venerdì 24 settembre 2010

NOAM CHOMSKY: Le Dieci Strategie della Manipolazione Mediatica

Le Dieci Strategie della Manipolazione Mediatica

Noam Chomsky
vocidellastrada.com

Sa Defenza







Viene qui proposto uno schema che si rifà al linguista Noam Chomsky, dalle cui riflessioni si estrapola un decalogo, una lista delle “Dieci Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media.

1-La strategia della distrazione

L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni. 
 
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3- La strategia della gradualità.

Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4- La strategia del differire.

Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.

La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.

Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivopermette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti….

7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.

Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.

“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".

8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità. 

Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...

9- Rafforzare l’auto-colpevolezza. 

Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10- Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano. 

Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti.Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.


Fonte: http://www.visionesalternativas.com.


NUCLEARE Piano in alto mare Così il Corsera corre in aiuto della Sogin



il manifesto.it
C'è chi si lamenta per l'assenza di un ministro per lo sviluppo economico. Gente senza coscienza. Un ministro facente funzione c'è e si chiama Silvio. Giorni fa, per esempio, Silvio ha scritto una letterina su carta dello Sviluppo economico, all'ingegner Francesco Mazzuca, commissario della Sogin, società dedicata alla gestione delle scorie nucleari, per fargli sapere che a causa della «attuale mancata operatività» dell'Agenzia di sicurezza nazionale vi era un «inevitabile
slittamento dei termini previsti per l'identificazione delle aree dovuto all'esigenza che siano preventivamente definiti i criteri tecnici di sicurezza in base ai quali poter individuare i territori potenzialmente idonei alla realizzazione degli impianti e del deposito».

Un po' contorto,
ma in fondo comprensibile. Non sono stati individuati i siti né i criteri per sceglierli e neppure l'agenzia che si dovrebbe occupare della bisogna: questo scrive Berlusconi al commissario Sogin. Alla Sogin sono preoccupati: un altro anno sta saltando. Quindi si guardano in giro e cercano alleati, evidentemente alleati filonucleari. Ne trovano al Sole 24 Ore che sotto un titolo corretto «Stop al piano per le scorie nucleari», descrive una situazione in cui si sono scartate tutte le aree inadatte e si lasciano filtrare quelle che avrebbero le caratteristiche per il deposito di scorie atomiche, prevedendo una gara tra gli enti locali per assicurarsi il ricco compenso connesso al deposito stesso. Il giorno dopo, ieri, tocca al Corriere della Sera che titola così: «Scorie nucleari, ecco le aree. Pronta una lista con 52 siti» e ripete le grandi linee delle anticipazioni del quotidiano giallognolo.

Greenpeace Italia è un punto di riferimento essenziale per chi voglia conoscere le verità nascoste e le cifre del progetto nucleare nostrano. Alla nostra richiesta, Greenpeace ci ha rimandato al suo blog, preparato da Pippo Onufrio, il direttore esecutivo.

Con qualche taglio, si tratta di questo: 1) I criteri per la definizione dei siti idonei dovr
ebbero essere quantomeno "validati" da un'Agenzia per la sicurezza nucleare, che in tutti i Paesi in cui questa tecnologia esiste, è la massima autorità di garanzia per la sicurezza.
Purtroppo l'Agenzia non esiste ancora e dunque non può aver emesso alcun criterio di scelta. Peraltro, quando verrà costituita, avrà un centinaio di tecnici (ce ne vorrebbero almeno 400) provenienti da Ispra ed Enea, molti dei quali prossimi alla pensione.

2) Lo studio andrebbe prima sottoposto a Valutazione ambientale strategica. Ma, si sa, in Italia le valutazioni ambientali è meglio non farle. Il governo Berlusconi mostra dunque un'arroganza che viola ogni principio di trasparenza e dibattito democratico: si producono gli studi di
localizzazione prima di aver presentato criteri di esclusione e valutazioni ambientali.

Un'altra ragione, non esplicita, riguarda forse probabili elezioni della prossima primavera: nonostante la martellante propaganda a favore del nucleare, non sembra che gli italiani siano favorevoli. Ma forse la lettera del Presidente è arrivata troppo tardi alla Sogin. Giusto per completare il quadro della «truffa nucleare» del governo, corre voce che si voglia dare all'elettricità da nucleare oltre che la precedenza sulla rete elettrica anche un prezzo fisso (dunque fuori mercato) di 90-100 euro al MWh: il 50-60% in più del prezzo attuale alla Borsa elettrica.


A meno che la truffa nucleare non sia molto più semplice: creare un quadro giuridico per poter firmare i contratti che, si sa, non verranno mai rispettati, emanare un decreto che copre con garanzie pubbliche questi contratti e poi scaricare le penalità sulle bollette degli italiani. Un assalto alla diligenza che oltre a dare risorse a qualche gruppo industriale (francese e italiano) fermerebbe lo sviluppo delle rinnovabili.

P.S. Nel frattempo giunge oggi notizia che la francese Gas de France-Suez, società attiva anche nel nucleare, ha abbandonato il progetto di costruire un
reattore Epr a Penly, in Francia. Chissà che il rapporto commissionato dal governo sullo stato confusionale dell'industria nucleare francese abbia consigliato di lasciar perdere.


L'ARTICOLO DEL CORRIERE CONTESTATO
Energia Secondo i tecnici potrebbe esserci lo slittamento di 12 mesi sulle centrali
Roberto Bagnoli
corriere.it
Scorie nucleari, ecco le aree Pronta una lista con 52 siti
Ma per il piano Palazzo Chigi chiede di aspettare l' Agenzia

ROMA - La Sogin, la società controllata dal Tesoro per la gestione degli impianti nucleari, ha individuato 52 aree con le caratteristiche giuste per ospitare il sito per le scorie radioattive. Ogni area, che ha le dimensioni di circa 300 ettari, deve essere in grado di accogliere, oltre ai depositi per le scorie di varia gradazione, anche il parco tecnologico che a regime avrà oltre mille ricercatori. Le zone adatte sono sparse su tutto il territorio italiano con particolare riferimento al Viterbese, alla Maremma, all' area di confine tra la Puglia e la Basilicata, le colline emiliane, alcune zone del Piacentino e del Monferrato. Ma la scelta del deposito nazionale per le scorie non sarà imposta, e avverrà d' accordo con le Regioni, con una sorta di asta: la comunità che accetterà i depositi radioattivi sarà infatti compensata con forti incentivi economici. Il lavoro svolto dalla Sogin e terminato ieri, al quale i ricercatori hanno lavorato un anno, è tuttavia finito in cassaforte in attesa della creazione dell' Agenzia per la sicurezza del nucleare che doveva già essere pronta prima dell' estate. Così ha voluto il governo, ricordando alla Sogin (ancora commissariata e in attesa di un «normale» consiglio di amministrazione) di rispettare l' articolo 27 del decreto 31 del febbraio scorso che vincola ogni decisione della società alla vigilanza della nascente authority. Anche questo è un altro tassello che porta il programma nucleare a sforare dai tempi programmati. La prima pietra per il nucleare era stata annunciata per il 2013, ora si parla già del 2014. Almeno un anno di ritardo. «Il rischio drammatico che si corre è quello del gioco dell' oca, dove si torna sempre indietro di una casella». La denuncia ufficiale dei tempi più lunghi per avviare la produzione di energia atomica è arrivata dal direttore per lo sviluppo sostenibile del ministero dell' Ambiente Corrado Clini. Intervenendo a un seminario organizzato dall' ambasciata francese e dallo stesso ministero, Clini ha anche affermato che occorre «riconsiderare tutta l' architettura normativa, senza fermare l' avvio delle procedure». Insomma un pasticcio complicato dall' assenza ormai da 5 mesi del ministro competente. Così alla Sogin non si riesce a nominare il vertice (5 membri) e la società resta commissariata nelle persone di Francesco Mazzuca e del suo vice Giuseppe Nucci. Clini ieri ha avvertito di muoversi con i piedi di piombo. Il rischio è di rovinare tutto scatenando la rivolta delle popolazioni. «Dobbiamo evitare quello che è accaduto con il deposito unico di Scanzano Jonico - ha affermato - non si può decidere che si va lì se prima non si sono verificate le condizioni di fattibilità».

mercoledì 22 settembre 2010

Monitoraggio-truffa in corso nel poligono della morte Salto di Quirra

Comitato sardo Gettiamo le Basi

tel 346 7059885 --070823498


1 L’UNIONE SARDA (21-09-2010),
il giornalista Paolo Carta intervista il senatore PD Gian Piero Scanu (in allegato)

Per la prima volta un parlamentare sardo denuncia alla stampa il monitoraggio-truffa in corso nel poligono della morte Salto di Quirra, fa sua la priorità, imposta dal buon senso e dalle norme internazionali, di bloccare le stragi in atto, chiudere i poligoni di Quirra/Perdasdefogu, Teulada, Capo Frasca.
Pur non condividendo affatto l’ottimismo del senatore sulla nuova Commissione Parlamentare d’Inchiesta (la terza), pur non scorgendo segnali concreti per far valere l’esigenza prioritaria di fermare i killer, tuttavia, vogliamo interpretare le sue affermazioni come una crepa nel muro di silenzio omertoso sulle indagini infinite sedicenti scientifiche mirate a NON trovare traccia di contaminazione, quindi assolvere e lasciare mano libera ai responsabili dello scempio sanitario e ambientale consentendo persino di eludere le norme che sanciscono il diritto al risarcimento delle vittime. 
Auspichiamo che l’on. Scanu porti avanti con coerenza le posizioni espresse nell’intervista giornalistica ricorrendo a tutti gli strumenti istituzionali e politici di sua competenza,contrasti con coraggio il becero coro PD - Pdl, particolarmente forte in Parlamento, blaterante di nuovi aeroporti di guerra, droni e quant’altro, invocante il potenziamento della schiavitù militare inflitta alla Sardegna. Come primo atto di serietà politica e trasparenza ci aspettiamo il suo contributo per fare chiarezza sui troppi chi non hanno voluto utilizzare i fondi per la bonifica stanziati con la prima finanziaria del governo Prodi (grazie all’emendamento Bulgarelli), li hanno lasciati marcire un anno intero fino alla caduta del governo per poi consentire al governo Berlusconi di dirottarli altrove.

2 Scienza di Stato

Il Piano di caratterizzazione-monitoraggio del poligono della morte Salto di Quirra (Pisq) – mirato a “tranquillizzare (cioè sedare, narcotizzare) la popolazione locale nonché il personale del Pisq”, gestito da ministro della Difesa, Forze Armate e Namsa (agenzia Nato) con gran dispendio di pubblico denaro extra budget Difesa - ha appaltato la ricerca delle nano particelle alla ditta SGS una partecipata FIAT, l’inquilina fissa da mezzo secolo del Pisq, presumibile corresponsabile del disastro sanitario e ambientale. La SGS cerca le nanoparticelle, come da contratto, con microscopi che non sono in grado di vederle ( ingrandiscono fino a 8.000, non scendono agli 80.000/120.000 necessari per individuarle), per di più si concentra su campioni di suolo e acque.La richiesta avanzata da alcuni enti territoriali e soprattutto dal comitato Gettiamo le Basi di analizzare le matrici biologiche, i bioaccumulatori (metodologia di ricerca che finora ha fornito le maggiori informazioni) è stata recepita raggiungendo gli abissi del grottesco: nel poligono più vasto d’Europa – kmq 130 a terra, kmq 28.400 una sola delle aree a mare militarizzate, superficie che supera quella dell’intera Sardegna - si cerca la “verità” sulla sindrome di Quirra in 7 vermi sette, 9 cozze “straniere” portate in villeggiatura per 1/3 mesi nelle acque militari, alcuni agnelli sani, 71 specie vegetali (evviva l’abbondanza!), non sappiamo se autoctone o provenienti da chissà dove come le nove cozze.


3 Scienza sgradita ai potenti

Giro il testo di Stefano Montanari sull’estromissione, per la seconda volta, della dott.ssa M.A. Gatti dall’uso della strumentazione che le ha consentito la scoperta delle nanoparticelle nei tessuti dei malati esposti, sia ai veleni degli inceneritori, sia ai veleni di guerra prodotti nei teatri di guerra e nei poligoni di guerra accollati alla colonia Sardegna. E’ una storia da manuale sul come lisciare e gabbare la società civile più attenta e sul come azzoppare con burocratica neutra dolcezza una ricerca scientifica che individuacause e mandanti delle due diverse, silenziose stragi infinite: l’apparato militar-industriale, il business inceneritori, la nomenclatura politica, gli interessi forti che ruotano sulla libertà d’inquinare. Le potenti lobby non si sporcano le mani, agiscono, coscientemente o incoscientemente, enti e cittadini aldilà da ogni sospetto. Suscita forti perplessità la discrepanza tra la prima e l’attuale fase del ruolo svolto da Beppe Grillo in questa storiaccia, forte impegno ieri,afasia e apatia totale oggi.
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22 agosto 2010-08-22
Stefano Montanari

Nel 2004 la dottoressa Antonietta Gatti (mia moglie) era a capo di un progetto di ricerca europeo comunitario chiamato Nanopathology. Sotto la sua direzione operavano istituzio ni di prestigio tra le quali, per esempio, l’Università di Cambridge. L’argomento era una sua scoperta di qualche anno prima: le polveri di dimensione da qualche micron giù fino a frazioni di micron, polveri prodotte da combustioni e, tra le combustioni, stanno a buon diritto le esplosioni di armamenti, possono essere inalate o ingerite, così entrando nell’organismo senza possibilità di uscita.

La conseguenza è una lunga lista di malattie che Antonietta chiamò “nanopatologie”, dove il prefisso “nano” sta ad indicare che le malattie sono indotte da nanopolveri, vale a dire granelli da pochi micron di diametro giù fino a frazioni di micron. E queste malattie sono vari tipi di cancro, sono ictus, infarto cardiaco, malattie ghiandolari (per esempio tiroiditi e diabete), malformazioni fetali, ecc.

Per la ricerca Antonietta usava come strumento principe un microscopio elettronico acquistato in parte con fondi comunitari e in parte con fondi suoi.
Un giorno l’Università di Modena chiuse di fatto la possibilità di continuare a svolgere la ricerca nel laboratorio universitario di cui Antonietta era, ed è, responsabile, semplicemente impedendo l’uso di una cappa di aspirazione (di proprietà dell’Università stessa) giudicata non a norma di legge.

Mancando appena qualche mese al tempo concesso dalla Commissione Europea per la chiusura della ricerca e rischiando con la chiusura anticipata di non avere i risultati sperati (il che avrebbe comportato, tra l’altro, la restituzione dei fondi concessi), Antonietta ed io aprimmo in fretta e furia un laboratorio nel quale trasferimmo il microscopio, così concludendo, e con grande successo, il progetto.

Terminato il compito, le ricerche non si arrestarono, continuando nel laboratorio che avevamo fondato, stante la perdurante impraticabilità del laboratorio universitario.
Malauguratamente quelle ricerche davano fastidio.

Accademia, politica, grande industria, militari non vedevano certo di buon occhio risultati che, con prove sempre più stringenti, inchiodavano sul banco degl’imputati le polveri prodotte dall’atto del bruciare e, in aggiunta, dimostravano le connivenze tra quelle pratiche e la scienza cosiddetta ufficiale, dove l’aggettivo ufficiale non ha nulla a che spartire con quella che è la verità ma indica solo personaggi nell’ambito universitario disposti a prostituirsi per quattro soldi, negando evidenze scientifiche e pronti ad ostacolarci in ogni maniera, per immorale che questa maniera fosse.

Insomma, con pretesti a dir poco ridicoli, il microscopio fu portato via, imballato e dimenticato in un corridoio.

Fu allora che il comico Beppe Grillo, che io conoscevo da poco più di un anno e ai cui spettacoli avevo qualche volta partecipato, propose di allestire una raccolta popolare di fondi finalizzati a raccogliere i 378.000 Euro necessari per acquistare un microscopio che rimpiazzasse quello sottratto.

Così, per un anno, io occupai più o meno una decina di minuti in parecchi degli spettacoli del comico per illustrare gli effetti delle nanoparticelle e per chiedere che si donassero quattrini per comprare il sospirato apparecchio indispensabile alla continuazione delle nostre ricerche. In aggiunta, nel corso di quell’anno, tenni più di duecento conferenze su e giù per l’Italia, il tutto costantemente volto alla raccolta di fondi.

Per una mia ingenuità imperdonabile, per evitare che si potesse insinuare che Antonietta ed io volessimo impadronirci di un apparecchio tanto costoso, io chiesi che il denaro non arrivasse a noi ma ad una onlus e, per puro caso, scelsi, l’Associazione Onlus Carlo Bortolani di Reggio Emilia presentatami da un giornalista locale che conoscevo.

Il denaro arrivava, ma, a dispetto delle richieste di Antonietta e mie, la Onlus non ci permise mai di controllare i conti e, dunque, non abbiamo idea di quanto effettivamente sia arrivato.
Comunque, i 378.000 Euro si resero disponibili e il microscopio fu acquistato.
Per motivi che ignoro, della Onlus Bortolani non avemmo più notizie, e questo malgrado i tentativi di avere contatti personali, telefonici ed epistolari.

A fine giugno 2009, del tutto a sorpresa, ricevemmo una raccomandata dalla presidentessa della Onlus la quale c’informava di aver “donato” l’apparecchio all’Università di Urbino. Il perché non era dato sapere, ma in seguito il pretesto comunicato pubblicamente fu il mettere a disposizione l’apparecchio di scienziati di altre discipline.

Va da sé che la cosa era moralmente inaccettabile: al di là del fatto che la stragrande maggioranza del lavoro di raccolta l’avevo svolto io del tutto a mia cura e spese e senza che la Onlus facesse nulla, sempre si era dato ad intendere ai donatori che lo scopo era solo quello di fornire il microscopio a mia moglie e a me e mai si era accennato ad altre destinazioni.

Insomma, di fatto, si era usato il mio lavoro e il nostro nome per raggranellare il denaro sufficiente ad acquistare un apparecchio non per i destinatari dichiarati ma per l’Università di Urbino, un ente, sia detto, che mi contrastò quando io mi opposi con successo alla costruzione di un inceneritore a biomasse proprio nei pressi di quella città. Così, chi si era illuso di fornire un’arma per combattere tecnologie pericolose come, tra le altre, l’incenerimento, si ritrovò ad avere armato proprio l’avversario.

Nonostante il nostro impegno per impedire la sottrazione, il 22 gennaio scorso lo strumento fu traslocato ad Urbino e da allora è là, inutilizzato e, nei fatti, inutilizzabile, non essendo mai stato ricalibrato, un’operazione costosa e impegnativa che necessita dei tecnici della casa costruttrice. Ora, imbarazzata, l’Università sta cercando di sbolognare il microscopio alla sede di Pesaro dell’ARPA marchigiana.

Beffardamente, la Onlus Bortolani impose la condizione che noi, Antonietta ed io, potessimo avere accesso “almeno una volta la settimana” al microscopio, condizione non rispettata né rispettabile perché l’apparecchio è spento, non esiste un locale adatto ad ospitare il nostro tipo di ricerca, non ci sono gli strumenti che servono di contorno, né c’è il personale competente che possa supportarci. Se e quando il microscopio finirà a Pesaro, nulla cambierà nelle condizioni.
Al di là della disinvoltura morale, è fin troppo evidente che la manovra ha come unico scopo quello di fermare le nostre ricerche.

L’incenerimento dei rifiuti è un business multimiliardario, l’inquinamento di alimenti e farmaci è cosa di cui è bene il pubblico non sappia, delle malformazioni fetali, dei cancri e di tutte le altre malattie così frequenti nelle zone inquinate, e chi abita in Sardegna ne sa qualcosa, è prudente tacere. Dunque, figuraccia o no, imbavagliarci era una mossa indispensabile.
Ora, dal punto di vista logico, chi ha problemi di salute o di ambiente legato alle polveri dovrebbe rivolgersi all’Università di Urbino, all’Associazione Onlus Carlo Bortolani e, perché no?, al comico Beppe Grillo che, pur non avendo la minima autorità per farlo, per motivi spiegabili solo con gl’interessi che il personaggio difende, ha dato il suo placet alla manovra, sempre sfuggendo ad un confronto, pubblico o privato che sia, con me sull’argomento.

La tentazione di mollare tutto, di mandare tutto al diavolo, per noi è forte. Ma quando ci s’imbatte in ragazzi che schiattano di cancro, in bambini malformati in maniera orrenda, in persone che soffrono senza che si possa imputare loro una colpa, e questo ogni giorno, il coraggio di essere vili, scompare. Quando, poi, non si riesce a non vedere che queste sofferenze sono la conseguenza cinica di avidità di denaro e di potere, ogni dubbio scompare.
Se, però, si chiede il nostro aiuto, una mano ce la si deve dare perché noi due, da soli, non abbiamo speranze.

lunedì 20 settembre 2010

Presa diretta NUCLEARE






NO AL NUCLEARE , IN SARDEGNA IL MOVIMENTO INDIPENDENTISTA SARDIGNA NATZIONE INDIPENDNTZIA E IL COMITATO NO NUKE UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA' HANNO RACCOLTO 16256 FIRME E PROPOSTO UN REFERENDUM CONSULTIVO SUL NUCLEARE


... IL 04 LUGLIO DI QUESTO ANNO SI E' COSTITUITO IL COMITATO SI NONUCLE CHE STA DANDO FORMA AL COMITATO PER IL SI CONTRO IL NUCLEARE

IL REFERENDUM CON MOLTA PROBABILITA' SI TERRA' IN PRIMAVERA ESTATE 2011


FARE AZIONI DI RESISTENZA OGGI E' IMPORTANTE PER SALVAGUARDARE LE GENERAZIONI FUTURE..

MOVIMENTARSI PER NON SUBIRE

AGIRE PER NON MORIRE!!!



Presa diretta Nucleare 19 09 2010
Le centrali nucleari sono sicure per la salute di quelli che ci vivono attorno? Che fine fanno le centinaia di tonnellate di scorie radioattive prodotte dalle centrali?
E infine, come sono le centrali nucleari che il Governo Berlusconi vuole far costruire in Italia?
Per rispondere a questa domanda PRESADIRETTA ha mandato i suoi inviati in Finlandia, Germania, Francia, Inghilterra, i paesi europei che da più anni convivono con l'industria nucleare dell'energia.

Con NUCLEARE Presadiretta vi fa conoscere i più importanti studi scientifici internazionali sull'aumento della frequenza dei tumori attorno alle centrali nucleari; vi fa vedere da vicino i grandi depositi di riprocessamento e di stoccaggio delle scorie in Germania, Francia e in Inghilterra, vi porta negli unici due cantieri dell'EPR, la centrale nucleare francese di nuova generazione che l'Italia sta per comprare, per sentire cosa ne pensano i progettisti, gli ingegneri e i lavoratori che le stanno costruendo.


NUCLEARE è un racconto di Vincenzo Guerrizio, Riccardo Iacona, Alessandro Macina.













domenica 19 settembre 2010

Cappellacci ribadisce il no al nucleare

Replica a Veronesi (Pd): vogliamo un altro modello di sviluppo

Domenica 19 settembre 2010
Il presidente della Regione risponde al parlamentare dell'opposizione, che auspica la realizzazione di centrali nell'Isola: «Scelta incompatibile con un programma consolidato, che intendiamo portare avanti con determinazione».
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Non in questa Isola, senza girarci intorno. «La contrarietà al nucleare non è una scelta ideologica, è la ferma volontà di imboccare un'altra strada: quella di un modello di sviluppo che punti sulla valorizzazione del paesaggio, sul turismo, sulle energie rinnovabili e sulla green economy», queste le parole del presidente della Regione, Ugo Cappellacci, in replica alle dichiarazioni del senatore del Pd, Umberto Veronesi. Il quale, due giorni fa, aveva detto: «I sardi dovrebbero essere contenti se dovesse essere costruita una centrale qui. Non ci sono pericoli e la contrarietà al nucleare è solo ideologica, non supportata da argomentazioni scientifiche».
Secondo il governatore «vogliamo puntare verso un modello che crei occupazione senza chiedere ancora una volta alla nostra Isola pesanti sacrifici ed un tributo, anche in termini di immagine, che non siamo più disposti a pagare. La proposta
di realizzare centrali nucleari in Sardegna - ha aggiunto Cappellacci - è irricevibile nel metodo e nel merito: sotto il primo punto di vista, non può essere imposta in spregio alla volontà dei territori; sotto il secondo, è incompatibile con scelte già consolidate, che intendiamo portare avanti con determinazione». «I fautori del nucleare - ha concluso il governatore - predicano contro la logica Nimby (not in my back yard, non nel mio cortile), ma lo fanno sempre nel cortile altrui, lontano dal collegio elettorale di riferimento».
CALAMITÀ NATURALI La giunta, su proposta dell'assessore dei Lavori Pubblici Angelo Carta, ha stanziato 2 milioni 250 mila euro per opere di prevenzione e soccorso per gravi calamità naturali. Sono stati finanziati undici interventi nei comuni di Usini (completamento degli interventi di consolidamento del costone roccioso a nord est dell'abitato), Pula (frana nell'oasi archeologica di Nora), Teulada (bonifica e sistemazione del versante roccioso fra Chia e Teulada), Calasetta (Rio Tupei, interventi strutturali), Arbus (frane nella strada 126), Semestene (frane a Badde Mala), Bonnanaro (frane località Cannisones), Esterzili (messa in sicurezza e stabilizzazione dell'area vicina al depuratore), Cagliari (dissesto idrogeologico in via Peschiera, piazza D'Armi e zone limitrofe), Fluminimaggiore (consolidamento arginature), Monteleone Roccadoria (messa in sicurezza del costone che sovrasta il depuratore) e Posada (lavori sul ponte del riu San Simone). «Provvedimenti come questo - ha dichiarato il presidente Cappellacci - sono indicativi dell'azione capillare della giunta per la sicurezza del nostro territorio».

sabato 18 settembre 2010

Così si spartisce la torta degli incentivi



Ecco perché mafia, criminali e faccendieri investono sull'eolico

Domenica 19 settembre 2010
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di ANTHONY MURONI
unionesarda
C'è il caso del siciliano Vito Nicastri, al quale la Dia ha appena sequestrato beni per 1,5 miliardi di euro, paventando che il “signore del vento” originario di Alcamo sia addirittura il prestanome del boss mafioso Matteo Messina Denaro. E poi c'è quello del suo maestro, l'avvocato di Benevento Oreste Vigorito, che un paio d'anni fa ha “piazzato” al colosso inter
nazionale International power tutte le autorizzazioni per parchi eolici e fotovoltaici da lui accumulate nel sud Italia, in cambio di quasi 1,7 miliardi di euro. In due fanno 3,2: oltre 6 mila dei vecchi miliardi di lire, capitalizzazioni impossibili in ogni altro settore economico. Persino in tempo di new economy.
IL CASO CARBONI Sulla loro scia ci sono anche faccendieri che si riciclano, convertendosi da altri settori della speculazione finanziaria: è il caso di Flavio Carboni, che nell'affare eolico ha per ora rimediato una brutta scottatura. Nessuna autorizzazione, due mesi e mezzo di carcere, che presto diventeranno tre. Due incidenti che comunque gli hanno fruttato, di riffa o di raffa, 3 milioni di euro che i magistrati romani non riescono a trovare. Tre dei 4 milioni che un gruppo di investitori romagnoli gli ha messo a disposizione per fare da “facilitatore” (lo stesso mestiere di Vito Nicastri) nei confronti dei politici sardi.
CAPITALI ILLECITI Perché questo settore è così conveniente e attira capitali spesso illeciti come il miele fa con le mosche? Il segreto è negli incentivi elevatissimi per le energie rinnovabili. Introdotti nel 1999 dal governo di centrosinistra con la durata di otto anni, gli ince
ntivi sono stati poi portati a 12 e quindi, con l'ultima finanziaria Prodi, addirittura a 15. Il che significa che chi tira su una pala non solo becca un incentivo, ma lo becca per tre lustri dal momento in cui comincia a girare. Se gira. Il meccanismo è un po' complesso. Si basa sui cosiddetti certificati verdi, dei veri e propri titoli che si vendono e si comprano alla borsa elettrica. Spiegare la cosa nei dettagli porterebbe via ore.
CERTIFICATI VERDI Basti sapere che mediamente questi certificati verdi cui hanno diritto i produttori valgono 80 euro a megawatt/h. Ai quali vanno aggiunti i soldi che lo stesso produttore incassa per l'energia venduta al sistema e immessa in rete. Una somma che varia fra 60 e 70 euro a megawatt/h nella media italiana ma che in Sicilia sale fino a 90-100
euro.
L'EUROPA Risultato finale: fatti tutti i conti, l'installazione e la
manutenzione d'una pala media costa un milione in Danimarca (lo Stato europeo che più ha investito sull'eolico) e può arrivare a costare in Sicilia, in 15 anni di vita, il quadruplo: 4 milioni. In Europa le pale girano mediamente per 1880 ore in Danimarca, 1960 in Belgio, 2000 in Svizzera, 2046 in Spagna, 2067 in Olanda, 2082 in Grecia, 2233 in Portogallo. Sapete quante ore, da noi? Solo 1466. E la media siciliana, spiegano gli esperti, è ancora più bassa. E allora come mai Terna ha domande di connessione alla rete per il solo eolico pari a 88.171 megawatt, cioè una volta e mezzo la punta massima del consumo italiano, che è di 56 mila megawatt?
NUMERI DA INFARTO L'Anev (fino a non molto tempo fa presieduta dall'ormai plurimiliardario Oreste Vigorito), che riunisce i produttori di energia eolica, stima che al massimo la produzione nel 2020 potrà raggiungere nel nostro paese 16 mila megawatt. Dieci anni prima già ci sono domande per 5 volte quel totale. Altra domanda: come è possibile che la potenza installata in Sicilia sia di 1.140 megawatt, cioè più di un quarto del totale italiano? Che senso c'è a installare pale a vento dove non c'è vento?
RETE IN TILT C'è poi da stupirsi se la corsa all'energia del vento, anche quando appare insensata, continua? Anche là dove i cavi di Terna non sono in grado di sopportare il carico elettrico, come spesso accade lungo la dorsale appenninica meridionale, con punte di crisi paradossali in Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia? Niente energia fornita, niente soldi. Macché: i produttori hanno comunque diritto al saldo per l'energia che «avrebbero prodotto». E anche questo si scarica sulle bollette. Quanto ci costa? I certificati verdi non sono disgregabili per tipologia di fonte d'energia. Ma le cifre contenute a gennaio nella segnalazione dell'Authority al governo lasciano basiti: nel 2008 abbiamo sborsato 1.230 milioni di euro. Per la metà (630 milioni) a causa «dell'eccesso di offerta».
LA SITUAZIONE È ormai degenerata, investendo anche e soprattutto la Sardegna, in considerazione del fatto che la concentrazione degli impianti eolici esistenti (o già autorizzati) è altissima dal Lazio in giù, isole comprese. E questo, come è desumibile dai dati pubblicati sul sito dell'Anev, non tanto perché le condizioni anemometriche siano più convenienti quanto perché i capitali per gli investimenti sono stati concentrati volutamente al centro-sud. Preoccupanti anche le previsioni sul futuro: per la nostra isola si parla di una produzione di 1763 kw/h per abitante, molto di più rispetto al reale fabbisogno. Questo significa che si tratterà di fare soldi, se sarà consentito dalle leggi nazionale e regionale, sfruttando la risorsa paesaggistica e ambientale sarda.
LE INCHIESTE Tutto in barba (i Centri studi non hanno anima, ma solo cuore e testa legata a numeri, investimenti e utili) al quadro a tinte fosche che è tratteggiato dalle inchieste che le procure di mezza Italia stanno conducendo in questi mesi. Indagini che sembrano dimostrare un'altissima percentuale di infiltrazioni di parte di capitali di provenienza illecita, che verrebbero riciclati soprattutto in ragione dell'altissima convenienza economica assicurata dall'investimento.
COSTI ALTISSIMI Un recente studio ha dimostrato che i posti di lavoro creati dall'energia rinnovabile costeranno ai contribuenti sette volte più cari di quelli generati dai sussidi pubblici destinati in questi decenni all'industria. Una proporzione sconvolgente, se si pensa ai fallimenti dei contributi a pioggia erogati per le industrie del centro Sardegna, che hanno prodotto più capannoni vuoti e truffe all'Ue che buste paga reali.
BASSA OCCUPAZIONE I posti di lavoro che sono stati creati nel settore delle rinnovabili nel corso del 2008 sono calcolati tra i 6 e i 15 mila nel settore del fotovoltaico e vicini ai 28 mila nell'eolico. Considerato che i sussidi erogati per il settore hanno sfiorato i 2,3 miliardi di euro, significa che ogni lavoratore nel settore della produzione di energia dal vento è costato 55 mila euro annui, mentre per quelli del solare si scende a 20 mila.
L'AFFARE Come si arriva a calcolare i contributi? Si deve partire da un'analisi del meccanismo dei sussidi Cip6, che dal 1992 trainano non solo i parchi verdi ma anche centrali assimilate, che di ecologico non hanno nulla. A realizzare affari, con ritorni economici che allo stato attuale non sono assicurati da nessun altro investimento, si arriva mettendo assieme il sistema del conto-energia e quello dei certificati verdi, da sempre pagati grazie al sistema dell'addizionale sulle bolletta. Dei 2,3 miliardi già citati (calcolati come differenza tra i finanziamenti che derivano dai cittadini e il valore dell'energia realmente prodotta) appena 1 (il 41 per cento) è stato utilizzato per sviluppare le energie rinnovabili, come eolico, termo-dinamico e biomasse. Il resto se lo sono aggiudicati i grandi gruppi energivori, che hanno invece continuato nel loro lavoro “tradizionale”, emettendo cospicue quantità di CO2 nell'atmosfera.
LA TENDENZA Le previsioni per il futuro, se il trend dovesse rimanere questo, non sono certo più entusiasmanti: da qua al 2020 (data-limite imposta dal protocollo di Kyoto per l'aumento della quota-energia da produrre in modo “pulito”) i posti di lavoro che l'Anev annuncia di poter creare vanno dai 24 ai 45 mila nel settore eolico e tra i 27 e i 46 mila nel foto-voltaico (in totale circa 7 mila in Sardegna). Tutto questo a fronte di circa 31 miliardi di sussidi per il business del vento e 33 per quello del sole. Almeno fino al 2040, quando scadranno le code degli stanziamenti fin qui preventivati.
RISORSE INFINITE A questo punto il differenziale cresce ancora: per ogni posto di lavoro creato saranno state mobilitate risorse tra 500 mila euro e 1,3 milioni nell'eolico, e tra 700 mila e 1,2 milioni nel fotovoltaico. Cifre immense e, finora, tristemente improduttive.
Questo perché si deve anche tener conto del fatto che la produzione di energia è spesso in surplus rispetto alle reali esigenze delle regioni. Tanto che accade che gli impianti vengono autorizzati (generando dunque l'afflusso di capitali per la loro realizzazione) ma non entrano mai in produzione. Situazione che, ancora una volta, viene raccontata dai dati: 3200 domande per 83 mila megawatt, con una previsione che arriva a 152 mila. Tre volte il picco massimo dei consumi nell'intero sistema-Italia.
ASSALTO AL SUD A fare notizia è anche la localizzazione geografica degli investimenti: scorrendo la prima mappa eolica realizzata dall'Anev (consultabile sul sito www.anev.org) si ottengono tutte le informazioni sui parchi eolici presenti nel Bel Paese. Una sorta di censimento, con l'identikit delle società titolari di impianti, il numero di aero-generatori, la potenza di ogni parco eolico e la sua indicazione geografica. Il quadro è preciso: il rapporto tra Sud e Nord d'Italia è di sette a uno, 89 mila megawatt a 12 mila.
IL CASO SARDEGNA Per quel che riguarda la Sardegna le previsioni, che partono dagli investimenti già realizzati e autorizzati, parlano chiaro: l'obiettivo è quello di arrivare a produrre 1750 megawatt da energia eolica: 1763 kw/h per ogni abitante, con una ricaduta occupazionale che potrebbe arrivare a 7050 posti. Il punto di partenza sono i 367 megawatt già prodotti: ne servono, dunque, altri 1383 da far entrare nel circuito entro il 2020. Il picco è previsto per il 2013 (200 Mw), mentre per il 2017 c'è anche una previsione di 100 Mw prodotti attraverso l'off-shore, da ripartire con la Puglia.


Perché Pechino preoccupa gli Stati Uniti

Nel 2009 il budget militare della Cina ha raggiunto i 150 miliardi di dollari,
circa un quinto di quello che ha speso il Pentagono per le guerre in Iraq e
Afghanistan nello stesso anno



Noam Chomsky
internazionale
Tra le presunte minacce alla superpotenza che domina il mondo sta emergendo con forza una nuova rivale: la Cina. E gli Stati Uniti la tengono sotto osservazione. Il 13 agosto uno studio del Pentagono ha osservato che la crescente forza militare della Cina “potrebbe impedire le operazioni delle navi da guerra statunitensi nelle acque internazionali al largo delle coste cinesi”, ha scritto Thom Shanker sul New York Times. Washington teme che “la mancanza di trasparenza della Cina sulle intenzioni delle sue forze armate provochi instabilità in una regione vitale del pianeta”. È invece evidente che gli Stati Uniti vogliono agire liberamente in tutta la “regione vitale del pianeta” vicina alla Cina (come altrove). E ostentano la loro capacità di farlo: hanno un bilancio militare che corrisponde più o meno a quello di tutti gli altri paesi messi insieme, hanno centinaia di basi militari in tutto il mondo e una netta supremazia tecnologica.

Che la Cina non rispetti le norme della cortesia internazionale lo si è capito quando, a luglio, si è opposta alla partecipazione della portaerei a propulsione nucleare George Washington alle esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, vicino alla costa cinese. L’occidente, invece, sa benissimo che gli Stati Uniti organizzano queste operazioni per difendere la stabilità del pianeta e la loro stessa sicurezza.

Quando si parla di problemi internazionali, il termine “stabilità” ha un signiicato preciso: il dominio degli Stati Uniti. Quindi nessuno si è sorpreso quando l’ex direttore di Foreign Afairs, James Chace, ha spiegato che nel 1973 per ottenere la “stabilità” in Cile era necessario “destabilizzare” il paese, rovesciando il governo legittimo del presidente Salvador Allende e instaurando la dittatura del generale Augusto Pinochet, ovviamente nell’interesse della stabilità e della sicurezza.

Come tutti sanno, la sicurezza degli Stati Uniti richiede un controllo assoluto. Questa premessa ha ottenuto l’imprimatur uiciale dallo storico dell’università di Yale John Lewis Gaddis in Surprise, security and the American experience, che studia le origini della dottrina della guerra preventiva di George W. Bush. Il principio su cui si basa questa dottrina è che l’espansione è “l’unica via per garantire la sicurezza”, concetto che Gaddis fa risalire a quasi due secoli fa.

Quando Bush ha avvertito i cittadini statunitensi che “in caso di necessità dovevano essere pronti ad agire preventivamente per difendere la loro libertà e la loro vita”, stava riesumando una vecchia teoria e “ribadendo princìpi che molti presidenti avrebbero sicuramente condiviso”. Lo avrebbe fatto anche Bill Clinton, secondo il quale gli Stati Uniti avevano il diritto di usare la forza per garantirsi “libero accesso a mercati chiave, forniture energetiche e risorse strategiche”. William Cohen, segretario alla difesa di Clinton, sosteneva che gli Stati Uniti devono avere
un’immensa forza militare e “schierarla in posizione” in Europa e in Asia “per plasmare l’opi-
nione che gli altri popoli devono avere di noi” e “impedire eventi che potrebbero influire sulla nostra vita e sulla nostra sicurezza”. Questa formula della guerra permanente è una nuova dottrina strategica, che è stata poi ampliata da George W. Bush e da Barack Obama.

Secondo lo studio del Pentagono, nel 2009 il budget militare della Cina ha raggiunto i 150 miliardi di dollari, avvicinandosi a “un quinto di quello che ha speso il Pentagono per le guerre in Iraq e Afghanistan” nello stesso anno e che è solo una minima parte del bilancio militare degli Stati Uniti. Se si parte dall’idea che Washington deve esercitare un “potere indiscusso” su buona parte del mondo, usando la sua “supremazia economica e militare”, e “limitare l’esercizio della sovranità” di quegli stati che potrebbero interferire con i suoi progetti, la preoccupazione americana è comprensibile.

Questi sono i princìpi stabiliti dai massimi esperti statunitensi di politica estera durante la seconda guerra mondiale, quando fu deciso come doveva essere organizzato il mondo dopo il conlitto. Gli Stati Uniti dovevano mantenere il predominio in una “Grande area”,
che comprendeva come minimo tutto l’emisfero occidentale, l’estremo oriente e i territori dell’ex impero britannico, comprese le cruciali risorse energetiche del Medio Oriente. L’Europa poteva anche scegliere una strada indipendente, per esempio il progetto gollista di un continente che andava dall’Atlantico agli Urali.
Ma uno degli scopi del patto atlantico era proprio evitare questo rischio, e il problema rimane ancora oggi, visto che la Nato è diventata una forza gestita dagli Stati Uniti per controllare le infrastrutture del sistema energetico planetario da cui dipende l’occidente.
Da quando sono diventati la prima potenza del pianeta, gli Stati Uniti hanno cercato di mantenere in piedi un sistema di controllo globale. Ma non è un progetto facile da realizzare. Questo sistema comincia a mostrare le sue crepe, con una serie di importanti conseguenze per il futuro. A minacciarlo è una rivale sempre più influente: la Cina. u bt

NOAM CHOMSKY

NOAM CHOMSKY @ AMNESTY INTERNATIONAL TALK
insegna linguistica
all’Mit di Boston.
Il suo ultimo libro
uscito in Italia è Sulla
nostra pelle. Mercato
globale o movimento
globale? (Il Saggiatore
tascabili 2010).





venerdì 17 settembre 2010

La protesta dei pastori, in settemila a Cagliari



Trenta cavalieri aprono il lungo corteo di magliette blu e di sindaci. Molti slogan e qualche sfottò. Qualche uovo lanciato contro il palazzo della Regione ma senza alcuna violenza
di Umberto Aime
lanuova

I pastori a cavallo davanti al Consiglio regionale
CAGLIARI. Ugolino raglia, Andrea scarta, Toto gratta l’asfalto, ruvido, e un barile, vuoto. Marco fa le bizze, ha paura, non vuole scendere, lo metteranno giù di peso. Ebbene sì, qui, in piazza Marco Polo, ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Altro che Mucca Carolina, mascotte di un latte leghista, quello sì protetto da Berlusconi, qua ci sono i Quattro Asinelli. Da parata, protagonisti e interpreti del presidente della Giunta, dell’assessore, di chi è a capo del Consorzio obbligato a difendere il pecorino dalle imitazioni (lo farà davvero?) e del presidente della Coldiretti. È questo il sindacato-nemico, dicono venduto e defunto, un necrologio sei metri per due celebra senza lacrime la sua dipartita. È quella della bandierina giallo-verde: vessillo che sarà subito carabonizzato.



La discesa degli asinelli è il colpo di teatro, è la fantasia messa al servizio della rivolta. Non c’è possibilità di confondere Ugo-Ugolino con Marco, neanche Andrea con Toto. Sono stati battezzati a Lula - da dove arrivano - e poi sul piazzale della Fiera, impacchettati come sono in lenzuola bianche su cui una mano ferma ha scritto, in nero-spray, nome e cognome di ogni bersaglio: Cappellacci, Prato, Meloni e Scalas, nell’ordine. Dalla nascita sono quattro bipedi, oggi quadrupedi destinati alla beffa popolare. Frutto di un’irriverenza agropastorale dunque genuina, e della sfacciataggine di chi è in piazza, a Cagliari, dopo essere partito da Alghero, Olbia, Sassari, Oristano, da Nulvi e Busachi, da Ovodda e Pabillonis, da Ottana e Sedilo, da Ittiri e Olzai, dal Campidano, dal Goceano, dalla Barbagia, dall’Ogliastra e da qualunque altro stazzo conosciuto. Sono qui per salvare ovile, casa e famiglia. Evviva, Siamo tutti pastori. Sono i settemila che ieri fino alle cinque della sera hanno conquistato e riempito viale Diaz, viale Bonaria, via Roma e il portico del Consiglio regionale. Due ore di marcia sotto il sole, un chilometro e mezzo di rabbia, migliaia di passi messi assieme dal Movimento dei pastori sardi.




Erano in tanti, sono stati tutti bravi, buoni e civili, dirà il vicequestore Oreste Barbella, liberato da un peso, ordinare la carica, che sarebbe stato troppo pesante. Anche se qualche tensione c’è stata: per tre volte carabinieri e agenti hanno alzato lo scudo e abbassato le visiere dei caschi anti-sommossa. Cattivi presagi? No, lo hanno fatto solo per dissuadere e tenere a bada i più scalmanati, senza però mai impugnare i manganelli: complimenti, anche loro sono stati bravi, buoni e civili. Anche quando dalla massa è partito un tiro incrociato sull’orribile facciata del Consiglio. Con una decina di uova che hanno centrato le vetrate del Palazzo, proiettili da combattimento delle campagne, molto più leggeri dei due sassi finiti su una finestra del primo piano.



Nient’altro da segnalare, per la cronaca nera. Merito di una cantilena - calmi, pastori, calmi - ripetuta dieci, venti, cento volte dagli organizzatori prima, durante e dopo il corteo. Una voce di pace che è servita da bromuro, altrimenti poteva finire come negli anni novanta, sempre in via Roma: pecore sgozzate e lancio di lacrimogeni. Stavolta niente lacrime e sangue, almeno sull’a cciottolato cagliaritano, negli ovili pene e dolori continuano purtroppo a essere quotidiani. Sessanta centesimi per un litro di latte, una birra costa tre volte tanto nel bar di via Lepanto. È pazzesco. Quattro euro al chilo per un vitello: sono listini da fame. Bisogna resistere.



Bisogna esserci dentro il corteo del duemila-e-dieci, che passerà alla storia come un Sant’Efisio settembrino, una Cavalcata sassarese della protesta. Non è folclore, è l’orgoglio di essere sardi. È una sagra di colori, slogan, bandiere, fischietti, campanacci e striscioni. Sul petto e nelle mani di padri, madri e figli, che avanzano a ondate, ma tenuti a bada da un picchetto d’o nore, eccellente e monumentale: trenta cavalieri, in testa al gruppo. Pariglia perfetta, voluta da Felice Floris e dal suo secondo, Andrea, che gli assomiglia in tutto persino nello sguardo luciferino: incute rispetto, non terrore. Poi dentro ci sono trenta sindaci, quelli che più di altri, insieme ai marescialli in divisa, mattina e sera devono badare all’intifada degli ovili. Stazzi e case impregnati di una miscela esplosiva, l’esasperazione: questa sì che dovrebbe far paura a qualcuno. Sempre.



Qui c’è spazio per tutti: sulla strada, sui marciapiedi, sul Leoncino che è stato già ad Elmas, Olbia, Alghero, a Tramatza e a Porto Rotondo, le altre cinque piazze di una rivoluzione anti-disperazione cominciata il 30 luglio. C’è gente aggrappata ai finestrini di un mastodontico e vuoto Iveco-Eurostar trasporta-latte: nessuno tsunami bianco si abbatterà sul Palazzo. Chi è a piedi indossa le magliette blu del Movimento, che diventano nere se arrivano da Orune, celesti per Olbia, verdi dalla Nurra: è un arcobaleno di tinte e paesi. Viste dall’alto, tutte insieme, sembrano coriandoli, ma non è Carnevale, è una mattina di Passione. Raccontata da Gianni, Franco, Alberto, Anna Laura e Giovanni, che sono di Nulvi, Pattada, Ovodda, Busachi e Nugheddu Santa Vittoria: Siamo alla fame. Siamo ostaggio degli industriali, delle banche, della politica, della burocrazia, degli speculatori, del gasolio, delle bollette. Non vogliamo morire. Non vogliono crepare insieme alle loro ventiduemila aziende agonizzanti. Mai. Chi oggi ha ottantasei anni e munge pecore da quand’era bambino, gonfia il petto dentro un maglioncino su cui il nipotino, quinta elementare, ha scritto: Non t’arrendas como, non ti arrendere adesso. Mai. Siamo tutti pastori, gridano dal fondo del corteo, quando il grosso è già sotto la Regione. Il traguardo è raggiunto, sono tutti vincitori.

C’è chi parla al microfono, sindaci, gente comune, politici, e c’è chi si accalca sotto il Leoncino-palco, altri sindaci, tanta gente comune, ancora politici di una parte e dell’altra. Chi fa l’o norevole vorrebbe accaparrarsi questo Movimento, ma questo è un movimento libero, trasversale e incazzato che non si fa imbrigliare. Anzi, dà fuoco alle tessere di chi lo ha tradito, le associazioni, e scaraventa acqua, birra e vino sulla giacca del presidente della Regione. Che dopo l’incontro con la delegazione ha la forza di salire sul palco-cassone. È un finale a sorpresa. Il coraggio sfacciato piace e a un Ugo Cappellacci, che almeno stavolta non può passare certo per babbeo, i settemila della piazza lo lasciano parlare. Ascoltano in silenzio le sue promesse che per Felice Floris oggi vanno bene al novantacinque per cento, domani si vedrà.



Andrea Prato non ha la stessa fortuna: di lui non si fidano, gli fanno fare una figuraccia. Lo volete sentire? No, no, sotto un tuono di fischi. È una condanna, tremenda come sono tremendi i suoi mocassini bi-colore. Mai visti, neanche ai piedi di un cittadino. Dal parterre a lui gridano di tutto, mandate a quel paese comprese, mentre col presidente la folla è più buona. Gli dà credito, anche se uno di Ovodda si aggrappa alla sponda e grida brutale: Attento a non fregarci. Presidente, non può più sbagliare.


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