lunedì 3 novembre 2014

Partito unico e democrazia in Italia

Partito unico e democrazia in Italia
Arianna editrice
Eugenio Orso



Nel mondo capitalistico precedente e in quello attuale, più correttamente definibile neocapitalistico, è possibile l’esistenza di una società a socio unico. Tale situazione, ossia l’unicità del socio nella società, può essere transitoria, in attesa di ricostituire la pluralità dei soci, oppure stabile, come accade, ad esempio da noi, per le S.p.A. possedute interamente da un ente pubblico.

Com’è noto, economia e “aziendalismo” nella prevalenza su ogni altra cosa (legami comunitari, tradizioni, specificità culturali, aspetti religiosi) hanno trasferito i loro criteri di funzionamento in ogni aspetto della vita sociale e umana, cosicché possiamo parlare di “capitalismo assoluto”, oppure, se vogliamo, di capitalismo assolutamente egemone. Allora non è un caso se in paesi come l’Italia, in cui l’”esperimento” di transizione al neocapitalismo finanziario assoluto e globale (espressione mia) è in una fase avanzata, vi sia stato il “transfert” nella cosiddetta vita democratica del paese delle peggiori pulsioni assolutiste e aziendaliste, tali da contraddire ciò che dovrebbe essere la democrazia, almeno su un piano teorico e propagandistico, azzerandone i presupposti.

Premetto che io non sono democratico e perciò non posso essere un sostenitore della democrazia, come forma di governo e come legame politico stabilito fra gli uomini, anzi, più realisticamente come sola forma di governo ammessa e praticabile in occidente. Non lo sono perché l’unica democrazia che esiste, nella realtà sociopolitica in cui viviamo, è quella liberale, che rappresenta la negazione dell’emancipazione umana e perciò la negazione della persona stessa, sostituita dall’artificioso, artificiale e artefatto individuo di matrice liberale. Poco importa se la polisemica espressione “democrazia” ha avuto in altre epoche, più o meno remote (Grecia antica, Francia giacobina), significati ed esiti diversi, perché ciò che conta è l’esistente, oltre la vacuità dei sogni, oltre le illusioni e le cortine fumogene della propaganda liberaldemocratica e neocapitalista.

Il “transfert” delle pulsioni del neocapitalismo assoluto e assolutista, nonché dell’aziendalismo più becero negli spazi politici cosiddetti democratici è avvenuto in un paese – l’Italia – che ha perso la sua sovranità, il possesso della moneta e financo la dignità nazionale, se mai l’ha avuta. Ciò ha determinato una situazione politica interna in cui vi è, nei fatti, un unico partito che dovrebbe dare rappresentanza (ampiamente fittizia) a tutto il paese, a tutti i settori della società e che dovrebbe contenere al suo interno anche l’opposizione. Osserviamo così, proprio nel nostro paese, la democrazia con un solo partito, bene organizzato, appoggiato dai poteri sopranazionali che contano e presente ovunque sul territorio. Da qui l’iniziale richiamo alla società con socio unico, che ha il sapore di una contraddizione in termini, in quanto negazione della pluralità necessaria per perseguire scopi comuni.

E’ bene precisare di seguito le affermazioni fatte, per far comprendere meglio la gravità della nostra situazione e l’impossibilità di uscirne applicando “il metodo democratico”, vale a dire politicamente corretto e ammesso dal sistema.

Con l’avvento del governo Monti, quantomeno “inopportuno” costituzionalmente, oltre a tracciare una strada politica a senso unico, con unico programma e docili esecutivi al servizio della “troika” (fino al vero e proprio commissariamento finale, o governo-troika esplicito), si è provveduto a modificare rapidamente il quadro politico italiano, agendo sia sulla destra sia sulla sinistra dell’originario schieramento liberaldemocratico. Non considerando in questa sede l’estemporaneo “fenomeno Grillo”, con tanto di grillini, cinque stelle e carabattole varie, l’operazione ha comportato:

1) La distruzione del cosiddetto centro-destra, scomponendolo e ricomponendolo in altra forma, cosa resa possibile dalla viltà e dall’arrendevolezza dei suoi principali esponenti, primo fra i quali Berlusconi. Così, una parte del pdl è andata al governo, dopo Monti, facendo la ruota di scorta al pd, ma senza una solida base di consenso ed elettorale (ncd di Alfano). Una parte è uscita da un’altra porta, quella di servizio “populista” e “euroscettica”, creando un partitello che dopo le europee sta già scomparendo (fratelli d’Italia). Un’ultima tranche è rimasta con il Berlusconi dimezzato, al crepuscolo, e con lui, o anche prima di lui, giungerà a estinzione (forza Italia rediviva). La Lega rinnovata e (temporaneamente) salvata da Salvini fa storia a sé, ma non ha i numeri né il necessario respiro geografico (ostilità del sud) per emergere come alternativa, sia pur solo elettorale e parlamentare.


2) La “rimodulazione” del cosiddetto centro-sinistra facendo perno sul principale e più fedele partito collaborazionista della troika e dei poteri forti esterni (checché ne dica Renzi), cioè sul pd. Si è deciso che doveva restare solo il pd, il quale avrebbe rapidamente perso qualsiasi traccia, al suo interno, di socialismo residuale, di attenzione per la socialità, di sia pur limitata rappresentanza politica concessa al lavoro dipendente (settore pubblico sotto attacco ivi compreso) e ai pensionati. Il pd avrebbe dovuto restare solo, come in effetti sta accadendo, prendendo i voti sia dai resti della ridicolissima e ingloriosa “sinistra radicale” sia dal pdl berlusconiano in via di scomposizione e ricomposizione. Per “conquistare consensi a destra” Renzi sembra indispensabile.


3) Ci sarebbe, al centro – se mai questa espressione ha ancora qualche significato – l’esperimento fallito della scelta civica montiana, ma è un capitolo chiuso e una parte di questi voti se li è già pappati il pd. Monti ha contribuito in modo determinante alla distruzione del mercato interno e di parte delle attività produttive nazionali e, dal punto di vista politico, ha creato un precedente: quello del governo nominato e non eletto. Non solo, poiché ha dato un contributo al cambiamento politico italiano, ovviamente in peggio, inoculando il germe del “riformismo” neoliberale e neoliberista, oggi ereditato da Renzi, in contrapposizione al “conservatorismo” di una parte dei vecchi schieramenti politici. Elemento di vitale importanza, quest’ultimo, per contrapporre a una maggioranza “virtuosamente riformista”, un’opposizione, spesso di facciata, che difende “il vecchio” e “il privilegio”.


Da quanto precede, si comprende che in Italia c’è in sostanza un solo partito, cioè il partito collaborazionista guidato da Matteo Renzi. Infatti, è all’interno di questo partito legato a doppio filo alla troika neocapitalista che si scelgono i presidenti del consiglio, indipendentemente dalle elezioni politiche. E’ proprio il caso di Renzi, nominato “premier” con una direzione del pd che ha defenestrato Letta, anche lui membro del pd e anche lui presidente del consiglio non eletto. E’ sempre in questo partito, non più in parlamento, che la simulazione maggioranza-opposizione trova la sua miglior rappresentazione scenica, principalmente rivolta alle masse da imbonire, come nel caso dello jobs act renziano e dell’attacco all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. E’ stata una direzione del pd che ha fatto passare le controriforme renziane contro i lavoratori dipendenti e determinato la sconfitta della patetica opposizione interna, mentre il voto in parlamento perde d’importanza, viene dopo, diventa una scontata conseguenza delle decisioni prese dalla direzione del pd. La contrapposizione fra “riformisti” e “conservatori”, sostenuta a suo tempo da Monti ed ereditata da Renzi, avviene dentro il pd – fra il Renzi riformista e i Bersani, i Cuperlo, i D’Alema conservatori – prima ancora che in parlamento.

L’azione dei “poteri forti esterni” (tutt’altro che sfavorevole a Renzi e al pd) sta producendo un cambiamento in peggio nella politica liberaldemocratica italiana, soggetta all’assolutismo neocapitalistico. Un risultato rilevante prodotto dal cambiamento è la nascita del “partito unico collaborazionista”, che è l’estensione massima del pd neoliberale. Tutti i giochi avvengono all’interno del partito collaborazionista, della sua direzione e della sua segreteria nazionale, non più e non tanto in parlamento, che ancora per un po’ sarà “infestato” da presenze residuali – ndc, forza Italia, scelta civica, sel – o impreviste, sgradite, ma tutto sommato innocue, come m5s. La stessa opposizione, ampiamente di facciata a uso e consumo della massa amorfa che ancora chiamiamo “popolo”, si agita dentro l’unico partito rimasto, collaborazionista che più non si può. L’opposizione è naturalmente debole e disunita, perché non deve avere la possibilità di manomettere il programma di governo, impedendo controriforme come quella che riguarda il lavoro. Nessun gruppo di finti oppositori uscirà dal partito, pochissimi voteranno contro i provvedimenti del governo in parlamento. Come detto, ciò che conta è il partito unico, poiché il parlamento si adegua e approva.

Tornando, infine, al parallelo con la società a socio unico, nel caso del partito collaborazionista rimasto solo in Italia, notiamo che il vero proprietario, il vero socio unico che decide e beneficia degli utili, è la famigerata troika, in rappresentanza delle signorie finanziarie, bancarie e assicurative che dominano l’occidente e monopolizzano la decisione politica.

Questa è la democrazia liberale che concretamente esiste in Italia.      

         

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