lunedì 21 giugno 2010

Energia nucleare: la Corte Costituzionale boccia la Legge

FINALMENTE UNA COSA SENSATA IN TANTO SQUALLORE DI QUESTA ITALIETTA DI FURBETTI CAFONI ED EVASORI!!

RIDARE SOVRANITA' AL POPOLO E' CIO' CHE CONTA, MANDARE A FUOCO GLI AFFARISTI NUCLEARISTI DI OGNI COLORE E GENERE, CHE VOGLIONO USARE QUEST'ARMA DI MORTE NERA PER RIDURRE IN UNA CONDIZIONE CATASTROFICA L'AMBIENTE DELLE FUTURE GENERAZIONI, E' COSA GIUSTA E DOVUTA!!

LA SENTENZA , NON DEVE FARCI CANTARE VITTORIA , MA PORRE LE BASI PER RAFFORZARE LA DETERMINAZIONE DELLA NOSTRA GENTE NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE IL PREMIER ITALICO USERA' I VARI GOVERNATORI E PRESIDENTI DELLE REGIONI PER CONTINUARE LA SUA FOLLE IDEA NUCLEARISTA , PERCIO' E' PIU' CHE GIUSTO SOSTENERE E CONTINUARE LA LOTTA PER LA VITA CHE ABBIAMO PORTATO INNANZI FINORA IN SARDEGNA SIA SUL SITO POSSIBILE DELLA CENTRALE NUCLEARE A CIRRAS CHE CONTRO LE FAMIGERATE SCORIE NUCLEARI ED I POSSIBILI SITI DI STOCCAGGIO !

Con il termine di scorie nucleari si intende indicare il combustibile esausto originatosi all’ interno dei reattori nucleari nel corso dell’esercizio.
Esse rappresentano un sottoinsieme dei rifiuti radioattivi, a loro volta suddivisibili in base al livello di attività in tre categorie: basso, intermedio ed alto.

Si osservi che:
- la radiotossicità del combustibile esausto decresce nel tempo e pareggia quella dell’uranio inizialmente caricato nel reattore solo dopo 250.000 anni;

Dato che le scorie radioattive, al contrario dei rifiuti convenzionali, decadono nel tempo, si osserva che i prodotti di fissione sono pericolosi per circa 300 anni, gli attinidi minori per circa 10.000, il plutonio per circa 250.000.

TUTTO QUESTO E' INACETTABILE CHE SIA STOCCATO SULLA NOSTRA STUPENDA E MAGNIFICA ISOLA!!

sa defenza sotziali




Sentenza 215/2010
Giudizio
Presidente AMIRANTE - Redattore MAZZELLA
Udienza Pubblica del 11/05/2010 Decisione del 09/06/2010
Deposito del 17/06/2010 Pubblicazione in G. U.
Norme Impugnate: Art. 4, c. 1°, 2°, 3° e 4°, del decreto legge 01/07/2009, n. 78, convertito con modificazioni in legge 03/08/2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, c. 1°, lett. a), del decreto legge 03/08/2009, n. 103, convertito con modificazioni in legge 03/10/2009, n. 141
Atti decisi: ric. 79, 80, 84 e 88/2009


SENTENZA N. 215
ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, promossi dalla Regione Umbria, dalla Provincia autonoma di Trento e dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna con ricorsi notificati il 3 e il 2 ottobre 2009, depositati in cancelleria il 7, l’8 e il 13 ottobre 2009, rispettivamente iscritti ai nn. 79, 80, 84 e 88 del registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento della TERNA, Rete elettrica nazionale s.p.a.;
udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Rosaria Russo Valentini e Giandomenico Falcon per la Regione Emilia Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Umbria, per la Provincia autonoma di Trento e per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.



Ritenuto in fatto
1. – La Regione Umbria ha promosso, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, secondo e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 (R.R. n. 79 del 2009).
1.1. – La ricorrente premette che il predetto art. 4 concerne interventi urgenti per le reti dell’energia. Esso, al comma 1, dispone che il Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti, «individua gli interventi relativi alla trasmissione ed alla distribuzione dell’energia, nonché, d’intesa con le Regioni e le province autonome interessate, gli interventi relativi alla produzione dell’energia, da realizzare con capitale prevalentemente o interamente privato, per i quali ricorrono particolari ragioni di urgenza in riferimento allo sviluppo socio-economico e che devono essere effettuati con mezzi e poteri straordinari».
Per la realizzazione dei predetti interventi e con le medesime modalità, il comma 2 prevede la nomina, con deliberazione del Consiglio dei ministri, di uno o più Commissari straordinari del Governo ai sensi dell’art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri).
Ciascun commissario, «sentiti gli enti locali interessati, emana gli atti e i provvedimenti, nonché cura tutte le attività, di competenza delle amministrazioni pubbliche che non abbiano rispettato i termini previsti dalla legge o quelli più brevi, comunque non inferiori alla metà, eventualmente fissati in deroga dallo stesso Commissario, occorrenti all’autorizzazione e all’effettiva realizzazione degli interventi, nel rispetto delle disposizioni comunitarie, avvalendosi ove necessario dei poteri di sostituzione e di deroga di cui all’articolo 20, comma 4, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185» (comma 3, come modificato dal d.l. n. 103 del 2009, convertito dalla legge n. 141 del 2009).
Con i provvedimenti di cui al comma 1 «sono altresì individuati le strutture di cui si avvale il Commissario straordinario, senza che ciò comporti nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, nonché i poteri di controllo e di vigilanza del Ministro per la semplificazione normativa e degli altri Ministri competenti» (comma 4).
1.2. – La ricorrente pur non contestando che, nelle circostanze indicate dalla norma, l’individuazione degli interventi urgenti relativi alla trasmissione, alla distribuzione e alla produzione dell’energia sia fatta a livello centrale, ricorda come questa Corte abbia sottolineato che la «chiamata in sussidiarietà» di funzioni statali in materie di competenza regionale può giustificarsi solo qualora la legislazione statale «detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e [...] risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tal fine»; inoltre, «essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di Governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate agli organi centrali» (sentenza n. 6 del 2004).
Ad avviso della Regione Umbria, la disciplina dell’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009 non è pertinente (perché gli imprecisati interventi per i quali sussisterebbero «particolari ragioni di urgenza» devono essere realizzati «con capitale prevalentemente o interamente privato» e pertanto la legge non é idonea a regolare interventi realmente urgenti, poiché la disponibilità del capitale privato é per definizione non garantita), né proporzionata, non essendovi ragioni per attrarre al centro, oltre all’individuazione degli interventi, anche la loro realizzazione.
Il legislatore statale avrebbe potuto realizzare l’obiettivo dell’accelerazione degli interventi di competenza regionale riducendo i termini o semplificando in altro modo i procedimenti, nell’esercizio della sua potestà legislativa di principio. Né lo strumento dei commissari è previsto per compiere atti urgenti di competenza di altre amministrazioni.
La difesa regionale aggiunge che il principio di sussidiarietà ha già operato nella materia dell’energia, considerato che l’art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e la legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), attribuiscono ad organi statali alcune funzioni amministrative, in base ad esigenze di esercizio unitario.
Secondo la Regione Umbria, pertanto, l’art. 4, commi 2, 3 e 4, del d.l. n. 78 del 2009, prevedendo poteri amministrativi statali in materie di competenza regionale (energia e governo del territorio), violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione.
1.3. – In via subordinata, la ricorrente deduce che l’art. 4, comma 3, del d.l. n. 78 del 2009, attribuendo al commissario straordinario del Governo i poteri di sostituzione e di deroga di cui all’art. 20, comma 4, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e quello di fissare, per l’espletamento delle attività di competenza delle pubbliche amministrazioni, termini inferiori rispetto a quelli previsti dalle leggi, violerebbe comunque i predetti parametri costituzionali.
Infatti, quanto ai poteri sostitutivi, ad avviso della difesa regionale non è costituzionalmente ammissibile che presunte ragioni di urgenza legittimino il conferimento ad un commissario del potere di “espropriare” le competenze amministrative spettanti alle Regioni e agli enti locali in materia di energia, governo del territorio e tutela della salute, né che il commissario possa derogare ad ogni norma, comprese quelle regionali che regolano la valutazione di impatto ambientale e quelle poste a difesa della salute dei cittadini; inoltre, la previsione di tali poteri sostitutivi non risponderebbe ai requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (precisamente, non sussiste la competenza di un organo politico, non si tratta di atti obbligatori e non sono stabilite garanzie procedimentali per le Regioni).
Il potere di riduzione dei termini, invece, incide potenzialmente sulla normativa regionale e pregiudica la possibilità di esercizio della funzione amministrativa regionale o degli enti locali, mettendo a repentaglio gli interessi all’ordinato sviluppo del territorio, all’ambiente e alla salute tutelati dalle leggi regionali in materia di energia e di urbanistica.
1.4. – La Regione Umbria afferma, poi, che l’art. 4, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 78 del 2009, nella parte in cui non prevede l’intesa della Regione interessata per l’atto di individuazione degli interventi relativi alla trasmissione ed alla distribuzione dell’energia (comma 1), per l’atto di nomina dei commissari (comma 2) e per gli atti adottati dai commissari (comma 3), viola gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. e il principio di leale collaborazione, i quali richiedono un forte coinvolgimento della Regione quando, come nella specie, lo Stato attragga a sé funzioni amministrative attinenti a materie di competenza regionale.
Infatti, il comma 1 del menzionato art. 4 richiede l’intesa solamente per l’individuazione degli interventi di produzione dell’energia, non anche per quelli di trasmissione e di distribuzione. Ad avviso della Regione, tale differenziazione non è giustificata, né la lacuna potrebbe essere corretta in sede interpretativa, stante la chiarezza del testo della norma.
Il comma 2 prevede che per la realizzazione dei predetti interventi e con le medesime modalità si provvede alla nomina, con deliberazione del Consiglio dei ministri, di uno o più commissari straordinari del Governo. Anche in questo caso, secondo la difesa regionale, dovrebbe ugualmente valere il principio dell’intesa, che invece è richiesto, attraverso il rinvio al comma 1, per le sole opere di produzione dell’energia; ne conseguirebbe l’illegittimità del comma 2 per non aver previsto l’intesa anche sulla nomina di commissari statali in relazione alle opere di trasmissione e di distribuzione dell’energia.
Anche l’art. 4, comma 3, del d.l. n. 78 del 2009, ad avviso della ricorrente, sarebbe illegittimo, perché non stabilisce che i provvedimenti relativi all’autorizzazione e alla realizzazione degli interventi vengano assunti d’intesa con la Regione interessata.
La Regione Umbria richiama, poi, la giurisprudenza di questa Corte che ha sancito la necessità dell’intesa con la Regione interessata per la localizzazione e la realizzazione di opere gestite da organi centrali in virtù del principio di sussidiarietà (sentenze n. 303 del 2003, n. 6 del 2004, n. 62 e n. 383 del 2005).
Infine, la ricorrente segnala che anche la Commissione parlamentare per le questioni regionali, nel parere del 29 luglio 2009, aveva chiesto il ripristino del testo originario del d.l. n. 78 del 2009 che prevedeva l’intesa con le Regioni e le Province autonome interessate per l’individuazione, non solo degli interventi relativi alla produzione dell’energia, ma anche di quelli relativi alla trasmissione e alla distribuzione dell’energia.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio e chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato nel merito.
Il resistente afferma che l’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009 mira a superare situazioni di stallo che si possono verificare con riferimento ad impianti privati di produzione di energia (già realizzati o in corso di realizzazione), sui quali le competenze della Regione e degli enti locali già si sono espresse e per i quali si presentino difficoltà per la piena utilizzazione del prodotto nella rete nazionale, ovvero con riferimento all’individuazione di nuovi insediamenti necessari per risolvere deficit strutturali di energia riscontrabili in importanti aree del Paese.
Esso, dunque, si applica solamente in circostanze di particolare urgenza che richiedono il ricorso a mezzi e poteri straordinari al fine di tutelare in modo unitario gli interessi dell’intera collettività nazionale.
La difesa erariale aggiunge che la chiamata in sussidiarietà prevista dalla norma impugnata è ragionevole e proporzionata.
Infatti, assodato (come riconosciuto dalla stessa ricorrente) che le circostanze di urgenza giustificano l’individuazione, da parte dello Stato, degli interventi da compiere, sarebbe semmai irragionevole che la fase esecutiva, che è quella che determina l’effettivo soddisfacimento delle esigenze unitarie che giustificano l’intervento statale, non fosse anch’essa attratta in capo allo Stato.
Irrilevante sarebbe, poi, la forma, pubblica o privata, dell’intervento da realizzare, decisiva essendo invece la finalità pubblicistica che si intende celermente perseguire.
Quanto alla pretesa violazione del principio di leale collaborazione, la difesa erariale afferma che, nel caso di specie, esso è stato attuato nei limiti della ragionevole essenzialità e, cioè, per gli interventi di nuove produzioni, con l’intesa con la Regione interessata e, in tutti i casi, con la partecipazione egli enti locali.
La differenziazione della disciplina degli interventi urgenti relativi alla trasmissione e alla distribuzione, da un lato, e quelli relativi alla produzione dell’energia, dall’altro, è il frutto di una consapevole scelta del legislatore, basata sulla constatazione che situazioni critiche in tema di trasporto e distribuzione presuppongono necessariamente una preventiva positiva valutazione della Regione sull’attività di produzione e mirano a superare difficoltà e gelosie locali in ordine alla fruizione di un bene già esistente che una non razionale distribuzione potrebbe disperdere.
Inoltre l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea come gli interventi in materia di trasporto e distribuzione di energia siano caratterizzati da un interesse strategico statale più marcato rispetto a quelli inerenti la produzione. Infatti il servizio di trasporto e trasformazione dell’energia elettrica sulla rete nazionale ha la funzione di connettere i centri di produzione nazionali e transazionali, al fine di ottimizzare la produzione.
3. – La Provincia autonoma di Trento ha promosso, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, secondo e terzo comma, Cost., agli artt. 8, numeri 5, 6, 17, 19 e 22, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e all’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), questioni di legittimità costituzionale – tra l’altro – dell’art. 4, commi 1, 2, 3 e 4, del medesimo d.l. n. 78 del 2009 (R.R. n. 80 del 2009) di cui al precedente ricorso.
3.1. – La ricorrente premette che le disposizioni impugnate attengono alla materia «energia», nella quale essa ha potestà legislativa ed amministrativa in virtù del d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), che, in attuazione delle norme statutarie che attribuiscono potestà primaria alla Provincia di Trento nelle materie dell’«urbanistica», della «tutela del paesaggio», dei «lavori pubblici di interesse provinciale», della «assunzione diretta di servizi pubblici» e della «espropriazione per pubblica utilità (art. 8, nn. 5, 6, 17, 19 e 22 dello statuto di autonomia speciale), ha aggiunto l’art. 01 nel d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia).
Inoltre, l’art. 14, primo comma, dello statuto di speciale autonomia prevede il parere obbligatorio della Provincia per le concessioni in materia di comunicazioni e trasporti riguardanti linee che attraversano il territorio provinciale e l’art. 9 del d.P.R. n. 235 del 1977 precisa che quanto disposto da tale art. 14 si applica «per quanto concerne il territorio delle province autonome» a tutto ciò che riguarda «lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale».
In particolare, l’art. 01 del d.P.R. n. 235 del 1977 trasferisce alle Province autonome «le funzioni in materia di energia esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite di enti e istituti pubblici a carattere nazionale o sovraprovinciale, salvo quanto previsto dal comma 3» (comma 1); ed il comma 2 precisa che le funzioni relative alla materia «energia» di cui al comma 1 «concernono le attività di ricerca, produzione, stoccaggio, conservazione, trasporto e distribuzione di qualunque forma di energia».
Allo Stato il citato art. 01, comma 3, lettera c), riserva solamente «la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti convenzionali di potenza superiore a 300 MW termici nonché le reti per il trasporto dell’energia elettrica costituenti la rete di trasmissione nazionale con tensione superiore a 150 KV, l’emanazione delle relative norme tecniche e le reti di livello nazionale di gasdotti con pressione di esercizio superiore a 40 bar e oleodotti». Anche in relazione a tali compiti, comunque, l’art. 01, comma 4, prevede il parere obbligatorio della Provincia, ai sensi dell’art. 14, primo comma, dello statuto di speciale autonomia.
Infine, la ricorrente ricorda che, in base agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., le Regioni ordinarie hanno potestà legislativa concorrente e potere di allocare le funzioni amministrative in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
3.2. – La Provincia autonoma di Trento sostiene che, se l’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009 dovesse essere inteso come riferito a tutti gli impianti e a tutte le reti (e cioè anche a quelli che l’art. 01 del d.P.R. n. 235 del 1977 attribuisce alla competenza provinciale), violerebbe sia gli artt. 8, numeri 5, 6, 17, 19 e 22, e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972, sia l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale esclude che la legge possa attribuire agli organi statali – nelle materie di competenza propria delle Province autonome – funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione.
3.3. – Ad avviso della ricorrente l’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009 sarebbe illegittimo anche se inteso come riferito esclusivamente alle opere diverse da quelle trasferite alla competenza della Provincia di Trento.
Infatti, pur restando ferma la necessità del parere della Provincia per le concessioni in materia di comunicazioni e trasporti riguardanti linee che attraversano il territorio provinciale prevista dall’art. 14 del d.P.R. n. 670 del 1972 (previsione che – in virtù dell’art. 9 del d.P.R. n. 235 del 1977 – si applica anche allo sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell’energia), la norma impugnata attribuirebbe inammissibilmente compiti amministrativi ad organi statali in materia oggetto di competenza concorrente, senza prevedere un forte coinvolgimento della Provincia.
Al riguardo la ricorrente svolge considerazioni analoghe a quelle contenute nel ricorso proposto alla Regione Umbria (v., supra, n. 1.4).
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito e chiede che il ricorso sia respinto.
La difesa del Governo afferma che le disposizioni impugnate prevedono, in materia di produzione di energia, il coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome interessate attraverso lo strumento dell’intesa. Invece il trasporto e la distribuzione dell’energia avvengono in un quadro di riferimento che richiederebbe necessariamente una valutazione d’insieme che solamente la visione unitaria dello Stato sarebbe in condizione di garantire.
Coerente con tale competenza statale sarebbe la nomina dei commissari di cui all’art. 4, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, mentre il rispetto dei principi di leale collaborazione è garantito dalla necessità (prevista dal successivo comma 3) di sentire gli enti locali interessati. Infine, del tutto legittimamente il comma 4 dello stesso art. 4 disciplinerebbe l’ufficio del commissario, che è un organo dello Stato.
5. – Anche la Regione Toscana ha promosso, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale – tra l’altro – dell’art. 4, comma 1, del medesimo d.l. n. 78 del 2009 di cui ai precedenti ricorsi (R.R. n. 84 del 2009).
La ricorrente espone che l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 78 del 2009, nella sua versione originaria era conforme a Costituzione, poiché prevedeva la necessità dell’intesa con la Regione interessata, per l’individuazione, non solo degli interventi in tema di produzione dell’energia, ma anche di quelli relativi al trasporto e alla distribuzione dell’energia.
Invece, per questa seconda categoria di interventi, la necessità dell’intesa è stata eliminata in sede di conversione in legge e tale testo della norma è stato riprodotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), del d.l. n. 103 del 2009.
Ciò determinerebbe la lesione delle competenze regionali in materia di trasporto e distribuzione dell’energia, poiché lo Stato ha assunto la titolarità di funzioni amministrative che in tale materia spetterebbero alle Regioni, senza prevedere la necessità di una intesa forte, così come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (in proposito, la ricorrente cita le sentenze n. 303 del 2003, n. 6 del 2004 e n. 383 del 2005).
6. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito e chiede che il ricorso sia respinto.
Il resistente afferma che il legislatore non ha previsto la necessità dell’intesa per gli interventi in materia di trasporto e distribuzione dell’energia perché questi sono caratterizzati da un preminente interesse strategico ai fini dello sviluppo economico, della produzione industriale e della fornitura dei servizi pubblici essenziali sull’intero territorio nazionale e pertanto legittimamente ha ritenuto che, in una situazione di particolare urgenza, il coinvolgimento delle singole Regioni interessate potesse avvenire esclusivamente in materia di produzione dell’energia.
7. – Anche la Regione Emilia-Romagna ha promosso, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., nonché per violazione del principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 4, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l. n. 78 del 2009 (R.R. n. 88 del 2009), svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel ricorso della Regione Umbria e riportate supra, sub numeri da 1.1. a 1.4).
8. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito e chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato nel merito, sulla base degli stessi argomenti svolti nell’atto di costituzione nel giudizio promosso dalla Regione Umbria (v., supra, sub n. 2).
9. – In tutti i giudizi è intervenuta la TERNA – Rete Elettrica Nazionale s.p.a., la quale chiede che i ricorsi siano respinti.
10. – Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno depositato memorie.
10.1. – La Regione Umbria premette che l’art. 2-quinquies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (Misure urgenti per garantire la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori), inserito dalla legge di conversione 22 marzo 2010, n. 41, a norma del quale ai commissari straordinari di cui all’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009 non si applicano le previsioni dell’art. 11 della legge n. 400 del 1988, non incide sulla materia del contendere nel presente giudizio.
Eccepisce, inoltre, l’inammissibilità dell’intervento della TERNA s.p.a.
Nel merito, la Regione Umbria contesta le argomentazioni svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri, affermando che le situazioni indicate dall’Avvocatura generale dello Stato a fondamento della norma impugnata non valgono a giustificare la chiamata in sussidiarietà per la realizzazione degli interventi contemplati dalla norma medesima; aggiunge che le disposizioni censurate non sono neppure idonee a garantire interventi effettivamente urgenti, poiché questi devono essere realizzati con prevalente capitale privato.
La Regione ribadisce, quindi, che l’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009 viola il principio di leale collaborazione e che esso è illegittimo anche perché attribuisce ai commissari poteri troppo ampi.
Nega, infine, che gli interventi previsti dalla norma impugnata si riferiscano a strutture la cui realizzazione sarebbe già stata concertata con le Regioni e che le situazioni di urgenza che li giustificherebbero dipendano da obblighi internazionali assunti dall’Italia.
10.2. – La Provincia autonoma di Trento, nella propria memoria, svolge considerazioni analoghe a quelle contenute nella memoria della Regione Umbria.
10.3. – La Regione Emilia-Romagna, a sua volta, contesta le argomentazioni svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri e dalla TERNA s.p.a. ed afferma che la normativa impugnata sarebbe illegittima anche perché i poteri attribuiti ai commissari sono eccessivamente ampi, né essi sono limitati agli impianti per i quali sia in corso un procedimento autorizzativo che necessiti di un intervento sollecitatorio ovvero a quelli la cui realizzazione sarebbe stata già concertata con le Regioni.
Ad avviso della difesa regionale, il principio di leale collaborazione sarebbe leso per non essere state previste forme di collaborazione Stato-Regione in relazione agli interventi di trasmissione e distribuzione dell’energia. Né l’asserito più marcato interesse strategico statale nei confronti di questi interventi rispetto a quelli inerenti la produzione dell’energia giustificherebbe l’attrazione della materia de qua nella sfera di competenza esclusiva dello Stato.
La Regione, infine, contesta che lo Stato avesse titolo ad emanare le norme censurate in ragione della propria competenza legislativa in materia di rapporti con l’unione europea, di ambiente e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Infatti le norme in questione rientrano nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», oggetto di competenza legislativa concorrente. Conseguentemente, la necessità di adeguamento alla normativa europea di far fronte ai ritardi accumulati dal nostro Paese è inconferente e insufficiente a legittimare i contenuti concretamente adottati dal legislatore statale, in ragione, sia della violazione del principio di leale collaborazione, sia della mancanza di un riscontro positivo delle asserite ragioni di urgenza (stante anche la mancata previsione di forme certe e pubbliche di finanziamento per la realizzazione degli interventi che si ritengono necessari).


Considerato in diritto
1. – Le Regioni Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del d.l. anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, agli artt. 8, numeri 5, 6, 17, 19 e 22, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), all’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), ed al principio di leale collaborazione.
La Provincia autonoma di Trento e la Regione Toscana hanno promosso, con i medesimi ricorsi, anche questioni di legittimità costituzionale di altre disposizioni del medesimo d.l. n. 78 del 2009, per le quali si è proceduto a separati giudizi.
1.1. – L’art. 4 del d.l. n. 78 del 2009, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 103 del 2009, prevede che il Consiglio dei ministri può individuare interventi relativi alla produzione, al trasporto ed alla distribuzione dell’energia, da realizzare con capitale prevalentemente o interamente privato, per i quali ricorrono particolari ragioni di urgenza in riferimento allo sviluppo socio-economico e che devono essere effettuati con mezzi e poteri straordinari (comma 1); la disposizione richiede la necessità dell’intesa con la Regione solo per l’individuazione degli interventi relativi alla produzione e non anche per quelli concernenti il trasporto e la distribuzione.
Il Consiglio dei ministri nomina, con la stessa procedura di cui al comma 1, uno o più Commissari straordinari per la realizzazione di tali interventi (comma 2).
Il Commissario straordinario può fissare, per l’attività occorrente per l’autorizzazione e l’esecuzione degli interventi in questione, termini più brevi rispetto a quelli ordinariamente previsti; inoltre, in tutti i casi in cui le amministrazioni non rispettino tali termini (quelli ordinari ovvero quelli da lui abbreviati), può sostituirsi alle amministrazioni medesime nel compimento di tutta l’attività che sarebbe di loro competenza (comma 3).
Con i provvedimenti di cui al comma 1 sono altresì individuati le strutture di cui si avvale il Commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, nonché i poteri di controllo e di vigilanza del Ministro per la semplificazione normativa e degli altri Ministri competenti (comma 4).
1.2. – Ad avviso delle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e della Provincia autonoma di Trento, premesso che la norma censurata deve essere ricondotta alla materia della «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia», non sussisterebbero le ragioni giustificatrici della chiamata in sussidiarietà in capo ad organismi statali disposta dalla norma denunciata.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento sostengono anzitutto che la chiamata in sussidiarietà del potere di individuare e realizzare interventi relativi alla produzione, alla trasmissione ed alla distribuzione dell’energia è stata attuata dall’art. 4, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l. n. 78 del 2009 con una normativa non pertinente (perché gli interventi per i quali sussisterebbero «particolari ragioni di urgenza» devono essere realizzati «con capitale prevalentemente o interamente privato» e, pertanto, la legge non sarebbe idonea a regolare interventi realmente urgenti, la disponibilità del capitale privato essendo per definizione non garantita), né proporzionata, perché non ci sono ragioni per attrarre al centro, oltre all’individuazione degli interventi, anche la loro realizzazione.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna deducono, in via subordinata, che, in ogni caso, i poteri attribuiti ai Commissari sarebbero troppo ampi.
Infine, tutte le ricorrenti sostengono che, ammesso che sussista l’esigenza accentratrice, la norma sarebbe illegittima nella parte in cui prevede l’intesa con le Regioni solo per gli interventi relativi alla produzione e non anche per quelli relativi al trasporto ed alla distribuzione dell’energia.
Risulterebbero pertanto violati, per le Regioni ricorrenti, gli artt. 117 e 118 Cost. e, per la Provincia di Trento, anche le norme statutarie in materia di «energia» (artt. 8, numeri 5, 6, 17, 19 e 22, e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972, e art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992).
2. – Stante la loro connessione oggettiva, i quattro ricorsi devono essere riuniti ai fini di un’unica pronuncia.
3. – Nei giudizi di costituzionalità è intervenuta la TERNA s.p.a., gestore della rete elettrica nazionale.
Tale intervento è inammissibile, perché, come costantemente affermato da questa Corte, i giudizi di costituzionalità in via principale si svolgono solamente fra i soggetti titolari di potestà legislativa, con esclusione di qualsiasi altro soggetto.
4. – La questione è fondata.
In considerazione del fatto che si verte in materia di produzione, trasmissione e distribuzione dell’energia, non può in astratto contestarsi che l’individuazione e la realizzazione dei relativi interventi possa essere compiuta a livello centrale, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione. In concreto, però, quando un simile spostamento di competenze è motivato con l’urgenza che si ritiene necessaria nell’esecuzione delle opere, esso dev’essere confortato da valide e convincenti argomentazioni.
Ora, è agevole osservare che, trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime.
Invece la disposizione impugnata stabilisce che gli interventi da essa previsti debbano essere realizzati con capitale interamente o prevalentemente privato, che per sua natura è aleatorio, sia quanto all’an che al quantum.
Si aggiunga che la previsione, secondo cui la realizzazione degli interventi è affidata ai privati, rende l’intervento legislativo statale anche sproporzionato. Se, infatti, le presunte ragioni dell’urgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso Stato, per esigenze di esercizio unitario, a doversi occupare dell’esecuzione immediata delle opere, non c’è motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi.
I canoni di pertinenza e proporzionalità richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di riconoscere la legittimità di previsioni legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni non sono stati, quindi, rispettati. Va dichiarata pertanto l’illegittimità dell’art. 4, commi da 1 a 4, del d.l. n. 78 del 2009, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 103 del 2009, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione.
4. – Le ulteriori questioni sollevate dai ricorrenti (in tema di ampiezza dei poteri dei Commissari straordinari e di mancata previsione dell’intesa con le Regioni in sede di individuazione degli interventi in materia di trasmissione e distribuzione dell’energia) restano assorbite, stante la caducazione integrale delle norme censurate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi e riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Toscana,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2010
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Le mie foto - sayli vaturu

MANIFESTAZIONE DI NO NUKE: UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA' IL GIORNO 08 DICEMBRE 2009 IN PIAZZA DEL CARMINE A CAGLIARI



Domanda: quante scorie nucleari giacciono stoccate sul nostro territorio? Risposta:

In varie zone dell’Italia sono stoccati circa 60mila metri cubi di rifiuti radioattivi e più di 298,5 tonnellate di combustibile irraggiato. Molti di questi provengono dalle nostre quattro centrali nucleari dismesse: Latina, Garigliano (Ce), Trino (Vc), Caorso (Pc) che da sole hanno prodotto ben 55mila metri cubi di scorie. Impianti chiusi in seguito al disastro di Chernobyl (1986) con la vittoria del fronte ambientalista al referendum del 1987 che nel nostro Paese ha messo al bando l’energia atomica.

Perciò i giudici contabili contestano alla Sogin i costi fin qui sostenuti per tenere in custodia passiva le scorie che diversamente sarebbero già dovute essere state smaltite:

Dall’analisi dei giudici contabili viene fuori inoltre che per il decommissioning «nel 2008 sono stati sostenuti costi per 46,4 milioni di euro», manutenzione esclusa. Con un bilancio netto «aumentato del 334%, raggiungendo 1.577 migliaia di euro rispetto ai 393,4 del 2007» e utili per «8,6 milioni di euro (contro i 4 del 2007)». Durante il 2009 dagli oneri sulle bollette elettriche sono arrivati 450 milioni per lo smantellamento del nucleare. La Corte dei Conti aggiunge anche che l’Agenzia delle dogane a maggio 2008 ha condotto «una verifica sulle fatture intracomunitarie registrate nel 2006, conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione». Il Fisco ha contestato alla Sogin due infrazioni, una delle quali «riguarda il mancato inserimento nei mesi di febbraio, giugno e agosto 2006 di acquisti (intracomunitari) effettuati da un fornitore Belga». Ipotizzando un’evasione dell’Iva.

Il punto è questo: le nuove centrali nucleari dovrebbero entrare in funzione e a pieno regime entro il 2018; la dismissione delle vecchie sarà terminata entro il 2024. Nel frattempo il nucleare dall’Italia, di fatto, non è mai andato via:

La Sogin deve completare lo smantellamento entro il 2024. Per quella data la società è tenuta a riconsegnare i siti «senza vincoli radiologici». Quindi almeno sulla carta ci vogliono quasi quarant’anni dallo spegnimento al completamento della dismissione. Perché si tratta di un processo lungo, complicato e soprattutto molto costoso.


giovedì 17 giugno 2010

19 GIUGNO IL COMITATO PROMOTORE REFERENDUM NUCLEARE INCONTRA IL BASSO CAMPIDANO A ELMAS

SABATO 19 GIUGNO ELMAS ORE 17.00
NELLA SALA DELL'EX COMUNE

NON POSSIAMO PERMETTERE CHE ROVININO LA TERRA DEI BIMBI CHE DEVONO ANCORA NASCERE

I SARDI PER UN SI AL REFERENDUM PER IL RIFIUTO DELLE SCORIE E DELLE CENTRALI NUCLEARI A CIRRAS ED OVUNQUE IN SARDEGNA E NEL MONDO!!

NO NUCLEARE IN SARDINIA!
SOVRANITA' SULLA NOSTRA TERRA!
MOVIMENTARCI PER NON SUBIRE
AGIRE PER NON PERIRE






COMITATO PROMOTORE REFERENDUM SUL NUCLEARE

Il COMITATO PROMOTORE DEL REFERENDUM SUL NUCLEARE
- CHI SIAMO-
nasce da una forte coscienza della responsabilità generazionale che impegna i sardi a tutelare il territorio della Sardegna per trasmetterlo salubre e senza ulteriori contaminazioni alle generazioni future, nell'esercizio delle facoltà primigenie di sovranità che loro derivano dall'appartenenza a questo popolo e a questa terra. Questo sentire si è concretizzato nella volontà di interpellare il Popolo Sardo in merito alla indisponibilità del territorio dell’isola alla installazione di centrali nucleari e/o allo smaltimento di scorie radioattive.
Il Popolo Sardo si esprimerà attraverso un referendum consultivo promosso ai sensi dell’art. 1, lett. f) della Legge Regionale n. 20 del 17 maggio 1957, successive modificazioni, che riporta il seguente quesito:

“Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”

DEL COMITATO PROMOTORE fanno parte

• il Movimento “Sardigna Natzione Indipendentzia”
• il Comitato “NoNuke! Una risata sardonica vi seppellirà!” .

Martedì 9 Febbraio alle ore 11.30 presso la Corte d’Appello di Cagliari il Comitato Promotore ha consegnato 16286 firme regolarmente autenticate e certificate con controllo sulle liste elettorali, chiedendo il referendum, che è stato concesso con decreto dell’aprile successivo.

Queste alcune delle iniziative già svolte nell’ambito della Campagna per la raccolta delle firme e nella Campagna referendaria:

• CAGLIARI, piazza del Carmine, 8 dicembre 2009
MANIFESTAZIONE ANTINUCLEARE

• CIRRAS, 7 marzo 2010
DIE DE SA VARDIANIA
Manifestazione antinucleare con posa di un bronzetto, simbolo di guardiania.

• CAGLIARI, piazza del Carmine, 26 Aprile 2010
CHERNOBYL DAY

Il Comitato Promotore si propone inoltre di continuare l’iniziativa nella quale è già impegnato: “Paese per Paese”, nell’ambito della quale si organizzano incontri-dibattito con la proiezione di materiale informativo e la presenza di esperti che spiegano le ragioni del votare SI al quesito del referendum consultivo.
SI ALLA VITA NO ALLA MORTE NUCLEARE.

http://comitatopromotore.forumfree.it/

martedì 18 maggio 2010

BENI COMUNI «Un risultato straordinario, ora bisogna vincere il referendum» L'acqua marcia e fa 500 mila

IL MINISTRO RONCHI:
«Il referendum può far saltare tutto»
A settembre saranno pronti i regolamenti attuativi della riforma dei servizi pubblici. Lo ha spiegato ieri in un'intervista al Sole24ore il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, che se l'è presa con la «grande mistificazione ideologica sulla gestione dell'acqua, che rischia di far saltare il banco». Secondo il ministro, infatti, la raccolta delle firme per il referendum non è altro che «un pretesto», poichè il decreto «non privatizza l'acqua» e «la battaglia ideologica serve per bloccare le liberalizzazioni vere che sono previste da quel provvedimento». Ma come si fa a rilanciare la liberalizzazione? «Prima di tutto puntando con più decisione sulla creazione di una Authority indipendente che vigili sull'intero processo e possa anche sanzionare le distorsioni. Non deve essere un carrozzone - ha aggiunto Ronchi - non mi interessano i nomi, mi interessa che il mercato ne ha bisogno e la liberalizzazione anche». Quanto ai decreti attuativi, il titolare delle Politiche comunitarie ha assicurato: «Ci stiamo lavorando», anche se «provvedimenti come questi, che devono armonizzare le discipline dei diversi settori, limitare il regime di esclusiva e precisare le regole degli affidamenti, toccano temi delicati e hanno bisogno di una concertazione ampia, perché una volta approvati devono funzionare al meglio», ha concluso.

Raggiunto il quorum in appena un mese. Il pienone alla Perugia-Assisi
Andrea Palladino
ilmanifesto.it
ROMA
La firma numero cinquecentomila ha un nome importante. È un nome collettivo, fatto da migliaia di persone che nell'ultimo - e decisamente burrascoso - fine settimana si sono messi in fila davanti ai banchetti del referendum per l'acqua pubblica. Forse la mano che ha materialmente fatto raggiungere - in un terzo del tempo - il numero minimo per la presentazione dei tre quesiti referendari era di una coppia di Assisi. Con il loro figlio piccolo erano alla marcia della pace e quando hanno visto i manifesti "L'acqua non si vende" del Forum per l'acqua non hanno esitato. Solo qualche giorno fa la Umbria Acqua Spa gli aveva staccato l'acqua, raccontano da Assisi. Una dimenticanza, una bolletta lasciata troppo tempo tra le carte di casa e l'acqua non scorre più dai rubinetti. Ai privati - Acea possiede il 40% di Umbria Acqua - non importa il perché, poco interessa se hai un figlio piccolo che ha bisogno di essere lavato anche più volte al giorno. Alle corporation interessa quella formula magica del liberismo, «l'equilibrio economico finanziario». Ovvero i bilanci, le quotazioni in borsa e i flussi finanziari.
Quella della coppia di Assisi è solo una delle tante piccole storie che i militanti dell'acqua pubblica si raccontano il giorno dopo il fine settimana che ha permesso di attraversare il guado delle cinquecentomila firme. È un successo clamoroso, forse mai raggiunto da altri referendum. Solo quattro anni fa furono necessari diversi mesi per raccogliere poco più di quattrocentomila firme per la proposta d'iniziativa popolare sulla ripubblicizzazione dell'acqua, che ancora oggi è ferma in Parlamento. È dunque profondamente cresciuta la mobilitazione, ma soprattutto si è diffusa la consapevolezza sul peso che ha la gestione dei beni comuni nella democrazia italiana. In quattro anni gli italiani hanno capito che non c'è bisogno di privatizzare l'acqua, perché - in realtà - già viviamo da diverso tempo la gestione delle corporation. In italiano si chiamano società per azioni e, a prescindere dalla composizione del capitale sociale, hanno per legge e per statuto la missione di fare profitto, a qualsiasi costo. Per la coppia di Assisi poco importa se la Umbria Acqua Spa è oggi posseduta al 60% dai comuni, perché poi, alla fine, chi stacca l'acqua è lo stesso soggetto che intasca gli utili. E i cinquecentomila che fino ad oggi hanno firmato per i tre quesiti referendari hanno in mente il vero peso detenuto dai soci privati. È lo stesso meccanismo - ampiamente raccontato - di Acqualatina (51% in mano ai comuni, 49% controllato da Veolia), di Acea (51% controllato dal Comune di Roma, 49% diviso tra Caltagirone, Suez e azioni scambiate in borsa) e di tante altre società miste, dal nord lombardo fino alla Calabria e alla Sicilia. E sta in questa consapevolezza la differenza vincente dei tre referendum dei movimenti per l'acqua con quello presentato da Di Pietro e con la proposta di legge degli ecodem del Pd: la privatizzazione è già arrivata alla fine degli anni '90, quando i privati iniziarono a gestire all'interno delle Spa miste. Quando i cittadini umbri, laziali, toscani, calabresi, lombardi e di tante altre regioni dove i privati sono entrati nelle gestioni idriche firmano hanno davanti agli occhi gli aumenti delle bollette e la volatilizzazione degli investimenti. È il caso, ad esempio, di Trieste, dove l'efficienza della rete è diminuita dopo il passaggio da azienda pubblica a società per azioni. O della provincia di Pescara, dove proprio ieri l'Ato ha comunicato l'aumento record del 30% in un solo anno delle tariffe. Anche in questo caso il gestore - l'Aca - è divenuto società di diritto privato ed oggi solo il 3,6% delle voci di costo va in investimenti sulla rete.
Il peso di questo primo risultato raggiunto era ieri visibile nella sede del Forum italiano dei movimenti per l'acqua. «Il risultato è straordinario, mezzo milione di firme in appena un mese - commenta Corrado Oddi, del coordinamento del Forum - Questa è la dimostrazione non solo che sul tema dell'acqua c'è una grande sensibilità, ma che si intercetta una domanda più profonda e più radicale, che va in contrasto con la mercificazione dei beni comuni e di tutti gli aspetti della vita in generale». E non è solo una questione di contenuto, ma di una mobilitazione in grado di coinvolgere al di là della crisi della sinistra: «D'altro canto l'impostazione data dal Forum - prosegue Oddi - fa emergere una domanda di nuova politica».
La strada ora da percorrere non è finita. Nei prossimi due mesi sarà necessario blindare i tre quesiti con un numero molto alto di firme. Gli ostacoli intermedi sono l'eventuale concorrenza con il quesito di Di Pietro - anche se in pochi hanno visto i banchetti dell'Idv in giro nelle piazze italiane - e il vaglio della Corte Costituzionale. L'ostacolo principale è però il quorum. Su questo punto batte da tempo il gruppo degli ecodem e il circolo più legato a Bersani all'interno del Pd. Ma, numeri alla mano, le previsioni dei democratici sembrano essere decisamente perdenti.



RICCI SCIO'
Un video dedicato al nostro presidente di Nuove Acque SpA, colui che ritiene il Referendum nazionale sull'acqua pubblica una pagliacciata all'italiana.
Report, Le Iene, Presa Diretta, TV7, Buongiorno regione TG3 sono solo alcune delle trasmissioni che hanno visto interventi di Paolo Ricci. Noi aretini lo conosciamo bene l'ex-sindaco di Arezzo che ha contribuito in maniera determinante alla stipula dei patti parasociali. Arezzo, la prima società misto pubblica-privata nella gestione del servizio idrico, studiata da numerose università come il modello da non imitare. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia. La cosa più preoccupante viene detta da chi detiene pieni poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione: NOI ATTINGIAMO DALLE BANCHE SENZA RIMBORSARE E RIMBORSEREMO IL GIORNO IN CUI SAREMO IN GRADO DI FARLO.... andate a vedere chi c'era e cosa è successo a Buenos Aires per esempio.

lunedì 17 maggio 2010

“TANGENTI SUL VENTO”


Business dell’eolico.

I pm: 5 milioni versati al piduista Carboni E quegli 800mila euro finiti a una società di Verdini

di Marco Lillo
ilfatto.com

Cinque milioni di euro. A tanto, secondo quello che risulta al Fatto Quotidiano, ammonta il flusso impressionante che parte da alcune società emiliane impegnata nel business dell’energia eolica in Sardegna e che finisce su conti riferibili, secondo l’accusa, al piduista Flavio Carboni. Nello stesso periodo, un collaboratore dell’imprenditore sardo 78enne coinvolto nel caso Calvi, versa alla società editoriale del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, circa 800 mila euro in buona parte in assegni circolari. Per questa ragione sono stati perquisiti sia il Credito Cooperativo di Firenze che il Giornale di Toscana, le ali del sistema Verdini nell’editoria e nella finanza. Il collaboratore di Carboni versa una serie di assegni circolari nel 2009, con un’accelerazione nell’autunno. I soldi finiscono alla Società Toscana di Edizioni Srl, che ha come azionista importante Denis Verdini. Nello stesso periodo le società emiliane che hanno generosamente finanziato Carboni cercano in tutti i modi di convincere la Regione Sardegna a dare il via libera al primo parco eolico off-shore d’Italia. Proprio in quel periodo, annotano gli investigatori, Verdini chiede al presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, di nominare alla presidenza dell’Arpas, l’agenzia ambientale regionale che si occupa di energia, un amico di Carboni: Ignazio Farris. Nelle conversazioni telefoniche intercettate Carboni dice esplicitamente che la sua nomina è una condizione fondamentale per l’attività del gruppo. Tra l’estate del 2009 e i primi mesi del 2010 i carabinieri del Nucleo operativo di Roma, su delega della Procura di Roma, ascoltano in diretta le conversazioni tra i protagonisti dell’inchiesta. E scoprono così che Marcello Dell’Utri si interessa insieme a Verdini alla lobby eolica di Flavio Carboni. Secondo l’ipotesi investigativa del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, e dei pm Ilaria Calò e Rodolfo Sabelli, quei flussi milionari tra le società del nord e Carboni devono essere letti insieme agli assegni circolari che arrivano al giornale di Verdini dall’amico di Carboni. Le due operazioni vanno inquadrate in una tela che include gli incontri tra Verdini e Carboni, le raccomandazioni del coordinatore del Pdl a Ignazio Farris e soprattutto la predisposizione da parte degli uffici della Regione Sardegna di un piano che, va detto, poi non è stato portato avanti da Cappellacci. Anche se gli investigatori non si spiegano il perché di quei progetti che poi non si concretizzeranno ma che avevano illuso la lobby eolica prima dello stop. I protagonisti della trama sono indagati. Oltre a Flavio Carboni e Denis Verdini, ci sono l’ex giudice tributario Pasquale Lombardi e il costruttore ed ex politico Arcangelo Martino. È finito sul registro degli indagati anche il presidente Cappellacci che ha ammesso di avere parlato con Carboni di energia eolica ma ha sempre sostenuto di avere risposto picche alle sue richieste. Intanto gli indagati attraverso i giornali fanno giungere agli inquirenti segnali sulle rispettive posizioni difensive. Il presidente Cappellacci, consapevole dell’esistenza di intercettazioni telefoniche che lo riguardano, ha ammesso di avere nominato Ignazio Farris su precisa indicazione di Denis Verdini. Il coordinatore del Pdl, rischia di restare così con il cerino in mano e tramite il suo avvocato Marco Rocchi spiega i flussi che lo riguarderebbero: “I soldi versati al Giornale di Toscana sono circa 800 mila euro e sono stati versati da due persone che i giornalisti denominano ‘collaboratore di Carboni’”, spiega Rocchi, “ma che per noi è un soggetto autonomo. Gli assegni provengono da questo signore, del quale non ricordo il nome, e dalla signora Pau”. Per l’avvocato Rocchi, “si trattava di un versamento per entrare nella società e non certo di un pagamento a Verdini. I due nuovi soci del giornale”, continua il legale di Verdini, “avevano siglato un preliminare. Le dirò di più: entro la fine del 2010 dovranno versare ancora fino a una cifra di circa 2 milioni”. Altro che prestanome, insomma, siamo davanti a due imprenditori che, in un momento nero per l’editoria, investono su un giornale in crisi. La società editrice vanta debiti per 11 milioni di euro nel 2008, dei quali 2,3 milioni verso i fornitori. Su 3,2 milioni di fatturato presenta un margine operativo lordo negativo per 1,7 milioni e una perdita di 217 mila euro. Eppure gli amici di Carboni hanno scelto di versare 2 milioni proprio per entrare in società con Verdini. Nelle visure camerali ovviamente non risulta nulla ma l’avvocato Rocchi spiega: “il preliminare non è stato registrato e non c’è nulla di male. Se gli investigatori sono convinti che si tratti di un’operazione fatta apposta per coprire il versamento di una tangente si sbagliano”.

sopra, il coordinatore Pdl Denis Verdini e sotto il presidente sardo Ugo Cappellacci (FOTO ANSA)


Denis Verdini è indagato per corruzione in un'inchiesta riguardante l'attività di un presunto comitato d'affari che coinvolge anche l'imprenditore Flavio Carboni nonché altre quattro persone. A condurre l'inchiesta, i pubblici ministeri romani Rodolfo Sabelli e Ilaria Calò.

L'inchiesta coinvolge oltre a Verdini e Carboni il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu, il magistrato tributario Pasquale Lombardo e il consigliere dell'agenzia ambiente (Arpa) Ignazio Farris. L'indagine riguarderebbe tra l'altro la creazione di un polo eolico in Sardegna, ma sulla natura degli appalti, viene mantenuto il massimo riserbo.

Intanto, nellambito della stessa inchiesta, ieri, a Firenze, è stato perquisito il Credito Cooperativo Fiorentino, istituto bancario presieduto da Verdini. Gli investigatori inviati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai Pm romani erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali gli inquirenti intendono accertare la provenienza e la destinazione. Ma anche su questo filone d'indagine, in procura, c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso.

Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia.



giovedì 6 maggio 2010

"1 Anno di Sperantzia de Libertadi - Giovunus de SNI"

"1 Anno di Sperantzia de Libertadi - Giovunus de SNI"

L'organizzazione Giovanile del Movimento Sardigna Natzione Indipendentzia, "Sperantzia de Libertadi ", è lieta di invitarvi a partecipare alla festa che celebrerà il suo primo anno di attività.

-- PROGRAMMA DELLA SERATA --

H 18:00
BENVENUTO A TUTTI I PARTECIPANTI
INTERVENTI DA PARTE DELL'ORGANIZZAZIONE
APERTURA STAND
INIZIO DIFFUSIONE DELLA MUSICA

H 21:00
1° TORNEO DI MURRA A CAGLIARI
"SPERANTZIA de LIBERTADI"

All'interno della serata si svolgerà il primo torneo di Murra organizzato nella città di Cagliari. Chiunque potrà partecipare e cercare di aggiudicarsi i premi in palio!

- LE ISCRIZIONI SCADRANNO L'8 MAGGIO ALLE h 20:00
- LA QUOTA D'ISCRIZIONE È PARI A 10 € A SQUADRA

● PRIMI CLASSIFICATI

CESTO COMPOSTO DA
2 BOTTIGLIE DA 5 LITRI DI VINO ROSSO
2 SALSICCE
1 FORMA DI FORMAGGIO
PANE CARASAU
(TUTTI PRODOTTI TIPICI SARDI)

● SECONDI CLASSIFICATI

2 CASSE DI BIRRA ICHNUSA

H 23:30
PREMIAZIONE TORNEO DI MURRA

Le iscrizioni sono ufficialmente aperte.
Per iscriversi contattare:

E-Mail : sperantziadelibertadi@gmail.com
Cell : 3492742626 - 3403990871

VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

martedì 27 aprile 2010

CHERNOBYL DAY CAGLIARI


UN POMERIGGIO SOLATIO quello di Cagliari, una piazza con molti bimbi che giocano e madri prese dal guardare i loro bei bimbi.

Iniziamo ad appendere striscioni e bandiere, arrivano le forze dell'ordine, ci guardano e ci chiedono di cosa parleremo, abbiamo un buon dialogo con loro, nel mentre scarichiamo dal furgoncino di Mario le casse degli altoparlanti e tutta l'attrezzatura necessaria , tavoli compresi .. ed il cibo gentilmente donato da Mario e Margherita..

Si avvia la musica , arrivano gli ospiti, gli oratori che sono nella scaletta si avvicendano ad esporre i motivi per dire No al Nucleare e SI alla Vita!!







CHERNOBYL DAY A CAGLIARI 26 Aprile 2010

SI ALLA VITA NO ALLA MORTE NUCLEARE!!!

NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!

Manifestazione sit-in lunedì 26 APRILE 2010 a Cagliari Piazza del Carmine dalle ore 17,00,

Relatore Sayli Vaturu (Valter Erriu)
portavoce NO NUKE,

intervengono
Prof Luciano Burderi Fisico.

Michelangelo Saba Fisico

Paola Alcioni Poeta

partecipa il cantautore
FRANCO MADAU

hanno dato il loro contributo
Giacomo Meloni, Paolo Pisu , Savatore Cubeddu, Andrea Olla, Mariella Cao, Paola Alcioni, Aurora Pigliapochi, Marco Loi, Luciano Serra, Bustianu Cumpostu, Mario Flore, Valter Erriu.


hanno aderito:
CSS Confederazione Sindacale Sarda, Tavola Sarda della Pace, Sardigna Natzione Indipendentzia, Cagliari Socialforum, Gettiamo le Basi, Carovana della pace CA, Emergeny CA, Ass. Volontari di Sardegna, Sa Defenza Sotziali, Si ses de acordu ... movidi. NO al nucleare, Sperantzia de Libertadi, ARKA (H.C.E.) Associazione Culturale Intermediale

Per dire no alle centrali nucleari ed allo stocaggio delle scorie prodotte dall'idiozia di certa umanità, tutti/e coloro che vogliono costruire e rivendicare la sovranità territoriale la libertà da situazioni a rischio, e sostenere le situazioni di produzione non invasiva di energie pulite..

GRAZIE A TUTTI/E I/LE PARTECIPANTI ED ATTORI DI AZIONI PER LA VITA , MANIFESTE DALLA CONSAPEVOLEZZA DELLA MANIFESTAZIONE

giovedì 22 aprile 2010

SI ALLA VITA .... NO ALLA MORTE NUCLEARE..!!!


CHERNOBYL DAY A CAGLIARI

NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!

Vi invitiamo a partecipare alla manifestazione sit-in lunedì 26 APRILE 2010 a Cagliari Piazza del Carmine dalle ore 17,00

Relatore Sayli Vaturu (Valter Erriu)
portavoce NO NUKE,

intervengono:

Prof Luciano Burderi Fisico.

Michelangelo Saba Fisico

Paola Alcioni Poeta

partecipa il cantautore
FRANCO MADAU

hanno aderito finora:
CSS Confederazione Sindacale Sarda,Sardigna Natzione, Cagliari Socialforum, Tavola per la Pace, Gettiamo le Basi, Carovana della pace CA, Emergeny CA, Ass. Volontari di Sardegna, Sa Defenza Sotziali,Sperantzia de Libertadi, ARKA (H.C.E.) Associazione Culturale Intermediale

Per dire no alle centrali nucleari ed allo stocaggio delle scorie prodotte dall'idiozia di certa umanità, tutti/e coloro che vogliono costruire e rivendicare la sovranità territoriale la libertà da situazioni a rischio, e sostenere le situazioni di produzione non invasiva di energie pulite..



per proteggere le produzioni locali che non vogliamo vegano contaminate da radiazioni e per dire

SI alla Vita e NO alla Morte Nucleare .. ..

info: sayli@tiscali.it

comitato sardo No Nuke una risata sardonica vi seppellirà


CHERNOBYL: DAL DISASTRO AD OGGI

Il 26 aprile 1986 un grave incidente ha interessato il quarto reattore della centrale nucleare di
Chernobyl, in Ucraina – allora parte dell’Unione Sovietica. I tecnici della centrale avevano
intenzione di testare se le turbine sarebbero state in grado di fornire l’energia necessaria a
mantenere operative le pompe dell’impianto di raffreddamento del reattore, nel caso di una perdita
di energia e senza ricorrere al generatore diesel di emergenza. Qualcosa andò storto. Appena
incominciò il test il reattore andò fuori controllo. I sistemi di sicurezza erano stati disattivati. Si
verificò una violenta esplosione che fece saltare la struttura di 1000 tonnellate che sigillava
l’edificio del reattore. Le barre di uranio si fusero quando la temperatura incominciò a superare i
2000 °C. Anche la copertura in grafite del reattore prese fuoco. Il rogo andò avanti per nove giorni,
rilasciando in atmosfera cento volte tanto la radioattività sprigionata dalle bombe atomiche
sganciate su Hiroshima e Nagasaki.


Le conseguenze dell’incidente di Chernobyl

La maggior parte della radiazione venne rilasciata nei primi 10 giorni, contaminando milioni di
persone e una vasta area. Nei giorni successivi all’incidente, a causa di perturbazioni meteo, la
contaminazione arrivò fino in Europa centrale, Germania, Francia, Italia, Grecia, Scandinavia, e
Regno Unito. In Bielorussia, Russia e Ucraina furono contaminati tra i 125mila e 146mila chilometri
quadrati di territori a livelli tali da richiedere l’evacuazione della popolazione.
Gli impatti più seri nel lungo periodo si devono al Cesio-137, i cui livelli di contaminazione si
riducono significativamente solo dopo 100 anni. Livelli di radioattività significativi da Cesio-137
possono ancora essere riscontrati in Scozia e in Grecia. Oltre a questo, anche gli impatti sulla
popolazione locale continuano a persistere per decenni ed oggi, a 24 anni di distanza, si
continuano ad avere nuove vittime. Uno studio di scienziati dell’Accademia delle Scienze ucraina e
bielorussa, pubblicato da Greenpeace nel 2006 (in coincidenza del 20° anniversario del disastro),
stima che nel lungo periodo si potranno raggiungere 100 mila vittime1.


La situazione attuale a oltre 20 anni dall’incidente

I segnali di miglioramento sono pochi. La popolazione sta incominciando a tornare ad abitare nei
villaggi abbandonati, nonostante si tratti di aree ancora a rischio. Nel 2006 Greenpeace ha raccolto
campioni nel villaggio di Bober, fuori dalla zona di esclusione. Le analisi hanno rivelato che i livelli
di contaminazione erano 20 volte superiori ai limiti fissati dall’Unione Europea per i rifiuti radioattivi
pericolosi. Un altro problema consiste nel fatto che, mano a mano che il tempo passa, molte delle
persone che rischiarono la vita per spegnere l’incendio e molte delle vittime colpite ricevono
sempre meno cure e assistenza sociale.
Le stime sulla mortalità derivante dall’incidente di Cernobyl variano a seconda dei parametri presi
in esame. La più recente ricerca epidemiologica, pubblicata in collaborazione con l’Accademia
Russa delle Scienze, mostra che gli studi precedenti erano stati troppo cauti. Per esempio, l’AIEA
nel 2005 parla di soli quattromila morti, ma le statistiche più recenti stimano invece in duecentomila
le morti dovute all’incidente di Cernobyl, tra il ’90 e il 2004 prendendo in esame solo Ucraina,
Bielorussia e Russia.
La seguente tabella indica i risultati di diversi studi effettuati, e mostra quanto sia ampio il margine
di incertezza sull’impatto reale del disastro e come le statistiche ufficiali dell’industria nucleare
abbiano sottostimato sia l’impatto locale che quello internazionale dell’incidente.
Quattro gruppi di popolazione sono stati maggiormente colpiti dalle maggiori ripercussioni
sanitarie: i lavoratori impiegati nella bonifica, i cosiddetti ‘liquidatori’, inclusi i militari che hanno
costruito il guscio protettivo del reattore; gli evacuati dalle aree fortemente contaminate nel raggio
di 30 chilometri dalla centrale, i residenti delle aree meno contaminate e I bambini nati da famiglie
appartenenti a questi tre gruppi.

Cosa sta succedendo ora presso il sito dell’incidente?

Esistono piani per trasformare Chernobyl in un sito temporaneo per lo stoccaggio di scorie
nucleari. L’industria nucleare si riferisce a questo sito come “zona di sacrificio” e intende scaricare
rifiuti nucleari altamente pericolosi dove la gente continua a vivere e a subire gli effetti della
contaminazione. Otto mesi dopo l’incidente, nel novembre 1986, un “sarcofago” di cemento armato
di oltre 400mila metri cubi venne costruito attorno al reattore collassato. La sua vita era stimata tra
20-30 anni, ma il rapido deterioramento potrebbe farlo precipitare sul reattore, producendo una
seconda fuga di radioattività nell’ambiente. Attualmente si prevede quindi la realizzazione di un
nuovo sarcofago per un costo di circa 1,2 miliardi di dollari.


Ci sono stati altri incidenti nucleari dopo Chernobyl?

Incidenti nucleari gravi continuano a capitare ancora ai giorni nostri, sebbene per fortuna non ne
sono successi della stessa entità di Chernobyl. Per esempio nel 1999 una reazione nucleare
incontrollata ebbe luogo nell’impianto di produzione del combustibile nucleare di Tokai-Mura, in
Giappone. Morirono due lavoratori e la radiazione si sprigionò nell’area circostante. Nel 2006 si
sfiorò l’incidente nucleare presso un reattore a Forsmark, in Svezia, quando i generatori di back-up
si incepparono, lasciando la centrale senza elettricità. Nel 2007 un terremoto in Giappone ha
costretto a bloccare sette reattori nella centrale di Kashiwazaki-Kariwa per un anno, con forti
problemi per la città di Tokio. Anche in Svezia, in seguito a problemi di sicurezza, furono fermati
quattro reattori nel 2006, e venne perso il 20% della produzione elettrica del Paese.


I reattori di ultima generazione sono più sicuri?

I principali reattori di ultima generazione sono l’AP1000 della Westinghouse e l’EPR della francese
AREVA. Il primo è ancora in fase autorizzativa, mentre per l’EPR ci sono due cantieri in Europa,
uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamaville. Reattori di questo tipo sono dotati di
nuovi sistemi di sicurezza “passivi”, tuttavia diversi problemi sono stati riscontrati in fase di
costruzione sia a Flamaville che a Olkiluoto. Dopo due anno dall’inizio dei lavori a Olkiluoto,
l’Autorità finlandese per la Sicurezza Nucleare (STUK) ha segnalato circa 1.500 non conformità,
molte delle quali non risultano essere state corrette, che possono aumentare seriamente il rischio
di un incidente grave. Più recentemente, l’Agenzia Francese per la Sicurezza Nucleare ha
scoperto che a Flamaville le fondamenta di cemento armato del reattore erano state gettate in
modo scorretto, che il basamento del reattore aveva delle crepe e che un quarto circa di tutte e
saldature erano difettose. In entrambi i casi, per cercare di ridurre i costi, erano stati dati subappalti
dei lavori a società senza le competenze necessarie.
Il nucleare è una soluzione al problema dei cambiamenti climatici?

Visto che il nucleare ha basse emissioni di gas serra (prodotti prevalentemente in fase di
estrazione dell’Uranio), i fan dell’atomo cercano di presentare l’opzione nucleare come l’unica
alternativa credibile e realistica ai combustibili fossili. In realtà il nucleare è una falsa soluzione al
contenimento delle emissioni di gas serra. Nel mondo sono presenti 440 reattori che forniscono
circa il 6,5% dell'energia primaria globale. Per raddoppiare il numero dei reattori occorrerebbe
inaugurare una centrale nucleare ogni due settimane da qui al 2030. Un'ipotesi irrealizzabile, che
permetterebbe di ridurre le emissioni globali di gas serra di appena il 5%. Troppo poco, troppo in
ritardo e con costi esorbitanti oltre i 2.000 miliardi di euro. Inoltre, l’Uranio estraibile a costi
valutabili è meno di 3,5 milioni di tonnellate e, agli attuali livelli di consumo, basterà per altri 50
anni appena.
Greenpeace ha presentato nel 2008 il Rapporto “Energy [R]evolution” in cui si mostra come il
crescente fabbisogno mondiale di energia può essere soddisfatto da fonti rinnovabili e misure di
efficienza energetica, facendo a meno del nucleare al 2030. Grazie a misure di efficienza
energetica, sarebbe possibile stabilizzare i consumi mondiali di energia ai livelli attuali. In questo
modo le rinnovabili potranno coprire circa la metà del fabbisogno energetico mondiale al 2050.
(www.greenpeace.it/energyrevolution).
1
The Chernobyl Catastrophe: Consequences on Human Health, Greenpeace, Aprile 2006 (http://www.greenpeace.it/cernobyl)
2
Minatom (Russian Ministry of Nuclear Energy ), Branch report on safety for 2001, Moscow, 2002
3
IAEA (2005) Chernobyl: The True Scale of the Accident. http://www.iaea.org/NewsCenter/PressReleases/2005/prn200512.html
4
Chernobyl Forum Expert Group “Health” (EGH) Report “Health Effects of the Chernobyl Accident and Special Health Care Programs”,
Working Draft, August 31, 2005
5
Mousseau T, Nelson N, Shestopalov V (2005). Don’t underestimate the death rate from Chernobyl. Nature 437, 1089
6
Anspaugh LR, Catlin RJ, Goldman M. (1988) The global impact of the Chernobyl reactor accident. Science 242:1514-1519.
6
Shcherbak Y. (1996). Ten Years of the Chornobyl Era. Scientific American. 274(4): 44-49Sinclair, W.K. (1996) The international role of
RERF. In: RERF Update 8(1): 6-8
7
Malko, M.V. (2006) In: Estimations of the Chernobyl Catastrophe (on the base of statistical data from Belarus and Ukraine), Publ:
Centre of the Independent Environment Assessment of the Russia Academy of Sciences, ISBN 5-94442-011-1
8
Khudoley et all. (2006) Attempt of estimation of the consequences of Chernobyl Catastrophe for population living at the radiation-
polluted territories of Russia. Publ: Centre of the Independent Environment Assessment of the Russia Academy of Sciences,
Consequences of the Chernobyl Accident: Estimation and prognosis of additional mortality and cancer deseases. ISBN 5-94442-011-1
9
Gofman J. (1990),. Radiation-Induced Cancer from Low-Dose Exposure: an Independent Analysis. ISBN 0-932682-89-8.
10
Bertel R. 2006. The Death Toll of the Chernobyl Accident. In: Busby C.C., Yablokov A.V. (Eds.). ECRR Chernobyl: 20 Years On.
Health Effects of the Chernobyl Accident. Documents of the ECCR, N 1, Green Audit, Aberystwyth, pp. 245 – 248.
11
ECRR 2003 Recommendations of European Commission on Radiation Risk, Green Audit Press, 2003, UK, ISBN 1-897761-24-4

venerdì 16 aprile 2010

POCOS LOCOS Y MALUNIDOS

Ovvero, come trasformare le traversie in opportunità

Paola Alcioni


gentilmente concesso
a sa defenza


La concezione antropologica moderna presenta la cultura come quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, gli atteggiamenti, i valori, gli ideali e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società.
Concerne sia l’individuo, che la collettività di cui fa parte.
Viene supposta l’esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o raggruppamento sociale significativo, e l’appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente connessa alla condivisione di un’identità culturale.
In antropologia l'insieme di queste norme sociali vengono definite modelli culturali ideali.
La cultura è dunque un complesso di modelli (idee, simboli, azioni, disposizioni) PER e modelli DI.
In tutte le culture esiste un modello di (es. di sviluppo, comportamento, pulizia, decoro, legge), un modello attraverso cui si pensa qualcosa.
I modelli di generano modelli per, modelli guida al modo di agire, perché la cultura non è solo generatrice di modelli teorici, ma è OPERATIVA, permette cioè di passare dall’ideale del modello all’operatività, attraverso una serie di strumenti intellettuali e pratici, selezionando, tra i tanti che trova al suo interno, quei modelli che sono funzionali al presente.
La cultura è dinamica: interagisce con altre culture, accettando e provocando cambiamenti, perché è basata sulla comunicazione: la cultura nasce infatti da uno scambio costante. Questo provoca continui sconfinamenti tra le culture ed è difficile definire un vero limite, un vero confine tra esse.
C’è un rapporto strettissimo tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti attraverso i quali le persone concretamente si relazionano tra loro e con il mondo.
In altre parole il modo in cui pensiamo dipende dalla cultura che abbiamo (non dalla quantità, intendiamoci, in senso umanistico, ma dal tipo di cultura): due appartenenti a diversi gruppi etnici è probabile che, dinanzi ad uno stesso problema, elaborino soluzioni differenti.

Simon Mossa aveva individuato le ragioni per le quali il popolo sardo poteva considerarsi una Comunità etnica.
Queste ragioni le trovava nella storia, nella posizione geografica, nella struttura sociale, nell’economia. Ma ancor più nelle caratteristiche della cultura, della lingua e delle tradizioni.
In questi ultimi elementi individuava il patrimonio ancestrale della Comunità sarda.
Storicamente assistiamo, però, ad un’opera di spersonalizzazione e snazionalizzazione, a vantaggio di un nazionalismo colonialistico tendente ad imporre un modello culturale distruggendo l’altro.
Si è tentato un genocidio. Questo termine non significa l’eliminazione fisica di tutti i componenti di un popolo, ma significa uccidere l’anima di un popolo. E l’anima della nazione sarda risiede in questi tre elementi: cultura, lingua e tradizione.

Con tutto ciò che ha subito, la Comunità etnica sarda è ancora viva.

La cultura altra che le è stata imposta, le ha gravato addosso – come un giogo – MODELLI DI che hanno generato MODELLI PER sostanzialmente estranei alla cultura ancestrale.
Sradicare questa cultura, per imporre un’altra cultura diversa, senza lasciare spazi riconosciuti alla stratificazione ed alla sovrapposizione, significa involuzione culturale, crollo di un mondo, senza un sostitutivo, o con un sostitutivo meno valido.
Una persona che subisce questa violenza, entrando in un modello culturale che gli è estraneo, perde la fiducia in se stesso, non ha spirito di iniziativa autonoma, sgretolati i legami comunitari che costituivano la sua forza di individuo in quella società, preferisce essere comandato, servire, perché è l’unica maniera di azzerare i conflitti. Se il suo tozzo di pane è assicurato, non chiede più nulla, svende i suoi sogni, ascoltando solo le ragioni della propria pigrizia e della propria paura.
Se perde il pane ed il lavoro, di dispera, si sorprende senza risorse, senza soluzioni.
La Cultura, infatti, non è un apparato esterno ad ognuno di noi. E’qualcosa di legato all’esperienza individuale, perciò i modelli che vengono solo dall’esterno, proprio perché si pongono come modelli, sono passivizzanti: se ci danno l’illusione di aver trovato il significato e il fine da perseguire, ci tolgono la ricerca dinamica di miglioramento. Ci seducono, ma lo stimolo trova scarso o nullo spazio. Ci disabituano ad elaborare soluzioni.
Accettando dunque passivamente e perdendo il suo spirito critico, l’uomo perde il suo più affilato strumento per incidere nella realtà, che gli consentiva di essere regista della sua sorte, trovando strade anche dove apparentemente non ce n’erano.

Così, non potendo essere parte della soluzione il popolo sardo è diventando parte del problema.

Quando parlo di svendere i sogni, parlo di abdicare alla capacità immaginativa e dunque creativa anche di prospettive nuove.
La creatività è quella facoltà che consente di conciliare gli opposti, in un terzo termine che li supera, operando la sintesi dei contrari non come mera somma degli elementi, ma nella creazione di un novum.
E’ la creatività che consente quel processo trasformativo all’interno della nostra piccola storia di individui così come all’interno della grande storia dei popoli.
La creatività potenzia le risorse individuali, induce a scoprirsi abitati dalla dimensione del possibile.
La immaginazione (fantasia) produce immagini anticipatrici, incontri con il NON ANCORA, presentificando il futuro e dandogli, per il fatto solo d’essere pensato, un principio di realtà. (esempio della casa)
Queste anticipazioni sono i progetti, segno di qualcosa di non ancora realizzato ma progettato.
All’etimo greco poiein, che esprime l’attività prerogativa dell’homo sapiens et faber di fare, plasmare creare e progettare, si lega sia l’arte del poeta, che quella attraverso la quale progettiamo e plasmiamo la nostra vita.
I meccanismi poetici attraverso i quali si fa letteratura, hanno molto in comune con la nostra attività poetica quotidiana attraverso la quale tutti noi costruiamo i nostri sistemi di significato, la nostra stessa identità.
Noi, vivendo, ci narriamo a noi stessi e agli altri.

Narrare è una modalità di percepire e organizzare la realtà rendendola realtà interpretata, cioè filtrata dai nostri sistemi rappresentazionali (uditivo, visivo, cenestesico - tatto, olfatto gusto).
I racconti dunque sono una versione della realtà vissuta dal punto di vista esperienziale.
Dunque la mia realtà è quella che le mie parole descrivono.
Non esiste una realtà oggettiva, ma solo pratiche discorsive intorno ad una esperienza che ognuno di noi fa della realtà.
Il linguaggio polisemico della narrazione permette inoltre di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. Ha il meraviglioso potenziale di ri-figurare la realtà e di trasformare la nostra visione del mondo.

Ma cosa ha a che fare, tutto questo con il problema Sardegna?
Per esempio i sardi, che spesso hanno cercato la propria identità nei racconti dei viaggiatori del 700/800 invece che in se stessi, ora si descrivono spesso come li definì un dominatore: Pocos, locos y malunidos.
Dal narrarlo ad assumerlo come copione, il passo è breve.
Questa è quella che in psicologia si chiama “una narrazione patogena o disfunzionale”.
Cosa fa il terapeuta, quando ha davanti un paziente che si racconta in modo patogeno?
Non fa altro che “perturbare” la fissità del racconto, innescando la riorganizzazione dei significati legati all’esperienza del paziente. Aiuta il paziente a cercare altri “possibili” sviluppi di una storia patogena, che crea dolore e cristallizza in una fissità senza uscita. Il terapeuta propizia il cambiamento.
Perché un cambiamento?
Perché non è il passato a produrre disagi nella persona, ma il presente, i modelli di interazione e di comunicazione che usiamo con noi, con gli altri, con il mondo. Essi sono spesso disfunzionali, quando c’è un disagio. È il momento in cui noi comunichiamo con noi stessi attraverso una sorta di autoipnosi che produce una narrazione patogena (io sono sfortunato, non me ne va mai bene una...)
Il passato, nella sua dimensione problematica e patologica, impedisce la nascita di nuove idee ed ostacola l’originarsi di nuove possibilità. Sopprime la flessibilità del sistema, rendendolo rigido, lineare, irreversibile.
Il linguaggio della narrazione situa invece gli eventi in un orizzonte più vasto di possibilità, facendo uso del linguaggio polisemico che consente di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. A quel punto si ha la sensazione di avere presa sul proprio destino, si comincia ad avere l’impressione di poter essere non più attori della nostra vita dal copione fisso e grigio, ma registi, con una gamma di possibilità diverse.

Ritornando alla Sardegna e ai suoi problemi, è il cambiamento che dobbiamo propiziare. Lo possiamo fare cambiando forma e contenuto dell’autonarrazione, per aprirci ad un orizzonte più ampio di possibilità, aumentando la nostra capacità di vedere il problema da più punti di vista contemporaneamente.

Io credo che la cultura sarda abbia in sé i germi di una evoluzione rapida nel mondo moderno.
In presenza di stimoli, il substrato culturale di ogni individuo, riaffiora ed elabora soluzioni sincretiche in una situazione di incontro di culture.
Quelle che finora si sono accumulate su di noi e sulla storia come traversie, possono essere rielaborate come opportunità.
La lingua che ho scelto per questa relazione, per esempio, ha gravato e grava sul mio popolo come un giogo, con tutto il suo peso di codice scelto e gestito dal dominatore.
Ma io la rendo ora strumento, veicolo di comunicazione di concetti pensati in quella lingua e, dunque, in quella lingua più immediatamente comunicabili. E la uso, per portare acqua al mulino della mia lingua e della mia cultura.
Traformo una traversia in opportunità. Faccio il lavoro che fa il Judoka quando, sfruttando la forza che l’avversario impiega nell’eseguire una tecnica di combattimento, lo sbilancia e lo atterra sfruttando l’impeto della sua stessa forza.

I sardi potranno essere collettivamente padroni del loro destino - sottrarsi dal giogo di una colonizzazione politica e culturale ed attuare una reale crescita economica - soltanto quando avranno acquisito i poteri di uno stato.
Ma intanto possono, ognuno per sé, provare a riprendere in mano le redini del proprio destino individuale, studiando e rivalutando ai propri occhi i modelli culturali che gli appartengono come membri di questa comunità etnica, e utilizzando le categorie mentali proprie – fino ad ora gravate del tabù del dominatore – come stimolo contrastivo con le culture altre e gli altri modelli per la creazione di un novum che possa realmente attribuire senso nuovo al nostro stesso essere al mondo qui, in questa terra, secondo le modalità del poter essere, e non più dell’essere dati dal dominatore o dallo sfruttatore di turno.
La razza, a differenza dell’etnia, si riferisce ad una classificazione dell’uomo in base a tratti fisici e genetici, tipici dell’etnia cui appartiene, mentre il gruppo etnico è tale per avere in comune cultura, lingua, religione e caratteristiche fisico-genetiche
Che significa più cose contemporaneamente.

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