martedì 26 ottobre 2010

Nassiriya, Wikileaks accusa gli italiani

Nell'agosto 2004 uccisero 5 civili «a freddo» sparando su un'ambulanza. E il caso Marracino non fu suicidio
il manifesto .it
Giuliana Sgrena

Non avevano sparato contro gli italiani gli occupanti dell'ambulanza colpita dai Lagunari sul ponte di Nassiriya nella notte tra il 5 e il 6 agosto del 2004. L'ambulanza, che trasportava una donna incinta, la madre, la sorella e il marito diretti all'ospedale, era stata attaccata dai lagunari che l'avevano fatta esplodere. Tutti morti gli occupanti. Questa la versione pubblicata dal sito di Wikileaks a proposito di uno dei fatti più sanguinosi che hanno coinvolto gli italiani a Nassiriya, dopo l'attentato del novembre 2003 che aveva provocato la morte di 19 soldati italiani. La versione di Wikileaks (che sulla guerra in Iraq e Afghanistan rivela fonti segretate americane) contrasta con la versione ufficiale degli italiani, secondo la quale i lagunari avrebbero risposto al fuoco partito da un'auto che portava esplosivo. E' tuttavia questa una versione che era già stata contestata da giornalisti presenti a Nassiriya al momento dell'attacco.
La stessa notte vi era stato un secondo scontro a fuoco sui ponti di Nassiriya: un furgone non si era fermato a un posto di blocco, ne erano scesi uomini armati che avevano aperto il fuoco e gli italiani avevano risposto ingaggiando una battaglia nella quale «diversi insorti rimasero uccisi e altri feriti». Il problema è che i due fatti, avvenuti a circa un'ora di distanza 3,25 e 4,25 nella notte tra il 5 e il 6 agosto, probabilmente non erano stati riferiti distintamente. Anzi il rapporto del colonnello dei lagunari Emilio Motolese, redatto tre giorni dopo i fatti, si riferisce evidentemente al secondo scontro, trascurando il primo che era risultato anche il più clamoroso con l'attacco di civili. La ricostruzione del primo attacco, pubblicata da Wikileaks, sarebbe confermata da una inchiesta giudiziaria.
Gli italiani a quei tempi erano addetti alla difesa dei tre ponti di Nassiriya sull'Eufrate e spesso si scontravano con l'esercito di al Mahdi (le milizie di Muqtada al Sadr) che controllava la città.
Un altro file pubblicato dal sito - che ha mandato su tutte le furie americani, britannici e ora presumibilmente anche gli italiani - si riferisce alla morte di Salvatore Marracino, il militare morto durante una esercitazione il 15 marzo del 2005. Secondo la versione ufficiale italiana il soldato sarebbe morto accidentalmente mentre stata disinceppando la propria arma. Ora invece secondo un rapporto americano risulta che Salvatore Marracino è stato colpito accidentalmente alla testa da «fuoco amico» mentre si stava preparando ad una esercitazione. Era stato poi trasferito all'ospedale di Camp Mittica (registrato come incidente) e poi trasferito all'ospedale navale di Kuwait city, dove è morto. Salvatore Marracino di San Severo (Foggia) aveva 28 anni, otto trascorsi nell'esercito dove faceva parte di un reparto d'élite, il 185.o Rao (Reggimento acquisizione obiettivi) della Folgore.
I documenti rivelati sono numerosi e oltre a quelli sui 150.000 civili uccisi (di cui abbiamo già riferito) ieri ne sono usciti anche sulla consegna di prigionieri da parte dei soldati americani a una unità speciale irachena nota per le torture. Si tratta della Wolf brigade, commandos del ministero degli interni, creata con il sostegno degli Stati uniti.
Questi sono documenti segretati americani che a volte possono contribuire a fare chiarezza sugli avvenimenti mentre altre volte si limitano a dare una versione, quella dei servizi segreti americani.

Salvatore Marracino

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GUERRE USA
Si agitano i fantasmi della guerra irachena. Con Wikileaks nuove rivelazioni sulla battaglia dei ponti di Nassiriya. L'Iran - influente anche a Kabul - sostiene la formazione di un nuovo governo sciita religioso in Iraq con l'appoggio di Siria e degli Hezbollah libanesi. Le reazioni del fronte sunnita con in testa i sauditi

Secondo i documenti diffusi da WikiLeaks il sergente Marracino fu ucciso da fuoco amico

Alberto Negri
ilsole24ore

Continua lo stillicidio di rivelazioni dal sito WikiLeaks, che da sabato ha diffuso, dopo le anticipazioni di al Jazeera una enorme mole di documenti top secret sulla guerra in Irak. dopo i particolari sulla liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, durante la quale fu ucciso l'agente dei servizi Nicola Calipari, nuove rivelazioni sono giunte lunedì sulla morte del militare italiano Salvatore Marracino, sulle minacce alla base di Nassiriya e sulla «battaglia dei Lagunari» dell'agosto 2004.


La morte di Salvatore Marracino. Salvatore Marracino, il militare italiano morto nel corso di una esercitazione il 15 marzo 2005 in Iraq, «è stato colpito accidentalmente», si legge nella documentazione pubblicata da Wikileaks. Secondo l'ipotesi più accreditata all'epoca, invece, il 28enne di San Severo (Foggia) si sparò alla fronte con la sua stessa arma, che si era inceppata poco prima. In un rapporto americano datato il 15 marzo 2005, classificato segreto e pubblicato da Wikileaks con diversi omissis, si legge che «alle ore 13, un (militare italiano) stava prendendo parte a un'esercitazione di tiro a Nassiriya. È stato accidentalmente colpito (alla testa). È stato trasferito all'ospedale in Camp (Mittica) e classificato come incidente. È stato trasferito all'Ospedale navale di (Kuwait City). È morto alle 16.45 circa», ora locale.

La notizia della morte a Nassiriya del sergente Marracino arrivò nell'Aula della Camera proprio mentre si stava per votare il rifinanziamento della missione italiana in Iraq. A informare il Parlamento fu il vicepremier Marco Follini spiegando che Marracino, «durante un'attività regolarmente programmata di tiro con le armi portatili, nel tentativo di risolvere un inceppamento della propria arma, è stato raggiunto da un colpo alla testa». Nel tempo la ricostruzione è apparsa sempre più sfocata: non si è più parlato esplicitamente di un colpo esploso dall'arma impugnata dallo stesso Marracino. Durante i funerali, la madre del ragazzo lanciò un appello ai commilitoni del figlio perchè la aiutassero a «fare chiarezza» su quanto accaduto.

Le minacce contro la base di Nassiriya. Reiterate minacce contro la base italiana di Nassiriya in Iraq - almeno tre gli attentati pianificati dal 2004 al 2006 - successivamente alla strage del novembre 2003 emergono nei file pubblicati da Wikileaks. Il 2 febbraio 2004, a Nassiriya gli insorti iracheni pianificavano un attacco contro la base italiana, colpita due mesi prima dall'attentato che costò la vita a 19 soldati.

Nuova minaccia nel maggio del 2005: gli insorti pianificano un attacco in grande stile contro la base di Nassiriya e quella britannica a Bassora. L'attacco, a colpi di mortaio, razzi, mine e Ied, era previsto per l'ultima settimana di maggio, di sera. Un anno dopo, i gruppi radicali di Nassiriya erano pronti a fomentare le violenze nel corso di manifestazioni popolari ostili alla coalizione in concomitanza con il ritiro italiano, iniziato formalmente il 16 giugno 2006 con il passaggio di consegne all'esercito iracheno. Il piano prevedeva l'utilizzo di ordigni artigianali da far esplodere lungo le strade nei pressi degli oleodotti e delle stazioni di carburante.

La battaglia dei Lagunari. Non sparavano gli occupanti del mezzo di soccorso iracheno colpito durante la «battaglia dei Lagunari», nell'agosto 2004 sui ponti di Nassiriya, in Iraq, e poi esploso perchè raggiunto dai colpi dei soldati italiani: lo si legge nella documentazione messa online da Wikileaks. I militari italiani dissero di aver risposto al fuoco proveniente dal veicolo iracheno.

WikiLeaks: non siamo antiamericani. WikiLeaks, che venerdì ha pubblicato circa 400.000 documenti riservati Usa sul conflitto iracheno, si difende dalla accuse di antimericanismo. "Non siamo anti-americani", ha dichiarato il portavoce Kristinn Hrafnsson alla radio Bbc4 e ha definito "assolutamente false" le accuse secondo le quali WikiLeaks potrebbe fare il gioco della propaganda dei fondamentalisti islamici. "Noi e tutti coloro che ci sostengono abbiamo a cuore solamente i principi che costituiscono le fondamenta della società americana, il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti", quello che garantisce la libertà di espressione, ha spiegato Hrafnsson.

«Si tratta di una coincidenza che i documenti rivelati in questi ultimi mesi riguardino l'esercito americano», ha aggiunto, ricordando che in passato il sito ha pubblicato dossier su altri Paesi. I documenti, che coprono il periodo compreso dall'inizio del 2004 al 1 gennaio 2010, riferiscono di 285.000 vittime della guerra in Iraq, tra cui almeno 109.000 decessi: di questi, 66.000 sono civili, pari a quasi i due terzi del totale. Dai rapporti stilati sul campo dagli americani emergono anche centinaia di denunce di abusi commessi sui detenuti dalle forze irachene.

lunedì 25 ottobre 2010

L'Ungheria sfida il Fondo monetario internazionale

Jérôme Duval
Fonte: http://www.cadtm.org/La-Hongrie-defie-le-FMI
Tradotto da Raffaella Selmi

L'Ungheria, che dal 1° gennaio 2011 assumerà per sei mesi la presidenza dell'UE , subisce pesantemente le conseguenze di una crisi finanziaria che sembra non finire. Pur non essendo così distante dai parametri di Maastricht in materia di deficit pubblico (3,8% nel 2008), l'Ungheria è il primo paese dell'Unione europea ad aver ottenuto il sostegno finanziario della Troika costituita da: Fondo Monetario Internazionale, UE e Banca Mondiale.

Nel mese di ottobre 2008 è stato concordato un piano di finanziamento di 20 miliardi di euro: 12,3 miliardi messi a disposizione dal FMI, 6,5 dall’Unione europea e uno dalla Banca Mondiale. Lo stock del debito è cresciuto in maniera automatica: oltre alla perdita secca dovuta al pagamento degli interessi, che aggrava il deficit, alla popolazione sono state imposte pesanti condizioni, l'aumento di 5 punti percentuali di IVA, attualmente al 25%, l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni, il congelamento per due anni dello stipendio dei funzionari, la soppressione della tredicesima per i pensionati, la riduzione degli aiuti pubblici all'agricoltura e al trasporto ...

L'estrema destra entra in Parlamento

In passato l’Ungheria, governata dai socialdemocratici, era riuscita a tenere in piedi un sistema di

Viktor Orbán, visto da Marian Avramescu, Romania

relative garanzie sociali, ma l'attuazione delle misure di austerità imposte dal FMI, ha scontentato la popolazione e giovato alla destra conservatrice, che nell’aprile 2010 ha vinto le elezioni legislative. La vittoria del nuovo primo ministro conservatore, Viktor Orbán, è stata accolta con favore dall’agenzia Fitch Ratings secondo la quale il partito di Orbán, Fidesz, che ha ottenuto la maggioranza necessaria per modificare la Costituzione "rappresenta un'opportunità per introdurre riforme strutturali”. (1) I socialdemocratici hanno riportato una sconfitta storica aprendo la strada all’estrema destra (Jobbik) che per la prima volta è entrata in parlamento con la percentuale del 16,6% .

Non appena insediatosi, il governo ha diffuso dichiarazioni allarmistiche sulla situazione finanziaria del paese, chiamando in causa una sottostima dei conti da parte del precedente esecutivo che, in realtà, avrebbe portato al 7,5 % il rapporto tra il deficit e il PIL, ben al di sopra quindi del 3,8% previsto dal Fondo monetario internazionale. Bluff o falsificazione dei conti? In seguito a queste dichiarazioni, il 5 giugno 2010, il panico fa crollare le Borse di Londra, Parigi, Budapest ... e l'euro si deprezza nel timore di una crisi simile a quella della Grecia. Il governo sotto pressione, nel tentativo di recuperare, diffonde comunicati per tentare di calmare gli speculatori.

Tassazione del capitale o del lavoro ?

Per contenere il deficit al 3,8% del PIL nel 2010, come concordato con il Fondo monetario internazionale e l'UE, il governo sta lavorando all’approvazione di una tassa straordinaria sull’intero settore finanziario, che permetterebbe di prelevare lo 0,45% dell’attivo dichiarato dalle banche (calcolato non sul profitto, ma sul fatturato), di tassare fino al 5,2% le entrate delle compagnie assicurative e fino al 5,6% quelle degli altri istituti finanziari (borse, agenti finanziari, gestori di fondi d’investimento ...). L’Ungheria supera così Obama che ha annunciato una tassa sulle banche dello 0,15% solamente. Ma questo provvedimento, che dovrebbe garantire un gettito di 650 milioni di euro l'anno per due anni (2010 e 2011), circa lo 0,8% del PIL secondo le stime del governo, non piace alle banche che fanno pressione minacciando di ritirare gli investimenti in Ungheria. Il Fondo monetario ha dal canto suo sospeso i negoziati avvertendo che chiuderà il rubinetto del credito concesso nel 2008, e questo nonostante che il piano di finanziamento, con scadenza inizialmente prevista a marzo 2010, fosse stato prorogato a ottobre dello stesso anno.

E’ evidente che il piano di tassazione delle banche, vero pomo della discordia tra Ungheria e Fmi, costituisce l’ostacolo al proseguimento del prestito. Il Fondo ritiene che il paese dovrebbe adottare misure in linea con il dogma corrente neoliberista: col che s’intende tassare i poveri prima delle banche. Certamente i poveri hanno pochi soldi…ma ce ne sono tanti!... A qualcuno sfugge il cinismo?

Inoltre, la previsione di un tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici, compreso il governatore della banca centrale, è in netto contrasto con le raccomandazioni del Fondo che preferisce un livellamento “dal basso” attraverso la riduzione o il congelamento dei salari, com’è avvenuto in Grecia o in Romania. Attenzione a non farsi illusioni su un partito di governo che già nel 1990 aveva favorito l’ingresso del neoliberismo...

« O la tassa sulle banche, o l’austerità»

Christoph Rosenberg, capo della delegazione del Fmi in Ungheria, riporta la richiesta di maggiori dettagli sul bilancio del prossimo anno da parte dell'organizzazione internazionale: "Quando torneremo, sempre che non sia la settimana prossima, il governo avrà proseguito nella definizione del bilancio 2011 e sarà un bilancio molto importante". (2).

Ancora una volta il Fondo monetario internazionale si appresta a riesaminare la copia del governo e interviene direttamente nella definizione del bilancio ungherese a dispetto dalla sua sovranità. Nell’attesa, il FMI stima che il paese dovrà prendere "misure supplementari" di austerità per raggiungere gli obiettivi di disavanzo che si è dato. Dal canto suo il ministro dell'Economia, Gyorgy Matolcsy ha dichiarato in un’intervista che: "Abbiamo detto (ai nostri partner N.d.T.) che non c’è modo di aggiungere ulteriori misure di rigore a quelle già prese [...].: da cinque anni stiamo applicando un piano di austerità , e quindi è fuori questione”.

"Applicheremo la tassa sulle banche, sappiamo che si tratta di un fardello pesante, ma sappiamo anche che possiamo raggiungere (l'obiettivo), del 3,8% di disavanzo ". “O la tassa sulle banche, o l'austerità"
Ha anche aggiunto (3). Per contenere un’estrema destra in continua ascesa, la destra conservatrice al potere vuole evitare misure impopolari in vista delle prossime elezioni comunali previste per ottobre e respinge qualsiasi ulteriore negoziato con il Fondo.

Rottura delle trattative tra Ungheria e FMI ?

Il 17 luglio il FMI ha sospeso le trattative e, di conseguenza, l’utilizzo della parte residua del credito. La reazione dei mercati non si è fatta attendere, e il fiorino, la moneta nazionale, ha perso circa il circa il 2,4% in apertura, mentre la Borsa ha subito una perdita di oltre il 4%. Il primo ministro, Viktor Orbán, ringraziando il FMI per il suo "aiuto durante i tre anni" ha indicato che "l’accordo sul prestito è scaduto nel mese di ottobre, e quindi non c'era niente da sospendere.”
"Le banche sono all’origine della crisi mondiale, è normale che contribuiscano a ripristinare la stabilità", ha sottolineato (4).

Il 22 luglio la nuova legge della tassa sulle banche, che prevede inoltre la riduzione del prelievo fiscale sulle piccole e medie imprese (PMI) dal 16 al 10 %, è stata approvata con una larga maggioranza (301 voti a favore e 12 contrari) dal Parlamento guidato dal Fidesz di Orbán . Non sorprende che il giorno dopo, le agenzie di rating Moody's e Standard and Poor's abbiano messo sotto osservazione l’Ungheria per un possibile declassamento del rating. Il ruolo di queste agenzie, giudici e parti di un sistema speculativo strangolatore, è presto detto: si alza il rating del governo conservatore salito al potere che aderisce al programma di austerità capitalista, si abbassa quando ci si rende conto che le misure non sono in linea con il dogma neoliberista.

Il quotidiano “Le Monde” sostiene i creditori

Diversamente da quanto sostiene il quotidiano francese Le Monde (5) nella sua edizione del 20 luglio, occorre appoggiare l’insubordinazione manifesta del governo ungherese al FMI,e sostenere l'idea che anzi deve fare lo stesso con l’altro suo creditore, l'Unione europea. Prendere le distanze da tali creditori non è un torto al popolo ungherese, per il quale pagare un debito alle condizioni imposte dal FMI e dalla UE è già un pesante fardello.

Naturalmente occorre andare oltre una semplice rottura diplomatica, proponendo, ad esempio, un fronte dei paesi a favore della cancellazione del debito, perché, come ha detto giustamente Sankara , ex presidente del Burkina Faso, pochi mesi prima di essere assassinato: "Il debito non può essere rimborsato innanzitutto perché ,se non paghiamo , i nostri creditori non moriranno, stiamone pur certi. Mentre, se paghiamo, siamo noi che moriremo .E anche di questo possiamo essere certi…(... ) Se solo il Burkina Faso si rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza. Ma, con il sostegno di tutti, di cui ho bisogno (applausi), con il sostegno di tutti possiamo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo impiegare le nostre scarse risorse per il nostro sviluppo." (6)
Solo una mobilitazione popolare che pretenda la verità sulla destinazione del denaro preso in prestito così come anche la soddisfazione delle richieste in termini di salari, occupazione o garanzie sociali, potrà ottenere che i veri responsabili della crisi ne paghino il costo.

Perciò è di vitale importanza per i popoli d'Europa e altrove, contestare questi debiti macchiati d’illegalità e rifiutarne il pagamento. E’ un primo passo verso la sovranità che permetterebbe di dirottare gli enormi fondi dedicati al rimborso del debito verso i bisogni reali della popolazione, la salute, l'istruzione, le pensioni, e (permetterebbe) di tutelare il servizio pubblico e non delegarlo ad aziende private.

Note

|1| Hongrie : Fitch salue le résultat électoral, Le Figaro, 26 aprile 2010
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2| Krisztina Than e Marton Dunai, L'UE et le FMI suspendent les consultations avec la Hongrie, Reuters, 17 luglio 2010
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3| Gergely Szakacs et Krisztina Than, La Hongrie exclut de nouvelles mesures d'austérité, Reuters, 19 luglio 2010
[
4] « Hongrie : la taxe sur les banques est "juste et nécessaire" selon le Premier ministre », AFP, 22 luglio 2010.
[
5] « En Hongrie, les curieuses manières de M. Orbán », editoriale di Le Monde
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6| Discorso di Thomas Sankara ad Addis-Abeba, il 29 luglio 1987, tre mesi prima della sua morte.



Per concessione di CADTM
Fonte: http://www.cadtm.org/La-Hongrie-defie-le-FMI
Data dell'articolo originale: 29/07/2010
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=2098

domenica 24 ottobre 2010

BALLE DI STATO Guerra sui rifiuti, Bertolaso anti-Ue

Adriana Pollice

NAPOLI

www.ilmanifesto.it

Dopo un'altra giornata di guerriglia urbana, il governo «congela» Cava Vitiello, la seconda discarica nel Parco nazionale del Vesuvio. Il commissario Ue all'Ambiente bacchetta il governo italiano: «Insufficienti le misure adottate dal 2007». E il capo della Protezione civile reagisce in malo modo: «Facciano il loro mestiere» «La Ue faccia il proprio mestiere». Guido Bertolaso ter tira fuori il mantello da commissario ad acta con i superpoteri pulenti e parte all'attacco della Commissione europea, ostinata nel ripetere che la Campania non è stata dotata di un piano smaltimento rifiuti credibile e l'inceneritore di Acerra non funziona a regime. «L'Unione europea - dichiara Bertolaso - farebbe bene a fare il proprio mestiere, invece di dare giudizi. Con l'Ue abbiamo un rapporto estremamente costruttivo, a sollevare perplessità è stata una parlamentare olandese che appartiene a un partito politico evidentemente poco amico del nostro Paese».

A finire sulla black list del capo della Protezione civile è l'eurodeputata laburista Judith Merkies, che aveva dichiarato: «In Campania la situazione è seria. Si possono scordare che siano sbloccati i fondi attualmente congelati dalla Commissione europea». Si tratta di 145,4 milioni di euro erogati dal Fondo per lo Sviluppo regionale che avrebbero dovuto finanziare piani per lo smaltimento rifiuti, congelato da tre anni e mezzo in virtù della procedura d'infrazione aperta il 26 aprile 2007. Un mini «editto bulgaro» quello di Bertolaso, che vorrebbe scegliere chi inviare a controllare il suo operato: «Mi auguro che mandino una delegazione seria, corretta e oggettiva, visto che da quando è divenuto presidente Josè Manuel Barroso non siamo stati contattati da nessuno dei membri della Commissione europea».

Immediata la risposta di Joseph Hennon, portavoce del commissario Ue all'Ambiente Janez Potocnik: «Le misure adottate dal 2007 in poi per risolvere la questione dei rifiuti in Campania sono insufficienti e potrebbero esserci sanzioni per l'Italia. Siamo pronti a fare il necessario nei contatti con lo Stato membro perché si adegui alle normative comunitarie».«A questo punto sarebbe necessario che l'Unione europea commissariasse Bertolaso». È il commento di Angelo Bonelli, presidente nazionale dei Verdi, tra quelli che hanno inviato a Bruxelles un'ampia documentazione sullo scempio di cava Sari.

Bonelli è convinto che lasciare all'uomo della Protezione civile mano libera a Terzigno equivale a preparare un nuovo disastro. È tutto il film raccontato da Bertolaso venerdì che non convince, a cominciare dall'immondizia per le strade di Napoli che sarebbe da addebitare alla gestione degli ultimi mesi della discarica di Terzigno, cioè tutta colpa dell'Asìa. «Un'ipotesi surreale - sostiene Bonelli - visto che lo sversatoio è stato realizzato dalla Protezione civile. Se nella falda acquifera la provincia di Napoli ha rilevato metalli pesanti e policlorobifenili, cioè diossine, è colpa di chi ha fatto l'impianto e non di chi l'ha gestito». Il Presidente del consiglio e il suo braccio destro si sono presentati con una lista delle cose da fare assurdamente identica a quella di tre anni fa. Una replica del disastro. «Nel 2007 - prosegue Bonelli - per convincere le popolazioni in rivolta il governo mise sul piatto 270 milioni di euro per bonifiche, compensazioni e raccolta differenziata. Non è arrivato un solo euro. Oggi offrono 14 milioni per la sola Terzigno, giustamente rifiutati dai cittadini».

Attraversati tre governi, da Berlusconi a Berlusconi passando per Prodi, il capo della Protezione civile sempre in cabina di regia non ha trovato modo di fare un solo sito di compostaggio, l'unica cosa che, eliminando la frazione umida, avrebbe impedito la fermentazione dei rifiuti in discarica, facendo sparire così il cattivo odore che ammorba i paesi vesuviani. Niente soldi per la differenziata. I fondi ci sono solo per altri tre termovalorizzatori. «In un solo anno - spiega ancora Bonelli - si sarebbero potuti convertire gli impianti di cdr, mal progettati dalla Fibe, in impianti per il trattamento meccanico biologico a bassissimo impatto ambientale senza dover incenerire a oltranza. E invece avanti con altre discariche, ma la cava Vitiello è inserita nel Piano evacuazione del Vesuvio come invaso per trattenere la lava in caso di eruzione, se la riempiono di immondizia poi ci devono spiegare come intendono fare se il vulcano si risveglia».

Termovalorizzatori per ampliare il giro di affari delle multiutility del nord, come la lombarda A2A già insediata ad Acerra, dove nessuno fornisce dati precisi sul monitoraggio dell'aria. Discariche che, invece, sono manna per la camorra. Business dei trasporti, vendita di terreni ma soprattutto la grande specialità dei clan: «Miscelare i rifiuti in modo da smaltire l'illecito con il lecito - conclude Bonelli - I militari mi hanno bloccato perché stavo fotografando cava Sari, tengono lontani i comitati che cercano di vigilare sulla salute delle comunità ma nessuno controlla cosa finisce in discarica, mancano addirittura le bolle di accompagnamento. Bertolaso venerdì ha detto che vigilerà, e cosa ha fatto fino a ora?».

145,4 MILIONI DI EURO Sono i fondi congelati dall'Unione europea, che giudica inadeguate le misure messe in campo dal governo italiano per risolvere l'emergenza rifiuti in Campania

sabato 23 ottobre 2010

È il momento di passare all’azione

Paul Krugman
New York Times


L e persone per bene sono rimaste inorridite dal voto del 29 settembre alla camera dei rappresentanti di Washington. Un’ampia maggioranza bipartisan ha approvato una legge presentata dal deputato Sander Levin. Il provvedimento potrebbe porre le premesse per sanzioni commerciali contro la Cina legate alla politica monetaria del paese asiatico. La legge non è molto dura, ma di fronte alle allarmanti voci di guerre commerciali e altre catastrofi economiche, gli opinionisti più moderati ritengono che sia meglio non fare chiasso e privilegiare la diplomazia. Queste persone per bene, che da quando è cominciata la crisi si sono sbagliate su tante cose (per esempio, dicevano che il deficit pubblico statunitense avrebbe fatto impennare i tassi d’interesse e l’inflazione), si sbagliano anche questa volta. Per quanto riguarda la politica monetaria cinese, la diplomazia non otterrà niente inché non sarà accompagnata da qualche minaccia di ritorsione. L’isteria sulla possibile guerra commerciale è ingiustificata, e comunque ci sono cose peggiori dei conlitti commerciali. In un periodo come questo, con una disoccupazione di massa aggravata dalla politica predatoria della Cina in campo valutario, la possibilità di qualche nuovo dazio dovrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni statunitensi. Ma facciamo un passo indietro. Le grandi economie industrializzate subiscono ancora gli effetti della bolla immobiliare e della crisi inanziaria. I consumi sono calati e quindi le aziende non hanno incentivi a espandere le loro attività. La recessione sarà anche finita, ma il tasso di disoccupazione è molto alto e non dà segni di voler tornare ai livelli normali. La situazione delle economie emergenti è diversa: hanno resistito alla tempesta economica e offrono molte opportunità d’investimento. Com’è naturale, quindi, i capitali provenienti dai paesi più ricchi ma in crisi si dirigono verso i paesi emergenti, che quindi potrebbero essere decisivi nell’uscita dalla recessione globale. La principale economia emergente, la Cina, ostacola invece questo processo naturale. Pechino ha limitato l’aflusso di capitali privati per mezzo di restrizioni sugli investimenti stranieri e mantiene artiicialmente basso il valore dello yuan. Questo aiuta le esportazioni cinesi, ma danneggia l’occupazione nel resto del mondo. La fata turchina Le autorità cinesi difendono questa politica con argomenti poco convincenti e al tempo stesso incoerenti. Pechino nega di manipolare deliberatamente il tasso di cambio. Forse vorrebbe farci credere che è stata la fata turchina ad accumulare riserve per 2.400 miliardi di dollari e a mettergliele sotto il cuscino mentre dormiva. Ma esponenti di primo piano dell’élite cinese dicono che le riserve non contano, perché il surplus commerciale della Cina non c’entra niente con il tasso di cambio. Eppure il primo ministro Wen Jiabao ha dichiarato: “Non possiamo immaginare quante fabbriche cinesi fallirebbero, e quanti operai perderebbero il lavoro, se lo yuan si rivalutasse troppo rapidamente”. Allora il valore dello yuan conta qualcosa. Pechino fa di tutto per ostentare il suo disprezzo nei confronti dei negoziatori statunitensi. A giugno i cinesi avevano detto di essere disposti a lasciar finalmente determinare dal mercato il valore della moneta. Questo avrebbe comportato un netto apprezzamento della valuta cinese. Invece in questi mesi il valore dello yuan è cresciuto appena del 2 per cento rispetto al dollaro, per lo più solo nelle ultime settimane, cioè con l’avvicinarsi del voto sulla proposta di legge di Levin. A cosa servirà dunque questa nuo- va legge? Permette – ma, si badi bene, non impone – alle autorità statunitensi di applicare dazi sulle esportazioni cinesi che sfruttano il valore artificialmente basso dello yuan. Ora, l’esperienza ci insegna che Washington non passerà all’azione. Anzi, continuerà a trovare scuse e a vantare progressi del tutto immaginari sul terreno diplomatico. Insomma sarà confermato quello che i cinesi pensano delle autorità statunitensi: che sono delle tigri di carta. Quindi la legge Levin può essere considerata al massimo un segnale rivolto ai cinesi. In ogni caso, è un passo nella direzione giusta. Perché la verità è che finora, di fronte ai comportamenti inaccettabili della Cina, i politici statunitensi sono stati incredibilmente e scandalosamente passivi. Specialmente se si considera che, visto l’ostruzionismo dei repubblicani, una delle poche possibilità che restano all’amministrazione Obama per afrontare il problema della disoccupazione è dar battaglia alla Cina. Probabilmente la legge Levin non basterà a modiicare questo atteggiamento passivo, ma almeno comincerà a mettere sotto pressione i politici statunitensi. E questo ci avvicinerà al momento in cui saranno inalmente pronti ad agire.

Paul Krugman è un economista statunitense. Nel 2008 ha ricevuto il premio Nobel per l’economia. Scrive sul New York Times.

Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è La coscienza di un liberal (Laterza 2009). Finora l’azione diplomatica non ha prodotto risultati. Le maniere forti convinceranno Pechino a rivalutare lo yuan

venerdì 22 ottobre 2010

La nuova beneficenza dei capitalisti

Slavoj Žižek

















Perché la beneficenza è diventata un elemento strutturale della nostra economia e non è più solo la caratteristica di qualche brava persona?

Nel capitalismo di oggi la tendenza è di mescolare proitto e beneficenza. Così quando comprate qualcosa, nella spesa è già incluso il vostro impegno per il bene degli altri, dell’ambiente e così via. Se pensate che stia esagerando, entrate in un qualunque caffè della catena Starbucks e vedrete. Cito la loro campagna: “Non è solo cosa comprate, ma cosa scegliete”. Lo spiegano così: “Quando comprate Starbucks (...) state scegliendo qualcosa di più di una tazza di cafè. State promuovendo un’etica del cafè. Grazie al programma Starbucks ‘Shared Planet’, compriamo più caffè del commercio equo e solidale di qualunque altra azienda al mondo, garantendo agli agricoltori un prezzo equo per il loro duro lavoro. E investiamo nei metodi dei coltivatori di caffè migliorando la vita delle loro comunità in tutto il mondo. È un buon karma per il caffè”. È quello che chiamo “capitalismo culturale” allo stato puro. Non state solo comprando un caffè, state comprando la vostra redenzione dall’essere semplici consumisti. State facendo qualcosa per l’ambiente, qualcosa per salvare i bambini che hanno fame in Guatemala e qualcosa per ricostruire il senso di comunità.

Potrei fare molti esempi, ma la sostanza non cambia: mentre fate delle scelte consumiste, allo stesso tempo spendete i vostri soldi per fare del “bene”. Tutto questo genera una sorta di… come potrei deinirlo? Un sovrainvestimento o sovraccarico semantico. Sapete che non è in gioco solo l’acquisto di una tazza di cafè: è in gioco il rispetto di tutta una serie di responsabilità etiche. Questa logica oggi è quasi universalizzata. Perciò si crea un corto circuito molto interessante: un gesto di consumo egoista comprende il prezzo del suo contrario.

Davanti a questo fenomeno, credo che dovremmo tornare al buon vecchio Oscar Wilde, che ci ha fornito l’argomentazione migliore contro la logica della beneficenza. In L’anima dell’uomo sotto il socialismo, lo scrittore sottolinea che “è molto più facile solidarizzare con la sofferenza che con il pensiero”: “Le persone scoprono di essere circondate da una spaventosa povertà, da una spaventosa bruttezza, da una spaventosa fame. È inevitabile che tutto ciò le commuova. Di conseguenza, con intenzioni ammirevoli ma male indirizzate, con la massima serietà e molto sentimentalismo, si impegnano nel compito di rimediare ai mali che vedono. Ma i loro rimedi non curano la malattia, non fanno che prolungarla. Di fatto, i loro rimedi sono parte della malattia. Cercano di risolvere il problema della povertà, per esempio, tenendo in vita i poveri o, nel caso di una scuola molto avanzata, divertendoli. Ma questa non è una soluzione, è un aggravamento del problema. L’obiettivo giusto è cercare di ricostruire la società su basi che rendano impossibile la povertà. E le virtù altruistiche hanno di fatto impedito il raggiungimento di questo obiettivo. […] I peggiori schiavisti erano quelli che si comportavano gentilmente con i loro schiavi, e così impedivano che l’orrore del sistema fosse compreso da coloro che sofrivano per sua colpa e da coloro che lo osservavano. […] La beneficenza degrada e demoralizza.

È immorale usare la proprietà privata per alleviare i mali orribili causati dall’istituzione della proprietà privata”. Penso che queste parole siano più attuali che mai. Per quanto possa apparire positivo, il salario garantito – questa specie di patto con i ricchi – non è una soluzione. A mio giudizio esiste un altro problema. Ho l’impressione che questo sia l’ultimo, disperato tentativo di mettere il capitalismo al servizio del socialismo: non cancelliamo il male, lasciamo che sia il male stesso a lavorare per il bene. Trenta o quarant’anni fa, sognavamo il socialismo dal volto umano. Oggi, invece, l’orizzonte più lontano, più radicale, della nostra immaginazione è il capitalismo globale dal volto umano. Le regole del gioco restano le stesse, però lo rendiamo un po’ più umano, più tollerante, con un po’ di welfare in più. Diamo al diavolo quel che è del diavolo e diciamolo chiaramente: almeno negli ultimi decenni, e almeno in Europa occidentale, in nessun altro momento della storia umana una percentuale così alta di popolazione ha goduto di tanta relativa libertà, ricchezza, sicurezza eccetera. Ora queste conquiste sono gradualmente rimesse in discussione. Voglio solo dire che l’unico modo per salvare gli acclamati valori del liberalismo è fare qualcosa di più. Non sono contrario alla beneficenza in astratto. È meglio di niente. Però dobbiamo essere consapevoli che contiene un elemento di ipocrisia. È ovvio che dobbiamo aiutare i bambini. È terribile vedere che la vita di un bambino può essere distrutta perché i genitori non possono pagare un’operazione che costa 20 dollari. Ma come avrebbe detto Oscar Wilde, a lungo andare, se ci limitiamo a curare i bambini loro vivranno un po’ meglio però si ritroveranno sempre nella stessa situazione.

http://www.terraligure.it/blog/struzzo.jpg

Slavoj ŽiŽek è un filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno.

Il suo ultimo libro è Dalla tragedia alla farsa. Ideologia della crisi e superamento del capitalismo (Ponte alle grazie 2010).

giovedì 21 ottobre 2010

I plotoni dell'ingiustizia...

Monica Pisano

La manifestazione Liberi Pastori è cominciata ieri 19 ottobre con molto ritardo...Sulla 131 e 130 gli squadroni del questore cercavano di impedire l'ingresso a Cagliari dei pulmann i..Li hanno bloccati , e come squadristi di Pinochet sono saliti a bordo a chiedere documenti, prendere nominativi e minacciare i liberi Pastori e famiglie al seguito..tra cui anche tanti bambini e ragazzi..per non parlare delle mogli...che si occupavano di rifocilllare tutti....

Iniziamo con molto ritardo...alle 11.30 circa...La manifestazione si svolge senza intoppi fino a Via Roma di fronte al Consiglio Regionale...

Si respira un'aria pesante..Squadristi di polizia e carabinieri in assetto antisommossa...elicotteri che ci sorvegli
Questa è la situazione signori, il latte sardo viene pagato meno del latte italiano...i protti sardi sono in svendita, i pastori sono in svendita...le aziende agricole sono in svendita...Non si dice ma le banche del Veneto e dell'Emilia Romagna stanno acquistando grandi aziende sarde poco prezzo..in fallimento....la volontà è di dare il colpo di grazia ai sardi ormai allo stremo...Ma ancora si fanno manifestazioni a compartimenti stagni...operai tra loro...scuola e sindacati ormai svenduti...Coldiretti contro liberi pastori....come se questultima avesse fatto una volta l'interesse di agricoltori o pastori...A proposito la loro manifestazione si è svolta giorni prima con tanto di pallocini e mongolfiere...Senza ail minimo accenno all'oppressione perpetrata senza motivo di ieri..si, torniamo a ieri.. Ore 17.45...la polizia ed i Carabineri all'improvviso attaccano i manifestanti: donne, bambini, ragazzi, liberi pastori..Cominciano a sparare lacrimogeni ad altezza d'uomo...la folla cerca di mettersi a riparo dal fumo...non riesce a respirare..si spaventa arretra terrorizzata, urla di dolore...le squadre dell'ingiustizia avanzano manganellando e calpestando chi cade a terra...lasciando indietro sangue lacrime, dolore e frustrazione... Avanzano ..i lacrimogeni arrivano da Via Roma fino al porto...alle barche ormeggiate...un ragazzo con i rasta...viene malmenato da due poliziotti davanti a me...io comincio ad urlare... ...due corrono contro di me...mi spingono e mi minacciano... Sono inerme alzo le mani...mi mollano...Cercano di picchiare una madre...e lei ...Roba da periodo fascista!

Ma come arretrano...urlo al capo dello squadrone anti-giustizia...un ragazzo magro dalla faccia nevosa in borghese, con accento italiano, Dopo un attimo di shock...avanziamo...arretrano...ci minacciano allontanandosi...tornando indietro si mettono in assetto in fila e cominciano a marciare sbattendo gli anfibi sull'asfalto di via Roma...e i manganelli sugli scudi antisommossa...un brivido percorre tutta me stessa...non è paura è disgusto è consapevolezza ma è anche forza...torno indietro dal marciapiede seguo nauseata questa parata...questa prova di forza ma che forza non è ...Un ragazzo forse neanche maggiorenne...col segno distintivo: il foulard azzurro simbolo dei liberi pastori...sorseggia accanto a me una mezza birretta..un poliziotto esce dai ranghi dà una manata alla bottiglia che il giovanissimo teneva in mano, rifocillandosi di quella odiosa giornata...la calpesta con gli anfibi enormi...è un gigante..lui piccolo..e fragile..il ragazzo impallidisce lo prendono in due...tre, comincio ad urlare ...un agente dice : Gli stanno mettendo le manette..Urlo più forte...quasi senza voce oramai dalla rabbia...si guardano..dall'altra parte della strada..troppi testimoni...che vedono...lo mollano...libero. ragazzo! Sei libero...Lui sotto shock mi guarda è pallidissimo...gli dico ..

I liberi pastori non si arrendono...mi chiedo se le meccaniche degli altri arresti non sono state le stesse del ragazzo...ma forse anche peggio...Ho visto portar via in manette ragazzi inermi insanguinati, shoccati...

riprendiamo le posizioni...di fronte al Consiglio...proprio sull'asfalto...ci sediamo a terra di fronte aglia scuadroni anti-giustizia...stiamo lì...Inermi come prima...con la sola arma che è quella del coraggio...

Un libero pastore prende il microfono...

Aspettiamo...ma i giochi sono già fatti...La Sardegna è in svendita signori...Le masse leggeranno sui giornali che i banditi sardi sono scesi a distruggere a sopraffare e crederanno che sia così....perchè la verità gia scodellata è comoda e facile...da seguire comodamente in poltrona...













giovedì 14 ottobre 2010

La Repubblica ebraica di Israele

Sayli Vaturu

pubblicata da Sayli Vaturu

Gideon Levy

Ha’aretz.

http://www.haaretz.com/

La diga è crollata, minacciando di annegare ogni traccia di democrazia, fino al punto in cui forse finiremo per ritrovarci in uno stato ebraico, la cui natura nessuno capisce veramente, ma che di sicuro non sarà democratico.

Segnatevi la data. Il 10 ottobre è il giorno in cui Israele ha cambiato natura. E magari cambierà addirittura nome e si chiamerà “Repubblica ebraica di Israele”, come la Repubblica islamica dell’Iran. D’accordo: la legge sul giuramento di fedeltà che il premier Benjamin Netanyahu ha fatto approvare al governo e ora vuol far votare dal parlamento riguarda, o almeno così si dice, solo i nuovi cittadini israeliani non ebrei. Ma in realtà avrà efetti sul destino di tutti. Perché d’ora in poi vivremo in un nuovo paese etnocratico, teocratico, nazionalista e razzista. E chi pensa che la cosa non lo riguardi si sbaglia.

Già, perché in Israele c’è una maggioranza silenziosa che accetta tutto questo con un’allarmante apatia. Invece chiunque creda che dopo l’approvazione di questa legge il mondo continuerà a considerare Israele come una qualsiasi democrazia non ha capito cos’è questa legge: è un nuovo grave danno all’immagine di Israele.

Il premier Netanyahu ha dimostrato di essere come Avigdor Lieberman, il suo ministro degli esteri e leader del partito di estrema destra Yisrael Beiteinu. Il Partito laburista ha dimostrato di essere solo uno zerbino.

E Israele ha mostrato la sua indiferenza. La diga è crollata, minacciando di annegare ogni traccia di democrazia, fino al punto in cui forse finiremo per ritrovarci in uno stato ebraico, la cui natura nessuno capisce veramente, ma che di sicuro non sarà democratico.

Si prevede che la Knesset, nella sua sessione invernale, discuta un’altra ventina di disegni di legge antidemocratici. L’Associazione per i diritti civili in Israele ha appena pubblicato una lista nera di provvedimenti che comprende: una legge sul giuramento di fedeltà per i parlamentari, una legge sul giuramento di fedeltà per i produttori cinematograici, una legge sul giuramento di fedeltà per le associazioni senza ini di lucro. E ancora: un provvedimento che vieta ogni proposta di boicottaggio e un provvedimento sulla revoca della cittadinanza. Siamo di fronte a un pericoloso balletto maccartista, da parte di parlamentari ignoranti che non hanno capito cos’è la democrazia.

Non è difficile giudicare il duo Netanyahu-Lieberman: sono due fanatici nazionalisti, quindi nessuno può pretendere che capiscano che democrazia non signiica solo potere della maggioranza, ma anche anzi soprattutto diritti delle minoranze. È molto più diicile da capire, invece, l’inerzia dei cittadini. Le piazze di tutte le città israeliane avrebbero dovuto riempirsi di persone che riiutano di vivere in un paese dove la minoranza è oppressa da leggi severissime come quella che le obbligherebbe a prestare un falso giuramento di fedeltà a uno stato ebraico. E invece quasi nessuno sembra pensare che la cosa lo riguardi. È sbalorditivo.

Ci siamo dedicati per decenni al futile dibattito su cosa signiica essere ebrei. Un interrogativo che a quanto pare ci impegnerà ancora per molto tempo. Cos’è, infatti, lo “stato della nazione ebraica”? Appartiene forse agli ebrei della diaspora più che ai cittadini arabi d’Israele? E i cittadini arabi potranno decidere delle sue sorti, così che la nostra si possa chiamare ancora una democrazia? Cosa caratterizza l’ebraicità? Le festività? Le prescrizioni alimentari della kasherut? L’aumento del peso politico dell’establishment religioso, come se non fosse già suiciente a distorcere la democrazia?

L’introduzione di un giuramento di fedeltà allo stato ebraico ne deciderà il destino. E rischia di trasformare Israele in una teocrazia simile all’Arabia Saudita. È vero: per il momento giurare fedeltà allo stato ebraico è solo uno slogan ridicolo, e non esistono tre ebrei che riescano a mettersi d’accordo su come dovrebbe essere uno stato ebraico. Ma la storia ci ha insegnato che la strada per l’inferno può essere lastricata anche di slogan inutili. Nel frattempo, la nuova legge non farà altro che aggravare il senso di estraneità degli arabi israeliani e inirà per alienare le simpatie nei confronti di Israele di settori ancora più vasti dell’opinione pubblica mondiale.

Ecco cosa succede quando non si ha piena iducia nella strada intrapresa. Solo questa siducia può indurre a presentare proposte di legge perverse come quella approvata il 10 ottobre. Il Canada non sente il bisogno che i suoi cittadini giurino fedeltà allo stato canadese, né lo richiedono altri paesi. Solo Israele.

Questa decisione è stata pensata per provocare di nuovo la minoranza araba e spingerla a dimostrare an- cora più distacco dal paese, così che un bel giorno venga inalmente il momento di disfarsene. Oppure per afossare la prospettiva di un accordo di pace con i palestinesi. Comunque sia, lo stato ebraico – come diceva Theodor Herzl – fu fondato nel primo congresso sionista, che si svolse a Basilea nel 1897. Il 10 ottobre invece è stata fondata l’oscurantista Repubblica ebraica di Israele.

Gideon Levy è un giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Ha’aretz.

lunedì 11 ottobre 2010

TEULADA .. LA NAZIONE SARDA INIZIA IL LUNGO CAMMINO DELL'INDIPENDENZA POLITICA CULTURALE ED ECONOMICA DALLO STATO ITALICO



Teulada 10 ottobre 2010, una giornata uggiosa e grigia oltre che piovosa, sembra che tutti i numi siano contro di NOI, ma la sorpresa viene come compensata da una partecipazione popolare grandiosa, un migliaio di teuladesi in piazza e dopo nel palazzetto dello sport partecipe del sentimento nazionale nato dalla proposta di referendum consultivo sul nucleare proposto da Sardigna Natzione e NO NUKE, e a rivendicare sovranità ed opposizione al progetto di morte nucleare , che , il governo italiota ci vuole propinare e rivogare contro la nostrà dignità e volontà.

Oggi, si rischia che Teulada, suo malgrado, passi alla ribalta per una ulteriore servitù: LA CENTRALE NUCLEARE, che, il governo italiota del premier "sardo" adottato dalla Gallura Silvio Berlusconi e company vuole installare nella nostra terra.

Sappiamo quanto sia folle costruire centrali atomiche su un'isola, tra l'atro delle dimensioni della Sardegna poco più di 24000 kmq, considerate che l'area di evacuazione attorno a Chernobyl fu di 30000 kmq.. di conseguenza è tutto dire della serietà dei profeti di sventura dello stato italico e dei suoi lacchè e servitori costruttori e cementificatori nonchè speculatori a basso costo personale nello sfruttamento del territorio sardo, dei piani di evacuazione e sicurezza....

Bisogna iniziar a far pagare cara la loro scelta malaugurata del nucleare, dettata dalla malafede affaristica e tronfia di ingorda e meschina avidità, tramite campagne di boicotaggio sull'energia per quanti partecipano al comitato d'affari sia che siano coinvolti nella progettazione, costruzione o sfruttamento del territorio con appalti o altro, nel progetto Nucleare italiota in patria Sarda!

Il popolo sardo sta ponendo le basi per dare una spallata a questi avidi e tronfi politici che siano italioti o che siano i suoi leccaculi sardo-italioti

Si respira nell'aria un nuovo profumo di risveglio dal torpore ipnotico incantatore del re mediatico, una nuova era si staglia di fronte a NOI la scelta della sovranità e dell'abbandono della servitù-schiavitù nata nel lontano 1847 dalla cosidetta "FUSIONE PERFETTA".

Denunciamo che la sovranita' del popolo sardo ''e' stata frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia sabauda in cambio della 'perfetta fusione con gli Stati della terraferma' '' nel 1847, precisiamo di considerare ''politicamente conclusa la vicenda storica conseguente alla rinuncia alle proprie sovranita' istituzionali, avvenuta il 29 novembre 1847, e solo parzialmente recuperate nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.3, 'Statuto speciale per la Sardegna' ''.

Conseguentemente poniamo le basi per la indipendenza della nazione sarda già da ora , sia con il referendum consultivo che deve trasformarsi in un referendum di sovranità sarda per la cacciata dei nuovi "piemontesi" con un voto pebliscitario e trasversale per il bene comune della nostra terra!

Rimettere in discussione le servitù pendenti e tutte le scelte fatte dal governo italiota in funzione anti sarde, i quali perpetrano uno sfruttamento esagerato ed esasperato del territorio attuando una politica mortifera sulla nostra terra ed il nostro popolo.

Accade , che, nelle basi militari si usano armi non convenzionali (Uranio impoverito ed altre sostanze sconosciute) trasformando il territorio circostante in grande laboratorio per test sulla popolazione civile lì vivinte.

Le prove di questo scempio, le possiamo riscontrare nelle testimonianze dei cittadini del luogo e dalle indagini epidemiologiche che rivelano l'alta diffusione di tumori maligni e morti precoci nei pressi delle basi militari di Quirra e Teulada , malattie e morti pressochè inesistenti nel resto della nostra isola.

Inoltre condanniamo moralmente e politicamente le loro politiche scellerate accapparratorie del nostro territorio contro la volontà popolare e nazionale sarda, che lo stato Italiota ne fà con l'intento di trasformare la nostra isola come piattaforma per la produzione di energia a loro necessaria, per poi portarla tramite i cavi SACOI e SAPEI nel continente italico , ove consumarla, non tenendo in nessuna considerazione i danni ambientali e umani che arrecano alla nostra gente e alla nostra terra, partono dall'idea che questo luogo sia da considerare discarica comune a costo zero, sia per loro che per l'europoa intera... portare i rifiuti nucleri o di elevata tossicità chimica e biologica, è la soluzione dei loro problemi.

NON POSSIAMO TOLLERARE OLTRE QUESTA ONTA PER LA NOSTRA TERRA!

SIAMO POPOLO, NAZIONE, CON LA NOSTRA LINGUA E CULTURA , VOGLIAMO RIVENDICARE LA DIGNITA' DI UOMINI E DONNE LIBERI, E DI POTER DECIDERE DA NOI, DEL NOSTRO FUTURO !!

LIBERTADE INDIPENDENTZIA SOBERANIA!!





























sabato 9 ottobre 2010

Palestinese umiliata dai soldati

michele giorgio
IL MANIFESTO

Ebrei ultraortodossi in rivolta contro Corte suprema

Un altro grave caso di umiliazione di prigionieri palestinesi compiuto da soldati israeliani è venuto alla luce lunedì sera. La rete televisiva israeliana «Canale 10» ha messo in onda immagini in cui si vede una donna palestinese, bendata e ammanettata, adagiata contro un muro, e un militare israeliano impegnato a umiliarla parodiando una danza del ventre. In sottofondo una musica araba e le voci di altri soldati che, sghignazzando, incitano il loro compagno a continuare. Il filmato non è recente, come indica la data in cui è stato postato su Youtube , l'aprile 2008. (http://www.youtube.com/watch?v=pxFlmXbzY3I&feature=player_embedded). Le immagini comunque confermano che la pratica dell'umiliazione di palestinesi in stato di arresto non è limitata agli episodi emersi in questi ultimi mesi ma è diffusa tra i soldati israeliani. Si tratta di un fenomeno ampio, come denunciano da lungo tempo i centri per i diritti umani, che respingono la tesi abituale delle forze armate israeliane di «vicende isolate» legate a poche «mele marce». Solo due mesi fa aveva destato scalpore il caso di Eden Abargil, un'ex soldatessa che aveva diffuso su Facebook foto che la ritraevano mentre sbeffeggiava detenuti palestinesi bendati. Immagini alle quali la ragazza - dopo un mezzo abbozzo di scuse - aveva fatto seguire la pubblicazione di messaggi razzisti nei confronti degli arabi. Intanto si è conclusa ieri all'alba, con l'esecuzione di un provvedimento di espulsione approvato dalla Corte Suprema israeliana, la vicenda di Mairead Maguire, la premio Nobel per la pace irlandese respinta una settimana fa come «persona non grata» alla frontiera d'Israele e da allora trattenuta in stato di fermo all'aeroporto di Tel Aviv. Maguire aveva partecipato al viaggio della nave pacifista «Rachel Corrie» sequestrata lo scorso giugno in acque internazionali dalla Marina militare israeliana mentre cercava di aggirare il blocco marittimo di Gaza.

Sayli Vaturu

Non c’è pace con le colonie

pubblicata da Sayli Vaturu

The Independent, Gran Bretagna

Questo ine settimana, in Cisgiordania, duemila estremisti ebrei e cristiani evangelici hanno festeggiato la ine della moratoria di Israele sulle nuove costruzioni negli insediamenti dei Territori palestinesi occupati. Una mossa che rischia di compromettere i colloqui di pace sul Medio Oriente a poche settimane dal loro avvio alla Casa Bianca. Il presidente palestinese Abu Mazen è in una posizione molto diicile. Se di fronte a quest’umiliazione si ritira dai colloqui, sarà accusato dagli israeliani di sabotare l’iniziativa di Washington. Se invece va avanti, sarà accusato dai gruppi palestinesi radicali di svendere il suo popolo. Abu Mazen ha detto che Israele deve scegliere: “O la pace o gli insediamenti”, ma ha rinviato la decisione a dopo l’incontro con i leader della Lega araba, il 4 ottobre al Cairo. Tutte le parti in causa sono, o dicono di essere, in un vicolo cieco. Abu Mazen è debole: il suo mandato è scaduto, ma non ha potuto andare al voto a causa della lotta tra Al Fatah e Hamas. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu guida una coalizione di destra che vuole l’espansione degli insediamenti, in cui vive già quasi mezzo milione di coloni. E il mediatore Barack Obama non vuole innervosire la lobby iloisraeliana a poche settimane dalle elezioni di metà mandato. Obama fa pressioni su Abu Mazen perché non lasci i negoziati. Bisognerebbe però spingere anche sugli israeliani perché rinnovino la moratoria. Netanyahu non ha le mani legate: oggi il premier è lui e a destra non ha leader forti. Nulla gli impedisce di rompere con una parte della sua coalizione e di far entrare nel governo i centristi di Kadima. Il punto è che non vuole. Occorre quindi che Washington gli ricordi, magari in privato, che Israele non ha un diritto incondizionato né ai due miliardi di dollari all’anno di aiuti militari statunitensi né al veto americano su tutte le risoluzioni Onu che criticano il suo governo. Insomma: non bisogna permettere a Netanyahu di riiutare la moratoria senza pagarne il prezzo. E anche se non vuole prorogarla esplicitamente, potrebbe impedire i lavori, per esempio riiutando nuove licenze edilizie e facendo capire a banche e costruttori che è imprudente impegnarsi su nuovi progetti. Convincere i negoziatori palestinesi che le costruzioni in Cisgiordania saranno limitate potrebbe spingerli a non lasciare i colloqui. Certo, è una soluzione pasticciata: ma oggi è l’unica speranza per non fermare i negoziati.



Soldato israeliano fa la danza del ventre attorno a una prigioniera palestinese legata e bendata



>Questo pezzo è apparso su Il Foglio del 25 settembre, per annunciare l’incontro Per Israele organizzato dall’infaticabile Nirenstein a Roma.


Ciascuno può gustare la misura del delirio di Fiamma, qui al suo apice. Israele, Stato istituzionalmente razzista (per ottenere la cittadinanza, bisogna dimostrare d’essere di razza ebraica) sarebbe il frutto più luminoso dell’«universalismo e giusnaturalismo». Israele, Stato occupante, in Palestina «ha fondato un diritto morale che ha fatto fiorire democrazia e benessere». Israele «è un faro di vita». Tutto il mondo la invidia «per il dono di identità e moralità che possiede», e per questo la delegittima. Soprattutto in Europa, dove ci si è messi in testa che «sulla Mavi Marmara gli ebrei avessero voluto attaccare e uccidere un gruppo di pacifisti», pensate un po’ fin dove arriva l’antisemitismo; perchè l’Europa è preda di «un moralismo mostruoso», sotto cui si maschera l’antisemitismo che dilaga nelle sue città.

«Roma. Una manifestazione Per la verità, per Israele. Nel momento in cui allONU aumenta il tentativo di delegittimazione dello Stato ebraico e nuove spedizioni umanitariesono pronte a rompere lisolamento di Hamas. La maratona oratoria si terrà il prossimo 7 ottobre presso il Tempio di Adriano a Roma. Hanno aderito politici, intellettuali e artisti, italiani e stranieri, fra cui il direttore del Foglio Giuliano Ferrara e Paolo Mieli, Roberto Saviano e Walter Veltroni, Shmuel Trigano e Farid Ghadry. Ad aprire la manifestazione sarà José Marìa Aznar, ex primo ministro spagnolo e presidente dellassociazione Friends of Israel. Promotrice delliniziativa è la deputata del Pdl e giornalista Fiamma Nirenstein. Vogliamo sollevare lallarme più potente rispetto allesistenza dIsraele, cioè la minaccia armata dellIran e dei suoi amici Hamas ed Hezbollah’, ci dice Nirenstein. Lo sfondo fattuale alla delegittimazione dIsraele è la strategia dellIran. Ahmadinejad ha sottomesso lONU, così la più alta istanza mondiale è diventata una cassa di risonanza di vaneggiamenti pericolosi. Gli Stati Uniti hanno reagito con appeasement, aumentando leccitazione islamista. Gli armamenti di Hezbollah sono cresciuti a dismisura, Hamas può colpire Tel Aviv, Ahmadinejad può annunciare la fine dIsraele nelle sedi globali e noi gli stringiamo la mano. Qui stanno distruggendo pezzo dopo pezzo la struttura universalista e giusnaturalista uscita dalla Seconda guerra mondiale’. Veniamo alla delegittimazione culturale. E un lavoro enorme compiuto dal mondo dellestremismo islamista che comincia con un viaggio di Arafat in Vietnam, dove il leader palestinese chiese al generale Giap cosa dovesse fare per universalizzare la questione palestinese. Giap disse ad Arafat: ‘Fate come noi vietnamiti, andate alla conquista degli intellettuali’. Larcheologo Barkaimi ha detto che la negazione di Gerusalemme come città ebraica è peggiore del negazionsimo dellOlocausto. E ci sono riusciti in questa impresa di conquista. Un negazionismo paragonabile alla distruzione dei Budda in Afghanistan. Delegittimare la presenza stessa di Israele nellarea come patria del popolo che ha reso quel luogo basilare per la storia dellumanità è giustificato dal rifiuto a riconoscere che gli ebrei abbiano un diritto a proclamarvi e a farvi fiorire il loro Paese. Un diritto storico, perché il popolo ebraico vi è nato, vi ha vissuto secoli, vi ha fondato il monoteismo, un diritto morale che ha fatto fiorire democrazia e benessere. Per la cultura araba, non solo palestinese, la presenza ebraica seguita a essere illegittima, malvagia, a termine. Israele è pronto a riconoscere uno Stato palestinese. E ora che il mondo arabo sia pronto a riconoscere uno Stato ebraico’. La delegittimazione è sparsa su tutto Israele, ‘inventandosi una crudeltà, un razzismo, una persecuzione, una volontà di conquista e un disprezzo della pace inesistenti. Sul caso della Mavi Marmara, la stampa globale ha accolto lidea che gli ebrei avessero voluto attaccare e uccidere un gruppo di pacifisti’. La delegittimazione è persino sportiva. ‘Un gruppo di tennisti israeliani ha potuto giocare solo a porte chiuse in Svezia. Ad Hannover un gruppo di danza israeliano è stato preso a sassate da dimostranti che urlavano Juden Raus’. In Turchia una partita di pallavolo è stata circondata da dimostranti violenti che urlavano ai poliziotti: ‘Non siate i cani da guardia dei sionisti, Allah ve ne chiederà conto’. Lunione dei lavoratori inglesi del settore pubblico ha passato una mozione per il boicottaggio di Israele. Un grande giornale svedese ha scritto che gli israeliani uccidono i palestinesi per rubarne gli organi. I supermercati dEuropa decidono di boicottare le merci ebraiche. I film israeliani sono contestati, così le sue scoperte scientifiche, i prodotti tecnologici, i suoi accademici sono cacciati dalle università. Anni e anni che Israele vede piombare dal cielo i razzi e nessuno dice nulla. Un politico israeliano non può atterrare a Londra senza rischiare larresto. Amnesty e lONU attaccano Israele ogni giorno, assieme al consiglio dei Diritti umani. Passa in cavalleria il fatto che la Spagna proibisca agli omosessuali israeliani di partecipare a un gay pride’. E il diritto di esistere di Israele che è messo in discussione. Non cè diritto all’autodifesa, se Israele non si può difendere ed è condannato alla morte allONU. E un pericolo che corriamo tutti. Il mondo dovrebbe vergognarsi di come ha lasciato morire gli israeliani nei caffè, nei supermercati, nei ristoranti, quando si lodava sulla stampa la kamikaze venuta a uccidere famiglie intere. Questo moralismo mostruoso si rovescia sullEuropa tutta con lantisemitismo che circola nelle sue città. Hanno distrutto il senso della lotta antirazzista, pensiamo a Durban. Lodio per Israele è la corruzione stessa della nostra civiltà’. La manifestazione vuole anche portare in dono ciò che Israele rappresenta. La delegittimazione nasce da invidia per il dono prezioso di identità e di moralità che la nazione ebraica possiede: un ragazzo israeliano pieno di vita e di voglia di divertirsi, di ballare, di viaggiare è concentrato con tutto il cuore sul compito di proteggere la sua casa, la sua cultura. Un famoso medico colono’ (Arieh Eldad) per salvare un bambino palestinese bruciato da unesplosione lavora giorni e notti, per mesi interi, in ospedale. A Gaza, fino al minuto prima di essere costretti a sgomberare, i contadini ebrei raccoglievano i pomodorini ciliegia e i fiori di serra. Israele è un faro di vita, quando la vita è il valore più problematico e in pericolo del nostro tempo, quello più invidiato e che scorre nelle vene di questo popolo costantemente sotto minaccia».

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