la costruzione del Nuovo Ordine Mondiale è passata attraverso diverse fasi.

1. Dal 1991 al 2002 una fase di incertezza. Washington ha esitato nell’affermarsi come unica superpotenza e nel decidere unilateralmente il destino del mondo. Anche se questo periodo ha attraversato più di un decennio, rappresenta solo un breve momento nella storia.

2. Negli anni 2003-2006, Washington ha cercato di applicare a tutti i costi la teoria del "caos costruttivo" al fine di ampliare la propria egemonia. Ha combattuto due guerre, uno con le proprie truppe in Iraq, l'altro per procura in Libano. La sconfitta israeliana nel 2006 ha temporaneamente interrotto questo progetto. Russia e Cina, hanno allora usato due volte il veto nel Consiglio di Sicurezza (riguardo a Myanmar e Zimbabwe) anche per manifestare timidamente il loro ritorno sulla scena internazionale.

3. Nel periodo dal 2006 ad oggi, il sistema unipolare ha ceduto il passo ad uno non-polare. La potenza si è dispersa. Cina, UE, India, Russia e Stati Uniti da soli rappresentano oltre la metà degli abitanti del mondo, il 75% del PIL mondiale ed effettuano l'80% delle spese militari. Questo dato di fatto giustifica in qualche misura un sistema multipolare a causa della persistente concorrenza tra questi due poli.

LA NEBULOSA DI UN MONDO NON-POLARE 

È importante sottolineare che tali poteri devono affrontare le sfide provenienti sia dall’alto (le organizzazioni regionali e globali) che dal basso (le milizie, ONG, aziende multinazionali). Il potere è ovunque e da nessuna parte, in mani diverse, in diversi luoghi.

Oltre alle sei maggiori potenze mondiali, ci sono decine di potenze regionali. Si può portare ad esempio nell’America Latina il Brasile, e più o meno l’Argentina, il Cile, il Messico, il Venezuela. Nell’Africa, la Nigeria, il Sud Africa e l’Egitto. Nel Medio Oriente, l’Iran, Israele, l’Arabia Saudita. Il Pakistan, nel sud-est asiatico. Australia, Indonesia e Corea del Sud nell’Asia orientale e nel Pacifico occidentale.

Numerose organizzazioni intergovernative sono su questa lista di forze: il FMI, la Banca Mondiale, l'OMS e l'ONU in quanto tale. Le organizzazioni regionali come l'Unione africana, la Lega araba, l’ASEAN, la UE, l’ALBA, ecc. Per non parlare di club come l'OPEC.

Devono essere aggiunti alcuni Stati all'interno delle Nazioni Unite come la California o l’Uttar Pradesh [lo Stato più popoloso dell'India], e anche città come New York o Shanghai.

Ci sono anche aziende multinazionali, comprendenti quelle dell'energia e della finanza. E media globali come Al-Jazeera, BBC, CNN. E milizie come Hezbollah, l'Esercito del Mahdi o i Talebani. Bisogna aggiungere i partiti politici, le istituzioni religiose e i movimenti delle organizzazioni terroristiche, dei cartelli della droga, le ONG e le fondazioni. La lista è infinita.

Gli Stati Uniti rimangono la principale concentrazione del potere. Le loro spese militari annuali sono stimate oltre i 500 miliardi di dollari. Questa cifra potrebbe raggiungere i 700 miliardi se si tiene conto del costo delle operazioni in corso, sia in Iraq che in Afghanistan. Con il loro PIL annuo, stimato in 14 miliardi di dollari, sono al primo posto nell'economia mondiale.

Tuttavia, la realtà del potere degli Stati Uniti non deve mascherare il suo declino sia in termini assoluti che relativi ad altri Stati. Come notato da Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, il progresso di paesi come Cina, Russia, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ha raggiunto i 1.000 miliardi dollari all'anno. Questo è naturalmente dovuto al mercato dell'energia. Data l'esplosione della domanda da parte di Cina e India, tale importo continuerà a crescere. Il dollaro debole contro la sterlina e l'euro non si tradurrà solo in un deprezzamento del suo valore rispetto alle valute asiatiche, ma in una possibile trasformazione del mercato petrolifero che pagherà con un paniere di valute o in euro.

E quando il dollaro non sarà più la valuta di commercio del petrolio, l'economia statunitense si troverà vulnerabile alle crisi inflazionistiche e valutarie.

Due meccanismi di base hanno sostenuto la non-polarità del mondo:  



• I flussi finanziari hanno trovato la loro strada al di fuori dei canali legali e senza che i governi ne avesse-ro conoscenza. Questo suggerisce che la globalizzazione indebolisce l'influenza delle grandi potenze.

• Questi flussi sono stati ampiamente utilizzati dagli Stati petroliferi per finanziare segretamente attori non statali.


Di conseguenza, in un sistema non polare, il fatto di essere il più forte Stato del mondo non garantisce il monopolio della forza. Qualsiasi tipologia di gruppi o di individui, può accumulare influenza.

Secondo il professor Hedley Bull, le relazioni internazionali sono sempre state un misto di ordine e caos. Se seguiamo la sua teoria, il sistema non polare crea da sé stesso la propria complessità. E questo è proprio quello che è successo. 

Nel 2011, l'aggravamento delle tensioni sulla Libia ha dimostrato che il sistema non-polare non era più praticabile. Ne sono emersi due orientamenti concorrenti.

Il primo è degli USA. Esso mira a costruire un nuovo ordine mondiale che corrisponde alla strategia di Washington. Esso prevede l'abolizione della sovranità dello Stato stabilita dalla Pace di Westfalia, e la sua sostituzione con l'ingerenza umanitaria sia come legittimazione retorica che come cavallo di Troia dell’American way of life.

La seconda, sostenuta dalla Shanghai Cooperation Organization e dal BRICS, è sino-russa. È questai che ha preteso il mantenimento dei principi del Trattato di Westfalia, senza per questo volgersi indietro. Si tratta di determinare una nuova regola del gioco. Qualcosa che si basi sui due nuclei che ruotano attorno ad un certo numero di poli.

Chiaramente, il controllo delle risorse, compresa l'energia rinnovabile, è la porta ideale per la creazione di un nuovo sistema, il cui emergere è bloccato dal 1991.

E 'anche chiaro che il controllo delle rotte del gas e dei trasporti è il centro del conflitto in Siria. Senza dubbio, la polarizzazione dei poteri su questo argomento va certamente al di là delle cause interne, e supera la questione dell'accesso alle acque calde, o gli interessi logistici della base navale di Tartous.

L'IMPERATIVO ENERGIA

La battaglia dell’energia è stata la grande battaglia di Dick Cheney. L’ha condotta nel 2000-2008 nei confronti di Cina e Russia. Dopo, questa politica è stata perseguita da Barack Obama.

Per Cheney, la domanda di energia sta crescendo più rapidamente rispetto all'offerta, il che alla fine porta a una carenza. Il mantenimento del dominio degli Stati Uniti passa dunque in primo luogo attraverso il controllo delle rimanenti riserve di petrolio e gas. Inoltre, più in generale, se le relazioni internazionali attuali sono strutturate sulla geopolitica del petrolio, è la fornitura di uno stato che determina la sua ascesa o la caduta. Da qui il suo piano in quattro punti:  



• Incoraggiare, a qualunque costo, ogni produzione locale tramite dei vassalli al fine di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti nei confronti di tutti i fornitori non-amici a, in modo da aumentare così la libertà d’Azione di Washington.

• Controllare le esportazioni di petrolio dagli stati del Golfo arabo, non per accaparrarsele, ma per usarle come arma di pressione sui clienti e sugli altri fornitori.

• Controllare le vie marittime in Asia, vale a dire gli approvvigionamenti di Cina e Giappone, non solo di petrolio, ma anche di materie prime.

• Incoraggiare la diversificazione delle fonti di energia utilizzate in Europa al fine di ridurre la dipendenza europea verso il gas russo e l'influenza politica che Mosca persegue.


Ma gli americani hanno fissato come obiettivo primario la loro indipendenza energetica. Questo era il senso della politica sviluppata da Dick Cheney dopo ampie consultazioni con i giganti energetici, nel maggio 2001. Esso passa attraverso una diversificazione delle fonti locali: olio, gas domestico, carbone, energia idroelettrica e nucleare. E con un rafforzamento degli scambi con i paesi amici dell'emisfero occidentale, tra cui Brasile, Canada e Messico.

L'obiettivo secondario è quello di controllare il flusso di petrolio nel Golfo Arabico. Questa è stata la ragione principale nell’innescare prima Desert Storm (1991), e poi l'invasione dell'Iraq (2003).

Il piano di Cheney è focalizzato sul controllo delle vie marittime: lo Stretto di Hormuz (attraverso il quale passa il 35% del commercio mondiale di petrolio), o dello Stretto di Malacca. Ad oggi, questi vie marittime sono essenziali per la sopravvivenza economica di Cina, Giappone, Corea del Nord e anche Taiwan. Questi corridoi permettono di portare energia e materie prime per le industrie in Asia, e di esportare manufatti verso i mercati mondiali. Controllandole, Washington si garantisce la lealtà dei suoi principali alleati asiatici e al contempo limita l'ascesa della Cina.

L'attuazione di questi obiettivi geopolitici tradizionali ha portato gli USA a rafforzare la loro presenza navale nella regione Asia-Pacifico, e di entrare in una rete di alleanze militari con Giappone, India e Australia. Sempre col fine di contenere la Cina.

Washington ha sempre considerato la Russia come una concorrente geopolitica. Ha colto ogni occasione per ridurre il suo potere e la sua influenza. In particolare, temeva la crescente dipendenza dell'Europa occidentale dal gas naturale russo, il che poteva influenzare la sua capacità di gestire i movimenti di opposizione russi in Europa orientale e nel Caucaso.

Per offrire un'alternativa, Washington ha spinto gli europei ad approvvigionarsi nel bacino del Mar Caspio, mediante la costruzione di nuovi gasdotti attraverso Georgia e Turchia. Si trattava di aggirare la Russia con l'aiuto di Azerbaijan, Kazakhstan e Turkmenistan ed evitando l'uso di tubazioni della Gazprom. Da qui l'idea di Nabucco.

Per migliorare l'indipendenza energetica del suo paese, Barack Obama si è improvvisamente trasformato in un nazionalista autarchico. Ha incoraggiato lo sfruttamento di petrolio e gas in tutto l'emisfero occidentale, a prescindere dai pericoli della perforazione in zone ecologicamente fragili, come la costa dell'Alaska e del Golfo del Messico, e con l’utilizzo di qualsiasi tecnica, come il fracking.

Nel suo discorso sullo stato della Nazione 2012, il presidente Obama ha detto con orgoglio: 

"Negli ultimi tre anni abbiamo aperto milioni di acri di terra alla prospezione di petrolio e gas. Stasera ho chiesto all'amministrazione di aprire oltre il 75% delle risorse di petrolio e di gas in mare aperto. Ora, in questo momento, la produzione di petrolio degli Stati Uniti è la più alta da otto anni. E' vero. Da otto anni. E non è tutto. Lo scorso anno, la nostra dipendenza dal petrolio estero è diminuita ed ha raggiunto il livello più basso da sedici anni"[ 1 ].

Parlava con particolare entusiasmo, l'estrazione di gas naturale per cracking di scisti bituminosi: "Abbiamo riserve di gas naturali che preservano l'America per cento anni"[ 2 ].

Nel marzo del 2011, Washington ha aumentato le sue importazioni dal Brasile per diminuire quelle dal petrolio del Medio Oriente.

In effetti, Washington ha continuato a garantire il controllo degli Stati Uniti su importanti vie marittime che si estendono dallo Stretto di Hormuz a sud del mare della Cina, e a costruire una rete di basi e di alleanze che circondano La Cina, l'emergente potere globale, sotto forma di un arco che va dal Giappone alla Corea del Sud, all’Australia, al Vietnam e le Filippine nel sud-est, poi in l’India, nel sud-ovest. Tutto coronato da un accordo con l'Australia per costruire una struttura militare a Darwin, sulla costa nord, vicino al Mar Cinese Meridionale.

Washington sta cercando di includere l'India in una coalizione di paesi della regione ostile alla Cina e col fine di strappare New Delhi nelle mani di BRICS, una strategia di accerchiamento della Cina che causerebbe un problema molto grave a Pechino. 

Gli studi hanno dimostrato una ripartizione inattesa delle riserve di gas mondiali. La Russia è al primo posto con 643 miliardi di metri cubi nella Siberia occidentale. In secondo luogo, l'Arabia, compreso il deposito di Ghawar, con 426 miliardi di metri cubi. Poi nel terzo, il Mediterraneo con 345 miliardi di metri cubi di gas che devono essere aggiunti ai 5,9 miliardi di barili di gas liquido, e ancora agli 1,7 miliardi di barili di petrolio. Per quanto riguarda il Mediterraneo, esso è principalmente in Siria. Il deposito scoperto a Qara può raggiungere i 400.000 metri cubi al giorno, il che rende il paese il quarto più grande produttore nella regione, dopo Iran, Iraq e Qatar.

Il trasporto del gas dalla cintura di Zagros (Iran) verso l’Europa dovrà passare attraverso l'Iraq e la Siria. Questo ha completamente invertito i progetti americani e consolidato i progetti russi (Nord Stream e South Stream). Il gas siriano è sfuggito a Washington, e non gli resta che ripiegare sul gas libanese.

La guerra continua ...

Imad Fawzi Shueibi
Fonte; www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/Le-projet-de-Nouvel-Ordre-Mondial
14.08.2012

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da OLDHUNTER 

NOTE

[ 1 ] " Negli ultimi tre anni, abbiamo aperto milioni di ettari di nuovi campi di petrolio e gas, e stasera, sto autorizzando la mia amministrazione ad aprire oltre il 75 per cento del nostro potenziale off-shore di petrolio e di gas. (Applausi) Proprio ora - proprio ora – la produzione di petrolio americano è la maggiore. Da otto anni. Proprio così - otto anni. Non solo - l'anno scorso, ci siamo affidati meno al petrolio straniero che in uno qualunque degli ultimi 16 anni ".

[ 2 ] " Abbiamo una fornitura di gas naturale, che in America può durare quasi 100 anni."

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