martedì 18 maggio 2010

BENI COMUNI «Un risultato straordinario, ora bisogna vincere il referendum» L'acqua marcia e fa 500 mila

IL MINISTRO RONCHI:
«Il referendum può far saltare tutto»
A settembre saranno pronti i regolamenti attuativi della riforma dei servizi pubblici. Lo ha spiegato ieri in un'intervista al Sole24ore il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, che se l'è presa con la «grande mistificazione ideologica sulla gestione dell'acqua, che rischia di far saltare il banco». Secondo il ministro, infatti, la raccolta delle firme per il referendum non è altro che «un pretesto», poichè il decreto «non privatizza l'acqua» e «la battaglia ideologica serve per bloccare le liberalizzazioni vere che sono previste da quel provvedimento». Ma come si fa a rilanciare la liberalizzazione? «Prima di tutto puntando con più decisione sulla creazione di una Authority indipendente che vigili sull'intero processo e possa anche sanzionare le distorsioni. Non deve essere un carrozzone - ha aggiunto Ronchi - non mi interessano i nomi, mi interessa che il mercato ne ha bisogno e la liberalizzazione anche». Quanto ai decreti attuativi, il titolare delle Politiche comunitarie ha assicurato: «Ci stiamo lavorando», anche se «provvedimenti come questi, che devono armonizzare le discipline dei diversi settori, limitare il regime di esclusiva e precisare le regole degli affidamenti, toccano temi delicati e hanno bisogno di una concertazione ampia, perché una volta approvati devono funzionare al meglio», ha concluso.

Raggiunto il quorum in appena un mese. Il pienone alla Perugia-Assisi
Andrea Palladino
ilmanifesto.it
ROMA
La firma numero cinquecentomila ha un nome importante. È un nome collettivo, fatto da migliaia di persone che nell'ultimo - e decisamente burrascoso - fine settimana si sono messi in fila davanti ai banchetti del referendum per l'acqua pubblica. Forse la mano che ha materialmente fatto raggiungere - in un terzo del tempo - il numero minimo per la presentazione dei tre quesiti referendari era di una coppia di Assisi. Con il loro figlio piccolo erano alla marcia della pace e quando hanno visto i manifesti "L'acqua non si vende" del Forum per l'acqua non hanno esitato. Solo qualche giorno fa la Umbria Acqua Spa gli aveva staccato l'acqua, raccontano da Assisi. Una dimenticanza, una bolletta lasciata troppo tempo tra le carte di casa e l'acqua non scorre più dai rubinetti. Ai privati - Acea possiede il 40% di Umbria Acqua - non importa il perché, poco interessa se hai un figlio piccolo che ha bisogno di essere lavato anche più volte al giorno. Alle corporation interessa quella formula magica del liberismo, «l'equilibrio economico finanziario». Ovvero i bilanci, le quotazioni in borsa e i flussi finanziari.
Quella della coppia di Assisi è solo una delle tante piccole storie che i militanti dell'acqua pubblica si raccontano il giorno dopo il fine settimana che ha permesso di attraversare il guado delle cinquecentomila firme. È un successo clamoroso, forse mai raggiunto da altri referendum. Solo quattro anni fa furono necessari diversi mesi per raccogliere poco più di quattrocentomila firme per la proposta d'iniziativa popolare sulla ripubblicizzazione dell'acqua, che ancora oggi è ferma in Parlamento. È dunque profondamente cresciuta la mobilitazione, ma soprattutto si è diffusa la consapevolezza sul peso che ha la gestione dei beni comuni nella democrazia italiana. In quattro anni gli italiani hanno capito che non c'è bisogno di privatizzare l'acqua, perché - in realtà - già viviamo da diverso tempo la gestione delle corporation. In italiano si chiamano società per azioni e, a prescindere dalla composizione del capitale sociale, hanno per legge e per statuto la missione di fare profitto, a qualsiasi costo. Per la coppia di Assisi poco importa se la Umbria Acqua Spa è oggi posseduta al 60% dai comuni, perché poi, alla fine, chi stacca l'acqua è lo stesso soggetto che intasca gli utili. E i cinquecentomila che fino ad oggi hanno firmato per i tre quesiti referendari hanno in mente il vero peso detenuto dai soci privati. È lo stesso meccanismo - ampiamente raccontato - di Acqualatina (51% in mano ai comuni, 49% controllato da Veolia), di Acea (51% controllato dal Comune di Roma, 49% diviso tra Caltagirone, Suez e azioni scambiate in borsa) e di tante altre società miste, dal nord lombardo fino alla Calabria e alla Sicilia. E sta in questa consapevolezza la differenza vincente dei tre referendum dei movimenti per l'acqua con quello presentato da Di Pietro e con la proposta di legge degli ecodem del Pd: la privatizzazione è già arrivata alla fine degli anni '90, quando i privati iniziarono a gestire all'interno delle Spa miste. Quando i cittadini umbri, laziali, toscani, calabresi, lombardi e di tante altre regioni dove i privati sono entrati nelle gestioni idriche firmano hanno davanti agli occhi gli aumenti delle bollette e la volatilizzazione degli investimenti. È il caso, ad esempio, di Trieste, dove l'efficienza della rete è diminuita dopo il passaggio da azienda pubblica a società per azioni. O della provincia di Pescara, dove proprio ieri l'Ato ha comunicato l'aumento record del 30% in un solo anno delle tariffe. Anche in questo caso il gestore - l'Aca - è divenuto società di diritto privato ed oggi solo il 3,6% delle voci di costo va in investimenti sulla rete.
Il peso di questo primo risultato raggiunto era ieri visibile nella sede del Forum italiano dei movimenti per l'acqua. «Il risultato è straordinario, mezzo milione di firme in appena un mese - commenta Corrado Oddi, del coordinamento del Forum - Questa è la dimostrazione non solo che sul tema dell'acqua c'è una grande sensibilità, ma che si intercetta una domanda più profonda e più radicale, che va in contrasto con la mercificazione dei beni comuni e di tutti gli aspetti della vita in generale». E non è solo una questione di contenuto, ma di una mobilitazione in grado di coinvolgere al di là della crisi della sinistra: «D'altro canto l'impostazione data dal Forum - prosegue Oddi - fa emergere una domanda di nuova politica».
La strada ora da percorrere non è finita. Nei prossimi due mesi sarà necessario blindare i tre quesiti con un numero molto alto di firme. Gli ostacoli intermedi sono l'eventuale concorrenza con il quesito di Di Pietro - anche se in pochi hanno visto i banchetti dell'Idv in giro nelle piazze italiane - e il vaglio della Corte Costituzionale. L'ostacolo principale è però il quorum. Su questo punto batte da tempo il gruppo degli ecodem e il circolo più legato a Bersani all'interno del Pd. Ma, numeri alla mano, le previsioni dei democratici sembrano essere decisamente perdenti.



RICCI SCIO'
Un video dedicato al nostro presidente di Nuove Acque SpA, colui che ritiene il Referendum nazionale sull'acqua pubblica una pagliacciata all'italiana.
Report, Le Iene, Presa Diretta, TV7, Buongiorno regione TG3 sono solo alcune delle trasmissioni che hanno visto interventi di Paolo Ricci. Noi aretini lo conosciamo bene l'ex-sindaco di Arezzo che ha contribuito in maniera determinante alla stipula dei patti parasociali. Arezzo, la prima società misto pubblica-privata nella gestione del servizio idrico, studiata da numerose università come il modello da non imitare. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia. La cosa più preoccupante viene detta da chi detiene pieni poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione: NOI ATTINGIAMO DALLE BANCHE SENZA RIMBORSARE E RIMBORSEREMO IL GIORNO IN CUI SAREMO IN GRADO DI FARLO.... andate a vedere chi c'era e cosa è successo a Buenos Aires per esempio.

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